CONFITEOR
22-06-2005, 07:50
Milioni di pc da distribuire nei paesi del Terzo mondo. A un prezzo irrisorio. E in grado di funzionare senza elettricità( :confused: )
Colloquio con Nicholas Negroponte
A partire dal 2007, circa 220 milioni di studenti cinesi nelle scuole primarie e secondarie avranno tra le dita un sogno: un computer portatile di loro proprietà. Da usare tra i banchi e poi da portare negli zaini fino a casa. Uno per ciascuno di loro. È il progetto che nasce dalla mente di Nicholas Negroponte, il guru del Web per antonomasia, autore nel '95 del celebre "Being Digital", bestseller tradotto in 40 lingue (in Italia si intitola "Essere digitali" ed è stato riedito l'anno scorso da Sperling&Kupfer).
Negroponte, 62 anni, è anche il fondatore del Media Lab del Massachusetts Institute of Technology, dov'è professore di Media Technology. Ed è proprio con i colleghi del Mit che da qualche mese sta lavorando al nuovo progetto, uno speciale computer portatile che sarà fornito, al prezzo di 100 dollari per unità, ai ministeri dell'Educazione di vari Paesi in via di sviluppo: dapprima in Cina, tra la fine del 2006 e gli inizi del 2007, ma poi anche in Iraq, Colombia, Cambogia e in diversi paesi africani. Obiettivo: guerra al digital divide, alla povertà tecnologica, per una crescita che sia non solo economica ma anche politica e sociale di quei Paesi.
Professore, lei da 20 anni lotta contro il digital divide e con sua moglie ha fondato tre scuole in Cambogia con computer e accesso a Internet. Ma di tutti i suoi progetti, questo nuovo sembra il più grande, il più ambizioso. È così?
«Sì, è il progetto in cui converge quasi tutto quello che ho fatto per 20 anni. Per la prima volta, il mio è un piano su larga scala: lo si vede già dal motto, "un notebook per ogni bambino". A regime, saranno prodotti dai 100 ai 200 milioni di pc in un anno. Accettiamo ordini solo dai ministeri dell'istruzione e non inferiori a un milione di unità».
Chi metterà i soldi per la produzione?
«Cinque grandi aziende che si associano al progetto. Due nomi sono già certi, Amd (che con Intel è uno dei principali produttori di hardware, ndr) e Google. Con altri tre se ne sta parlando - si tratterebbe di Samsung, Motorola e NewsCorporation. Ogni azienda investirà fino a 2 milioni di dollari. Inoltre, altri 2-3 milioni di dollari dovrebbero arrivare da investitori esterni. Credo che la Banca mondiale e le Nazioni Unite poi ci finanzieranno dalle 50 mila alle 100 mila unità di pc: se ne sta discutendo in questi giorni».
Una volta trovati i finanziatori, quali sono i piani?
«Entro settembre di quest'anno avremo il primo prototipo di pc funzionante. Testeremo le prime 100 mila unità in Cina, e poi, da giugno 2006, in altri quattro paesi. Al più tardi nel marzo 2007 cominceremo la produzione di massa».
Com'è possibile vendere un pc a soli 100 dollari? Andrete in perdita?
«Assolutamente no. La produzione di ogni pc costerà 90 dollari, quindi ci saranno anche 10 dollari di profitto per gli investitori. A dirla tutta, un sacco di gente - anche i distributori - si arricchirà con questo progetto, sebbene io non sarò tra questi. Consideri che i paesi in via di sviluppo sono il solo mercato in espansione al mondo. Ovvio che l'interesse delle aziende occidentali sia alle stelle».
Come si può fare un pc così economico e guadagnarci pure?
«Nessun arcano: la sola cosa davvero innovativa è lo schermo. Probabilmente useremo l'inchiostro elettronico inventato dal Mit Media Lab. Per il resto, metteremo a dieta ferrea il software dei pc: niente Windows, useremo Linux :fagiano: , che è gratis. Il risparmio poi viene anche dal fatto che non saremo nei negozi, ma venderemo i computer tramite ordini diretti. Quanto ai componenti, non mancherà nulla di essenziale, anzi: ci sarà anche il supporto al wi fi e alle reti di cellulari di terza generazione(cazzarola!). Il limite più grande, rispetto a un computer normale, è che il nostro non potrà contenere un'enorme quantità di dati».
Riesce però difficile immaginare un pc in un villaggio senza elettricità...
«Il nostro pc userà fonti di energia alternative: sarà alimentato con pannelli solari o, in altri casi, con una manovella e perfino a pedali( :stordita: ). Sarà inoltre molto robusto, per funzionare anche in ambienti difficili. È importante inoltre che sia portatile, per ragioni tecniche, logistiche ma anche sociali».
Sociali?
«È in questo aspetto il cuore del nostro progetto: un computer per ogni bambino. È un mantra cui teniamo molto, perché se il pc è portatile e di proprietà, il bambino può considerarlo un oggetto personale. Da tenere sempre con sé. La società digitale in questo modo penetra nella sua vita quotidiana, nei suoi giochi, non viene imposta dall'alto, dallo Stato. È così che questi Paesi potranno abbracciare lo sviluppo tecnologico: non con leggi, regole, riforme, ma con l'educazione dei bambini. Non solo: se il pc è un notebook può essere portato anche a casa. Così entrano in ballo anche le famiglie, che potranno imparare la via del digitale insieme con i figli».
E se la tecnologia è più diffusa, ci può essere sviluppo economico? È questo il sillogismo?
«Non solo. Tecnologia, Internet, computer sono anche nuovi mezzi di comunicazione, che servono per la crescita sociale di popoli dove la televisione e persino la radio sono poco diffuse, perché manca l'elettricità. Inoltre il nostro computer non servirà solo all'educazione digitale, ma anche per l'istruzione dei bambini in senso generale. In un computer da 100 dollari entrano molte cose che in certi paesi solo le famiglie facoltose possono permettersi: vocabolari, atlanti geografici, libri di testo in formato digitale e quindi più economici di quelli su carta. Tramite Internet, inoltre, è possibile consultare i giornali internazionali, fare corsi di inglese. Un computer può fungere da laboratorio, biblioteca, studio artistico: sono soldi risparmiati anche per la scuola. Allo stesso modo, anche i docenti possono aggiornarsi, con questi strumenti. Tutto il sistema dell'istruzione ne beneficia».
Qualcuno dirà: questa gente non ha da mangiare, non ha medicine, non ha acqua corrente e voi gli portate il pc con Internet,chissà che se ne fanno.. :stordita:
«È nell'istruzione dei popoli la chiave del progresso. Non nello sviluppo tecnologico di per se stesso. In certi paesi cosiddetti in via di sviluppo la tecnologia è presente, ci sono le infrastrutture. Ma possono accedervi solo in pochi, per via di leggi restrittive o dell'ignoranza diffusa. L'istruzione è una soluzione. Certo, l'istruzione non può essere mangiata, non può vestire i poveri. Ma non può esserti portata via, una volta che l'hai fatta tua. È la chiave del progresso. È vero anche relativamente a problemi come la fame, il controllo delle nascite e l'emergenza sanitaria».
Ma invece che vendere computer economici attraverso aziende occidentali, non sarebbe meglio fare nascere in quei Paesi la scintilla perché li producano da sé? Perché si sviluppi una loro industria hi-tech?
«È un'idea interessante e infatti con il nostro computer speriamo appunto di creare un indotto che faccia nascere in quei paesi un'industria indipendente da quella occidentale. Per iniziare, ci saranno aziende locali che producono periferiche hardware per il nostro pc. Anche per questo motivo abbiamo scelto Linux: a differenza di Windows è un sistema aperto, può essere modificato, fatto proprio dalle industrie locali. È un incentivo perché siano sviluppati prodotti hi tech in loco».
Non crede che tale sviluppo influirà anche sulla politica di quei Paesi? Per esempio, se i cinesi grazie a questi computer potranno accedere a una libera informazione, che ne sarà del regime totalitario? Insomma, forse il ministero dell'Educazione cinese sta rischiando grosso ad accettare l'offerta del Mit.
«Il governo cinese sa benissimo che prima o poi la democrazia arriverà nel Paese. A Pechino sono ben consci che non è una questione di "se", ma solo di "quando". Nel frattempo, il regime si impegna per fare crescere l'economia e l'istruzione fino a toccare i livelli dell'Occidente. Non dimentichi che in Cina hanno già 320 milioni di cellulari!»
Lei è famoso per le sue previsioni su Internet. Può farne una sul digital divide nel mondo?
«È una questione complessa perché i paesi cosiddetti "in via di sviluppo" in realtà viaggiano a velocità molto diverse tra loro e spesso vanno in altalena. Il Costa Rica sembrava uno dei paesi più progrediti quanto a uso del computer, adesso invece sta pensando di mettere fuori legge il Voice over Ip (la telefonia via Internet come Skype, ndr), il che sarebbe un terribile passo indietro. La Cina era poverissima vent'anni fa e guardi adesso che balzo in avanti ha fatto, anche rispetto ai suoi vicini! Comunque ora ho molta fiducia nel futuro dell'America Latina, per via della cultura di quei popoli, incline a guardare avanti con coraggio e con una salutare mancanza di rispetto per l'autorità, per le regole che li legano al passato».
http://www.espressonline.it/eol/free/jsp/detail.jsp?m1s=null&m2s=t&idCategory=4801&idContent=896529
Colloquio con Nicholas Negroponte
A partire dal 2007, circa 220 milioni di studenti cinesi nelle scuole primarie e secondarie avranno tra le dita un sogno: un computer portatile di loro proprietà. Da usare tra i banchi e poi da portare negli zaini fino a casa. Uno per ciascuno di loro. È il progetto che nasce dalla mente di Nicholas Negroponte, il guru del Web per antonomasia, autore nel '95 del celebre "Being Digital", bestseller tradotto in 40 lingue (in Italia si intitola "Essere digitali" ed è stato riedito l'anno scorso da Sperling&Kupfer).
Negroponte, 62 anni, è anche il fondatore del Media Lab del Massachusetts Institute of Technology, dov'è professore di Media Technology. Ed è proprio con i colleghi del Mit che da qualche mese sta lavorando al nuovo progetto, uno speciale computer portatile che sarà fornito, al prezzo di 100 dollari per unità, ai ministeri dell'Educazione di vari Paesi in via di sviluppo: dapprima in Cina, tra la fine del 2006 e gli inizi del 2007, ma poi anche in Iraq, Colombia, Cambogia e in diversi paesi africani. Obiettivo: guerra al digital divide, alla povertà tecnologica, per una crescita che sia non solo economica ma anche politica e sociale di quei Paesi.
Professore, lei da 20 anni lotta contro il digital divide e con sua moglie ha fondato tre scuole in Cambogia con computer e accesso a Internet. Ma di tutti i suoi progetti, questo nuovo sembra il più grande, il più ambizioso. È così?
«Sì, è il progetto in cui converge quasi tutto quello che ho fatto per 20 anni. Per la prima volta, il mio è un piano su larga scala: lo si vede già dal motto, "un notebook per ogni bambino". A regime, saranno prodotti dai 100 ai 200 milioni di pc in un anno. Accettiamo ordini solo dai ministeri dell'istruzione e non inferiori a un milione di unità».
Chi metterà i soldi per la produzione?
«Cinque grandi aziende che si associano al progetto. Due nomi sono già certi, Amd (che con Intel è uno dei principali produttori di hardware, ndr) e Google. Con altri tre se ne sta parlando - si tratterebbe di Samsung, Motorola e NewsCorporation. Ogni azienda investirà fino a 2 milioni di dollari. Inoltre, altri 2-3 milioni di dollari dovrebbero arrivare da investitori esterni. Credo che la Banca mondiale e le Nazioni Unite poi ci finanzieranno dalle 50 mila alle 100 mila unità di pc: se ne sta discutendo in questi giorni».
Una volta trovati i finanziatori, quali sono i piani?
«Entro settembre di quest'anno avremo il primo prototipo di pc funzionante. Testeremo le prime 100 mila unità in Cina, e poi, da giugno 2006, in altri quattro paesi. Al più tardi nel marzo 2007 cominceremo la produzione di massa».
Com'è possibile vendere un pc a soli 100 dollari? Andrete in perdita?
«Assolutamente no. La produzione di ogni pc costerà 90 dollari, quindi ci saranno anche 10 dollari di profitto per gli investitori. A dirla tutta, un sacco di gente - anche i distributori - si arricchirà con questo progetto, sebbene io non sarò tra questi. Consideri che i paesi in via di sviluppo sono il solo mercato in espansione al mondo. Ovvio che l'interesse delle aziende occidentali sia alle stelle».
Come si può fare un pc così economico e guadagnarci pure?
«Nessun arcano: la sola cosa davvero innovativa è lo schermo. Probabilmente useremo l'inchiostro elettronico inventato dal Mit Media Lab. Per il resto, metteremo a dieta ferrea il software dei pc: niente Windows, useremo Linux :fagiano: , che è gratis. Il risparmio poi viene anche dal fatto che non saremo nei negozi, ma venderemo i computer tramite ordini diretti. Quanto ai componenti, non mancherà nulla di essenziale, anzi: ci sarà anche il supporto al wi fi e alle reti di cellulari di terza generazione(cazzarola!). Il limite più grande, rispetto a un computer normale, è che il nostro non potrà contenere un'enorme quantità di dati».
Riesce però difficile immaginare un pc in un villaggio senza elettricità...
«Il nostro pc userà fonti di energia alternative: sarà alimentato con pannelli solari o, in altri casi, con una manovella e perfino a pedali( :stordita: ). Sarà inoltre molto robusto, per funzionare anche in ambienti difficili. È importante inoltre che sia portatile, per ragioni tecniche, logistiche ma anche sociali».
Sociali?
«È in questo aspetto il cuore del nostro progetto: un computer per ogni bambino. È un mantra cui teniamo molto, perché se il pc è portatile e di proprietà, il bambino può considerarlo un oggetto personale. Da tenere sempre con sé. La società digitale in questo modo penetra nella sua vita quotidiana, nei suoi giochi, non viene imposta dall'alto, dallo Stato. È così che questi Paesi potranno abbracciare lo sviluppo tecnologico: non con leggi, regole, riforme, ma con l'educazione dei bambini. Non solo: se il pc è un notebook può essere portato anche a casa. Così entrano in ballo anche le famiglie, che potranno imparare la via del digitale insieme con i figli».
E se la tecnologia è più diffusa, ci può essere sviluppo economico? È questo il sillogismo?
«Non solo. Tecnologia, Internet, computer sono anche nuovi mezzi di comunicazione, che servono per la crescita sociale di popoli dove la televisione e persino la radio sono poco diffuse, perché manca l'elettricità. Inoltre il nostro computer non servirà solo all'educazione digitale, ma anche per l'istruzione dei bambini in senso generale. In un computer da 100 dollari entrano molte cose che in certi paesi solo le famiglie facoltose possono permettersi: vocabolari, atlanti geografici, libri di testo in formato digitale e quindi più economici di quelli su carta. Tramite Internet, inoltre, è possibile consultare i giornali internazionali, fare corsi di inglese. Un computer può fungere da laboratorio, biblioteca, studio artistico: sono soldi risparmiati anche per la scuola. Allo stesso modo, anche i docenti possono aggiornarsi, con questi strumenti. Tutto il sistema dell'istruzione ne beneficia».
Qualcuno dirà: questa gente non ha da mangiare, non ha medicine, non ha acqua corrente e voi gli portate il pc con Internet,chissà che se ne fanno.. :stordita:
«È nell'istruzione dei popoli la chiave del progresso. Non nello sviluppo tecnologico di per se stesso. In certi paesi cosiddetti in via di sviluppo la tecnologia è presente, ci sono le infrastrutture. Ma possono accedervi solo in pochi, per via di leggi restrittive o dell'ignoranza diffusa. L'istruzione è una soluzione. Certo, l'istruzione non può essere mangiata, non può vestire i poveri. Ma non può esserti portata via, una volta che l'hai fatta tua. È la chiave del progresso. È vero anche relativamente a problemi come la fame, il controllo delle nascite e l'emergenza sanitaria».
Ma invece che vendere computer economici attraverso aziende occidentali, non sarebbe meglio fare nascere in quei Paesi la scintilla perché li producano da sé? Perché si sviluppi una loro industria hi-tech?
«È un'idea interessante e infatti con il nostro computer speriamo appunto di creare un indotto che faccia nascere in quei paesi un'industria indipendente da quella occidentale. Per iniziare, ci saranno aziende locali che producono periferiche hardware per il nostro pc. Anche per questo motivo abbiamo scelto Linux: a differenza di Windows è un sistema aperto, può essere modificato, fatto proprio dalle industrie locali. È un incentivo perché siano sviluppati prodotti hi tech in loco».
Non crede che tale sviluppo influirà anche sulla politica di quei Paesi? Per esempio, se i cinesi grazie a questi computer potranno accedere a una libera informazione, che ne sarà del regime totalitario? Insomma, forse il ministero dell'Educazione cinese sta rischiando grosso ad accettare l'offerta del Mit.
«Il governo cinese sa benissimo che prima o poi la democrazia arriverà nel Paese. A Pechino sono ben consci che non è una questione di "se", ma solo di "quando". Nel frattempo, il regime si impegna per fare crescere l'economia e l'istruzione fino a toccare i livelli dell'Occidente. Non dimentichi che in Cina hanno già 320 milioni di cellulari!»
Lei è famoso per le sue previsioni su Internet. Può farne una sul digital divide nel mondo?
«È una questione complessa perché i paesi cosiddetti "in via di sviluppo" in realtà viaggiano a velocità molto diverse tra loro e spesso vanno in altalena. Il Costa Rica sembrava uno dei paesi più progrediti quanto a uso del computer, adesso invece sta pensando di mettere fuori legge il Voice over Ip (la telefonia via Internet come Skype, ndr), il che sarebbe un terribile passo indietro. La Cina era poverissima vent'anni fa e guardi adesso che balzo in avanti ha fatto, anche rispetto ai suoi vicini! Comunque ora ho molta fiducia nel futuro dell'America Latina, per via della cultura di quei popoli, incline a guardare avanti con coraggio e con una salutare mancanza di rispetto per l'autorità, per le regole che li legano al passato».
http://www.espressonline.it/eol/free/jsp/detail.jsp?m1s=null&m2s=t&idCategory=4801&idContent=896529