ManyMusofaga
17-05-2005, 19:42
Giusto oggi ho visto per la prima volta qs film e ne sono rimasta veramente colpita :) Mi sono affezionata ai personaggi al punto tale che mi chiedevo se ne valesse la pena di acquistare anke il dvd del "secondo atto". Voi che ne dite?
Mitico film cmq...dolce e amaro proprio come piacciono a me ;)
Qui vi riporto un commento/trama :)
Tanto divertente quanto amaro, 'Amici miei' nasce per il grande Pietro Germi, ma lui non può girarlo, è malato, chiama alla regia il suo amico Mario Monicelli; Germi morirà quasi in contemporanea con l'inizio delle riprese. Ecco dunque il primo senso di morte che si prova nel vedere questo film. Il secondo si sposa con le scene finali, quando gli amici accompagnano il funerale del Perozzi: qui l'incontro con il pensionato Righi dà il via alla nuova, ennesima burla, come a dire che loro non si fermano di fronte a nulla, neanche quando accompagnano l'amico nell'ultimo viaggio (e il Perozzi sta chiaramente ridendo dentro la bara insieme agli amici).
Solo una geniale trovata consentirà agli sceneggiatori di scrivere un secondo episodio raccontando vicende precedenti a queste del primo film perché, diamine, il Perozzi doveva esserci. Saranno due i seguiti di 'Amici miei', bello il secondo, forse pari al primo, anch'esso comico e amaro allo stesso tempo. Meno interessante il terzo, diretto da Nanni Loy. Ma in entrambi i casi siamo nel decennio successivo.
C'è tanta amarezza in questo film, ma in fondo la grande protagonista è la vita stessa; quella vita che per i personaggi è spesso un gioco, talvolta una semplice fuga dalla realtà che viene mascherata dal desiderio di divertirsi, di non farsi scappare l'occasione per giocare. E quando gli zingari tornano dalle loro prestazioni è il silenzio che domina, quel silenzio che vuol dire ritorno alla normalità, ai dispiaceri della vita, alla realtà fatta di problemi. Indimenticabile la scena girata nei pressi di una giostra autoscontro in cui i nostri, reduci dall'ennesimo scherzo ai danni del Righi, non hanno più la forza di salire sulle auto e si inventano ogni tipo di scusa pur di tornare a casa: in fondo sono dei rispettabili (?) cinquantenni e in qualche modo devono affrontare lo scontro con il quotidiano.
Ma vediamo chi sono in dettaglio questi amici miei: gli zingari, i fannulloni, gli immaturi, i gaudenti.
Ugo Tognazzi (il conte Lello Mascetti): rappresenta la nobiltà decaduta, una generazione del passato che ha sempre vissuto senza far nulla, riposandosi, vedendo gli altri lavorare, e che oggi (nel 1975) si avvia verso il declino definitivo. E' il tempo che passa, con un '68 che cerca di porre tutti sullo stesso piano, con una società dei consumi che avanza e che lima le differenza, abolisce i privilegi, impone a tutti di produrre. Lui, il Mascetti, non si rassegna, spedisce la moglie e la figlia a morirsi di freddo perché non ha più una casa in cui ospitarle; infine, anche grazie all'intervento degli amici, va ad abitare in un seminterrato umido, squallido. Tradisce la moglie con una giovane lesbica, una figlia della contestazione che non si sa bene cosa trovi in lui; prova inutilmente a lasciarla dopo che la moglie ha tentato un suicidio-omicidio familiare, ma non ci riesce. Ma nonostante tutti i suoi difetti mantiene alta una sua dignità, non accetta elemosine, accetta l'ospitalità ma non le collette. E le sue fughe da una realtà così dura ben rappresentano la voglia di una società che in qualche modo vuol fuggire dal mondo che si è creato intorno. Un personaggio così, solo Tognazzi lo poteva rappresentare: perfetto, sublime, indimenticabile.
Adolfo Celi (il professor Sassaroli): è il chirurgo tutto d'un pezzo (in apparenza). Bella moglie, due figliolette, bella casa; non ha problemi a cedere le familiari (incluso un cane e una governante) all'architetto Melandri, e ad unirsi alla banda degli scavezzacollo, di quelli che fanno le zingarate. Sembra incredibile, ma è dalla sua sagoma che partono molte delle iniziative, da quest'uomo apparentemente serio che si rivela forse più folle degli altri, che abbandona un paziente appena prima di operarlo per correre a far zingarate con gli amici. Scolpito ad arte, mitico.
Gastone Moschin (l'architetto Melandri): è quello che si innamora, che perde la testa per una donna, la moglie del chirurgo, e che per ottenerla rinuncia agli amici, inventa frottole, stringe un patto con l'ex marito della donna. Poi rinsavisce, torna a fare lo zingaro e a divertirsi, a modo suo ritorna uomo. E Moschin è grande nel mostrarsi ora triste ora guitto, impagabile, umanissimo, a modo suo il personaggio che più si può amare della compagnia.
Philippe Noiret (il giornalista Perozzi): cioè l'io narrante, colui che non si vergogna di esporre le zingarate del gruppo, colui che viene ripreso dal figlio che gli rimprovera giustamente l'immaturità galoppante. Il viso di questo francese nato per lo schermo è di un'espressività sconcertante, rappresenta la noia, lo scherno, il divertimento, il non prendere nulla sul serio. Un personaggio vincente, anche se il finale del film si rivela durissimo per lui.
Duilio Del Prete (il Necchi): è il proprietario del bar, l'amico presso il quale ci si ritrova, il gestore del locale dove si disputano interminabili partite a biliardo. E' anche lui un personaggio di un mondo che muore, il mondo dei retrobottega invasi dal fumo: maschilista convinto, affida tutto il lavoro alla moglie che gli porta la colazione a letto, ospita il Mascetti e la sua amante infischiandosene del parere della moglie. Ed è autore di una delle trovate più (dis)gustose del film: nel bel mezzo di una festa sgancia i suoi bisogni nel vasino di un bimbo facendo strabuzzare gli occhi agli increduli genitori del piccolo e ai loro ospiti.
E poi? E poi c'è il 'tutto giù', quando per fingere di costruire un'autostrada che attraversa un paese gli zingari si divertono a gettare nella massima apprensione gli inebetiti paesani.
E poi? E poi c'è la supercazzola con scappellamento a destra: una trovata che sembra assolutamente nata nella bocca di Tognazzi,
E poi? Vogliamo parlare di Bernard Blier, il vecchio pensionato che mangia brioche a sbafo nel bar del Necchi e che sarà vittima del lungo scherzo del traffico di droga, dei marsigliesi, del bottino da dividere, della finta sparatoria?
E poi? E poi ci sono gli schiaffi alla stazione: e qui siamo al delirio collettivo. Una scena che ha fatto la storia del cinema e che lo stesso Monicelli ricorda con divertimento affermando che queste azioni non hanno alcuna logica e che da un punto di vista pratico era impossibile schiaffeggiare i viaggiatori di un treno: si dovette chiedere alle comparse di abbassarsi, quasi di prestare volontariamente il viso allo schiaffo. Illogico? Impossibile? Non scherziamo: questa è arte.
Mitico film cmq...dolce e amaro proprio come piacciono a me ;)
Qui vi riporto un commento/trama :)
Tanto divertente quanto amaro, 'Amici miei' nasce per il grande Pietro Germi, ma lui non può girarlo, è malato, chiama alla regia il suo amico Mario Monicelli; Germi morirà quasi in contemporanea con l'inizio delle riprese. Ecco dunque il primo senso di morte che si prova nel vedere questo film. Il secondo si sposa con le scene finali, quando gli amici accompagnano il funerale del Perozzi: qui l'incontro con il pensionato Righi dà il via alla nuova, ennesima burla, come a dire che loro non si fermano di fronte a nulla, neanche quando accompagnano l'amico nell'ultimo viaggio (e il Perozzi sta chiaramente ridendo dentro la bara insieme agli amici).
Solo una geniale trovata consentirà agli sceneggiatori di scrivere un secondo episodio raccontando vicende precedenti a queste del primo film perché, diamine, il Perozzi doveva esserci. Saranno due i seguiti di 'Amici miei', bello il secondo, forse pari al primo, anch'esso comico e amaro allo stesso tempo. Meno interessante il terzo, diretto da Nanni Loy. Ma in entrambi i casi siamo nel decennio successivo.
C'è tanta amarezza in questo film, ma in fondo la grande protagonista è la vita stessa; quella vita che per i personaggi è spesso un gioco, talvolta una semplice fuga dalla realtà che viene mascherata dal desiderio di divertirsi, di non farsi scappare l'occasione per giocare. E quando gli zingari tornano dalle loro prestazioni è il silenzio che domina, quel silenzio che vuol dire ritorno alla normalità, ai dispiaceri della vita, alla realtà fatta di problemi. Indimenticabile la scena girata nei pressi di una giostra autoscontro in cui i nostri, reduci dall'ennesimo scherzo ai danni del Righi, non hanno più la forza di salire sulle auto e si inventano ogni tipo di scusa pur di tornare a casa: in fondo sono dei rispettabili (?) cinquantenni e in qualche modo devono affrontare lo scontro con il quotidiano.
Ma vediamo chi sono in dettaglio questi amici miei: gli zingari, i fannulloni, gli immaturi, i gaudenti.
Ugo Tognazzi (il conte Lello Mascetti): rappresenta la nobiltà decaduta, una generazione del passato che ha sempre vissuto senza far nulla, riposandosi, vedendo gli altri lavorare, e che oggi (nel 1975) si avvia verso il declino definitivo. E' il tempo che passa, con un '68 che cerca di porre tutti sullo stesso piano, con una società dei consumi che avanza e che lima le differenza, abolisce i privilegi, impone a tutti di produrre. Lui, il Mascetti, non si rassegna, spedisce la moglie e la figlia a morirsi di freddo perché non ha più una casa in cui ospitarle; infine, anche grazie all'intervento degli amici, va ad abitare in un seminterrato umido, squallido. Tradisce la moglie con una giovane lesbica, una figlia della contestazione che non si sa bene cosa trovi in lui; prova inutilmente a lasciarla dopo che la moglie ha tentato un suicidio-omicidio familiare, ma non ci riesce. Ma nonostante tutti i suoi difetti mantiene alta una sua dignità, non accetta elemosine, accetta l'ospitalità ma non le collette. E le sue fughe da una realtà così dura ben rappresentano la voglia di una società che in qualche modo vuol fuggire dal mondo che si è creato intorno. Un personaggio così, solo Tognazzi lo poteva rappresentare: perfetto, sublime, indimenticabile.
Adolfo Celi (il professor Sassaroli): è il chirurgo tutto d'un pezzo (in apparenza). Bella moglie, due figliolette, bella casa; non ha problemi a cedere le familiari (incluso un cane e una governante) all'architetto Melandri, e ad unirsi alla banda degli scavezzacollo, di quelli che fanno le zingarate. Sembra incredibile, ma è dalla sua sagoma che partono molte delle iniziative, da quest'uomo apparentemente serio che si rivela forse più folle degli altri, che abbandona un paziente appena prima di operarlo per correre a far zingarate con gli amici. Scolpito ad arte, mitico.
Gastone Moschin (l'architetto Melandri): è quello che si innamora, che perde la testa per una donna, la moglie del chirurgo, e che per ottenerla rinuncia agli amici, inventa frottole, stringe un patto con l'ex marito della donna. Poi rinsavisce, torna a fare lo zingaro e a divertirsi, a modo suo ritorna uomo. E Moschin è grande nel mostrarsi ora triste ora guitto, impagabile, umanissimo, a modo suo il personaggio che più si può amare della compagnia.
Philippe Noiret (il giornalista Perozzi): cioè l'io narrante, colui che non si vergogna di esporre le zingarate del gruppo, colui che viene ripreso dal figlio che gli rimprovera giustamente l'immaturità galoppante. Il viso di questo francese nato per lo schermo è di un'espressività sconcertante, rappresenta la noia, lo scherno, il divertimento, il non prendere nulla sul serio. Un personaggio vincente, anche se il finale del film si rivela durissimo per lui.
Duilio Del Prete (il Necchi): è il proprietario del bar, l'amico presso il quale ci si ritrova, il gestore del locale dove si disputano interminabili partite a biliardo. E' anche lui un personaggio di un mondo che muore, il mondo dei retrobottega invasi dal fumo: maschilista convinto, affida tutto il lavoro alla moglie che gli porta la colazione a letto, ospita il Mascetti e la sua amante infischiandosene del parere della moglie. Ed è autore di una delle trovate più (dis)gustose del film: nel bel mezzo di una festa sgancia i suoi bisogni nel vasino di un bimbo facendo strabuzzare gli occhi agli increduli genitori del piccolo e ai loro ospiti.
E poi? E poi c'è il 'tutto giù', quando per fingere di costruire un'autostrada che attraversa un paese gli zingari si divertono a gettare nella massima apprensione gli inebetiti paesani.
E poi? E poi c'è la supercazzola con scappellamento a destra: una trovata che sembra assolutamente nata nella bocca di Tognazzi,
E poi? Vogliamo parlare di Bernard Blier, il vecchio pensionato che mangia brioche a sbafo nel bar del Necchi e che sarà vittima del lungo scherzo del traffico di droga, dei marsigliesi, del bottino da dividere, della finta sparatoria?
E poi? E poi ci sono gli schiaffi alla stazione: e qui siamo al delirio collettivo. Una scena che ha fatto la storia del cinema e che lo stesso Monicelli ricorda con divertimento affermando che queste azioni non hanno alcuna logica e che da un punto di vista pratico era impossibile schiaffeggiare i viaggiatori di un treno: si dovette chiedere alle comparse di abbassarsi, quasi di prestare volontariamente il viso allo schiaffo. Illogico? Impossibile? Non scherziamo: questa è arte.