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View Full Version : Giulio Andreotti,per chi vuole fare lo sforzo di conoscere.


Anakin
02-02-2005, 23:29
questa è la dichiarazione spontanea di Andreotti fatta alla Corte di Appello di Palermo nel 2002.

ci vuole un 10 minuti a leggere,ma ne vale la pena...
io penso che non si possa parlare sull'argomento senza conoscere queste cose.
purtroppo bisogna seguire il discorso e i pezzi piu' interessanti sono oltre la meta.

"Continuo ad aver fiducia nella giustizia"

di Giulio Andreotti

In un momento personale di doloroso stupore per quanto abbattutosi su di me il 17 novembre, ho ritenuto mio dovere chiedere a lei, signor presidente, e alla Corte di poter esprimere qualche considerazione, a corredo della documentata memoria presentata dai miei difensori.
La mia vita, che ben al di là dei miei meriti era stata contrassegnata da una serie di eccezionali momenti positivi anche internazionali, mutò improvvisamente quando nel marzo 1993 arrivò in Senato (il presidente Spadolini me lo comunicò emozionatissimo) la richiesta della Procura di Palermo di autorizzazione a procedere nei miei confronti. Con una procedura insolita, a questa richiesta, datata 27 marzo, si aggiunse, man mano che altri collaboranti facevano dichiarazioni, una prima integrazione il 14 ed una seconda il 20 aprile.
Poche settimane dopo, questa volta dalla Procura di Roma, arrivava un’altra richiesta per indagare se e come io fossi coinvolto nell’omicidio del giornalista Carmine Pecorelli, avvenuto nel marzo 1979.
La nuova richiesta, come ho detto, proveniva dalla Procura di Roma ma agli atti del mio processo palermitano risulta, datata 5 aprile 1993, una lettera del presidente della Commissione antimafia indirizzata al dottor Scarpinato nella quale si comunicava che da una telefonata anonima ricevuta sarebbe risultato che "un tale Patrizio, braccio destro del Pecorelli, possederebbe la copertina del numero di O.P. che non fu mai stampata a causa dell’omicidio. Nella copertina stessa sarebbero indicati sei nomi leggendo i quali si comprenderebbe chi possiede oggi i documenti di Pecorelli".
Singolare consecutio temporum: il 5 aprile la comunicazione sulla telefonata anonima, il 6 aprile Tommaso Buscetta fa le sue dichiarazioni (con quel "su richiesta" che in seguito smentirà regolarmente), l’8 aprile Palermo trasmette a Roma il verbale Buscetta; e il 14 aprile io vengo iscritto tra gli indagati. Il 9 giugno la Procura di Roma chiedeva al Senato l’autorizzazione a procedere per l’omicidio Pecorelli.
Agli inizi dell’anno 1993 il senatore Gerardo Chiaromonte mi aveva messo sull’avviso che qualcosa si stava muovendo quaggiù in Sicilia, suggerendomi di chiedere un giurì d’onore nei confronti dell’onorevole Leoluca Orlando che, definendomi garante della mafia, aveva dichiarato che io avrei fatto la fine di Lima o sarei finito in galera. La richiesta del giurì non poté essere accolta dal presidente della Camera onorevole Napolitano perché l’onorevole Orlando ed io appartenevamo a due rami diversi del Parlamento. Nel prendere atto scrissi al presidente Napolitano: "Fino a ora dinanzi alle assurdità dell’onorevole Orlando (ultima quella di attribuirmi la comproprietà di una banca in Romania) non ho ritenuto di adire la magistratura. Ma se le smentite pubbliche non bastassero, dovrò pensarci. Non ti nascondo che faccio fatica a ritrovarmi con un certo tipo di lotta politica, abituato come sono a polemiche anche dure ma non scorrette, petulanti e sleali".
Molto preso dal mio lavoro politico-parlamentare, anche con impegni all’estero, non avevo più pensato a questa situazione siciliana. La richiesta di autorizzazione a procedere mi colpì come un fulmine.
Secondo la Procura io avrei così, sia pure per gli ultimi quattordici anni della mia ben più lunga vita politica, contribuito attivamente e consapevolmente alla realizzazione dell’attività e degli scopi dell’associazione mafiosa. Il "complessivo sistema di relazioni" che doveva essere indagato si fondava "su una logica di scambio e di alleanze, comportanti reciproci vantaggi per Cosa nostra e il referente romano dell’onorevole Salvo Lima e della sua corrente politica. Per tale ragione, questo sistema comprende in sé quell’amplissimo ventaglio di interessi, che, con linguaggio espressivo e sintetico, i collaboranti hanno definito le necessità della mafia siciliana (Messina), ovvero tutte le esigenze di Cosa nostra che comportano decisioni da adottare a Roma (Mutolo)".
La Procura concludeva: "Si tratta dunque, intuitivamente, di interessi multiformi — di tipo amministrativo, economico, finanziario e perfino legislativo — il cui segno unificante era quello di richiedere comunque e necessariamente un intervento politico-istituzionale di vertice".
Successivamente tale enfasi accusatoria veniva ridimensionata e nell’udienza del 26 settembre 1995 il procuratore, dottore Lo Forte, ha detto che l’"organizzazione mafiosa Cosa nostra che si addebita all’imputato, è un contributo che non è e non può essere né poteva mai essere in nessun modo ricollegabile all’esercizio delle funzioni di governo".
Orbene, essendo io stato al governo quaranta anni su cinquanta e in Parlamento dal 1946 ininterrottamente, non mi riesce, nonostante tutti gli sforzi possibili, di comprendere dove e come avrei potuto aiutare, come capocorrente, la mafia.
E credo che sarebbe stato un dovere anche logico, una volta asserito uno scambio di favori tra me e la mafia, indicare almeno un favore sia pur minimo che io avrei fatto a questa gente, mentre da parte loro i favori sarebbero stati di appoggi elettorali o (qui si è toccato il ridicolo) del dono di un quadro per il quale sarei impazzito. A procurarmelo sarebbe stato quel Calò, che io ho conosciuto soltanto in occasione del processo di Perugia dove ha avuto un trattamento migliore del mio.
Ho ricordato prima Chiaromonte. Come presidente della Commissione antimafia era rimasto amareggiato perché i suoi compagni di partito avevano impedito alla Commissione stessa di votare un documento di sostegno al decreto legge che allungava i termini di carcerazione preventiva per i processati del maxi processo di cui si stavano faticosamente svolgendo le udienze in Appello. L’opposizione in aula dell’estrema sinistra (salvo l’onorevole Aldo Rizzo che, in dissenso con i suoi, ci appoggiò) non credo fosse ispirata da sostegno ai mafiosi, ma temevano che si creasse il precedente di modifica per decreto di diritti fondamentali dei cittadini. Lo stesso presidente della Repubblica Cossiga — che lo ha ripetuto anche qui a Palermo deponendo in Tribunale — era perplesso, ma a me, a Vassalli e agli altri ministri sembrò necessario impedire lo scandalo di vedere svuotate le gabbie dei processati, dove già pesava l’assenza di molti latitanti.
Non pretendo davvero certificati di benemerenza per questo e per altri momenti di coraggioso intervento governativo. Tra questi ancora più provocatorio per i grossi criminali fu il decreto legge con il quale, riunendoci nella notte, riparammo alla scarcerazione di alcuni pesanti personaggi mafiosi — disposta inopinatamente la sera prima con una sentenza che io definii pubblicamente scandalosa.
Non sto ad annoiarvi con l’elenco di tutti i provvedimenti che sono stati adottati durante l’ultimo mio triennio di presidenza del Consiglio con un rafforzato vigore da quando avemmo in Roma la collaborazione del dottor Giovanni Falcone. Allego qui un elenco. Non potendoli contestare, i procuratori hanno cercato di attribuirli all’impulso personale dei ministri, ma è uno strano concetto riduttivo del ruolo di chi dirige un governo sul quale non occorre che mi indugi. Sostenere poi che io avrei adottato questa linea per compensare e far dimenticare condiscendenze e favori, non solo non è basato su un fatto concessivo o permissivo magari minimo, ma è mostruoso. Io sapevo e so bene il rischio di una posizione attiva di contrasto ai mafiosi. Ma non mi ha mai fatto mutare comportamento né allora né dopo. Circa un mese fa — seduta del Senato, 17 ottobre 2002 — sono intervenuto nella discussione sulla trasformazione in permanente del 41 bis. Ecco lo stenografico della mia dichiarazione: "Ho chiesto la parola non solo per esprimere il voto favorevole del piccolo Gruppo al quale appartengo sul disegno di legge in esame, ma per constatare con soddisfazione l’approccio, diverso rispetto al passato, del Parlamento su questi problemi. Citerò soltanto uno dei momenti più crudi della mia esperienza governativa, quando nel 1989 con decreto legge evitammo che uscisse, per superamento dei termini di detenzione preventiva, la metà degli imputati del maxi processo, essendo l’altra metà già uscita per conto suo perché latitante. È stato uno dei pochissimi casi — o forse l’unico — in cui un decreto legge venne esaminato in Commissione ed uscì battuto, con la relatrice di minoranza che divenne relatrice di maggioranza e si recò in aula per far bocciare il decreto legge. Per fortuna non c’era ancora — per il resto è bene che sia intervenuta — la pronuncia della Corte costituzionale sulla non possibilità di reiterare dopo 60 giorni i decreti legge. Quel decreto legge fu quindi da noi rinnovato ed infine approvato. Io ho sentito spesso molti fare, nei discorsi e nelle marce, dell’antimafia un appassionato motivo della propria vita; però credo che ciò che conti siano i provvedimenti. Il disegno di legge al nostro esame lo reputo giusto e se anche servisse come elemento di dissuasione per non far aderire una sola persona a questa terribile consorteria, credo che ne dovremmo essere soddisfatti".
Fin qui lo stenografico del Senato.
Per il resto anche tutti i provvedimenti contro il crimine organizzato datati prima del 1989-92 furono da me condivisi come partecipe del Consiglio dei ministri; e alcuni adottati come ministro; ad esempio, la procedura speciale per consentire al dottor Falcone di andare ad interrogare Buscetta in Brasile, senza attendere il lungo iter della estradizione. Senza dire del mio personale impegno nella posizione internazionale di avanguardia nel campo della lotta internazionale al narcotraffico, settore in cui la mafia è largamente intricata.
L’ampia documentazione che la difesa ha presentato oggi alla vostra attenzione si apre con un documento eloquente.
Nell’aprile 1992 ricevetti un rapporto del prefetto Angelo Finocchiaro, alto commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, con i dati sulle attività del Gruppo di lavoro permanente interforze per la ricerca dei latitanti istituito nel 1990 proprio su mia direttiva. Nel rapporto, il prefetto Finocchiaro dava notizie circa la cattura di alcuni latitanti.
In data 1� maggio gli risposi con questa lettera manoscritta: "La lettura del rapporto 8 aprile sul Gruppo ricerca latitanti mi evoca quanto ho ascoltato più volte in Sicilia e da siciliani. Fino a che non si assicurano alla giustizia i numeri uno (Riina, Provenzano e uno o due altri) la mafia resterà vincente. Sono sicuro che voi già fate il possibile, ma è ipotizzabile la concentrazione degli sforzi per riuscirvi? Parisi mi disse che loro e i CC sono in azione. Scusi… l’interferenza…".
Non potevo davvero immaginare che pochi mesi dopo sarei stato accusato io del reato di mafia.
In un momento di contestazione verso tutto o quasi il mondo politico, la mia incriminazione contribuì ad appesantire ulteriormente il clima generale con un amaro intrecciarsi di azioni politiche e azioni giudiziarie.Venivano fornite alla stampa — anche a quella estera — informazioni volte a creare verso di me un clima negativo o almeno di sospetto. Anche i rotocalchi entravano nel giro, raccogliendo e amplificando ad esempio la voce di una mia presenza su una imbarcazione dei signori Salvo. Soltanto molti mesi dopo vennero interrogati capitano e marinai che dichiararono di non avermi mai visto. E che dire dell’intento mafioso che mi avrebbe portato una sera a Mazara del Vallo dove invece io avevo fatto sosta — in viaggio verso il Convegno scientifico di Erice — per rasserenare gli animi dei cittadini sconvolti per l’affondamento qualche giorno prima di un peschereccio nelle acque tunisine? Non parlo poi del presunto incontro con il Riina in casa del signor Salvo e in compagnia dell’onorevole Lima. Dopo che la storiella del bacio ha fatto il giro del mondo ispirando anche spunti di varietà, è troppo comodo dire, come il dottor Caselli nel libro di irrituale commento alla mia sentenza di assoluzione, che è un errore concentrare su questo episodio tutta l’attenzione.
La saggezza del presidente Ingargiola impedì che fossero fatte entrare nel processo alcune vignette di Forattini ispirate alla mia nuova identità di mafioso (forse questi accaniti accusatori criticheranno Forattini per l’ultima vignetta di questi giorni dopo la condanna di Perugia nella rubrica delle Mascalzonate).



Nel quadro della campagna del 1993 i collaboranti venivano esaltati come penitenti che volevano soltanto redimersi e che si mettevano al servizio esclusivo della giustizia. Che per alcuni, forse anche per molti, sia così, non vi è dubbio (ed io stesso ho appoggiato la legislazione ad hoc), a cominciare da Buscetta, al quale del resto per tutta la vicenda Pecorelli si è stranamente attribuita una tantum in un verbale la dizione "su richiesta" mentre in seguito avrà sempre negato che fossero state così le confidenze del Badalamenti. Nel libro di memorie di Saverio Lodato lo ripete ancora una volta esplicitamente.
Tra i pentiti che riguardano il mio caso emerge il Baldassarre Di Maggio. Io non mi opposi ovviamente ad un confronto anche se mortificante in sede istruttoria, potendone così valutare direttamente il tipo umano. Ma ancor più viva fu l’allucinante udienza del 28 gennaio 1998 alla quale ero presente. Alla domanda del professor Coppi su cosa volesse dire quando affermava che se avessero arrestato il figlio si sarebbe portato dietro i procuratori, si voltò lentamente, come in una sequenza cinematografica, verso il banco della Procura e scandì i nomi: Lo Forte, Scarpinato e Natoli. La Procura restò silente ed io sentii un brivido di sconcerto per lo spettacolo cui stavo assistendo.
Si badi. Io ho condiviso e condivido la legislazione sui pentiti, ma a nessuno è lecito considerarli oracoli verso le dichiarazioni dei quali non vi sia necessità di prove.
Non so se sia abituale ascoltare in un processo tanti testimoni come è avvenuto nel caso mio qui a Palermo. Una revisione della lunga sequenza offre lo spunto ad alcuni interrogativi non effimeri. Mi limito a due casi limite.
Perché la Procura convoca un bizzarro falso agente della Nato che in aula si sveste — richiamato dal presidente — per mostrare un vistoso tatuaggio a soggetto americano? E perché mai una distinta signora viene a criticare me, attribuendomi filìe massoniche, per la nomina dell’ammiraglio Pecori Giraldi a capo di Stato maggiore della Marina, nomina che era stata fatta due anni prima del mio arrivo al Ministero della Difesa? Ma c’è di più. Al nonno della signora, ammiraglio Bigliardi, non solo non feci torti, ma quando andò nella riserva lo nominammo presidente dell’industria pubblica Oto Melara per mantenerlo — era bravissimo — al servizio dello Stato.
Senza mancare di riguardo ad alcuno, posso dire che diversa fu la qualità dei testimoni indicati dalla difesa: dal presidente Cossiga al professore Vassalli e ad una serie di ministri che avevano lavorato per anni con me anche nella lotta alla mafia; dal procuratore generale della Corte di cassazione agli ambasciatori americani Max Rabb, Vernon Walters e Peter Secchia.
Attenzione. Tutte le volte che nello svolgersi del processo mi si è addebitato un fatto concreto io ho potuto documentarne l’inesistenza.
Un apposito gruppo di lavoro era stato messo in piedi dalla Procura per scovare buchi neri o comunque buchi nella cronaca della mia vita. Quasi trionfalmente si contestarono così dal 1985 al 1992 centootto date nelle quali non si sapeva dove fossi stato.
Il 17 novembre 1998 fummo in grado di presentare al Tribunale documentata risposta a tutti questi presunti giorni "nascosti". All’ultimo momento aggiunsero tre date, ma nel corso della stessa udienza previa una telefonata a Roma si smontò il perfido castello dei dubbi. Si era chiesto perché mai fossi a Palermo il 15 novembre 1975: ebbene ero qui come ministro per un convegno di presidenti delle Regioni meridionali indetto dalla Regione siciliana. Per un’altra data del 1975 (12 febbraio) si asseriva una mia presenza misteriosa a Villa Igiea, laddove ero all’Aia per una riunione di parlamentari europei. Il terzo dubbio a sorpresa riguardava il 13 novembre 1973: risultavo a Palermo, ma si ignorava dove avessi pernottato. Gli è che ero arrivato nel primo pomeriggio per una conferenza all’Istituto di Scienze sociali, ripartendo la sera stessa per Roma.
Tra le date non documentate nell’elenco della Commissione alcune rasentavano il ridicolo, data la facilità di colmarle: settembre 1976, in Friuli per visita ai paesi terremotati e a Bari per inaugurare la Fiera; dicembre 1976, in Toscana per la visita del presidente Giscard d’Estaing; dicembre 1976, visita ufficiale negli Stati Uniti; gennaio 1977, visita ufficiale in Germania; maggio 1977, a Londra per il Consiglio Nato e a Bucarest, ospite di quel governo; luglio 1977, viaggio ufficiale a Washington; aprile 1978, Consiglio Nato a Copenaghen; marzo 1979, a Parigi per il Consiglio europeo; maggio 1979, inaugurazione del traforo del Fréjus e inoltre accoglienza al Papa a Montecassino e viaggio a Atene per l’ingresso della Spagna nella Comunità europea; settembre 1979, a Palermo con il presidente Cossiga per il Congresso dell’Istituto di studi ciceroniani (di cui sono tuttora presidente); agosto 1980, al Meeting di Rimini; settembre 1980, a Berlino per l’Unione interparlamentare; ottobre 1981, a Budapest e a Praga con la Commissione esteri della Camera; novembre 1981, in Brasile per l’Unione interparlamentare; agosto 1982, al Meeting di Rimini (visita del Papa e dibattito con Sergio Zavoli); novembre 1983, visita ufficiale in Siria, riunione interministeriale ad Atene; aprile 1984, visita ufficiale in Ungheria; luglio 1985, Premio Bancarella a Pontremoli; gennaio 1986, con Craxi a Taormina per incontro italo-spagnolo; febbraio 1987, a Mosca con Gorbaciov; settembre 1987 (dopo la famosa festa dell’Amicizia a Palermo), a New York per l’Onu e poi a Bonn; novembre 1988, ottobre 1989 e gennaio 1990, visita a Tunisi e Algeri ai due presidenti della Repubblica; dicembre 1991, a L’Aia per la riunione dei capi di governo europei democristiani; agosto 1992, a Barcellona per le Olimpiadi.
L’ultima data "dubbia" della Commissione Pulizzotto è il 13 novembre 1992: ero ad Atene per il congresso del Partito popolare europeo.
Mi scuso per questa petulante lista, ma vuole dimostrare come, attraverso le mie carte, i documenti ministeriali e parlamentari e la stampa, io sia stato sempre in grado di dimostrare come si fosse svolta la mia vita.
Quando, ad esempio, Francesco Marino Mannoia, Angelo Siino e Vito Di Maggio mi hanno accusato di due presunti incontri con boss di Cosa nostra a Catania nel giugno-luglio 1979 ho sgretolato senza difficoltà le accuse rivoltemi.
Come ho potuto smentire quelle accuse?
Dimostrando con documenti ufficiali che nel lasso di tempo in cui avrei dovuto incontrare Stefano Bontate in una tenuta di caccia e Benedetto Santapaola in una hall di un albergo, mi trovavo a Strasburgo, a Tokyo e a Mosca.
Nell’atto di appello l’accusa ha sostenuto che Siino si è confuso e che Vito Di Maggio (teste prediletto dall’accusa in quanto privo di interesse a mentire non essendo un collaboratore di giustizia) aveva indicato un periodo di tempo più ampio.
Certo è strano che anziché insistere sulle vecchie accuse o abbandonarle in sede di appello si scelga la strada di cambiare in corsa le accuse stesse, etichettando le dichiarazioni dei collaboranti come generiche, confuse o imprecise.
In questo strano scambio di ruoli oggi cosa dovrei fare io? Dimostrare che Siino non si è confuso e che Vito Di Maggio è stato molto preciso nel collocare nel tempo il mio incontro?
La verità è che hanno mentito ma hanno mentito in modo imprudente: hanno mentito indicando elementi che io ho potuto contrastare.
Siino ha richiamato in modo specifico la data in cui sarebbe avvenuto l’incontro nella tenuta di caccia precisando che sarebbe avvenuto prima della gara automobilistica denominata "12 ore di Campobello".
Addirittura nell’udienza del 17 dicembre 1997 il Tribunale ha acquisito l’Albo d’oro dal quale risulta che nel 1979 la gara è stata disputata nei giorni 15 e 16 luglio.
Il barman Di Maggio ancora più incautamente nell’udienza del 29 gennaio 1997 ha così risposto ai miei difensori che chiedevano di precisare la data in cui mi sarei incontrato con Benedetto Santapaola: "Dal 10 al 26, signora perché io il 15 faccio l’onomastico ed era dopo la mia festa". L’avvocato Bongiorno insistette: "Dal 20 al 26?". Di Maggio: "Dal 20 al 26 o 30". Avvocato Bongiorno: "Dunque gli ultimi 10 giorni di giugno?". Di Maggio: "Sì, signore". Tutti i giorni in cui io ero in missione all’estero.
Vi prego di considerare che queste dichiarazioni non lasciano spazio alla scappatoia della confusione con cui si cerca di perdonare Siino e Di Maggio.
Quando parlo di falsità mi viene sempre in mente la fantasiosa invenzione di tal Federico Corniglia che di me sapeva soltanto che andavo a Roma da un barbiere di nome Torquato.
Corniglia ha inventato che avrei avuto un fugace incontro di una trentina di secondi davanti il negozio del mio barbiere "Torquato" con Frank Coppola nel 1970-71.
Nella sentenza di primo grado su Corniglia è stato scritto che la sua accusa nei miei confronti è una "maldestra" invenzione.
Ovviamente questo dato mi rende sereno ma quel che mi preoccupa è che anche in questo caso abbiamo dimostrato la falsità di Corniglia soltanto perché il collaboratore, probabilmente al fine di rendere più attendibile il suo racconto, ha voluto aggiungere alla sua narrazione una serie di particolari che poi si sono rivelati clamorosamente falsi. Ad esempio, ha voluto sostenere che egli nel 1971 aveva conosciuto personalmente Torquato e gli aveva parlato: senonché Torquato è deceduto il 28 giugno 1964.
Ma se Corniglia non fosse stato così imprudente da arricchire la sua narrazione con particolari palesemente falsi, come avrei potuto dimostrare di non averlo incrociato per pochi secondi in un periodo di tempo imprecisato del 1970-71?
È questo il nodo del problema.
Mi scuso, signor presidente e signori giudici, per queste esemplificazioni quasi petulanti. Ma sono stati per me questi ed altri episodi che mi hanno turbato intimamente e fatto chiedere come possa costruirsi sul vuoto una terribile accusa.
Per quel che concerne il Buscetta, l’accusa ha sostenuto che la mia insistente richiesta di comprendere quale sarebbe stato l’oggetto del patto di scambio tra me e Cosa nostra troverebbe una risposta nell’accusa specifica rivoltami appunto da Buscetta a proposito del condizionamento del processo Rimi.
Io avrei ricevuto aiuto elettorale da Cosa nostra in cambio dell’aggiustamento dei processi; alcuni attraverso il presidente Carnevale, altri da solo.
Il 6 aprile 1993 Buscetta ha dichiarato che io mi sarei incontrato a Roma nel mio studio con uno dei Rimi, uno dei Salvo e Gaetano Badalamenti in vista dell’imminente processo in Cassazione a carico dei Rimi che si celebrò nel dicembre del 1971.
Secondo l’accusa io avrei "aggiustato" questo processo. In occasione di questo incontro io avrei inoltre detto a Badalamenti: "Di uomini come lei ce ne vorrebbero uno per ogni strada di ogni città di Italia".
Questa era una accusa di fondamentale rilievo per la Procura della Repubblica perché dimostrativa, finalmente, di un mio favore a Cosa nostra.
Mi è sembrato piuttosto strano che in questo caso nessuna indagine sia stata fatta sui giudici che avrebbero acconsentito alla realizzazione del condizionamento.
Comunque, dopo l’accusa formulata il 6 aprile 1993 i miei avvocati hanno atteso con ansia che questa accusa venisse ripetuta in dibattimento. Attendevano con ansia in quanto avevano scoperto che proprio nel 1971, anno del processo e della mia presunta riunione con i Rimi e Badalamenti, sia i Rimi che Badalamenti erano detenuti.
Ebbene, in udienza abbiamo assistito ad un cambiamento di versione da parte di Buscetta. Anziché ribadire che la riunione si riferiva al processo in Cassazione (1971) ha sostenuto che solo a causa di una sua erronea deduzione aveva parlato di Cassazione mentre ripensandoci arrivava alla diversa conclusione che la riunione risaliva ad epoca successiva.
Sennonché non è affatto vero che Buscetta ha cambiato versione a seguito di un autonomo ripensamento.
Nel processo per l’omicidio di Salvo Lima, di cui è stata acquisita la trascrizione del 24 aprile 1995, Buscetta ha infatti rivelato che egli aveva sempre fatto riferimento ad una riunione relativa all’aggiustamento del processo in Cassazione aggiungendo infine che era stato costretto a correggere questa sua indicazione.
Ci siamo chiesti più volte cosa intendeva dire Buscetta.
Buscetta ha sostenuto di aver corretto la sua versione avendo appreso di essere stato smentito da Badalamenti.
Già questo fatto lascia perplessi: perché è stato informato Buscetta della smentita di Badalamenti?
Ma soprattutto non si è trovato il verbale in cui a Buscetta vengono lette le dichiarazioni di Badalamenti. Esiste?
C’è invece un altro verbale che risale al 19 gennaio 1995 e cioè ad epoca immediatamente precedente alla mia udienza preliminare.
Da tale verbale risulta che mentre Buscetta ancora ribadiva la solita versione dell’aggiustamento in Cassazione, la Procura della Repubblica riteneva di fornire al collaboratore le seguenti notizie: "L’ufficio fa notare che la Cassazione si pronunciò sul processo riguardante i due Rimi in data 3 dicembre 1971 annullando con rinvio ad altra Corte di assise di appello la condanna all’ergastolo inflitta ai due Rimi: fa rilevare poi che solo con sentenza della Corte di assise di appello di Roma del 13 febbraio 1979 i predetti Rimi furono assolti".
Io mi chiedo se in un sistema in cui si deve accertare quale sia il bagaglio di conoscenza di un collaboratore sia ammissibile fornire a chi ha fornito una versione palesemente falsa di alcuni fatti notizie che gli consentano di correggere gli errori.
Badate, sono agli atti successivi verbali di Buscetta.
Dopo il gennaio 1995 non commetterà più errori sulle date perché utilizzerà le informazioni ricevute dalla Procura. Anzi ripeterà quelle informazioni come se fossero proprie.
Vi segnalo un fatto che elimina ogni dubbio in ordine al fatto che Buscetta abbia ripetuto pedissequamente le notizie acquisite dalla Procura: uno dei due soggetti di cui stiamo discutendo, e cioè Vincenzo Rimi, è morto nel 1975. Quindi la sentenza riguardava solo il figlio Filippo.
Tuttavia Buscetta continuerà a parlare di assoluzione che riguarda entrambi i Rimi. Sapete perché? Perché nel gennaio 1995, quando gli erano state fornite notizie dettagliate sul processo Rimi, la Procura incorrendo in una svista aveva detto che la Corte d’appello aveva assolto i predetti Rimi.
Come vedete, studiando le carte si possono rintracciare le falsità: ma ciò è possibile solo se le accuse siano agganciate in qualche modo ai fatti.
Quando le accuse si basano su deduzioni cioè ragionamenti e non su fatti, come è possibile dimostrare il contrario? Buscetta ha dichiarato di dedurre, badate di dedurre, che esisteva un mio interesse alla eliminazione di Pecorelli. Anche la sentenza di primo grado di Palermo ha sottolineato che Buscetta si è limitato a proporre una sua deduzione.
Questo interesse Buscetta lo ricollega alle carte di Moro. Secondo l’accusa, Pecorelli sarebbe entrato in possesso del memoriale manoscritto di Moro estremamente compromettente per la mia carriera politica. Da qui il mio interesse a eliminare Pecorelli.
Ebbene, dalla comparazione del testo riassuntivo fatto dai brigatisti e le copie del manoscritto di Moro potete ben comprendere che in realtà io sarei stato interessato alla immediata pubblicazione delle carte inedite di Moro rinvenute nel 1990: infatti solo attraverso la lettura degli originali manoscritti di Moro si evince che le Br hanno alterato in senso antidemocristiano il pensiero di Moro. Questo potevamo dimostrarlo e l’abbiamo fatto.
Mi chiedo come si possa pretendere che io dimostri che Buscetta non abbia mai fatto deduzioni o congetture sull’omicidio Pecorelli. Perché su queste deduzioni e solo su queste sono stato condannato a Perugia.

Profonda amarezza mi hanno arrecato anche altri risvolti processuali. Mi riferisco ai dubbi avanzati sul generale Dalla Chiesa attraverso l’ascolto di un incredibile testimone come il maresciallo Incandela. Fare apparire come complice di malefatte governative l’uomo che aveva servito sempre e soltanto lo Stato, accettando anche nel 1977 il mio invito a comandare la formazione di una unità speciale antiterroristica che lo esponeva ancora di più in prima linea, è più che assurdo. Ma tutta l’impostazione sulle carte Moro è contrassegnata da una malafede grossolana.
Il confronto tra il riassunto dattiloscritto fatto circolare dagli assassini di Moro e il testo manoscritto rinvenuto in seguito attesta in modo inconfutabile che si erano volutamente messe in circolo frasi e concetti che nell’originale non ci sono.
Si badi. Non è escluso che Moro avesse pensato di indurre i suoi carcerieri a desistere dall’assassinio attraverso l’annunciato impegno di rompere i ponti con la Democrazia cristiana. Era un tentativo disperato di sottrarsi al sacrificio. Così vanno letti anche giudizi negativi su alcuni di noi (compreso il suo amico carissimo Zaccagnini).
In quanto a me, Aldo Moro mi aveva aperto la strada ad uno sviluppo straordinario di vita quando mi chiamò a dirigere il giornale della Federazione universitaria cattolica. E quando nel 1976 si era realizzato — in circostanze di estrema difficoltà — l’accordo per il governo cosiddetto di solidarietà nazionale, fu lui a volere che io lo presiedessi e, due anni dopo, che rimanessi al mio posto mentre io sostenevo che dovesse tornare lui a Palazzo Chigi. Queste sono cronache inconfutabili della nostra vita nazionale ed è doloroso vederle manipolate per strumentalizzazioni tutt’altro che chiare.

Signor presidente, signori giudici, quando nel maggio 1993 il Senato dette alla Procura l’autorizzazione a procedere, il presidente Giovanni Pellegrino espresse nella sua relazione scritta il pieno apprezzamento della Giunta per la lettera con cui io mi ero associato alla richiesta onde favorire — avevo scritto — il massimo approfondimento in tempi rapidi. I tempi non sono stati rapidi.
Da allora io sto vivendo gli effetti di due incredibili implicazioni giudiziarie delle quali prego Iddio di farmi restare in vita fino alla giusta conclusione.
Per tante cose dovrò lassù fare affidamento sulla misericordia. Quaggiù io chiedo soltanto giustizia e mi rifiuto di credere che i nostri ordinamenti non rendano sicura questa oggettività.

Palermo, 28 novembre 2002
Sen. Giulio Andreotti

Bet
03-02-2005, 00:02
ma le prove sono davvero le deduzioni dei tipi o stanno altrove?

sider
03-02-2005, 07:28
Ecco alcuni stralci della sentenza della Corte d'appello di Palermo del 2 maggio 2003 su Giulio Andreotti, imputato di associazione mafiosa, confermata oggi dalla Corte di Cassazione:

Giulio Andreotti ha "commesso" il "reato di partecipazione all'associazione per delinquere" (Cosa Nostra), "concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980", che però è "estinto per prescrizione".

Nel 1979 Andreotti scende a Catania per incontrare il boss Stefano Bontade che minaccia la vita di Piersanti Mattarella: "Frena l'impeto dei mafiosi, prende tempo, li rassicura additando una soluzione "politica'". Poi torna a Roma e non fa assolutamente nulla. Non avverte nemmeno Mattarella della minaccia incombente. Bontate fa trucidare Mattarella nel gennaio '80.

Nella primavera '80 Andreotti torna in Sicilia (stavolta a Palermo) da Bontade, dopo il delitto Mattarella per "chiedere chiarimenti". Bontade risponde "con arroganza". Andreotti capisce che "era stato un grave errore immaginare di poter agevolmente disporre dei mafiosi e di guidarne le scelte imponendo, con la propria autorevolezza e il proprio prestigio, soluzioni incruente e "politiche" ai problemi insorti, era stato un abbaglio assegnare alla mafia il riduttivo ruolo di strumento di ordine e di controllo della criminalità... era stato, in definitiva, un grave errore intrattenere buone relazioni con i mafiosi, chiedere loro qualche favore, indurre in essi il convincimento di poter contare sulla sua amicizia".

Andreotti, per anni, "ha indotto i mafiosi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l'assassinio di Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati, ha omesso di denunciare le loro responsabilità, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza".

Andreotti aveva una "propensione a intrattenere personali, amichevoli relazioni con esponenti di vertice di Cosa Nostra", per garantirsi "la possibilità di utilizzare la struttura mafiosa per interventi extra ordinem... forme di intervento para-legale che conferisce, a chi sia in possesso dei canali che gli consentano di sperimentarle, un surplus di potere rispetto a chi si attenga ai mezzi legali".

Nel caso Mattarella Andreotti "non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia all'incolumità del presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi preposti e allontanandosi definitivamente dai mafiosi, denunciando a chi di dovere le loro identità e i loro disegni". Ma ha "dialogato con i mafiosi e palesato la volontà di conservare le amichevoli, pregresse fruttuose relazioni con essi".

Andreotti "indica ai mafiosi le strade da seguire e discute con loro di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati... senza destare in essi la preoccupazione di venire denunciati", poi "omette di denunciare elementi utili a far luce su fatti di particolarissima gravità, di cui è venuto a conoscenza in di-pendenza di diretti contatti con i mafiosi". Così la mafia si rafforza e i boss si sentono, "anche per la sua autorevolezza politica, protetti al più alto livello del potere legale".

"E' condivisibile che i mafiosi si siano determinati ad alzare il tiro su un così eminente esponente del partito di maggioranza relativa (Mattarella, ndr) anche perché supponevano di non incorrere in conseguenze pregiudizievoli in quanto contavano sull'appoggio di ancora più importanti personaggi politi-ci (Andreotti e Lima, ndr)".

Anakin
03-02-2005, 09:06
Originariamente inviato da sider
Ecco alcuni stralci della sentenza della Corte d'appello di Palermo del 2 maggio 2003 su Giulio Andreotti, imputato di associazione mafiosa, confermata oggi dalla Corte di Cassazione:

Giulio Andreotti ha "commesso" il "reato di partecipazione all'associazione per delinquere" (Cosa Nostra), "concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980", che però è "estinto per prescrizione".

Nel 1979 Andreotti scende a Catania per incontrare il boss Stefano Bontade che minaccia la vita di Piersanti Mattarella: "Frena l'impeto dei mafiosi, prende tempo, li rassicura additando una soluzione "politica'". Poi torna a Roma e non fa assolutamente nulla. Non avverte nemmeno Mattarella della minaccia incombente. Bontate fa trucidare Mattarella nel gennaio '80.

Nella primavera '80 Andreotti torna in Sicilia (stavolta a Palermo) da Bontade, dopo il delitto Mattarella per "chiedere chiarimenti". Bontade risponde "con arroganza". Andreotti capisce che "era stato un grave errore immaginare di poter agevolmente disporre dei mafiosi e di guidarne le scelte imponendo, con la propria autorevolezza e il proprio prestigio, soluzioni incruente e "politiche" ai problemi insorti, era stato un abbaglio assegnare alla mafia il riduttivo ruolo di strumento di ordine e di controllo della criminalità... era stato, in definitiva, un grave errore intrattenere buone relazioni con i mafiosi, chiedere loro qualche favore, indurre in essi il convincimento di poter contare sulla sua amicizia".

Andreotti, per anni, "ha indotto i mafiosi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l'assassinio di Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati, ha omesso di denunciare le loro responsabilità, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza".

Andreotti aveva una "propensione a intrattenere personali, amichevoli relazioni con esponenti di vertice di Cosa Nostra", per garantirsi "la possibilità di utilizzare la struttura mafiosa per interventi extra ordinem... forme di intervento para-legale che conferisce, a chi sia in possesso dei canali che gli consentano di sperimentarle, un surplus di potere rispetto a chi si attenga ai mezzi legali".

Nel caso Mattarella Andreotti "non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia all'incolumità del presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi preposti e allontanandosi definitivamente dai mafiosi, denunciando a chi di dovere le loro identità e i loro disegni". Ma ha "dialogato con i mafiosi e palesato la volontà di conservare le amichevoli, pregresse fruttuose relazioni con essi".

Andreotti "indica ai mafiosi le strade da seguire e discute con loro di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati... senza destare in essi la preoccupazione di venire denunciati", poi "omette di denunciare elementi utili a far luce su fatti di particolarissima gravità, di cui è venuto a conoscenza in di-pendenza di diretti contatti con i mafiosi". Così la mafia si rafforza e i boss si sentono, "anche per la sua autorevolezza politica, protetti al più alto livello del potere legale".

"E' condivisibile che i mafiosi si siano determinati ad alzare il tiro su un così eminente esponente del partito di maggioranza relativa (Mattarella, ndr) anche perché supponevano di non incorrere in conseguenze pregiudizievoli in quanto contavano sull'appoggio di ancora più importanti personaggi politi-ci (Andreotti e Lima, ndr)".



ti ringrazio Sider per il post.

infatti per chi ha letto il pezzo di Andreotti,appare chiaro nella sua tragicomicita' tutta la questione.

nel 1979 Andreotti va a Palermo e si incontra con....
(prove?date?foto?qualcosa di preciso?)

Andreotti indica ai mafiosi,parla ai mafiosi,ecc
(prove?date?foto?qualcosa?)

tutte queste cose sono dedotte da quel che deducevano i chiamiamoli "pentiti" del processo.
gli stessi pentiti che OGNI volta che provavano ad essere piu' precisi,venivano IMMANCABILMENTE sbugiardati.

con l'INQUIETANTE aspetto della procura che dinnanzi a pentiti che vengono trovati a mentire,sostengono che si sono confusi(come se non dovesse importare anche a loro l'affidabilita' del testimone),o gli danno le dritte sulle versioni date dagli altri pentiti(tutto documentato) quando vanno a finire in contraddizione.

cazzo ma leggetevi il pezzo sopra per capire a che livello infimo era la vicenda(Andreotti parla in aula giudiziaria di fatti,scritti su registri).
una volta dicevano una cosa,una volta dicevano un altra..tutte le volte che cercavano di collocare quel che dicevano in qualcosa di concreto venivano sbugiardati.
ma dico TUTTE!

allucinante il fatto che Andreotti dica che grazie al cielo su tante cose i pentiti han voluto scendere nel particolare(date,luoghi,nomi,ecc) perche' altrimenti non avrebbe potuto dimostrare la loro falsita'...
eppure nonostante che laddove si scenda nel dettaglio i pentiti vengono sgamati a mentire clamorosamente(mettendo dettagli che non è la confusione a poter suggerire),laddove i pentiti rimangono nel vago nel 1979 Andreotti si trovo' coi mafiosi,la procura gli da retta e si fida.
ma come è possibile???
per me sono da indagare i magistrati,per la palese malafede con cui vogliono incriminare un uomo.

Onisem
03-02-2005, 11:23
Anakin, apprezzo il tuo intento, ma non credi che converrebbe restare nei limiti della "praticabilità"? Insomma, postare decine di pagine che credo pochissimi si prenderebbero la briga di leggere, pretendere che si riconosca un'innocenza al di là di una sentenza sulla base della dichiarazione dell'imputato stesso. Il processo ad Andreotti è stato uno dei più complessi, controversi e sopratutto voluminosi della storia della Repubblica, trovo difficile riassumerlo ed analizzarlo in questa sede ed in questo modo; temo inoltre che a prescindere rimarrebbe sempre un mafioso o quantomeno colluso, per alcuni, un angelo per altri.

Anakin
03-02-2005, 12:16
a leggere il titolo del giornale in neretto "tizio mafioso" sono buoni tutti.
informarsi sulla questione dedicando piu' di 10 minuti del proprio tempo,non frega a nessuno.

costa uno sforzo (impoponibile ai piu') leggersi quel pezzo,ma se l'ho fatto è perche' io ritengo che il pezzo sia davvero un buon riassunto per capire le ragioni di chi proclama Andreotti innocente.

chi si oppone strenuamente nelle discussioni relative al processo Andreotti al fatto che quel processo fu una farsa,potrebbe farlo con un immensa onesta intellettuale in piu' se sentisse le ragioni,che fanno dire a molti questa cosa.

controverso voluminoso e complesso fu il processo....si ma aggiungerei che si è contraddistinto dall'essere un processo non basato sulle prove ma sui teoremi.
e sulle contraddizioni grossolane dei testimoni,che diedero le uniche "prove".

ma possibile che a nessuno interessi che non vi sono prove certe,date,luoghi,ne niente?
se non asserzioni vaghissime,di pentiti le cui asserzioni un minimo dettagliate,essendo collegate alla realta' e quindi le uniche falsificabili,sono state sbugiardate una dopo l'altra?
ma perche' ci si affidava ad uomini colti nella menzogna ripetutamente?
cioe' OGNI volta indicavano un fatto concreto!

sono rimaste in piedi le dichiazione vaghe...Andreotti nel 1979 è andato a Palermo a parlare coi boss..
ed è rimasta unicamente perche' non è falsificabile,poco importa ai magistrati se tutte le varianti con date o riferimenti precisi sono risultate poi false.
ogni volta che volevano calare il "teorema" nella realta' i pentiti si sono contraddetti,eppure il teorema sembra possa stare in piedi ugualmente..perche?

possibile che certa gente proclama la teoria del dubbio,del imparare a ragionare con la propria testa,o cazzate simili..
andando a tirar fuori dubbi su aerei che distruggono il pentagono,video di decapitazioni falsi,su ogni cosa...
su questo non si voglia porre dubbi?
hanno la forza di andare a leggersi mille cazzate su siti non verificabili,e se ci sono dichiarazioni registrate in sede processuale,con riferimento a fatti noti e tabulati nei processi,non vogliano fare sforzi?

insomma a me pare che i dubbi allora non siano frutto di ragionamento con la propria testa,ma di una palese e preoccupante omologazione,cioe' non ci si rende conto nemmeno di essere burattini.

TXFW
03-02-2005, 15:23
Originariamente inviato da Anakin
informarsi sulla questione dedicando piu' di 10 minuti del proprio tempo,non frega a nessuno.

Anakin,

il pezzo io l'ho letto tutto e ti ringrazio per averlo postato.

Sono sempre stato convinto, durante il processo, che tutto fosse basato su dichiarazioni, e bada bene, solo dichiarazioni, di assassini confessi, alcuni cosi' spietati da essere indefinibili, che fornivano le dichiarazioni in cambio di benefici economici e sociali.

Tanto per essere chiaro, non sto dicendo che Andreotti sia per definizione una persona onesta. Andreotti e' una persona che e' stata a galla, in effetti molto in alto, nel panorama politico italiano per quasi 60 anni. Per definizione e con mio fastidio deve essere sceso a compromessi inimmaginabili per arrivare e poi per restare.

Ma nessuno mi convincera' mai che sia un mafioso.

Quanto poi al famoso reato di "concorso esterno in associazione mafiosa", che da un certo punto in avanti e' saltato fuori, semplicemente nell'ordinamento giuridico italiano non esiste.

Ancora grazie.

Ciao,

Marco.

prio
03-02-2005, 15:24
Originariamente inviato da TXFW
Quanto poi al famoso reato di "concorso esterno in associazione mafiosa", che da un certo punto in avanti e' saltato fuori, semplicemente nell'ordinamento giuridico italiano non esiste.


In che senso?

Gianpaolo81
03-02-2005, 15:30
Originariamente inviato da TXFW
Quanto poi al famoso reato di "concorso esterno in associazione mafiosa", che da un certo punto in avanti e' saltato fuori, semplicemente nell'ordinamento giuridico italiano non esiste.


Allora Dell'Utri è stato condannato per atti osceni in luogo pubblico :D

TXFW
03-02-2005, 15:30
Originariamente inviato da prio
In che senso?
Nel senso che nell'elenco dei reati non c'e'.

Il reato e' associazione a delinquere. Di stampo mafioso o no.

Se il reato e' associazione o sei associato o non lo sei. Che roba e' "consorso esterno in associazione"?

Onisem
03-02-2005, 15:39
Mi sa che ti sbagli.

Korn
03-02-2005, 15:43
Che cos'è il concorso esterno
in associazione mafiosa

ROMA - Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, per il quale oggi il senatore Marcello Dell'Utri è stato condannato a nove anni di reclusione, si realizza quando una persona, senza essere stabilmente inserita nella struttura di un'organizzazione mafiosa, svolga un'attività, anche di semplice intermediazione, che consista in un contributo per le finalità dell'organizzazione stessa.

Il concorso esterno è stato oggetto di varie pronunce giurisprudenziali, dal momento che da più parti ne era stata esclusa in un primo momento la configurabilità.

La controversia è stata poi oggetto di una pronuncia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. La Corte Suprema ha stabilito che il concorso esterno nel delitto associativo riguarda "quei soggetti che, sebbene non facciano parte del sodalizio criminoso, forniscano, sia pure mediante un solo intervento, un contributo all'ente delittuoso tale da consentire all'associazione di mantenersi in vita, anche limitatamente ad un determinato settore, onde poter conseguire i propri scopi". (Cass. Sezioni Unite Penali, 5 ottobre 1994).

E', pertanto, necessario non solo che il "concorrente esterno" abbia tenuto una condotta chiaramente espressiva della sua disponibilità a partecipare all'associazione, ma anche che abbia agito con la coscienza e la volontà di concorrere alla realizzazione del particolare programma delinquenziale. Se mancano queste condizioni - è stato stabilito - le attività di semplice supporto, agevolazione, fiancheggiamento, compartecipazioni nei singoli reati non possono ritenersi un concorso esterno all'associazione, ma devono essere diversamente qualificate dal punto di vista penale

TXFW
03-02-2005, 16:19
Originariamente inviato da Korn
ma anche che abbia agito con la coscienza e la volontà di concorrere
Grazie per l'inattaccabile aggiornamento. Ero rimasto a quando questa cosa era stata tirata fuori per Andreotti (in effetti credo sia stata inventata apposta) e mi sembrava una cosa assurda. Era tanto tempo fa e la cassazione non si era ancora espressa. In maniera per me poco diretta, peraltro. Infatti continuo a pensare che sia assurdo e che messo in questo modo si chiami processo alle intenzioni.

Il punto per me resta. Per una cosa cosi', come fai a dimostrare senza dubbio che la persona "ha agito con la coscienza e la volontà di concorrere". Accusala del reato giusto e basta, cosi' magari ha meno spazio per il ricorso. Per una cosa cosi' dubbia, come hai trovato un tribunale che ti ha condannato ne trovi un altro che ti assolve in appello.

Voglio dire, se ti accusano di omicidio e dimostrano che hai litigato con una persona, poi sei andato a comprare il veleno per topi, poi hai comprato che so, le enchilladas, poi hai invitato la persona a cena e le hai dato le enchilladas col veleno (c'erano 10 persone a cena e le enchilladas col veleno erano solo quelle di quella persona), dire non avevo la coscienza e la volonta' e' difficile.

Ma per cose che ben difficilmente comprendono azioni fisiche mi sembra campata in aria. Nel caso di Andreotti poi mi sembrava proprio una scappatoia perche' non sapevano che altro fare e perche' volevano poter utilizzare le parole "associazione a delinquere di stampo mafioso" perche' figuravano meglio sulle prime pagine dei giornali.

Sensazione mia, naturalmente.

prio
03-02-2005, 16:24
Originariamente inviato da TXFW
Grazie per l'inattaccabile aggiornamento. Ero rimasto a quando questa cosa era stata tirata fuori per Andreotti (in effetti credo sia stata inventata apposta) e mi sembrava una cosa assurda. Era tanto tempo fa e la cassazione non si era ancora espressa. In maniera per me poco diretta, peraltro. Infatti continuo a pensare che sia assurdo e che messo in questo modo si chiami processo alle intenzioni.

Il punto per me resta. Per una cosa cosi', come fai a dimostrare senza dubbio che la persona "ha agito con la coscienza e la volontà di concorrere". Accusala del reato giusto e basta, cosi' magari ha meno spazio per il ricorso. Per una cosa cosi' dubbia, come hai trovato un tribunale che ti ha condannato ne trovi un altro che ti assolve in appello.

Voglio dire, se ti accusano di omicidio e dimostrano che hai litigato con una persona, poi sei andato a comprare il veleno per topi, poi hai comprato che so, le enchilladas, poi hai invitato la persona a cena e le hai dato le enchilladas col veleno (c'erano 10 persone a cena e le enchilladas col veleno erano solo quelle di quella persona), dire non avevo la coscienza e la volonta' e' difficile.

Ma per cose che ben difficilmente comprendono azioni fisiche mi sembra campata in aria. Nel caso di Andreotti poi mi sembrava proprio una scappatoia perche' non sapevano che altro fare e perche' volevano poter utilizzare le parole "associazione a delinquere di stampo mafioso" perche' figuravano meglio sulle prime pagine dei giornali.

Sensazione mia, naturalmente.

Non capisco piu' se stai contestando la condanna di Andreotti o il reato per cui e' stato condannato.

TXFW
03-02-2005, 16:35
Originariamente inviato da prio
Non capisco piu' se stai contestando la condanna di Andreotti o il reato per cui e' stato condannato. L'imputazione di Andreotti secondo me era una punizione per non aver coperto Gelli (ma entriamo gia' nelle teorie del complotto). Comunque sia la sostanza resta per me quella che ho detto: parole di personaggi non credibili.

Il resto e' un discorso piu' vasto. Si, in effetti ho deviato. Ok, torno in carreggiata.

Onisem
03-02-2005, 17:02
Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato introdotto perchè in Italia non si riusciva a processare nessuno che, pur essendo colluso o avendo chiaramente favorito la mafia, non fosse chiaramente un associato, un boss, un picciotto. Mi sembra il minimo, no? L'obiezione che potresti fare tu è che nel caso di Andreotti si tratta di un processo indiziario, ma è ben diverso dal dire che il reato di associazione esterna non esiste nell'ordinamento o che la sua esistenza non sia giustificata...in Italia poi.

sider
03-02-2005, 17:55
Ognuno crede ciò che vuole, ma pensare che Zio Giulio sia COMPLETAMENTE ESTRANEO a Cosa Nostra mi sembra veramente troppo...oppure è stato organizzato un complotto di proprzioni mastodontiche (ma me ne sfugge il senso....)


Questa è lunga, vedete voi se leggerla

GIULIO ANDREOTTI, SECONDO LA GIUSTIZIA ITALIANA
di Redazione
pubblicato il 25/01/2005

L’Italia ha avuto tra i suoi più longevi governanti un signore colluso
con Cosa Nostra, prosciolto per prescrizione. Lo ha confermato la
Suprema Corte di Cassazione, con le motivazioni depositate il 28
dicembre 2004. Eccone una sintesi.

Lo scorso 28 dicembre è stata depositata la motivazione della sentenza
Andreotti, pronunciata in cassazione (sez. 2a) il 15 ottobre 2004 a
definizione del processo di Palermo, che lo vedeva imputato per i
reati di cui agli artt. 416 (fino al 28/9/82) e 416 bis c.p. per il
periodo posteriore. La sentenza – come noto – ha confermato quella
della Corte di Appello di Palermo (che aveva statuito la prescrizione
del primo reato, fissato alla primavera 1980, e l’assoluzione ai sensi
del 530 c. 2 per il 416 bis c.p.). Per rendere più agevole
l’individuazione dei passaggi topici, si segnalano i seguenti punti,
relativi a quelle che sono state le questioni più controverse sulla
stampa (in particolare, se la dichiarazione di prescrizione fosse
avvenuta dopo un esame del merito oppure no):


1. (pagina 156)

“(..) l’incontro suddetto (Andreotti-Bontate, Palermo, primavera 1980
– ndr) – che sarebbe stato il secondo avente ad oggetto il problema
rappresentato da Piersanti Mattarella – da un lato concorre a provare
la partecipazione dell’imputato al sodalizio mafioso, ma dall’altro
segna il momento di crisi, quindi di distacco, stante il totale e
grave disaccordo tra i due interlocutori, l’asprezza dei toni usati da
Bontate e, soprattutto, le considerazioni e le reazioni che l’omicidio
Mattarella avrebbero indotte nell’imputato. La valutazione della Corte
di Appello, circa il valore dell’episodio ai fini del processo, è
basata su apprezzamenti di merito che rispondono ai canoni logici e
che, quindi, non sono censurabili nel giudizio di legittimità”;


2. (pagina 159)

“Orbene, la sentenza impugnata non ha motivato il proprio
convincimento facendo leva su affermazioni apodittiche, ma ha
inquadrato questo episodio – che ha interpretato come il risultato di
una precedente evoluzione – in un più ampio contesto rappresentato dai
gravissimi fatti (quali gli omicidi di uomini delle Istituzioni) che
si erano verificati già prima dell’omicidio Mattarella e che ha
ritenuto idonei, sul piano razionale, a sviluppare nell’imputato
insofferenza verso i metodi del sodalizio criminale e consapevolezza
dell’importanza del fenomeno, in precedenza sottovalutato anche
perché il concomitante problema del terrorismo aveva costituito
l’emergenza primaria per il paese (...)”. “D’altra parte, l’omicidio
Mattarella, che aveva fatto seguito ad un precedente incontro tra i
medesimi interlocutori (inizio estate 1979, nella tenuta Scia dei
fratelli Costanzo a Catania – ndr) - organizzato proprio al fine di
stabilire come intervenire per limitare l’azione dell’uomo politico
ritenuta pregiudizievole degli interessi economici del sodalizio –
oltre a sgomentarlo sul piano etico e umano, ha definitivamente
convinto Andreotti della impossibilità di controllare e limitare la
drasticità degli interventi operativi dell’organizzazione e di
incanalarli verso soluzioni politiche e incruente”;

3. (pagina 163)

“È appena il caso di precisare che, se la partecipazione di Andreotti
nel reato associativo è cessata nel 1980, gli episodi accaduti
successivamente non possono essere considerati come indice della
disponibilità attiva ritenuta per il periodo precedente, ma vanno
tenuti presente al solo fine di verificarne l’interpretabilità come
manifestazione di una nuova adesione e, quindi, di una rinnovata
partecipazione. Ma il giudizio negativo sul punto della Corte
territoriale non è inficiato da manifesta irrazionalità e non merita
censura. Pertanto, l’episodio dell’incontro con Manciaracina (agosto
1985, Mazara del Vallo – ndr) e tutti gli altri successivi al 1980
debbono essere valutati soltanto come idonei a confermare la
correttezza dell’assoluzione ai sensi del comma 2 dell’art. 530 c.p.p.
in quanto, pur rivestendo, in alcuni casi, possibile valore indiziario
ma non potendo più essere collegati – in virtù del ritenuto recesso –
a quelli anteriori a detta epoca (...) non risultano più sufficienti
per una pronuncia di condanna”;

4. (pagina 176)

“la formula assolutoria “perché il fatto non sussiste” presuppone che
nessuno tra gli elementi integrativi della fattispecie criminosa
risulti provato (...) e l’assenza della condotta travolge in radice la
configurabilità del reato. Ma ciò non è accaduto nella specie. La
sentenza impugnata non ha ritenuto positivamente accertata la
dissociazione, ma ha giudicato carente e non perspicuamente
significativa la prova di comportamenti agevolativi in epoca
successiva la 1980”;

5. (pagina 169)

“A tal fine è necessario occuparsi del periodo antecedente al 1980,
con riferimento al quale essa (Corte app.), ritenuta la sussistenza di
relazioni amichevoli e dirette di Andreotti con esponenti mafiosi di
spicco – propiziate dai suoi legami con Salvo Lima, con i cugini Salvo
e con Ciancimino – ha affermato essere intercorsi rapporti di scambio,
consistiti, da una parte, in un generico appoggio elettorale alla
corrente andreottiana e nel solerte attivarsi dei mafiosi per
soddisfare possibili esigenze, non necessariamente illecite,
dell’imputato e dei suoi amici e, dall’altra parte, nella palesata
disponibilità e nell’asserito apprezzamento del ruolo dei mafiosi,
frutto non solo di buone relazioni ma anche di una effettiva
sottovalutazione del fenomeno mafioso, oltre che nella travagliata
interazione dell’imputato con i mafiosi nella vicenda Mattarella, pur
risoltasi con il fallimento del disegno andreottiano. Più
analiticamente, la Corte territoriale ha affermato che il sen.
Andreotti ha avuto piena
consapevolezza che i suoi referenti siciliani (Lima, i Salvo,
Ciancimino) intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss
mafiosi; che egli aveva, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli
relazioni con gli stessi boss; che aveva palesato ai medesimi una
disponibilità non necessariamente seguita da concreti, consistenti
interventi agevolativi; che aveva loro chiesto favori; che li aveva
incontrati; che aveva interagito con essi; che aveva loro indicato il
comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione
Mattarella, sia pure senza riuscire ad ottenere, in definitiva, che le
stesse indicazioni venissero seguite; che aveva conquistato la loro
fiducia tanto da discutere insieme anche di fatti gravissimi (come
l’assassinio del Presidente Mattarella) nella sicura consapevolezza di
non correre il rischio di essere denunciati; che aveva omesso di
denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione
all’omicidio Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire
utilissimi elementi di conoscenza. La Corte di Appello, in esito a
imprescindibili e quindi incensurabili valutazioni di merito, ha
valutato questi fatti come processualmente rilevanti e significativi
ai fini della configurabilità del reato contestato. Per questa
ragione, in presenza dell’assoluzione dubitativa pronunciata dal
Tribunale, ha applicato la causa estintiva della pena – la
prescrizione – nel frattempo maturata, assumendo non essere evidente
la prova dell’innocenza dell’imputato (...). Va quindi ribadito che
(..) non può ritenersi palesemente viziata – sotto il profilo logico –
la conclusione cui la medesima è pervenuta in ordine all’intera
vicenda Mattarella”;

6. (pagina 193)

“Indubbiamente rilevante è l’incontro che vi sarebbe stato tra
Andreotti e Badalamenti allo scopo di aggiustare il processo penale a
carico di Filippo e Vincenzo Rimi, ritenuto utile dalla sentenza
impugnata a provare l’esistenza di un patto di scambio tra Andreotti
ed i vertici mafiosi e a confermare indirettamente il rapporto –
quindi gli incontri tra il primo e Bontate (...). Pur nell’analizzare
questa vicenda il Collegio è costretto a ripetersi osservando che la
Corte territoriale ha espresso una motivazione contestabile fin che si
vuole quanto agli apprezzamenti di merito, ma non affetta né da
omissioni di elementi fattuali rilevanti ai fini della decisione, né
da fratture logiche nella ricostruzione dei medesimi e
nell’espressione delle conseguenti valutazioni (...). Ha cioè ritenuto
indubitabile che, sfrondate delle parti inficiate dalle incertezze, le
dichiarazioni di Buscetta attestino comunque che egli ebbe ad
apprendere dai più importanti capi dello schieramento moderato di Cosa
nostra – Bontate e Badalamenti – che costoro avevano intrattenuto
rapporti, quanto meno indiretti, con Andreotti e che in una occasione,
in relazione al processo Rimi, lo stesso Badalamenti avesse
personalmente incontrato l’imputato in compagnia del proprio cognato,
Filippo Rimi, e di uno dei cugini Salvo”;

7. (pagina 199)

“E nella specie risponde ai comuni criteri logici la motivazione della
sentenza nella parte in cui ha ritenuto esistenti i rapporti tra
Giulio Andreotti e i cugini Antonino e Ignazio Salvo. Infatti, la
relativa affermazione è stata fondata su una serie di indizi che,
essendo sufficientemente gravi, precisi e concordanti, considerati con
valutazione unitaria, costituiscono una solida e razionale piattaforma
probatoria”;

8. (pagina 208)

“ (...) per effetto dell’impugnazione del PM, la Corte di Appello ha
applicato la prescrizione dopo avere compiuto una disamina tesa anche
ad accertare la data di cessazione della ritenuta attività criminosa,
la sussistenza delle contestate circostanze aggravanti, da essa
escluse, e in definitiva anche con riferimento alla ritenuta
concedibilità delle circostanze attenuanti generiche. Pertanto,
all’epoca della pronuncia, l’effetto estintivo non era automaticamente
operante, ma esso è conseguito all’accertamento della data di ritenuta
consumazione del reato e all’esclusione delle circostanze aggravanti
che avrebbero prolungato il termine di prescrizione, per cui il
giudizio sulla sussistenza del reato ha costituito un “prius” logico e
giuridico rispetto alla statuizione che ne ha dichiarato
l’estinzione”;

9. (pagina 211)

“Quindi la sentenza impugnata, al di là delle sue affermazioni
teoriche, ha ravvisato la partecipazione nel reato associativo non nei
termini riduttivi di una mera disponibilità, ma in quelli più ampi e
giuridicamente significativi di una concreta collaborazione (..)”.

N.B. – La motivazione della sentenza è stata approvata – in due
camere di consiglio – dall’intero collegio che l’ha deliberata (Pres.
Cosentino, est. Massera, A. Morgigni, F. De Chiara, Podo).
__________________

TXFW
03-02-2005, 19:27
Originariamente inviato da sider
Questa è lunga, vedete voi se leggerla
Letta.

A me continua a sembrare una serie di cose basate sulle
dichiarazioni di un omicida confesso.
Inoltre resta nel campo delle ipotesi.

Mi permetto di evidenziare l'uso di alcuni verbi.

“(..) l’incontro suddetto (Andreotti-Bontate, Palermo, primavera 1980
– ndr) – che sarebbe stato il secondo avente ad oggetto il problema rappresentato da Piersanti Mattarella – da un lato

“Indubbiamente rilevante è l’incontro che vi sarebbe stato tra
Andreotti e Badalamenti allo scopo di aggiustare il processo penale a
carico di Filippo e Vincenzo Rimi, ritenuto utile dalla sentenza
impugnata a provare l’esistenza di un patto di scambio tra Andreotti
ed i vertici mafiosi e a confermare indirettamente il rapporto –
quindi gli incontri tra il primo e Bontate (...).
Poi.... gli hanno letto nella mente?

D’altra parte, l’omicidio Mattarella, ....
oltre a sgomentarlo sul piano etico e umano, ha definitivamente convinto Andreotti della impossibilità di controllare e limitare la drasticità degli interventi operativi dell’organizzazione e di incanalarli verso soluzioni politiche e incruente”;
Questa che segue e' una perla. Credo che tradotto in italiano voglia dire che non c'erano le prove. Non solo, ma letto senza attenzione sembra dare la colpa alla difesa che non ha dimostrato senza dubbio l'innocenza, ma ha solo dimostrato che non c'erano le prove per la colpevolezza. Ma l'onere della prova da che parte sta? E' proprio vero che siamo tutti colpevoli se non riusciamo a dimostrare il contrario? Chiedo, perche' se in tribunale non e' l'accusa a dover dimostrare che l'imputato e' colpevole, ma l'imputato a dover dimostrare di essere innocente, allora ognuno di noi puo' trovarsi in tribunale in qualsiasi momento, senza sapere perche', a dover dimostrare la propria innocenza a proposito di qualcosa.

La sentenza impugnata non ha ritenuto positivamente accertata la
dissociazione, ma ha giudicato carente e non perspicuamente
significativa la prova di comportamenti agevolativi in epoca
successiva la 1980”;
Quella che segue e' basata su dichiarazioni di Buscetta, che se ricordo bene si era confuso.

nel solerte attivarsi dei mafiosi per
soddisfare possibili esigenze, non necessariamente illecite,
dell’imputato e dei suoi amici e, dall’altra parte, nella palesata
disponibilità e nell’asserito apprezzamento del ruolo dei mafiosi,
Segue un'altra meraviglia. Traduzione: tolto quello che evidentemente e' una menzogna, quello che dice Buscetta e' sicuramente vero (indubitabile), quindi quando testimonia di avere appreso da altri, ecc.
Oltre a confondersi non ha conoscenza diretta, ma ha sentito dire.

..... la Corte territoriale .... Ha cioè ritenuto
indubitabile che, sfrondate delle parti inficiate dalle incertezze, le
dichiarazioni di Buscetta attestino comunque che egli ebbe ad
apprendere dai più importanti capi dello schieramento moderato di Cosa
nostra – Bontate e Badalamenti – che costoro avevano intrattenuto
rapporti, quanto meno indiretti, con Andreotti

Cerchiamo di capirci.

Il problema non e' solo il caso Andreotti.

Il problema e' che questo e' il modo in cui funzionano i tribunali.

Andreotti ha avuto la possibilita' di restare a piede libero e organizzare la propria difesa. Un Pinco Pallino qualsiasi (io, per esempio) sarebbe stato in carcere preventivo anni prima del processo e durante il processo e poi sarebbe stato condannato sulla base delle parole di Buscetta.
Credo sia di questi giorni l'esempio (c'era un thread) di un tale che si e' passato dei begli anni in galera in attesa che il vero colpevole confessasse. Evidentemente non aveva parenti e amici giusti, nonche' i soldi per potersi permettere un difensore come Taormina (non c'entra con Andreotti, ma con questo cito il caso di un'altra persona che, colpevole o innocente che sia, sarebbe in galera se non avesse i soldi per pagare una difesa di quel livello).

In sostanza, la situazione per il cittadino comune credo sia questa, e pregherei chi conosce la procedura di confermare o correggere:

- custodia preventiva (dovrebbe essere applicata in casi ben specifici, ma cosi' non e')
- quando il procuratore ritiene di essere pronto si va in tribunale (nel frattempo la custodia preventiva continua)
- se al processo l'imputato e' assolto, il procuratore puo' ricorrere in appello (e questo e' veramente scandaloso!). Non so se a questo punto la custodia preventiva continui perche' c'e' il ricorso. Non mi meraviglierebbe troppo, ma non lo so. Qualcuno puo' far luce?
- se in appello (chiunque abbia fatto ricorso) l'imputato e' assolto, il procuratore puo' ancora fare ricorso (lo scandalo continua) in cassazione.

Come risultato, non e' vero che sono veramente condannato solo dopo i tre gradi, ma la realta' e' che non sono assolto fino a quando non sono assolto nei tre gradi.

Onisem
03-02-2005, 19:48
Forse ho capito male io, sostieni che se in primo grado vieni riconosciuto non colpevole, devi attendere anche gli altri due gradi di giudizio per venire scarcerato?

TXFW
03-02-2005, 20:20
Originariamente inviato da Onisem
Forse ho capito male io, sostieni che se in primo grado vieni riconosciuto non colpevole, devi attendere anche gli altri due gradi di giudizio per venire scarcerato? E' una domanda. Non lo so.
Certamente no se il procuratore non fa ricorso, chiaro. Ma se lo fa?
Questa era la domanda.

prio
03-02-2005, 21:25
Risposta dovuta ad Anakin.
lo scritto di Andreotti e' sicuramente notevole, su questo non discuto.
Rimane una delle due campane, pero'. Come gia ti ho detto, il processo e' stato tutt'altro che cristallino. Per altro per poter disaminare compiutamente il suo scritto, bisognerebbe andarsi a rileggere tutto l'impianto accusatorio, cosa che mi perdonerai ora non ho il tempo di fare purtroppo temo non l'avro' mai.
Volendo fare l'avvocato del diavolo potrei dirti che e' normale che una persona qualunque sbagli a ricordarsi una data, io di sicuro non mi ricordo che cosa ho fatto chesso', anche solo il 27 ottobre del 2004. Normale invece che Andreotti, per il suo tipo di vita, possa tracciare ogni suo movimento da sempre. Certo non si puo' negare il fatto che non ne hanno imbroccata proprio mezza, ma bisognerebbe vedere se ci sono anche altre circostanze che Andreotti non ha citato nel suo scritto.
Poi, non tutto non e' contestabile. Ad esempio questo passaggio:

<<Il barman Di Maggio ancora più incautamente nell’udienza del 29 gennaio 1997 ha così risposto ai miei difensori che chiedevano di precisare la data in cui mi sarei incontrato con Benedetto Santapaola: "Dal 10 al 26, signora perché io il 15 faccio l’onomastico ed era dopo la mia festa". L’avvocato Bongiorno insistette: "Dal 20 al 26?". Di Maggio: "Dal 20 al 26 o 30". Avvocato Bongiorno: "Dunque gli ultimi 10 giorni di giugno?". Di Maggio: "Sì, signore". Tutti i giorni in cui io ero in missione all’estero. >>

Era all'estero anche dal 16 al 20? Se Santapaola festeggia l'onomastico il 15 e la data era "sicuramente dopo" (tra l'altro pare che Nitto Santapaola non avesse proprio ben chiaro lo scorrere temporale, se in prima battuta ha dichiarato "dal 10 al 26") poteva essere anche il 18, per fare un esempio. Ovviamente non sto dicendo "sara' successo il 18", sto solo notando che questo scritto non e' per niente conclusivo.

O anche questo:
<<Vi segnalo un fatto che elimina ogni dubbio in ordine al fatto che Buscetta abbia ripetuto pedissequamente le notizie acquisite dalla Procura: uno dei due soggetti di cui stiamo discutendo, e cioè Vincenzo Rimi, è morto nel 1975. Quindi la sentenza riguardava solo il figlio Filippo.
Tuttavia Buscetta continuerà a parlare di assoluzione che riguarda entrambi i Rimi. Sapete perché? Perché nel gennaio 1995, quando gli erano state fornite notizie dettagliate sul processo Rimi, la Procura incorrendo in una svista aveva detto che la Corte d’appello aveva assolto i predetti Rimi. >>

La sentenza non potrebbe riguardare entrambi i Rimi pur essendo uno deceduto?
Non lo so, ho provato a cercare qualcosa con google ma ovviamente il grosso dei riferimenti e' al processo ad Andreotti. Pero' ho trovato questo (http://64.233.183.104/search?q=cache:MBKhD028soUJ:digilander.libero.it/inmemoria/boss_mafiosi.htm+vincenzo+rimi+1979&hl=it) dove si dice "Il nuovo processo si concluse il 13 febbraio 1979 con l'assoluzione dei Rimi per insufficienza di prove. Il vecchio Rimi scomparve prima di quest'ultima sentenza, il 28 marzo del 1975, mentre Filippo Rimi è tuttora in carcere."
Insomma, la sentenza potrebbe essersi effettivamente riferita ad entrambi. E ancora, come ha reagito la pubblica accusa all'obiezione al riguardo che sicuramente e' stata posta dagli avvocati?

Insomma, per chiudere e per rispondere alla tua domanda: no, da questo scritto non posso giudicare la statura dell'uomo Andreotti.

Posso dirti pero' che la sua statura e' elevata ai miei occhi dal fatto che abbia fatto ricorso fino all'ultimo grado di giudizio contro un reato prescritto, questo sicuramente.
Come abbiamo tristemente imparato non e' cosa da tutti.

prio
03-02-2005, 21:29
Originariamente inviato da TXFW
Questa che segue e' una perla. Credo che tradotto in italiano voglia dire che non c'erano le prove. Non solo, ma letto senza attenzione sembra dare la colpa alla difesa che non ha dimostrato senza dubbio l'innocenza, ma ha solo dimostrato che non c'erano le prove per la colpevolezza. Ma l'onere della prova da che parte sta? E' proprio vero che siamo tutti colpevoli se non riusciamo a dimostrare il contrario? Chiedo, perche' se in tribunale non e' l'accusa a dover dimostrare che l'imputato e' colpevole, ma l'imputato a dover dimostrare di essere innocente, allora ognuno di noi puo' trovarsi in tribunale in qualsiasi momento, senza sapere perche', a dover dimostrare la propria innocenza a proposito di qualcosa.


Solo una precisazione: il pezzo che commenti con questa tua si riferisce ad eventi per cui Andreotti e' stato assolto, se non mi sbaglio.

Onisem
03-02-2005, 21:29
Originariamente inviato da TXFW
E' una domanda. Non lo so.
Certamente no se il procuratore non fa ricorso, chiaro. Ma se lo fa?
Questa era la domanda.

Se vieni riconosciuto non colpevole in primo grado, anche se l'accusa ricorre in appello, rimani tale fino a quando un altro grado di giudizio non contraddice (eventualmente) la precedente sentenza.

Anakin
03-02-2005, 21:37
Originariamente inviato da TXFW
cut.

hai risposto meglio di me.

per sottolineare parte di quel che hai detto,oltre ai soldi,Andreotti rispetto a chiunque altro,si è salvato e lui l'ha detto piu' volte,per il fatto di aver avuto nella sua vita sempre un agendina.

puo far rabbrividire,ma lui ha fatto crollare le accuse che lo inchiodavano come mandate del Omicidio Pecorelli,UNICAMENTE perche' è riuscito a dimostrare giorno per giorno dove si trovava un decennio prima.
andando a trovare il luogo,cercando quindi nei registri degli alberghi,aereoporti,ecc per poter dimostrare di essere altrove e via dicendo.
cosa che nessuna persona normale potrebbe fare.

le accuse che non ha potuto far cadere,erano guardacaso quelle non aventi a che fare con la realta' concreta...cioe' quelle non falsificabili perche' assolutamente astratte.
(nel 1979 va a Palermo e si accorda coi mafiosi...bhe come fa uno a provare il contrario????????)
cioe' tutto il processo è stato fatto ribaltando il principio di innocenza fino a prova contraria,era l'imputato che doveva dimostrare dove era il 4 marzo del 1978,o il 12 giugno del 1981 alle 13:30.

x Sider
cioe' tu non hai nessun ipotesi sul perche' qualcuno voglia far passare uno dei piu' importanti politici della DC,e della storia del nostro paese come un colluso con la mafia?
che dire incredibile.

ALIEN3
03-02-2005, 22:17
Originariamente inviato da Anakin
hai risposto meglio di me.

per sottolineare parte di quel che hai detto,oltre ai soldi,Andreotti rispetto a chiunque altro,si è salvato e lui l'ha detto piu' volte,per il fatto di aver avuto nella sua vita sempre un agendina.

puo far rabbrividire,ma lui ha fatto crollare le accuse che lo inchiodavano come mandate del Omicidio Pecorelli,UNICAMENTE perche' è riuscito a dimostrare giorno per giorno dove si trovava un decennio prima.
andando a trovare il luogo,cercando quindi nei registri degli alberghi,aereoporti,ecc per poter dimostrare di essere altrove e via dicendo.
cosa che nessuna persona normale potrebbe fare.

le accuse che non ha potuto far cadere,erano guardacaso quelle non aventi a che fare con la realta' concreta...cioe' quelle non falsificabili perche' assolutamente astratte.
(nel 1979 va a Palermo e si accorda coi mafiosi...bhe come fa uno a provare il contrario????????)
cioe' tutto il processo è stato fatto ribaltando il principio di innocenza fino a prova contraria,era l'imputato che doveva dimostrare dove era il 4 marzo del 1978,o il 12 giugno del 1981 alle 13:30.

x Sider
cioe' tu non hai nessun ipotesi sul perche' qualcuno voglia far passare uno dei piu' importanti politici della DC,e della storia del nostro paese come un colluso con la mafia?
che dire incredibile.

Andreotti infatti ha lottato per ammettere definitavamente la sua innocenza. Soprattutto perchè mai uno dei più importante uomini politici della DC e del nostro Paese deve essere fatto passare come un mafioso????? (Anche se a me sembra alla fine che quasi tutti gli uomini che sono andati al governo, per forza devono stare con la mafia o invischiati in oscure vicende) Più che incredibile direi vergognoso e tendo a sottolineralo VERGOGNOSO.

Byezzzzzzzz:sofico: zzzzzzzzzzzzzzzz

Anakin
03-02-2005, 22:49
x Prio
scusa ho visto solo ora che mi avevi risposto.

innanzitutto apprezzo molto che hai letto con attenzione.

riguardo a quel che dici,capisco le precisazioni tue..
ma due cose.
la prima è che se questi testimoni non sono affidabili,non è perche' si sono confusi una volta,ma perche' non ne han detta una giusta delle cose che potevano essere verificabili.

inoltre non vorrei che in questo caos di eventi e accuse,si ribaltasse il giusto punto di vista!
secondo quel che dice la giustizia su cui la nostra societa' è fondata,non é Andreotti che deve dimostrare che non è colpevole,e che non ha fatto qualcosa in ogni singolo giorno di ogni anno...
ma è l'accusa che deve dimostrare che Andreotti è risultato colpevole di qualcosa in qualche momento negli anni passati.
se un "pentito" pressato da domande precise va a dirti dei giorni sbagliati,e sono cacchi suoi e dell'accusa...
cosa dovrebbe fare Andreotti?dimostrare che il pentito non si è confuso a dire in un secondo momento delle date sbagliate?

TXFW
03-02-2005, 23:08
Originariamente inviato da prio
Solo una precisazione: il pezzo che commenti con questa tua si riferisce ad eventi per cui Andreotti e' stato assolto, se non mi sbaglio. Diciamo che si e' liberato degli avvoltoi solo dopo la cassazione. :)

dantes76
04-02-2005, 00:25
Originariamente inviato da Gianpaolo81
Allora Dell'Utri è stato condannato per atti osceni in luogo pubblico :D

si ceerto come salvo lima e morto perche' gli e andato di traverso un salatino....