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View Full Version : Sudditi


CONFITEOR
14-01-2005, 03:04
Massimo Fini
Sudditi
Manifesto contro la Democrazia
Libro , Pagg. 147
Formato: 12x20.5
Prezzo € 9,00
Per la nostra cultura la democrazia è "il migliore dei sistemi possibili", un valore così universale che l'Occidente si ritiene in dovere di esportare, anche con la forza, presso popolazioni che hanno storia, vissuti e istituzioni completamente diversi. Fini demolisce questa radicata convinzione. Il suo attacco però non segue le linee né della critica di sinistra, che addebita alla democrazia liberale di non aver realizzato l'uguaglianza sociale, né di destra che la bolla come governo dei mediocri. La "democrazia reale" è un regime di minoranze organizzate, di oligarchie politiche economiche e criminali che schiaccia e asservisce l'individuo, già frustrato e reso anonimo dal meccanismo produttivo di cui la democrazia è l'involucro legittimante.
Un attacco al vissuto politico della democrazia non da uno dei due poli, ma dall'interno. Infatti quella sperimentata non corrispone a nessuno dei presupposti su cui dice di basarsi. Costituita soprattutto da oligarchie economiche e criminali asservisce ambiguamente l'individuo reso anonimo dal suo manipolante meccanismo. Un addio a tante scontate certezze.

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Che cos’è, realmente, la democrazia? Quando si cerca di definirla iniziano i guai. John Holmes, uno storico e teorico americano del liberalismo, ha scritto che i critici di destra della democrazia «si autodefiniscono negativamente» in opposizione al liberalismo e alla democrazia. C’è del vero. Ma si potrebbe dire, altrettanto legittimamente, che la democrazia si «autodefinisce negativamente» in opposizione alle dittature. Perché quando si cerca di darle un contenuto positivo, preciso e definito, si entra in un ginepraio.
Anche se restringiamo il campo alla democrazia liberale, che è quella che qui ci interessa perché è la forma che si è affermata in Occidente, e scartando quindi la democrazia diretta, quella socialista, quella corporativa, quella popolare, ci si trova di fronte a un animale proteiforme, mutante e sfuggente, di cui pare di essere sempre sul punto di cogliere l’essenza che tuttavia ci sfugge.
(…)
Cerchiamo da profani, di capirci almeno qualcosa. Democrazia significa, etimologicamente, «governo del popolo». Scordiamoci che il popolo abbia mai governato alcunché, almeno da quando esiste la democrazia liberale. Se c’è qualcosa che fa sorgere nell’anima di un liberale un puro sentimento di orrore è il governo del popolo. Quindi non è tanto paradossale scoprire che se il popolo ha governato qualcosa è stato in epoche preindustriali, preliberai, predemocratiche. Non è necessario andare a scovare, come da Alain de Benoist, remote realtà islandesi come l’Althing, una forma di autogoverno comparsa intorno all’anno Mille, dove «il thing, o parlamento locale, designa nel contempo un luogo e un’assemblea in cui gli uomini liberi detentori di diritti politici eguali, si riuniscono a date fisse per pronunciare la legge». Basta osservare la comunità di villaggio europea in epoche medievale e rinascimentale, prima che lo Stato nazionale si affermasse definitivamente assorbendo tutto il potere. L’assemblea del villaggio, formata da capifamiglia, in genere uomini ma anche donne se il marito era morto o assente, decideva assolutamente tutto ciò che riguardava il villaggio. A cominciare dall’essenziale: la ripartizione all’interno della comunità delle tasse reali e dei canoni che alimentano il bilancio comunale. E poi veniva tutto il resto: nomina il sindaco, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani delle messi, i riscossori di taglia, votava le spese, contraeva debiti, intentava processi, decideva la vendita, scambio e locazione dei boschi comuni, della riparazione delle strade, dei ponti, della chiesa, del presbiterio e così via.

Ma quella era la vecchia, cara democrazia diretta, che non sapeva nemmeno d’esser tale, che non aveva nome né teorizzatori, e che in Francia fu definitivamente spazzata via pochissimi anni prima della Rivoluzione, nel 1787, quando, sotto pressione dell’avanzante borghesia e della sua smania normativa e prescrittivi, un decreto reale, col pretesto di uniformare e regolare un’attività che aveva sempre funzionato benissimo, limitò il diritto di voto agli abitanti che pagano almeno dieci franchi di imposta e, soprattutto, introdusse il principio – che doveva diventare l’ambiguo cardine del potere politico in Occidente – della rappresentanza ) l’assemblea non decide più direttamente ma elegge dai sei ai nove membri…). Lo Stato assoluto reclamava per sé i diritti che quegli zoticoni dei contadini, degli autentici screanzati, si erano permessi di praticare. E poiché lo Stato è troppo grande territorialmente e complesso giuridicamente perché il popolo possa dire direttamente la sua, nacque la democrazia rappresentativa dove il cittadino, formalmente detentore del potere, lo delega a un altro che diventa il suo rappresentante, mentre il rappresentato, retrocesso alla condizione di governato, partecipa al momento decisionale attraverso periodiche elezioni che divengono, di fatto, l’unico momento in cui egli esercita, o si dice che eserciti, quel potere che è suo. E’ quindi all’interno del regime rappresentativo che va posta l’inquietante domanda: qual è l’elemento cardine della democrazia?

Sarà, forse, il consenso? Niente affatto. Il consenso può esistere anche nelle dittature, come insegnano il nazismo e fascismo, spesso anzi è assai più ampio di quello che i governatori possono ottenere in un regime democratico. Sarà allora il fatto che in democrazia il consenso è spontaneo e nelle dittature coatto? Anche questo è dubbio. Nazismo e fascismo ebbero per un certo periodo un consenso sicuramente spontaneo e volontario. Caduta l’egemonia dell’antifascismo militante, che aveva velato pudicamente per alcuni decenni la vergognosa verità, oggi non c’è libro di storia che non parli degli «anni del consenso» al regime mussoliniano.
Sono quindi le elezioni? Ma anche in Unione Sovietica, persino in Bulgaria, com’è noto, si tenevano elezioni.
E’ il pluripartitismo? Max Weber nota – e siamo già negli anni Venti del Novecento – che «l’esistenza dei partiti non è contemplata, da nessuna Costituzione» democratica e liberale. Non possono quindi essere i partiti l’elemento caratterizzante della democrazia liberale che esisteva anche prima della loro istituzionalizzazione.
Sarà, come alcuni dicono, «il potere della legge»? Ma il potere della legge esiste anche negli Stati autoritari, anzi più uno Stato è autoritario più questo potere è forte e invalicabili. Si obbietterà che negli Stati autoritari la legge è arbitraria e discrimina fra cittadino e cittadino. E’ perciò, allora, «l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge» il clou della democrazia? Ma anche questo nei regimi comunisti i cittadini sono uguali, almeno formalmente, davanti alla legge.

E allora il principio della rappresentanza? Ma anche il monarca «rappresenta il popolo».
Sarà dunque, come dice Popper, che la democrazia è quella forma di governo caratterizzato da un insieme di regole che permettono di cambiare i governanti senza far uso della violenza. Neppure questo. E’ storico che nelle aristocrazie il governo può passare da una fazione a un’altra senza spargimento di sangue.
E si potrebbe andare avanti, per pagine e per decenni, ma non si troverebbe la regola-base della democrazia liberale. Scriveva Carl Becker: «democrazia è una parola che non ha referente, dal momento che non c’è nessuna precisa e palpabile cosa o oggetto al quale tutti pensano quando pronuncia questa parola».
La democrazia è innanzitutto e soprattutto un metodo. Come ha intuito per primo Hans Kelsen. La democrazia è costituita da una serie di procedure formali, avalutative, cioè prive di contenuto e di valori, per determinare la scelta dei governanti sulla base del meccanismo del prevalere della volontà della maggioranza. Essendo una pura forma priva di contenuti valoriali è fondamentale che almeno questa forma sia rispettata. Ma nemmeno questo, come vedremo, avviene.
Inoltre, le procedure, seguendo il criterio della maggioranza, possono mutare e mutano nel tempo, a tal punto da potersi trasformare, con mezzi democratici, in un sistema sostanzialmente autoritario. Ma poiché non esiste un’essenza della democrazia, non esiste neppure una vera linea di confine per cui si possa dire con sicurezza che si è passati da un sistema all’altro.
Un esempio è il fenomeno berlusconiano in Italia – Paese di cui ci serviremo spesso in questo pamphlet, non perché c’interessi particolarmente, dato che il nostro discorso è generale, ma perché esasperando le ipocrisie, le falsità, le menzogne della democrazia le smaschera – dove un solo individuo ha potuto impadronirsi, con mezzi democratici, o comunque senza che le procedure democratiche potessero impedirlo, di un potere enorme.(…)

(...) Questo discorso introduce alla seconda premessa tradita della democrazia: la reale libertà del voto e del consenso. Il voto non è libero e il consenso è truccato.

Noi non scegliamo i candidati alle elezioni. Li scelgono i partiti, cioè le oligarchie. Il popolo che teoricamente e formalmente detiene la sovranità subisce dunque una doppia o tripla espropriazione. Prima delega la sovranità a dei rappresentanti, poi delega ai partiti la scelta dei candidati e infine, poichè gli apparati fanno blocco su chi vogliono che sia effettivamente eletto, anche dei rappresentanti.

Il sistema elettorale maggioritario completa l'espropriazione e la rende sfacciata. Se infatti col proporzionale il cittadino ha almeno l'illusione di fare una scelta fra candidati decisi da altri, col maggioritario a collegio uninominale la perde. Si può votare un solo candidato, quello deciso dal partito.

Nelle elezioni politiche italiane del 2001, il candidato al Senato di Forza Italia, Marcello Dell'Utri, un uomo con precedenti penali gravi e sottoposto a varie inchieste giudiziarie, sospettato, a torto o a ragione, di rapporti con la mafia, vinse con quasi il 50% dei voti nella città, Milano, che pochi anni prima era stata capofila della rivolta contro la criminalità politica. Giuliano Ferrara, direttore di un giornale fiancheggiatore di Forza Italia, spiegò: «In quel collegio avremmo potuto presentare anche un cavallo e avremmo vinto lo stesso». Ciò che non era riuscito all'imperatore romano Caligola, può riuscire in democrazia.

Il capo del partito (o comunque il ristretto gruppo dirigente che costituisce l'élite delle élites oligarchiche) non sceglie quindi solo i candidati ma, attraverso l'assegnazione di collegi sicuri, anche gli eletti, cioè chi deve concretamente rappresentare il popolo sovrano.

Ma in un sistema bipolare il potere del capo della coalizione si spinge più in là, il leader decide anche, e in una certa misura, sempre attraverso l'assegnazione di collegi "sicuri", in quale proporzione devono essere rappresentati in Parlamento i partiti alleati e minori.

Come è avvenuto in Italia alle ultime dove la Lega, grazie ad accordi con l'onorevole Berlusconi, ha ottenuto più parlamentari di quanti gliene attribuissero i voti effettivamente ricevuti, rimasti sotto il 4%.

Come nel sistema bolscevico il potere, di passaggio in passaggio, finiva per concentrarsi nelle mani di un solo uomo, il Segretario del partito, nella democrazia rappresentativa bipolare il potere passa dal popolo ai suoi rappresentanti, da costoro ai partiti, dai partiti agli apparati, dagli apparati al ristretto gruppo dirigente, da questo ai leader per condensarsi infine nel capo della coalizione. E' vero che qui i dictator sono almeno due, uno di maggioranza e uno di opposizione, ma questa contrapposizione, come vedremo fra poco, è solo apparente. (...)

Che anche l'alternanza al potere sia una delle tante finzioni di cui si nutre la democrazia è particolarmente evidente nei sistemi bipolari o bipartitici, soprattutto oggi, in una società senza più classi, composta da un indifferenziato ceto medio, e dove, dopo la caduta del comunismo, tutti i partiti, a parte qualche eccezione senza rilievo, sono a favore di quel libero mercato che, insieme al modello industriale, è il meccanismo reale che detta le condizioni della nostra esistenza, i nostri stili e ritmi di vita e di cui la democrazia è solo l'involucro legittimante, la carta più o meno luccicante che ricopre la caramella avvelenata.

In mancanza di vere alternative questo enorme ceto medio si divide fra destra e sinistra con la stessa razionalità con cui si tifa Roma invece che Lazio, Milan o Inter.

E quando il cosiddetto "popolo della sinistra" (o della destra) scende in piazza per festeggiare qualche vittoria elettorale, ballando, cantando, saltando, agitandosi, esaltandosi, è particolarmente patetico perchè i vantaggi che trae da quella vittoria sono puramente immaginari, o, nella migliore delle ipotesi, sentimentali, mentre i ricavi reali vanno non a quegli spettatori illusi ma a chi sta giocando la partita del potere.

Ad ogni tornata elettorale c'è un solo sconfitto sicuro, che non è la fazione che l'ha perduta ma proprio quel popolo festante insieme a quell'altro che è rimasto a casa a masticare amaro per le stesse irragionevoli ragioni per cui l'altro è sceso in piazza.

Vinca il Milan o l'Inter è sempre lo spettatore a pagare lo spettacolo. Quanto ai giocatori, ai vincitori andrà certamente la parte più consistente del bottino, ma anche ai perdenti non mancheranno i premi di consolazione. (...)

Quella politica, con i suoi addentellati, è in pratica la sola classe rimasta su piazza. Presa nel complesso è una nomenklatura, non molto diversa da quella sovietica, il cui obiettivo primario è l'autoconservazione., il mantenimento del potere e dei vantaggi che vi sono connessi.

E il nemico mortale di un oligarca non è tanto un altro oligarca, col quale si può sempre trovare un accordo, perchè si fa parte della stessa classe, si partecipa allo stesso gioco, ci si sbertuccia di giorno davanti agli schermi tv e si va a cena la sera, strizzandosi l'occhio, quasi increduli per aver fatto il colpo alla ruota della Fortuna, ma è proprio il popolo di cui va vampirizzato e magari, una volta ogni cinque anni, anche pietito il consenso, ma che va tenuto a bada e a debita distanza dagli arcana del potere democratico, perchè continui a credere, o almeno a fingere di credere, al gioco.

Innanzitutto le oligarchie politiche si autotutelano con una serie di guarentigie e di immunità di fronte alla legge penale. Quando ciò non basta c'è il controllo del potere giudiziario.

Poi vi sono amnistie, condoni, indulti, grazie per regolare il traffico a favore delle oligarchie (l'amnistia del 1988, in Italia, mise al sicuro contemporaneamente alcuni dirigenti dell'ex Pci e Berlusconi)...

Dice Bobbio:"La democrazia è il governo delle leggi per eccellenza. Nel momento in cui un regime democratico perde di vista questo suo principio ispiratore si rovescia rapidamente nel suo contrario, in una delle tante forme di governo autocratico".

Che cosa rimane, allora, alla fine di tutto, della democrazia? Rimane lo stanco rito delle elezioni, ripetute ogni quattro o cinque anni, dove ci vengono imposti dei candidati che non scegliamo e rappresentanti che non ci rappresentano. (...)

Ma le elezioni non hanno la funzione di eleggere rappresentanti scelti altrove. Ne hanno altre, ben più importamti. La prima è di legittimare il potere delle oligarchie, perpetuandolo. E' la stessa funzione che, nel Medioevo, aveva l'unzione del re, per consacrarlo e quindi legittimarlo.

Di fronte agli abusi e ai soprusi delle oligarchie (fra i più consueti c'è di favorire, in ogni settore e modo, i propri adepti a danno degli altri, premiando la fedeltà di gruppo sul merito) il cittadino singolo è inerme. Non può ricorrere alla violenza - ha le mani legate dalla legge - de è solo.

E' la prima volta che l'individuo si trova in una situazione di così totale impotenza di fronte alle oligarchie. In epoca premoderna e predemocratica ognuno faceva parte naturalmente di un gruppo, della famiglia allargata, di un clan, di un ordine, di una corporazione, di una comunità, che costituivano un qualche deterrente, argine e difesa contro gli abusi e i soprusi dei vari poteri, legittimi e arbitrari.

evelon
15-01-2005, 18:28
Tante cose sono condivisibili e (imho) giustissime.

Certo che però parte da basi errate:
Originariamente inviato da CONFITEOR
Per la nostra cultura la democrazia è "il migliore dei sistemi possibili",

Non mi pare sia così.