diafino
03-12-2004, 16:09
“Mi chiamo Francesco, compio trentun anni oggi, dovrei essere felice, dovrei festeggiare ma non riesco a farlo, sono morto da sette anni ma nessuno se ne accorge e io muoio ogni giorno di più; sempre più in fretta, inesorabilmente, tradito dagli amici, dai parenti, dai genitori e sconfitto dalla vita e da una malattia che ti uccide lentamente e che non ti lascia scampo.
Sette anni fa i medici mi dissero che ero malato di AIDS, si, avete letto bene, AIDS, sono quattro stupide lettere ma in esse si cela una tra le più grandi disgrazie che ad un uomo possano capitare.
All'epoca ero giovane, vitale, sorridente, avevo una ragazza che amavo con tutto me stesso e con la quale mi sarei dovuto sposare entro un anno.
Ora sono più vecchio, stanco, peso venti chili in meno e sono solo.
Solo, perché quella ragazza che diceva di amarmi con tutta se stessa appena ha saputo della mia malattia mi ha abbandonato, se n’è andata senza nemmeno guardarmi in faccia e dirmi che non poteva sopportare di vivere la vita assieme a me; mi ha lasciato un post-it a forma di cuore con su scritto: “Scusa”.
Rimasi impietrito di fronte a quel messaggio, ripensandoci penso che fosse la beffa finale, la ciliegina sulla torta che coronava la mia situazione; un post-it a forma di cuore, mi stava abbandonando e aveva lasciato un messaggio scritto su un foglio a forma di cuore, a volte la crudeltà umana non ha limiti. E poi quel “scusa”, una parola che aveva dell’amaro, scusa, come posso perdonare una che invece di dimostrarmi il suo amore se ne scappava a gambe levate?
Quando diedi la notizia ai miei genitori mia madre si mise a piangere, mio padre urlava in presa ad una crisi isterica, mia sorella che mi teneva per la mano appena sentì la parola AIDS la lasciò immediatamente e corse in bagno a lavarsela. Ad un certo punto mia madre smise di piangere e mio padre di urlare, si guardarono e mi dissero che forse era meglio se andavo a casa, perché avevo bisogno di riflettere e di star tranquillo; mentre uscivo vidi con la coda dell’occhio mia madre pulire con indosso dei guanti la sedia sulla quale m’ero seduto.
Due giorni dopo trovai un messaggio di mio padre in segreteria che mi diceva di non cercarli più perché, se io avevo condotto una vita sfrenata e adesso ne pagavo le conseguenze, loro non dovevano soffrirne e andarci di mezzo.
Provai mille volte a chiamarli ma appena sentivano la mia voce riattaccavano, mi recai a casa loro e quando cercai di entrare col mio mazzo di chiavi scoprii che avevano cambiato persino la serratura.
Una settimana prima avevo fatto da padrino al battesimo di mio nipote, il figlio di mia sorella, Marco, un bel bambino di otto mesi che era quanto di più prezioso avessi al mondo; l’avevo stretto forte tra le braccia, così come feci quando aveva pochi giorni di vita, gli dissi sottovoce che qualsiasi cosa sarebbe accaduta io sarei stato al suo fianco e che lo avrei sempre difeso e sostenuto.
Avrei voluto mantenere la mia promessa, più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma io mio nipote non lo vidi più.
Gli amici piano piano si allontanarono, all’inizio erano impegnati, irrintracciabili per i più svariati motivi, io non capivo e continuavo a cercarli, poi mi arresi all’evidenza ed iniziai la mia esistenza fatta di solitudine, una radio accesa che mi facesse compagnia, esami, farmaci e sofferenza fisica e mentale.
Mi ritrovai così ad aver molto tempo per pensare, fui anche licenziato per “prestazioni non all’altezza delle richieste”, altra beffa visto che sino al mese prima il mio capo mi aveva sempre indicato come esempio da seguire; pensavo al significato di tutto quanto mi stava accadendo, al perché delle cose e soprattutto a come avevo potuto contrarre questa malattia, io che avevo sempre condotto una vita sicura, senza imprudenze e senza eccessi di nessun tipo.
Feci esami su esami e andai a ricontrollare i miei vecchi test, quand’ero giovane giocavo a calcio a livello agonistico e tra i vari test ai quali ero sottoposto ogni otto mesi c’era anche il test sull’HIV, i risultati mi avevano sempre indicato negativo. Poi capii e con me anche i medici, avevo contratto il virus da un’altra persona e l’unica che poteva essere stata a passarmelo era lei, la ragazza con la quale dovevo sposarmi. All’inizio della nostra relazione usavamo sempre delle precauzioni, poi dopo che il rapporto diventò stabile e serio ne utilizzammo delle altre che proteggevano contro il rischio di gravidanze, ma non contro quello di malattie sessualmente trasmettibili come l’AIDS.
Quella parola scusa assunse un significato ancora più beffardo, fu un ulteriore pugno nello stomaco, avrei preferito sapere che era stata colpa mia, che avevo fatto tutto da solo…io che, povero deficiente, avevo cercato persino di compatirla e di trovare giustificazioni al suo comportamento ero stato tradito proprio dalla persona con la quale pensavo di trascorrere il resto della mia vita e che, una volta saputo che stavo male a causa sua, se n’era fuggita via a gambe levate.
Iniziò per me un lungo periodo di depressione, periodo dal quale non sono più uscito, la malattia manifestò tutti i vari segnali della sua presenza, iniziai a star male, a sentirmi sempre debole, si abbassarono tutti i miei valori di globuli bianchi e cominciai a non poter più uscire di casa nemmeno per fare quattro passi perché troppo debole per poterlo fare.
Negli anni presi tutti i farmaci che i medici mi prescrissero, nessuno funzionava in particolar modo, per alcuni addirittura sviluppai una serie di reazioni allergiche e di resistenze farmacologiche, le dosi aumentavano sempre ma nessuna medicina faceva effetto, mi sono sentito e tutt’ora mi sento una cavia.
I medici non sapendo che fare mi imbottiscono di medicine, nei loro occhi posso leggere la loro impotenza, la loro frustrazione ma in molti casi anche il loro menefreghismo, la loro insofferenza nei miei confronti.
Ho accettato di continuare ad andare avanti a far da cavia lasciandomi torturare da loro un po’ per la speranza remota ed inconscia che magari il farmaco successivo sarebbe stato quello buono, un po’ perché ho sperato che almeno ciò potesse essere utile alle loro ricerche e a coloro che, negli anni a venire, condivideranno la mia stessa triste sorte.
Alla televisione poco fa si parlava di gioia e di perdono, di affrontare la vita col sorriso sulle labbra e di viverla come un dono.
Io sono incazzato col mondo e non gli sorrido più, ho dimenticato come si fa, il mondo s’è accanito su di me quando io non gli avevo mai fatto nulla, mi ha fatto vivere una vita piena di sofferenza e di solitudine, mi ha fatto maledire d’essere nato, mi ha fatto detestare me stesso, i miei amici…odiare i miei genitori e tutti quelli che mi hanno abbandonato appena hanno saputo che non stavo bene.
Mi ha fatto passare gli ultimi anni della mia vita con la sola compagnia di radio e televisione, le accendo così almeno sento la voce di qualcuno e mi sento meno solo.
Ho festeggiato i miei ultimi sette anni da solo, soffiando sulle candeline ed esprimendo sempre lo stesso desiderio che non si avvera mai, quest’anno sono così debole che non riesco nemmeno a farlo; mi guardo allo specchio e mi faccio schifo per quello che sono diventato, vorrei solo che tutto questo finisca in fretta.
Marco, abbi misericordia di me, almeno tu, e ogni tanto pensa a quello zio che non hai mai chiamato per nome ma che ti ha stretto tante volte tra le sue braccia e che ti ha amato più della sua stessa vita. Quello zio dal quale, suo malgrado, sei stato strappato ma dal quale non sei mai stato dimenticato. Quello zio che ora sta morendo e che l’unica cosa a cui non può non fare a meno di pensare sei tu e la promessa che t’ha fatto.”
(testimonianza pubblicata su un sito di malati di AIDS il 20/10/93)
Francesco è morto la sera dopo il suo compleanno, il 17/10/93; la testimonianza è stata pubblicata dal medico che aveva in cura Francesco, uno dei tanti medici che lo avevano seguito in quegli anni. Era scritta su un foglio di quaderno ritrovato su un tavolo di casa sua con l’intestazione: “A Marco”; lo stesso medico era presente al funerale del suo paziente, erano presenti solo cinque persone, due medici, due infermiere e sua moglie, disse d’aver visto dietro ad un albero due persone anziane osservare la bara mentre veniva calata nella buca.
Quelle due persone non si avvicinarono e, da quanto poté constatare andando a portare dei fiori sulla tomba del suo paziente, non andarono nemmeno mai al cimitero a portargli una rosa o a pregare sulla sua tomba.
Decise di pubblicare la lettera su vari siti affinché il nipote, un giorno, avesse la possibilità di leggerla, di capire cosa realmente era successo e il valore della solidarietà e dell’amore.
A distanza di dieci anni questo medico ricevette una visita dal nipote di Francesco, aveva letto la lettera dello zio ed era venuto a ringraziarlo per avergli permesso di venire a conoscenza di quelle righe, le uniche rimastegli a testimonianza dell’esistenza di suo zio.
Leggendo queste righe è difficile per me mantenermi obiettiva e non provare schifo per quanto degli esseri umani possano fare. L’AIDS è una malattia di cui molti non conoscono che poche brevi informazioni, informazioni che spesso sono anche inesatte ed incomplete.
Vorrei commentare, dire centinaia di cose, ma forse le parole di questo ragazzo dicon già tutto da sole. Solitudine, abbandono, sofferenza, malattia; le esperienze più dolorose al quale un essere umano può essere sottoposto.
E’ difficile non perdere la speranza di fronte a simili testimonianze, è difficile non perderla quando, statistiche alla mano, si vede che gli anni passano e i contagi e le morti per AIDS aumentano, è difficile rimanere insensibili sapendo che dal 1 gennaio questa situazione non potrà far altro che peggiorare.
Il motivo?
Le grandi aziende farmaceutiche multinazionali che producono i farmaci necessari per la cura ed il controllo del virus HIV hanno chiesto ed ottenuto di essere le uniche a produrli e venderli in ogni paese del mondo; potranno venderli solo chi li produce da vent’anni, ovvero le multinazionali, tutte le altre aziende che, utilizzando il principio attivo del farmaco, hanno messo in vendita farmaci identici dal prezzo dalle 20 alle 30 volte più basso non potranno più farlo.
Queste aziende operavano solo in paesi quali l’India, il Brasile ed il Perù, producendo solo per i loro paesi, ma dal 1° gennaio 2005 non sarà più possibile.
I malati dovranno comprare i farmaci dal costo molto più elevato, se se li potranno permettere, ma, se come accadrà a gran parte della popolazione, i costi saranno troppo elevati per poterli acquistare, allora non sarà più possibile curare i malati; le statistiche di contagio e morti si impenneranno, così come i bilanci delle multinazionali farmaceutiche.
In nome del Dio denaro molta gente sarà lasciata morire…ma che gli importa al Signor XY padrone della casa farmaceutica XYZ se il povero Peruviano, Brasiliano o Indiano muore, il suo grafico s’impenna comunque e le entrate non subiscono flessioni.
Che bei giorni che ci attendono…
Provate a pensare alle parole di Francesco almeno una volta ogni tanto e, ricordatevi di cosa significhi soffrire.
Le precauzioni per evitare il contagio ci sono, non siate stupidi, usatele.
Sette anni fa i medici mi dissero che ero malato di AIDS, si, avete letto bene, AIDS, sono quattro stupide lettere ma in esse si cela una tra le più grandi disgrazie che ad un uomo possano capitare.
All'epoca ero giovane, vitale, sorridente, avevo una ragazza che amavo con tutto me stesso e con la quale mi sarei dovuto sposare entro un anno.
Ora sono più vecchio, stanco, peso venti chili in meno e sono solo.
Solo, perché quella ragazza che diceva di amarmi con tutta se stessa appena ha saputo della mia malattia mi ha abbandonato, se n’è andata senza nemmeno guardarmi in faccia e dirmi che non poteva sopportare di vivere la vita assieme a me; mi ha lasciato un post-it a forma di cuore con su scritto: “Scusa”.
Rimasi impietrito di fronte a quel messaggio, ripensandoci penso che fosse la beffa finale, la ciliegina sulla torta che coronava la mia situazione; un post-it a forma di cuore, mi stava abbandonando e aveva lasciato un messaggio scritto su un foglio a forma di cuore, a volte la crudeltà umana non ha limiti. E poi quel “scusa”, una parola che aveva dell’amaro, scusa, come posso perdonare una che invece di dimostrarmi il suo amore se ne scappava a gambe levate?
Quando diedi la notizia ai miei genitori mia madre si mise a piangere, mio padre urlava in presa ad una crisi isterica, mia sorella che mi teneva per la mano appena sentì la parola AIDS la lasciò immediatamente e corse in bagno a lavarsela. Ad un certo punto mia madre smise di piangere e mio padre di urlare, si guardarono e mi dissero che forse era meglio se andavo a casa, perché avevo bisogno di riflettere e di star tranquillo; mentre uscivo vidi con la coda dell’occhio mia madre pulire con indosso dei guanti la sedia sulla quale m’ero seduto.
Due giorni dopo trovai un messaggio di mio padre in segreteria che mi diceva di non cercarli più perché, se io avevo condotto una vita sfrenata e adesso ne pagavo le conseguenze, loro non dovevano soffrirne e andarci di mezzo.
Provai mille volte a chiamarli ma appena sentivano la mia voce riattaccavano, mi recai a casa loro e quando cercai di entrare col mio mazzo di chiavi scoprii che avevano cambiato persino la serratura.
Una settimana prima avevo fatto da padrino al battesimo di mio nipote, il figlio di mia sorella, Marco, un bel bambino di otto mesi che era quanto di più prezioso avessi al mondo; l’avevo stretto forte tra le braccia, così come feci quando aveva pochi giorni di vita, gli dissi sottovoce che qualsiasi cosa sarebbe accaduta io sarei stato al suo fianco e che lo avrei sempre difeso e sostenuto.
Avrei voluto mantenere la mia promessa, più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma io mio nipote non lo vidi più.
Gli amici piano piano si allontanarono, all’inizio erano impegnati, irrintracciabili per i più svariati motivi, io non capivo e continuavo a cercarli, poi mi arresi all’evidenza ed iniziai la mia esistenza fatta di solitudine, una radio accesa che mi facesse compagnia, esami, farmaci e sofferenza fisica e mentale.
Mi ritrovai così ad aver molto tempo per pensare, fui anche licenziato per “prestazioni non all’altezza delle richieste”, altra beffa visto che sino al mese prima il mio capo mi aveva sempre indicato come esempio da seguire; pensavo al significato di tutto quanto mi stava accadendo, al perché delle cose e soprattutto a come avevo potuto contrarre questa malattia, io che avevo sempre condotto una vita sicura, senza imprudenze e senza eccessi di nessun tipo.
Feci esami su esami e andai a ricontrollare i miei vecchi test, quand’ero giovane giocavo a calcio a livello agonistico e tra i vari test ai quali ero sottoposto ogni otto mesi c’era anche il test sull’HIV, i risultati mi avevano sempre indicato negativo. Poi capii e con me anche i medici, avevo contratto il virus da un’altra persona e l’unica che poteva essere stata a passarmelo era lei, la ragazza con la quale dovevo sposarmi. All’inizio della nostra relazione usavamo sempre delle precauzioni, poi dopo che il rapporto diventò stabile e serio ne utilizzammo delle altre che proteggevano contro il rischio di gravidanze, ma non contro quello di malattie sessualmente trasmettibili come l’AIDS.
Quella parola scusa assunse un significato ancora più beffardo, fu un ulteriore pugno nello stomaco, avrei preferito sapere che era stata colpa mia, che avevo fatto tutto da solo…io che, povero deficiente, avevo cercato persino di compatirla e di trovare giustificazioni al suo comportamento ero stato tradito proprio dalla persona con la quale pensavo di trascorrere il resto della mia vita e che, una volta saputo che stavo male a causa sua, se n’era fuggita via a gambe levate.
Iniziò per me un lungo periodo di depressione, periodo dal quale non sono più uscito, la malattia manifestò tutti i vari segnali della sua presenza, iniziai a star male, a sentirmi sempre debole, si abbassarono tutti i miei valori di globuli bianchi e cominciai a non poter più uscire di casa nemmeno per fare quattro passi perché troppo debole per poterlo fare.
Negli anni presi tutti i farmaci che i medici mi prescrissero, nessuno funzionava in particolar modo, per alcuni addirittura sviluppai una serie di reazioni allergiche e di resistenze farmacologiche, le dosi aumentavano sempre ma nessuna medicina faceva effetto, mi sono sentito e tutt’ora mi sento una cavia.
I medici non sapendo che fare mi imbottiscono di medicine, nei loro occhi posso leggere la loro impotenza, la loro frustrazione ma in molti casi anche il loro menefreghismo, la loro insofferenza nei miei confronti.
Ho accettato di continuare ad andare avanti a far da cavia lasciandomi torturare da loro un po’ per la speranza remota ed inconscia che magari il farmaco successivo sarebbe stato quello buono, un po’ perché ho sperato che almeno ciò potesse essere utile alle loro ricerche e a coloro che, negli anni a venire, condivideranno la mia stessa triste sorte.
Alla televisione poco fa si parlava di gioia e di perdono, di affrontare la vita col sorriso sulle labbra e di viverla come un dono.
Io sono incazzato col mondo e non gli sorrido più, ho dimenticato come si fa, il mondo s’è accanito su di me quando io non gli avevo mai fatto nulla, mi ha fatto vivere una vita piena di sofferenza e di solitudine, mi ha fatto maledire d’essere nato, mi ha fatto detestare me stesso, i miei amici…odiare i miei genitori e tutti quelli che mi hanno abbandonato appena hanno saputo che non stavo bene.
Mi ha fatto passare gli ultimi anni della mia vita con la sola compagnia di radio e televisione, le accendo così almeno sento la voce di qualcuno e mi sento meno solo.
Ho festeggiato i miei ultimi sette anni da solo, soffiando sulle candeline ed esprimendo sempre lo stesso desiderio che non si avvera mai, quest’anno sono così debole che non riesco nemmeno a farlo; mi guardo allo specchio e mi faccio schifo per quello che sono diventato, vorrei solo che tutto questo finisca in fretta.
Marco, abbi misericordia di me, almeno tu, e ogni tanto pensa a quello zio che non hai mai chiamato per nome ma che ti ha stretto tante volte tra le sue braccia e che ti ha amato più della sua stessa vita. Quello zio dal quale, suo malgrado, sei stato strappato ma dal quale non sei mai stato dimenticato. Quello zio che ora sta morendo e che l’unica cosa a cui non può non fare a meno di pensare sei tu e la promessa che t’ha fatto.”
(testimonianza pubblicata su un sito di malati di AIDS il 20/10/93)
Francesco è morto la sera dopo il suo compleanno, il 17/10/93; la testimonianza è stata pubblicata dal medico che aveva in cura Francesco, uno dei tanti medici che lo avevano seguito in quegli anni. Era scritta su un foglio di quaderno ritrovato su un tavolo di casa sua con l’intestazione: “A Marco”; lo stesso medico era presente al funerale del suo paziente, erano presenti solo cinque persone, due medici, due infermiere e sua moglie, disse d’aver visto dietro ad un albero due persone anziane osservare la bara mentre veniva calata nella buca.
Quelle due persone non si avvicinarono e, da quanto poté constatare andando a portare dei fiori sulla tomba del suo paziente, non andarono nemmeno mai al cimitero a portargli una rosa o a pregare sulla sua tomba.
Decise di pubblicare la lettera su vari siti affinché il nipote, un giorno, avesse la possibilità di leggerla, di capire cosa realmente era successo e il valore della solidarietà e dell’amore.
A distanza di dieci anni questo medico ricevette una visita dal nipote di Francesco, aveva letto la lettera dello zio ed era venuto a ringraziarlo per avergli permesso di venire a conoscenza di quelle righe, le uniche rimastegli a testimonianza dell’esistenza di suo zio.
Leggendo queste righe è difficile per me mantenermi obiettiva e non provare schifo per quanto degli esseri umani possano fare. L’AIDS è una malattia di cui molti non conoscono che poche brevi informazioni, informazioni che spesso sono anche inesatte ed incomplete.
Vorrei commentare, dire centinaia di cose, ma forse le parole di questo ragazzo dicon già tutto da sole. Solitudine, abbandono, sofferenza, malattia; le esperienze più dolorose al quale un essere umano può essere sottoposto.
E’ difficile non perdere la speranza di fronte a simili testimonianze, è difficile non perderla quando, statistiche alla mano, si vede che gli anni passano e i contagi e le morti per AIDS aumentano, è difficile rimanere insensibili sapendo che dal 1 gennaio questa situazione non potrà far altro che peggiorare.
Il motivo?
Le grandi aziende farmaceutiche multinazionali che producono i farmaci necessari per la cura ed il controllo del virus HIV hanno chiesto ed ottenuto di essere le uniche a produrli e venderli in ogni paese del mondo; potranno venderli solo chi li produce da vent’anni, ovvero le multinazionali, tutte le altre aziende che, utilizzando il principio attivo del farmaco, hanno messo in vendita farmaci identici dal prezzo dalle 20 alle 30 volte più basso non potranno più farlo.
Queste aziende operavano solo in paesi quali l’India, il Brasile ed il Perù, producendo solo per i loro paesi, ma dal 1° gennaio 2005 non sarà più possibile.
I malati dovranno comprare i farmaci dal costo molto più elevato, se se li potranno permettere, ma, se come accadrà a gran parte della popolazione, i costi saranno troppo elevati per poterli acquistare, allora non sarà più possibile curare i malati; le statistiche di contagio e morti si impenneranno, così come i bilanci delle multinazionali farmaceutiche.
In nome del Dio denaro molta gente sarà lasciata morire…ma che gli importa al Signor XY padrone della casa farmaceutica XYZ se il povero Peruviano, Brasiliano o Indiano muore, il suo grafico s’impenna comunque e le entrate non subiscono flessioni.
Che bei giorni che ci attendono…
Provate a pensare alle parole di Francesco almeno una volta ogni tanto e, ricordatevi di cosa significhi soffrire.
Le precauzioni per evitare il contagio ci sono, non siate stupidi, usatele.