Zebiwe
29-05-2005, 11:55
Due articoli dal Corriere:
Nella sua nuova veste ha già vinto più di 300 vertenze
Sun, il Walesa cinese contro i capitalisti rossi (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/05_Maggio/28/cavalera.shtml)
Ex contadino, ha studiato legge per fare causa al padrone che per 5 anni non lo ha pagato. Ora è il sindacalista che tutela gli operai
PECHINO - C’è una fila di povera gente davanti alla porta a vetri del minuscolo regno di Sun, il primo sindacalista cinese che non prende ordini dal regime. Questa povera gente che fa la fila per capire come sia possibile rivendicare un sacrosanto diritto: mettere in tasca un paio di migliaia di renminbi all’anno, più o meno duecento euro. Quando va bene, però. Perché spesso il padrone non ti paga e ti lascia a secco per mesi e mesi. Così questa povera gente, loro, i contadini, i lavoratori stagionali, gli operai dei cantieri, la massa che emigra verso le città, loro non sanno a quale santo votarsi pur di riprendersi il dovuto. Hanno trovato Sun e a lui affidano la speranza.
A Xian, la città dei misteriosi guerrieri di terracotta, il nuovo guerriero è in carne e ossa. Un quarantenne, piccolo e magro, che sta seduto dietro a una scrivania di legno con un computer e un telefono. E lì davanti scorre la fila della povera gente. Ogni contadino con la sua storia calpestata. Sun Wusheng è un eroe popolare nella Cina capitalista, industrializzata e tecnologica. Forse gli tapperebbero volentieri la bocca ma non possono. Se solo ci provassero ne ricaverebbero una sollevazione. E non soltanto a Xian. Ma in mezza Cina in quanto il nome di questo padre di famiglia, ex contadino, ex manovale è uscito dai confini del suo villaggio nel distretto di Fuping. Un giornale locale lo ha eletto personaggio dell’anno. E di bocca in bocca il nome ha toccato il Nord e il Sud. Se ne intuisce il motivo.
Seppure nessuno lo dica apertamente, Sun è un sindacalista. Il sindacato ufficiale in Cina è un esercito di robot, a comando i robot rispondono. Ma Sun non è uno di quelli. È un sindacalista vecchio stile, uno che non sta a guardare se davanti c’è il pezzo grosso del partito o il pezzo grosso di chissà quale consorteria. Lui ha in mente la causa dei poveracci che, come gli è capitato in prima persona, sgobbano e non vedono lo straccio di un soldo. Sun Wusheng è un po’ Robin Hood. O un po’ Lech Walesa prima maniera, quello di Danzica. O magari, e più semplicemente, un nuovo «guerriero» di Xian che a un certo punto non sentendosi tutelato dalle istituzioni pubbliche ha preferito prendere di petto la situazione.
È allegro e racconta di avere faticato nei campi per un po’ di anni dopo la licenza di scuola media inferiore. «Guadagnavo 800 renminbi all’anno». La svolta avvenne nel 1995 quando si convinse di accettare la proposta di impiego in un cantiere. «Mi chiesero di guidare una squadra e così mi buttai nell’avventura». Sun Wusheng rimase in quel cantiere fino al 2000. Dal 1995 al 2000 mai una bustapaga. «Credevo di essere l'unico a non ricevere la retribuzione. Invece una bella mattina quattro o cinque operai mi spiegarono che da diversi mesi non portavano a casa il salario. Che avevano provato, sì, a chiederne ragione ma che la risposta ottenuta era stata: non vi paghiamo e basta, non ci sono i fondi».
Non è fuori dal comune che ciò avvenga nella Cina lanciata a mille sui mercati internazionali. Specie nel settore immobiliare. Si acquisisce il diritto di edificare, poi si appaltano e si subappaltano le opere. È una catena senza fine. Quando vengono meno i finanziamenti o quando ritardano i prestiti bancari le imprese chiudono i rubinetti e non versano gli stipendi. Ad andarne di mezzo sono i più deboli. Sun Wusheng realizzò in fretta che aveva una strada davanti. Quella di passare da un tribunale. Un bel rischio. Che autonomia hanno i magistrati cinesi ? E poi, lui non era in grado di permettersi un avvocato. Così, per necessità si inventò avvocato per davvero. «Entrai nella libreria dell’università. Mi guardavano di traverso. Io. Vestito in malo modo. Questo che ci fa qui? Però presi un libro, un secondo libro. Mi appassionai e cominciai a studiare il diritto». In Cina è ammesso. Il cittadino, nelle cause di lavoro, va davanti ai magistrati e si difende.
L’ex contadino, era l’aprile del 2001, imparò norme e procedure. Le imparò bene. Tipo combattivo. Aveva davanti i legali della impresa che tentavano di piegarlo. Non si piegava. No. E nell’aprile ottenne giustizia. Chi l’avrebbe mai immaginato? La corte obbligò il padrone a pagare 37 mila renminbi di arretrati. Un patrimonio per la Cina rurale. La notizia girò in fretta. E Sun si trasformò in eroe. In sindacalista. «Dapprima furono i miei compagni a chiedermi di aiutarli. Poi altri». E altri ancora. Tanto che Sun pensò di abbandonare il cantiere e di aprire un ufficio. A Xian, oltre le vecchie mura imperiali. La stanza è piccolissima. Adesso ci sono pure due studenti di giurisprudenza che collaborano con l’ex contadino. Il quale non chiede parcelle. Ma rimborsi e un piccolo contributo, l’equivalente di pochi euro. Di cause, Sun, ne ha vinte più di trecento in un anno. Care aziende fuori i soldi. La fila si allunga davanti alla porta della speranza. E il partito sorveglia per evitare che la scintilla diventi un falò.
«Prima di protestare per i crimini giapponesi, il governo riconosca i propri»
«Vogliamo le scuse dal regime comunista» (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/05_Maggio/28/tienanmen.shtml)
Lettera aperta delle Madri di Tienammen a una settimana dall'anniversario del massacro degli studenti in piazza
http://www.corriere.it/Media/Foto/2005/05_Maggio/28/tien1--180x140.jpg
PECHINO - A una settimana dal 16esimo anniversario del massacro dei giovani che manifestavano per la democrazia nella piazza Tiananmen di Pechino, un gruppo di 125 famigliari delle vittime ha pubblicato una lettera aperta rivolta al presidente cinese Hu Jintao, nella quale si sostiene che il regime comunista deve chiedere perdono davanti alla storia.
La lettera, firmata «le Madri di Tiananmen», afferma che non hanno senso le recenti proteste del governo cinese contro il Giappone per la sua troppo blanda ammissione delle atrocità perpetrate in Cina durante la seconda guerra mondiale, perchè il governo di Pechino non ha ancora chiesto perdono per le atrocità che esso stesso ha perpetrato, ed ha anzi passato sotto silenzio i crimini commessi contro il proprio popolo.
«Voi e i vostri predecessori - si legge nella lettera aperta - avete cancellato dai libri la memoria del massacro del 4 giugno, ed avete eliminato dalla storia questo spregevole accadimento. Ci siete riusciti benissimo, siete stati più bravi di quegli elementi della destra giapponese, che avevano tentato di cancellare dalla storia il massacro di Nanchino».
Il 4 giugno di 16 anni fa truppe dell'esercito nazionale, appoggiate dai carri armati, massacrarono i manifestanti inermi che da oltre un mese invocavano democrazia per le strade della capitale cinese. Non è mai stato precisato il bilancio di sangue di quel massacro nella piazza Tiananmen di Pechino: si parla di migliaia di uccisi.
«Oggi voi onorate Mao Zedong e Deng Xiaoping e altri, le cui mani sono lorde del sangue del popolo, e che hanno portato sciagure mai raccontate alla nostra nazione», si legge nel documento, che rimprovera anche altre colpe storiche del comunismo cinese, quali la rivoluzione culturale degli anni Sessanta; «Fino ad oggi non avete voluto chiedere pedono alle decine di milioni di vittime ed alle loro famiglie».
Che qualcosa inizi a muoversi anche nel gigante asiatico? Che sia l'inizio di una reale società civile? :sperem:
Nella sua nuova veste ha già vinto più di 300 vertenze
Sun, il Walesa cinese contro i capitalisti rossi (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/05_Maggio/28/cavalera.shtml)
Ex contadino, ha studiato legge per fare causa al padrone che per 5 anni non lo ha pagato. Ora è il sindacalista che tutela gli operai
PECHINO - C’è una fila di povera gente davanti alla porta a vetri del minuscolo regno di Sun, il primo sindacalista cinese che non prende ordini dal regime. Questa povera gente che fa la fila per capire come sia possibile rivendicare un sacrosanto diritto: mettere in tasca un paio di migliaia di renminbi all’anno, più o meno duecento euro. Quando va bene, però. Perché spesso il padrone non ti paga e ti lascia a secco per mesi e mesi. Così questa povera gente, loro, i contadini, i lavoratori stagionali, gli operai dei cantieri, la massa che emigra verso le città, loro non sanno a quale santo votarsi pur di riprendersi il dovuto. Hanno trovato Sun e a lui affidano la speranza.
A Xian, la città dei misteriosi guerrieri di terracotta, il nuovo guerriero è in carne e ossa. Un quarantenne, piccolo e magro, che sta seduto dietro a una scrivania di legno con un computer e un telefono. E lì davanti scorre la fila della povera gente. Ogni contadino con la sua storia calpestata. Sun Wusheng è un eroe popolare nella Cina capitalista, industrializzata e tecnologica. Forse gli tapperebbero volentieri la bocca ma non possono. Se solo ci provassero ne ricaverebbero una sollevazione. E non soltanto a Xian. Ma in mezza Cina in quanto il nome di questo padre di famiglia, ex contadino, ex manovale è uscito dai confini del suo villaggio nel distretto di Fuping. Un giornale locale lo ha eletto personaggio dell’anno. E di bocca in bocca il nome ha toccato il Nord e il Sud. Se ne intuisce il motivo.
Seppure nessuno lo dica apertamente, Sun è un sindacalista. Il sindacato ufficiale in Cina è un esercito di robot, a comando i robot rispondono. Ma Sun non è uno di quelli. È un sindacalista vecchio stile, uno che non sta a guardare se davanti c’è il pezzo grosso del partito o il pezzo grosso di chissà quale consorteria. Lui ha in mente la causa dei poveracci che, come gli è capitato in prima persona, sgobbano e non vedono lo straccio di un soldo. Sun Wusheng è un po’ Robin Hood. O un po’ Lech Walesa prima maniera, quello di Danzica. O magari, e più semplicemente, un nuovo «guerriero» di Xian che a un certo punto non sentendosi tutelato dalle istituzioni pubbliche ha preferito prendere di petto la situazione.
È allegro e racconta di avere faticato nei campi per un po’ di anni dopo la licenza di scuola media inferiore. «Guadagnavo 800 renminbi all’anno». La svolta avvenne nel 1995 quando si convinse di accettare la proposta di impiego in un cantiere. «Mi chiesero di guidare una squadra e così mi buttai nell’avventura». Sun Wusheng rimase in quel cantiere fino al 2000. Dal 1995 al 2000 mai una bustapaga. «Credevo di essere l'unico a non ricevere la retribuzione. Invece una bella mattina quattro o cinque operai mi spiegarono che da diversi mesi non portavano a casa il salario. Che avevano provato, sì, a chiederne ragione ma che la risposta ottenuta era stata: non vi paghiamo e basta, non ci sono i fondi».
Non è fuori dal comune che ciò avvenga nella Cina lanciata a mille sui mercati internazionali. Specie nel settore immobiliare. Si acquisisce il diritto di edificare, poi si appaltano e si subappaltano le opere. È una catena senza fine. Quando vengono meno i finanziamenti o quando ritardano i prestiti bancari le imprese chiudono i rubinetti e non versano gli stipendi. Ad andarne di mezzo sono i più deboli. Sun Wusheng realizzò in fretta che aveva una strada davanti. Quella di passare da un tribunale. Un bel rischio. Che autonomia hanno i magistrati cinesi ? E poi, lui non era in grado di permettersi un avvocato. Così, per necessità si inventò avvocato per davvero. «Entrai nella libreria dell’università. Mi guardavano di traverso. Io. Vestito in malo modo. Questo che ci fa qui? Però presi un libro, un secondo libro. Mi appassionai e cominciai a studiare il diritto». In Cina è ammesso. Il cittadino, nelle cause di lavoro, va davanti ai magistrati e si difende.
L’ex contadino, era l’aprile del 2001, imparò norme e procedure. Le imparò bene. Tipo combattivo. Aveva davanti i legali della impresa che tentavano di piegarlo. Non si piegava. No. E nell’aprile ottenne giustizia. Chi l’avrebbe mai immaginato? La corte obbligò il padrone a pagare 37 mila renminbi di arretrati. Un patrimonio per la Cina rurale. La notizia girò in fretta. E Sun si trasformò in eroe. In sindacalista. «Dapprima furono i miei compagni a chiedermi di aiutarli. Poi altri». E altri ancora. Tanto che Sun pensò di abbandonare il cantiere e di aprire un ufficio. A Xian, oltre le vecchie mura imperiali. La stanza è piccolissima. Adesso ci sono pure due studenti di giurisprudenza che collaborano con l’ex contadino. Il quale non chiede parcelle. Ma rimborsi e un piccolo contributo, l’equivalente di pochi euro. Di cause, Sun, ne ha vinte più di trecento in un anno. Care aziende fuori i soldi. La fila si allunga davanti alla porta della speranza. E il partito sorveglia per evitare che la scintilla diventi un falò.
«Prima di protestare per i crimini giapponesi, il governo riconosca i propri»
«Vogliamo le scuse dal regime comunista» (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/05_Maggio/28/tienanmen.shtml)
Lettera aperta delle Madri di Tienammen a una settimana dall'anniversario del massacro degli studenti in piazza
http://www.corriere.it/Media/Foto/2005/05_Maggio/28/tien1--180x140.jpg
PECHINO - A una settimana dal 16esimo anniversario del massacro dei giovani che manifestavano per la democrazia nella piazza Tiananmen di Pechino, un gruppo di 125 famigliari delle vittime ha pubblicato una lettera aperta rivolta al presidente cinese Hu Jintao, nella quale si sostiene che il regime comunista deve chiedere perdono davanti alla storia.
La lettera, firmata «le Madri di Tiananmen», afferma che non hanno senso le recenti proteste del governo cinese contro il Giappone per la sua troppo blanda ammissione delle atrocità perpetrate in Cina durante la seconda guerra mondiale, perchè il governo di Pechino non ha ancora chiesto perdono per le atrocità che esso stesso ha perpetrato, ed ha anzi passato sotto silenzio i crimini commessi contro il proprio popolo.
«Voi e i vostri predecessori - si legge nella lettera aperta - avete cancellato dai libri la memoria del massacro del 4 giugno, ed avete eliminato dalla storia questo spregevole accadimento. Ci siete riusciti benissimo, siete stati più bravi di quegli elementi della destra giapponese, che avevano tentato di cancellare dalla storia il massacro di Nanchino».
Il 4 giugno di 16 anni fa truppe dell'esercito nazionale, appoggiate dai carri armati, massacrarono i manifestanti inermi che da oltre un mese invocavano democrazia per le strade della capitale cinese. Non è mai stato precisato il bilancio di sangue di quel massacro nella piazza Tiananmen di Pechino: si parla di migliaia di uccisi.
«Oggi voi onorate Mao Zedong e Deng Xiaoping e altri, le cui mani sono lorde del sangue del popolo, e che hanno portato sciagure mai raccontate alla nostra nazione», si legge nel documento, che rimprovera anche altre colpe storiche del comunismo cinese, quali la rivoluzione culturale degli anni Sessanta; «Fino ad oggi non avete voluto chiedere pedono alle decine di milioni di vittime ed alle loro famiglie».
Che qualcosa inizi a muoversi anche nel gigante asiatico? Che sia l'inizio di una reale società civile? :sperem: