Zebiwe
18-02-2005, 14:28
I sondaggi danno il successo all’Unione ma oscillano tra 12-2 e 8-6
Vittoria in 5 Regioni-chiave, la Maginot del Polo (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2005/02_Febbraio/18/verderami.shtml)
Fini ripete: non c’è alternativa a Silvio
ROMA - Il Polo ha una «linea Maginot» da difendere alle elezioni di primavera, perché c’è un solo risultato che consentirebbe alla Casa delle Libertà di «rimanere comunque maggioranza nel Paese», come ammette il coordinatore di An Ignazio La Russa: «Bisogna riconquistare Lombardia, Veneto, Piemonte, Lazio e Puglia». Sono l’ultima trincea per evitare che il centrosinistra si prenda la rivincita delle Regionali del Duemila, e prepari la spallata alla Cdl per le Politiche del prossimo anno. Così fece Silvio Berlusconi cinque anni fa, così si propone di fare oggi Romano Prodi.
Cedere una di quelle cinque poltrone di governatore all’Unione, vorrebbe dire per il centrodestra sottoporsi a una nuova fase di instabilità, «entrare in sofferenza», per usare le parole di Peppino Gargani: «Addirittura, andando sotto quella soglia - prosegue nella sua analisi il dirigente di Forza Italia - si precipiterebbe in una vera e propria crisi. Che non colpirebbe il governo ma costringerebbe la coalizione a riconsiderare la propria strategia: il tutto, a un anno dalla scadenza della legislatura». Sarebbe un evento traumatico, e a quel punto le possibilità per il Polo di rimanere alla guida del Paese sarebbero minime.
Lo sanno i maggiorenti della Cdl, che già alle Europee avevano segnato una «linea di galleggiamento» della coalizione: allora l’obiettivo - come spiegò Fini - era ottenere un risultato complessivo che non scendesse «sotto la soglia del 42%», e che comunque garantisse uno scarto esiguo dalle forze di opposizione: «Se il distacco dal centrosinistra si terrà nei limiti dei tre punti, potremmo ancora pensare di recuperare lo svantaggio». Si chiuse con un pareggio non preventivato. Secondo gli esperti, fu il recupero di qualche punto di Forza Italia a evitare il botto.
Ma le Regionali «sono le uniche elezioni in cui il Cavaliere non può metterci la faccia», come dice un autorevole esponente della Cdl. Perdere anche solo in parte quelle roccaforti «provocherebbe delle ripercussioni»: «Sarebbe difficile gestire la fase che precede le Politiche - teorizza La Russa - perché le tensioni si scaricherebbero in Parlamento e sul territorio». Il dirigente di An prevede già quale sarebbe a quel punto la mossa di Berlusconi: «Forzerebbe la mano per imporre degli accordi a vasto raggio», cioè oltre gli attuali confini del Polo, e dunque ai Radicali e al movimento di Alessandra Mussolini. Sono solo scenari, ovviamente, ma nei partiti stanno valutando le variabili politiche legate ai possibili risultati.
Tra questi c’è il 12-2 a favore dell’Unione che nei sondaggi è preso in considerazione, e che terrorizza tutta la Cdl: «Fosse così, o ancor peggio, vincessimo solo in Lombardia - dice La Russa - allora sarebbe il tracollo e non si potrebbe escludere nulla. Ma stiamo parlando di un periodo ipotetico del terzo tipo». Nella maggioranza, insomma, nessuno ritiene che possa finire così. E tuttavia non è un caso se il Cavaliere ha ostentato finora il proprio disimpegno dalla campagna elettorale, quasi fosse una strategia politica, c’è un motivo se sta tentando in tutti i modi di evitare che la sua immagine venga accostata al voto di aprile: il premier vuole «de-politicizzare» quel voto per depotenziarlo e non venirne eventualmente travolto.
Sia chiaro, una sconfitta non metterebbe in discussione il suo primato, «non esistono alternative a Berlusconi» continua a ripetere il ministro degli Esteri Fini, «sarà Berlusconi il nostro candidato premier», ribadisce il leghista Bobo Maroni: «Anche in caso di sconfitta alle Regionali - sostiene il ministro del Lavoro - non ci sarebbe infatti il tempo per far nulla. Né per dar vita a un rimpasto, né per aprire una crisi, né tantomeno per anticipare il voto delle Politiche. Chi potrebbe mettere in discussione un esecutivo dove siedono i maggiorenti di tutti i partiti?». Il dirigente del Carroccio, al pari di Berlusconi, considera dunque «privo di valenza politica» il test elettorale, sebbene persino tra i dirigenti di Forza Italia ci sia chi confuta la tesi. In molti hanno provato a spiegare al Cavaliere durante una riunione di partito che «comunque il voto per quattordici governatori non può non produrre degli effetti».
Ma non c’è stato verso di convincere il premier. E nelle parole di Maroni si intuiscono i ragionamenti di Berlusconi: «Il fatto è che il sistema elettorale delle Regionali è diverso da quello delle Politiche, che i candidati sono diversi, e che diversi sono infine gli obiettivi. Insomma - conclude Maroni - vincere ad aprile non vorrebbe dire aver già ipotecato Palazzo Chigi. Così come perdere ora non vorrebbe dire aver già perso tra un anno. Certo, non mantenere quelle cinque regioni provocherebbe qualche impatto negativo sulla coalizione». La tesi non sembra aver convinto Fini, se è vero che il leader di An è intervenuto su Berlusconi per chiedergli di impegnarsi nel Lazio a vantaggio di Francesco Storace.
La sua vittoria nel Duemila determinò la crisi del governo di Massimo D’Alema, fu il risultato più eclatante per il Polo, ma soprattutto fu decisivo per la destra. Il voto di aprile appare altrettanto decisivo per quella parte politica: una sconfitta sarebbe foriera di pericolosi contraccolpi in An. E il ministro degli Esteri non se lo può permettere. Perciò il Cavaliere avrebbe dato garanzie di sostegno a Storace, «il Lazio è una delle regioni fondamentali», avrebbe sottolineato il premier. Ciò vuol dire che Berlusconi ammette l’importanza del voto, e dietro il profilo basso che ha scelto fino a oggi s’intravvede il modo in cui si muoverà di qui in avanti. «È inutile che mi impegni dove non c’è possibilità di vincere», ha avvisato il premier: «Limiterò le iniziative nelle Regioni dove possiamo farcela».
E il Cavaliere pensa positivo, così dicono quanti lo hanno consultato. Non solo a suo avviso la «linea Maginot» dovrebbe tenere, ma punta a un risultato migliore. Vista la situazione economica sembrerebbe impossibile, malgrado a ogni riunione il premier continui a sventolare sondaggi positivi per la Cdl. Eppure l’ipotesi viene accreditata anche nel fronte avverso, persino descritta da un esperto in materia su uno dei giornali dell’opposizione. Chissà quale sorpresa avrà destato nei leader dell’Unione la lettura di un articolo pubblicato ieri su Europa , quotidiano della Margherita. Titolo: «Regionali, 8-6 per il centrosinistra?». A scrivere era Paolo Natale, docente universitario che collabora con un importante istituto di ricerca.
Il professore parte dal presupposto che il Polo al momento è certo di vincere solo in due regioni: Lombardia e Veneto. Tra quelle incerte assegna poi il Piemonte e la Puglia alla Cdl e la Liguria all’Unione. Lazio, Abruzzo e Calabria sono «di difficile assegnazione», ma «Storace è forse in lieve vantaggio», mentre le ultime due poltrone «con calcolo puramente probabilistico» dovrebbero andare «una per parte». Così finirebbe 8-6 per l’opposizione, ma una simile vittoria - conclude Natale - «sarebbe una quasi sconfitta», perché al centrodestra rimarrebbero «tutte le regioni più importanti», e il percorso per Prodi si farebbe «molto arduo». Ecco perché le Regionali sono praticamente decisive, ecco perché il Cavaliere deve resistere sulla «linea Maginot».
Francesco Verderami
Vittoria in 5 Regioni-chiave, la Maginot del Polo (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2005/02_Febbraio/18/verderami.shtml)
Fini ripete: non c’è alternativa a Silvio
ROMA - Il Polo ha una «linea Maginot» da difendere alle elezioni di primavera, perché c’è un solo risultato che consentirebbe alla Casa delle Libertà di «rimanere comunque maggioranza nel Paese», come ammette il coordinatore di An Ignazio La Russa: «Bisogna riconquistare Lombardia, Veneto, Piemonte, Lazio e Puglia». Sono l’ultima trincea per evitare che il centrosinistra si prenda la rivincita delle Regionali del Duemila, e prepari la spallata alla Cdl per le Politiche del prossimo anno. Così fece Silvio Berlusconi cinque anni fa, così si propone di fare oggi Romano Prodi.
Cedere una di quelle cinque poltrone di governatore all’Unione, vorrebbe dire per il centrodestra sottoporsi a una nuova fase di instabilità, «entrare in sofferenza», per usare le parole di Peppino Gargani: «Addirittura, andando sotto quella soglia - prosegue nella sua analisi il dirigente di Forza Italia - si precipiterebbe in una vera e propria crisi. Che non colpirebbe il governo ma costringerebbe la coalizione a riconsiderare la propria strategia: il tutto, a un anno dalla scadenza della legislatura». Sarebbe un evento traumatico, e a quel punto le possibilità per il Polo di rimanere alla guida del Paese sarebbero minime.
Lo sanno i maggiorenti della Cdl, che già alle Europee avevano segnato una «linea di galleggiamento» della coalizione: allora l’obiettivo - come spiegò Fini - era ottenere un risultato complessivo che non scendesse «sotto la soglia del 42%», e che comunque garantisse uno scarto esiguo dalle forze di opposizione: «Se il distacco dal centrosinistra si terrà nei limiti dei tre punti, potremmo ancora pensare di recuperare lo svantaggio». Si chiuse con un pareggio non preventivato. Secondo gli esperti, fu il recupero di qualche punto di Forza Italia a evitare il botto.
Ma le Regionali «sono le uniche elezioni in cui il Cavaliere non può metterci la faccia», come dice un autorevole esponente della Cdl. Perdere anche solo in parte quelle roccaforti «provocherebbe delle ripercussioni»: «Sarebbe difficile gestire la fase che precede le Politiche - teorizza La Russa - perché le tensioni si scaricherebbero in Parlamento e sul territorio». Il dirigente di An prevede già quale sarebbe a quel punto la mossa di Berlusconi: «Forzerebbe la mano per imporre degli accordi a vasto raggio», cioè oltre gli attuali confini del Polo, e dunque ai Radicali e al movimento di Alessandra Mussolini. Sono solo scenari, ovviamente, ma nei partiti stanno valutando le variabili politiche legate ai possibili risultati.
Tra questi c’è il 12-2 a favore dell’Unione che nei sondaggi è preso in considerazione, e che terrorizza tutta la Cdl: «Fosse così, o ancor peggio, vincessimo solo in Lombardia - dice La Russa - allora sarebbe il tracollo e non si potrebbe escludere nulla. Ma stiamo parlando di un periodo ipotetico del terzo tipo». Nella maggioranza, insomma, nessuno ritiene che possa finire così. E tuttavia non è un caso se il Cavaliere ha ostentato finora il proprio disimpegno dalla campagna elettorale, quasi fosse una strategia politica, c’è un motivo se sta tentando in tutti i modi di evitare che la sua immagine venga accostata al voto di aprile: il premier vuole «de-politicizzare» quel voto per depotenziarlo e non venirne eventualmente travolto.
Sia chiaro, una sconfitta non metterebbe in discussione il suo primato, «non esistono alternative a Berlusconi» continua a ripetere il ministro degli Esteri Fini, «sarà Berlusconi il nostro candidato premier», ribadisce il leghista Bobo Maroni: «Anche in caso di sconfitta alle Regionali - sostiene il ministro del Lavoro - non ci sarebbe infatti il tempo per far nulla. Né per dar vita a un rimpasto, né per aprire una crisi, né tantomeno per anticipare il voto delle Politiche. Chi potrebbe mettere in discussione un esecutivo dove siedono i maggiorenti di tutti i partiti?». Il dirigente del Carroccio, al pari di Berlusconi, considera dunque «privo di valenza politica» il test elettorale, sebbene persino tra i dirigenti di Forza Italia ci sia chi confuta la tesi. In molti hanno provato a spiegare al Cavaliere durante una riunione di partito che «comunque il voto per quattordici governatori non può non produrre degli effetti».
Ma non c’è stato verso di convincere il premier. E nelle parole di Maroni si intuiscono i ragionamenti di Berlusconi: «Il fatto è che il sistema elettorale delle Regionali è diverso da quello delle Politiche, che i candidati sono diversi, e che diversi sono infine gli obiettivi. Insomma - conclude Maroni - vincere ad aprile non vorrebbe dire aver già ipotecato Palazzo Chigi. Così come perdere ora non vorrebbe dire aver già perso tra un anno. Certo, non mantenere quelle cinque regioni provocherebbe qualche impatto negativo sulla coalizione». La tesi non sembra aver convinto Fini, se è vero che il leader di An è intervenuto su Berlusconi per chiedergli di impegnarsi nel Lazio a vantaggio di Francesco Storace.
La sua vittoria nel Duemila determinò la crisi del governo di Massimo D’Alema, fu il risultato più eclatante per il Polo, ma soprattutto fu decisivo per la destra. Il voto di aprile appare altrettanto decisivo per quella parte politica: una sconfitta sarebbe foriera di pericolosi contraccolpi in An. E il ministro degli Esteri non se lo può permettere. Perciò il Cavaliere avrebbe dato garanzie di sostegno a Storace, «il Lazio è una delle regioni fondamentali», avrebbe sottolineato il premier. Ciò vuol dire che Berlusconi ammette l’importanza del voto, e dietro il profilo basso che ha scelto fino a oggi s’intravvede il modo in cui si muoverà di qui in avanti. «È inutile che mi impegni dove non c’è possibilità di vincere», ha avvisato il premier: «Limiterò le iniziative nelle Regioni dove possiamo farcela».
E il Cavaliere pensa positivo, così dicono quanti lo hanno consultato. Non solo a suo avviso la «linea Maginot» dovrebbe tenere, ma punta a un risultato migliore. Vista la situazione economica sembrerebbe impossibile, malgrado a ogni riunione il premier continui a sventolare sondaggi positivi per la Cdl. Eppure l’ipotesi viene accreditata anche nel fronte avverso, persino descritta da un esperto in materia su uno dei giornali dell’opposizione. Chissà quale sorpresa avrà destato nei leader dell’Unione la lettura di un articolo pubblicato ieri su Europa , quotidiano della Margherita. Titolo: «Regionali, 8-6 per il centrosinistra?». A scrivere era Paolo Natale, docente universitario che collabora con un importante istituto di ricerca.
Il professore parte dal presupposto che il Polo al momento è certo di vincere solo in due regioni: Lombardia e Veneto. Tra quelle incerte assegna poi il Piemonte e la Puglia alla Cdl e la Liguria all’Unione. Lazio, Abruzzo e Calabria sono «di difficile assegnazione», ma «Storace è forse in lieve vantaggio», mentre le ultime due poltrone «con calcolo puramente probabilistico» dovrebbero andare «una per parte». Così finirebbe 8-6 per l’opposizione, ma una simile vittoria - conclude Natale - «sarebbe una quasi sconfitta», perché al centrodestra rimarrebbero «tutte le regioni più importanti», e il percorso per Prodi si farebbe «molto arduo». Ecco perché le Regionali sono praticamente decisive, ecco perché il Cavaliere deve resistere sulla «linea Maginot».
Francesco Verderami