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View Full Version : L'Orgia del potere


majin mixxi
22-03-2005, 20:58
Tratto da “L’Orgia del Potere – Testimonianze, scandali e rivelazioni su Silvio Berlusconi”, di Mario Guarino – Edizioni Dedalo.

Postfazione di Michele Santoro

Chi scrive a proposito di Berlusconi deve avere coraggio. Occorre, infatti, che si prepari non solo a subire le reazioni del più ricco e potente tra gli uomini politici ma anche quelle della maggior parte dei suoi avversari. Quando Guarino diede alle stampe (con Ruggeri) il suo precedente libro dedicato alla resistibile ascesa del nostro Presidente del Consiglio eravamo alla vigilia delle elezioni del 1994. «Il Rosso e il Nero» era allora di gran lunga il programma informativo più seguito della televisione italiana e l'èra di Bruno Vespa e di «Porta a Porta» non era ancora cominciata.


Nessuno si sarebbe perciò sognato di impedirmi di invitare l'autore in trasmissione oppure di trattare, come feci, dei debiti dell'impero Fininvest. Cinque o sei milioni di spettatori poterono così essere coinvolti in una serata che nella televisione di oggi sarebbe semplicemente impossibile da realizzare; e Silvio Berlusconi fu costretto a telefonare per la prima volta in diretta in un mio programma, recitando indignazione ma senza usare toni padronali e arroganti.

Oggi il successo di questo libro sarà affidato probabilmente al passaparola e al tam tam su Internet, a dimostrazione del fatto che gli spazi di libertà si sono enormemente ridotti.

La mia tesi è che ciò non è accaduto soltanto in ragione della cattiveria del Cavaliere ma per una cultura politica assai diffusa che ritiene naturale il dominio dei partiti sull'informazione e sulla società. Già nel dibattito che seguì alla vittoria elettorale di Forza Italia, nell'analizzare le ragioni della sconfitta, furono in molti a sinistra a porre l'accento sui «toni troppo accesi» adoperati da certi giornali («L'Espresso») e da certi talk show (i miei) che «hanno finito per fare il gioco di Berlusconi ingigantendone la figura».


Invece fu scarsa l'attenzione riguardo ai clamorosi errori compiuti dai dirigenti di quei partiti che si erano assunti la responsabilità di rompere l'alleanza formatasi intorno ai referendum e al maggioritario. La somma dei voti della sciagurata macchina da guerra di Achille Occhetto e di quelli del Patto Segni superò di più di un milione di voti i consensi di Forza Italia, Lega e Alleanza nazionale e al Senato conquistò di un soffio il maggior numero di seggi.

Per vincere sarebbe, quindi, bastato presentarsi alle urne uniti e indicare in Segni il leader di una fase transitoria e costituente della seconda repubblica. Il movimento referendario avrebbe potuto dedicarsi per qualche anno a ridisegnare il profilo delle istituzioni, liberalizzare la televisione, stabilire alcune regole fondamentali come il conflitto d'interessi e poi ognuno avrebbe potuto riprendere la sua strada. Probabilmente oggi avremmo avuto una destra e una sinistra decenti e tutto quello che è successo in seguito non sarebbe accaduto.

Ritengo che la nostalgia che riaffiora periodicamente per il ruolo svolto in passato dai partiti, insieme alle critiche «agli eccessi della magistratura» e alla completa riabilitazione operata da Berlusconi nei confronti di Craxi, Andreotti e Forlani, abbia contribuito all'esito autoritario del maggioritario. Così come ha pesato l'incapacità dei partiti del centrosinistra di immaginare una via di uscita in senso liberale dalla crisi di un intero assetto economico, politico e istituzionale.


L'esplosione dell'inchiesta di tangentopoli con le sue enormi conseguenze fu, infatti, il frutto di un cambiamento epocale prodotto dal crollo del muro di Berlino e dall'irrompere sulla scena di una nuova opinione pubblica che non intendeva più esprimersi delegando in bianco ai partiti la sua rappresentanza. La corruzione è stata solo l'estremo tentativo di un sistema di porre argine alla crisi di ruolo e di legittimità della politica, all'inaridimento irreversibile delle radici popolari dei partiti che derivava dalla mancanza di un serio ricambio delle classi dirigenti e dell'alternanza.

D'altra parte il craxismo nella sua fase emergente aveva usato la corruzione per raccogliere intorno a sé una banda di pirati e avventurieri che aveva condotto all'assalto del bipolarismo Dc-Pci. La parola modernizzazione è troppo asettica per dar conto di ciò che effettivamente avvenne; ma non c'è dubbio che si realizzò un tentativo di sottrarre la società italiana ai ritmi lenti e prevedibili di una politica senza futuro.

La vera sconfitta di Bettino Craxi fu nel non cogliere la portata dei mutamenti intervenuti a livello internazionale, nell'opposizione senza quartiere che sviluppò nei confronti del movimento referendario (che si batteva per l'elezione diretta di sindaci e presidenti del consiglio), nell'accanimento che pose nel difendere il suo ruolo di Ghino di Tacco, ovvero di interditore privilegiato dei processi politici. Alla sua caduta i «manigoldi» che lo avevano affiancato nell'assalto al sistema (di cui per inciso la Rai era una colonna portante), si trovarono a dover agire per la prima volta per conto proprio.


Perfino la mafia rientra in questa chiave di lettura. Dal momento che non ho mai ritenuto valida l'ipotesi che lega «Cosa Nostra» indissolubilmente al sottosviluppo. A mettersi in movimento furono dunque forze che nella fase precedente avevano obiettivamente svolto un ruolo rivoluzionario, ovvero eversivo delle vecchie norme, sradicante nei confronti degli equilibri sanciti dalla Costituzione nata dalla Resistenza.

Invece la sinistra rimase su una posizione difensiva, legalitaria e conservatrice, limitandosi ad aspettare ai bordi del fiume che passassero i cadaveri dei vecchi leader politici colpiti dalle inchieste giudiziarie. Si illuse che era arrivato il suo turno e che le sarebbe bastato aspettare per sostituire efficacemente nel governo del Paese la vecchia classe politica.

Ho trovato significativo nell'enorme mole di fatti messi in fila da Guarino un dettaglio che ai più sarà apparso quasi insignificante: l'uso dell'espressione «il partito che non c'è». L'adoperano Dell'Utri e compagni quando decidono di usare Publitalia per far nascere una nuova formazione politica che si affermerà incredibilmente come il primo partito dopo le elezioni del '94.

Pochi ricorderanno che era stato quello il titolo di un'altra mia trasmissione (costruita praticamente insieme ad Eugenio Scalfari e che aveva provocato qualche anno prima un vero e proprio putiferio) la cui tesi fondamentale era che le formazioni politiche esistenti fossero tutte diventate anacronistiche ed incapaci di interpretare il futuro.



A sinistra si era risposto ironizzando sull'uso da parte del Tg3 e di Samarcanda della parola «gente», i rotocalchi progressisti avevano ospitato polemiche feroci contro l'uso in televisione dei sondaggi e chi insisteva nel richiamare l'attenzione sull'aprirsi di una contraddizione profonda tra partiti e società veniva dipinto come un qualunquista.

Nel frattempo Berlusconi si appropriava dei nostri slogan e si preparava ad assorbire tutte le principali novità prodotte dall'effetto combinato di tangentopoli, televisione e nuovo quadro internazionale.

L'affresco straordinario che Guarino traccia infilando, anello dopo anello, gli incroci societari, il racconto che si dipana da Sindona a Calvi, da Gelli a Berlusconi, l'affacciarsi terrificante della mafia sulla scena come un protagonista intelligente che si propone di provocare e condizionare il cambiamento del paese, non mi fanno pensare ad una Spectre diabolica che è riuscita ad impadro¬nirsi dell'Italia.

Dopo aver letto questo libro mi rafforzo nella convinzione che Berlusconi vada considerato una malattia della nostra democrazia derivante da un cattivo funzionamento degli anticorpi. L'estrema conseguenza della degenerazione di un sistema (economico, politico, istituzionale) e, contemporaneamente, il risultato di una sconfitta della giustizia che arriva a sentenza troppo tardi, quando la coscienza dei fatti che hanno i cittadini e l'interpretazione che i media ne danno sono radicalmente cambiate.



Insomma né il ruolo della P2, né lo stragismo mafioso, né le protezioni di Craxi e nemmeno l'enorme potere della televisione rappresentano spiegazioni sufficienti sul come sia potuto avvenire che un avventuroso affarista si sia trasformato in una star mondiale di prima grandezza.

C'è sicuramente da riconoscere il talento dell'uomo, la sua straordinaria capacità di sfruttare le situazioni e le circostanze senza restarne prigioniero ma, soprattutto, c'è da aprire una riflessione sulla inefficacia delle leggi e sulla inadeguatezza dei partiti del centrosinistra, più preoccupati di perpetuare, il proprio ruolo che di porre fine alle conseguenze devastanti di un'esperienza autoritaria che sta impoverendo l'Italia sul piano economico e su quello morale.

Ci sarebbe da scrivere un libro sulla pavidità della borghesia italiana, sulla sua tendenza all'accomodamento, sulla sua organica incapacità di scegliere le strade del rischio e della competitività.

Per spiegarmi meglio userò un esempio facile da comprendere: l'abusivismo. In Italia non mancano norme severe nei confronti di chi costruisce senza le necessarie autorizzazioni ma, ciò nonostante, la lava di cemento avanza implacabile. A mio parere se le autorità competenti avessero il potere e l'obbligo d'intervenire per stroncare il fenomeno sul nascere non assisteremmo ad uno scandalo prolungato che nessuno dei grandi paesi europei conosce.



Non sono certamente necessari grandi mezzi per spianare un cantiere abusivo; e si potrebbero adoperare i satelliti, in grado di segnalare le illegalità in tempo reale e un controllo millimetrico del territorio segnalando le illegalità in tempo reale. Insomma i cantieri abusivi potrebbero essere abbattuti alla posa della prima pietra.

Naturalmente il cittadino, in un secondo tempo, dovrebbe poter ricorrere alla giustizia per far valere le proprie ragioni e richiedere risarcimenti adeguati e non, come succede oggi, per bloccare l'abbattimento ed aspettare il condono; ma se la sua iniziativa legale si rivelasse inconsistente andrebbe condannato a risarcire lo stato di tutte le spese sostenute.

Credo che in questo modo sarebbe possibile porre fine sia alla deturpazione dell'ambiente, sia alla creazione di gravi ingiustizie sociali. Grazie all'abusivismo gli onesti vengono puniti due volte: con la privazione di un bene comune e con l'accrescimento della ricchezza dei prepotenti incuranti della legge che modifica violentemente la scala sociale. E si potrebbe anche evitare la violenza degli abbattimenti delle case abitate.

La casa, anche quando è una seconda casa, rappresenta per una famiglia un insieme di sentimenti e di ricordi. Vederli spianati da un bulldozer, veder abbattere edifici con i panni stesi ad asciugare mentre intorno donne e bambini urlano, piangono e si disperano è uno spettacolo che non lascia indifferente nemmeno il più determinato degli ecologisti.

Non è un esempio che ho usato a caso. Non solo Berlusconi, ma la stragrande maggioranza dei proprietari di emittenti televisive provengono dall'edilizia; mentre gli editori di carta stampata hanno dovuto rinunciare a misurarsi con la televisione.

D'altra parte in Italia la figura dell'editore puro è praticamente inesistente e nella televisione, compresa quella pubblica, è immediatamente evidente il rapporto di scambio che si viene a creare tra informazione e politica. Guarino insiste sulla relazione stretta creatasi tra Craxi e Berlusconi (e di questi tempi fa bene a rinfrescare la memoria di tutti), ma occorre anche riflettere sul motivo che ha impedito di tracciare una chiara discriminante tra chi aveva compiuto un vero e proprio abuso di potere e la comunità alla quale pure era stato sottratto (con l'etere) un bene primario come il diritto ad essere correttamente informata.

Quando i pretori hanno oscurato le televisioni Fininvest non sapevano che sarebbero entrati in contrasto non solo con Berlusconi ma con i bisogni e i desideri di milioni di persone. Non avrebbero bloccato cantieri appena iniziati, con scheletri e impalcature senza vita, ma avrebbero minacciato di abbattere milioni di case. Case che contenevano racconti, illusioni, speranze senza le quali in tanti si sarebbero sentiti più soli.


Ammettiamo pure si trattasse soltanto di programmi discutibili, qualche volta stupidi o decisamente sgradevoli per quelle persone che inorridiscono a guardare ninnoli e quadretti, mobili di serie e tappeti colorati che adornano certe case popolari; ma erano tuttavia merci nuove, non disponibili in precedenza per essere consumate. Emozioni che la Rai non aveva trasmesso.

Furono dunque più decisivi i rapporti con Craxi oppure i milioni di famiglie che sentirono minacciato il loro diritto di continuare a vedere ciò che più gli piaceva? Preferirei piuttosto che si desse risposta al perché non ci sia stata una reazione altrettanto energica quando, in seguito all'editto bulgaro, Berlusconi ottenne che fossero oscurati i programmi di Biagi, Luttazzi e i miei. Eppure non solo la ferita inferta al pubblico non fu meno grave, meno estesa e meno dolorosa, ma si è purtroppo trasformata in una mu¬tilazione definitiva.

I partiti del centrosinistra non hanno saputo o non hanno voluto utilizzare l'indignazione popolare scatenata dalla censura per ingaggiare una vera battaglia; e sono portato a credere che ciò sia avvenuto per la stessa ragione che li indusse nel '96, una volta al governo, a non promulgare una legge sul conflitto d'interessi che dichiarasse incompatibile l'attività politica con il possesso di televisioni.

Perché non sentirono come prioritaria la riforma del mercato dell'informazione e della televisione? Perché non aprirono l'etere ad una seria concorrenza? Perché non rinunciarono a controllare la Rai e a condizionare la vita del servizio pubblico? Non è la Rai l'irrisolto conflitto d'interessi del centrosinistra italiano?

Perchè le componenti più radicali della sinistra continuano a non attribuire grande importanza alla battaglia contro la censura, ma si preoccupano quasi esclusivamente della cosiddetta difesa della natura pubblica della Rai?

La mia risposta a questi interrogativi è che il centrosinistra italiano non si sia ancora liberato della convinzione che i partiti debbano intervenire nei processi culturali e informativi con propri uomini e con proprie idee. Continuano a pensare: «in fin dei conti a chi dovrebbe spettare di nominare il direttore del Tg1 se non al partito più forte tra coloro che vincono le elezioni?».

La sottovalutazione dei danni portati alla democrazia da una concentrazione di potere che non ha eguali nel mondo occidentale nasce da qui, dall'incapacità di immaginare un'altra società, dentro la quale la politica svolga una funzione decisiva ma parziale e non invadente delle sfere che attengono ai diritti di tutti.

Siamo insomma ancora in attesa del «partito che non c'è» mentre l'interpretazione che ne ha dato Berlusconi è stata quella di realizzare una sorta di dittatura della maggioranza. Leggendo questo libro mi sono rafforzato nella conclusione che questo esito non era inevitabile. Una cultura liberale diffusa avrebbe potuto bloccare la resistibile ascesa di Berlusconi se non fosse stata interrotta la rivoluzione pacifica del maggioritario.

Un mercato libero e una stampa in grado di esercitare una funzione di controllo avrebbero potuto condurre una battaglia in difesa della libertà d'espressione se da tangentopoli la cultura d'impresa italiana avesse ricavato la forza di un suo profondo rinnovamento morale. Purtroppo queste circostanze non si sono verificate ma, fino a quando non si cambierà strada, sarà difficile andare oltre Berlusconi. Non porremo definitivamente fine all'orgia del potere se non sapremo cambiare prima di tutto noi stessi.

TXFW
22-03-2005, 22:26
Interessante.

In particolare mi piace vedere alcuni punti che cito con qualche parola in piu', tanto per evitare il rischio classico di prendere una frase e toglierla dal contesto. Originariamente inviato da majin mixxi
Già nel dibattito che seguì alla vittoria elettorale di Forza Italia, nell'analizzare le ragioni della sconfitta, furono in molti a sinistra a porre l'accento sui «toni troppo accesi» adoperati da certi giornali («L'Espresso») e da certi talk show (i miei) che «hanno finito per fare il gioco di Berlusconi ingigantendone la figura».Personalmente sono convinto che invece sia vero. Un po' la storia del "basta che se ne parli", un po' il fatto che mi disturba sentirmi dire due volte al giorno (anche da Santoro) che le televisioni influenzano le elezioni, per sentire poi negare la cosa quando l'accusa e' rivolta a lui. Soprattutto se l'accusa e' di aver sbagliato il tiro.
Poi, siamo seri, qualcuno crede davvero che le elezioni siano influenzate da Emilio Fede? Voglio dire, se davvero succede abbiamo problemi piu' grossi di quel che pensassi. Preferisco molto, ma molto, pensare che le elezioni, in una direzione o nell'altra, siano influenzate da Santoro.
Per vincere sarebbe, quindi, bastato presentarsi alle urne uniti e indicare in Segni il leader di una fase transitoria e costituente della seconda repubblica. Il movimento referendario avrebbe potuto dedicarsi per qualche anno a ridisegnare il profilo delle istituzioni, liberalizzare la televisione, stabilire alcune regole fondamentali come il conflitto d'interessi e poi ognuno avrebbe potuto riprendere la sua strada. Probabilmente oggi avremmo avuto una destra e una sinistra decenti e tutto quello che è successo in seguito non sarebbe accaduto.Per quanto non sia d'accordo sulla soluzione indicata (Segni come specchietto per un po', poi lo si fa fuori), non posso che quotare, anche se e' facile parlare 10 anni dopo. Ho l'assoluta convinzione che la vittoria della coalizione FI, AN, Lega et al al primo giro non sia frutto di merito, ma una diretta conseguenza della scelta in campo avversario di presentare Achille Occhetto come alternativa. Scelta peraltro piu' coerente, per certi versi, di quanto si e' visto dopo, ma certamente non vincente. La realta' che si e' vista e che si vede oggi e' che per vincere non e' necessario essere i migliori. Basta che gli avversari siano peggiori.
Invece la sinistra rimase su una posizione difensiva, legalitaria e conservatrice, limitandosi ad aspettare ai bordi del fiume che passassero i cadaveri dei vecchi leader politici colpiti dalle inchieste giudiziarie. Si illuse che era arrivato il suo turno e che le sarebbe bastato aspettare per sostituire efficacemente nel governo del Paese la vecchia classe politica.Grammatica a parte, difficile di nuovo non quotare. Ma che e' successo a Santoro?
Furono dunque più decisivi i rapporti con Craxi oppure i milioni di famiglie che sentirono minacciato il loro diritto di continuare a vedere ciò che più gli piaceva? Preferirei piuttosto che si desse risposta al perché non ci sia stata una reazione altrettanto energica quando, in seguito all'editto bulgaro, Berlusconi ottenne che fossero oscurati i programmi di Biagi, Luttazzi e i miei. Eppure non solo la ferita inferta al pubblico non fu meno grave, meno estesa e meno dolorosa, ma si è purtroppo trasformata in una mu¬tilazione definitiva.Be', qui direi che viene da dire a Santoro di provare a rispondersi da solo. Apparterranno tutti al sottoproletariato culturale, io per primo, ma la realta' e' che quando alcuni prefetti, non tutti, decisero di oscurare le televisioni (allora) Fininvest alla gente girarono le scatole. Che fosse perche' non vedevano piu' Mike Bongiorno o i cartoni animati. A me, all'epoca, perche' quella sera c'era la seconda puntata di Visitors. Quando, editto bulgaro o non editto bulgaro, Santoro e Biagi sono spariti dal video la cosa non mi ha certo fatto piacere in senso generale per le implicazioni, ma la realta' e' che nel quotidiano, nel piccino e nel mio comodo non me ne e' potuto fregare meno. Peraltro paragonare l'oscuramento suo e di Biagi all'oscuramento di tre canali completi mi sembra piuttosto presuntuoso. Luttazzi e' un caso a parte. L'ho poi rivisto su Jimmy in uno spettacolo di circa due ore. La prima ora ha parlato contro Berlusconi. I primi dieci minuti mi ha fatto ridere, poi ho cominciato a pensare "ma cambiera' argomento?". Comunque ho resistito. La seconda ora ha parlato di tutto, di piu', ed e' stato davvero divertente (ti credo, una persona con un cervello e con il senso dell'umorismo come quello di Luttazzi puo' farti piegare in due).
I partiti del centrosinistra non hanno saputo o non hanno voluto utilizzare l'indignazione popolare scatenata dalla censura per ingaggiare una vera battaglia; e sono portato a credere che ciò sia avvenuto per la stessa ragione che li indusse nel '96, una volta al governo, a non promulgare una legge sul conflitto d'interessi che dichiarasse incompatibile l'attività politica con il possesso di televisioni.Ecco, questa mi piacerebbe capirla. Perche' nel 96, una volta al governo, non hanno fatto niente? A giudicare da queste parole Santoro lo sa, ma i paragrafi che seguono secondo me non danno la spiegazione. Per me rimane un grosso mistero. Deve esserci una ragione, ma non riesco a capirla. Maggioranza alla camera e al senato (e in questi giorni vediamo tutti cosa significhi avere la maggioranza nelle due camere), ma niente. Deve esserci un motivo.
Siamo insomma ancora in attesa del «partito che non c'è» mentre l'interpretazione che ne ha dato Berlusconi è stata quella di realizzare una sorta di dittatura della maggioranza. Leggendo questo libro mi sono rafforzato nella conclusione che questo esito non era inevitabile. Una cultura liberale diffusa avrebbe potuto bloccare la resistibile ascesa di Berlusconi se non fosse stata interrotta la rivoluzione pacifica del maggioritario.

Un mercato libero e una stampa in grado di esercitare una funzione di controllo avrebbero potuto condurre una battaglia in difesa della libertà d'espressione se da tangentopoli la cultura d'impresa italiana avesse ricavato la forza di un suo profondo rinnovamento morale. Purtroppo queste circostanze non si sono verificate ma, fino a quando non si cambierà strada, sarà difficile andare oltre Berlusconi. Non porremo definitivamente fine all'orgia del potere se non sapremo cambiare prima di tutto noi stessi. E qui mi perdo. Fondamentalmente perche' mi trova d'accordo e non mi sembra di aver cambiato posizione. "Cultura liberale diffusa", "libero mercato", "stampa in grado di esercitare una funzione di controllo", "difficile andare oltre Berlusconi se non sapremo cambiare prima di tutto noi stessi". Ma lo ha scritto Santoro?