View Full Version : Yasser Arafat è morto.
*sasha ITALIA*
11-11-2004, 11:28
Come ormai tutti saprete, è deceduto stanotte intorno alle 3:30 ora italiana.
Una cosa che mi chiedo: perchè è morto? Perchè l'ospedale parigino non rilascia informazioni?
Arafat mi pare fosse il 5° uomo più ricco al mondo (alla faccia del popolo palestinese... :rolleyes: ) ora mi chiedo (fantapoliticamente) non è che sia in qualche modo stato avvelenato dai suoi stessi collaboratori?
Quando si ha oltre che ad un'eredità politica un'eredità da diversi miliardi....
*sasha ITALIA*
11-11-2004, 11:33
da "La Padania Online" :p
Nel 2003 un rapporto del Fondo monetario internazionale ha stabilito che il presidente palestinese aveva “dirottato” verso conti privati complessivamente 900 milioni di dollari. I suoi investimenti spaziavano allora dai Casinò a compagnie di cemento, nonché a compagnie telefoniche in Algeria e Tunisia. Da parte sua la rete televisiva Cbs, ha stimato che il patrimonio controllato da Arafat con l’aiuto di Rashid si aggiri sugli 800 milioni di dollari. La rivista economica Forbes ha citato in merito valutazioni attribuite all’intelligence di Israele secondo cui Arafat controllava nel 2003 circa 1,3 miliardi di dollari, al di fuori delle casse dell’Anp.
http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=29746,1,1
se qualcuno trova altre fonti..
ora vediamo che succederà da domani
BadMirror
11-11-2004, 11:42
Sulla causa di morte non saprei ma nel tira&molla di questi giorni c'entra sicuramente sia il passaggio di carica sia la questione dei soldi, anzi le forti pressioni sulla moglie possono essere parzialmente spiegate anche per questo motivo, non credo che i leader palestinesi accettino di veder sfumare le fortune di Arafat, non sono proprio bruscolini. Soldi&potere, nulla di nuovo.
Originariamente inviato da *sasha ITALIA*
Arafat mi pare fosse il 5° uomo più ricco al mondo
azz... davvero?:eek: questa non la sapevo.
comunque, mi spiace per la sua morte.:(
-kurgan-
11-11-2004, 11:58
ultimamente era totalmente rimbecillito, lo si notava immediatamente vedendolo in tv... chiaramente era manovrato da altre persone, mi ricordava uno di quei nonnini che si vedono negli ospizi.
ora che e' morto vedremo chi ne prendera' il posto.. spero bene, ma penso male.
vedremo..
bluelake
11-11-2004, 12:01
Era il simbolo stesso della causa palestinese. La sua militanza risale ai primi anni Cinquanta. Da studente prima e da comandante militare poi è stato per mezzo secolo il principale sostenitore della nascita di uno Stato palestinese. Ha fondato Al Fatah, poi confluita nell'Olp, ha superato indenne il «settembre nero» del 1970, ha vissuto in Kuwait, a Beirut e Tunisi e dopo 27 anni di esilio è tornato nei territori palestinesi alla guida dell'Anp per finire recluso nella sua fortezza della Muqata, assediato dai tank israeliani. Musulmano sunnita, sposato, nel 1994 ha vinto il Nobel per la pace. Ecco le date più significative della sua vita.
1929: Nasce in Egitto. A 16 anni comincia a contrabbandare armi verso la Palestina per combattere gli inglesi e gli ebrei
1948: Con la creazione dello Stato di Israele, si rifugia a
Gaza e poi in Egitto dove diventa presidente dell'Unione degli
studenti palestinesi dal 1952 al 1956
1959 - Si stabilisce in Kuwait dove lavora come ingegnere e fonda il movimento nazionale di Al Fatah
1964: Lascia il Kuwait per dedicarsi alla lotta palestinese. Al Fatah entra nell'organizzazione per la liberazione della Palestina
1969: Viene eletto presidente del Comitato esecutivo
dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), in
clandestinità assume il nome di Abu Ammar (il padre di Ammar)
1974: Il vertice arabo di Rabat riconosce l'Olp come il solo
e legittimo rappresentante del popolo palestinese
1971-1982: Vive a Beirut, da dove è costretto a fuggire e a
rifugiarsi in Tunisia
1987: Associa il suo nome all'Intifada
1990: Appoggia l'invasione irachena del Kuwait da parte di Saddam Hussein
1992: Sposa la propria assistente, la cristiana Suha Tawil, da cui ha una figlia
1992: Sopravvive a un grave incidente in macchina nel deserto libico
1994: Vince il premio Nobel per la Pace con i leader
israeliani Yitzhak Rabin, assassinato il 27 ottobre 1995, e
Shimon Peres, per gli accordi di pace firmati alla Casa Bianca
nel 1993. Rientra nei territori palestinesi
1995: Con Rabin firma un accordo sulla presenza israeliana in Cisgiordania. Rabin verrà poi assassinato nel novembre dello stesso anno da un ultranazionalista israeliano
1996: Eletto presidente dell'Autorità palestinese
1998: Firma con Netanyahu un accordo sul ritiro graduale di Israele dalla Cisgiordania
1999: Nuovo accordo con Ehud Barak
2000: I negoziati di pace si interrompono. Inizia la seconda Intifada
2001: Il suo vecchio nemico, Ariel Sharon, viene eletto primo ministro in Israele
2001: E' messo al confino a Ramallah, dove l'esercito israeliano lo tiene sotto assedio nel suo quartier generale diroccato
2002: Il presidente americano George W. Bush lo dichiara politicamente morto
2003: Il consiglio di sicurezza israeliano dà parere positivo in linea di principio all'espulsione di Arafat dai territori.
2004: Ricoverato a Parigi dopo un grave peggioramento della sua salute
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/11_Novembre/04/arafatbio.shtml
-kurgan-
11-11-2004, 12:04
Originariamente inviato da BadMirror
Sulla causa di morte non saprei ma nel tira&molla di questi giorni c'entra sicuramente sia il passaggio di carica sia la questione dei soldi, anzi le forti pressioni sulla moglie possono essere parzialmente spiegate anche per questo motivo, non credo che i leader palestinesi accettino di veder sfumare le fortune di Arafat, non sono proprio bruscolini. Soldi&potere, nulla di nuovo.
si, concordo.
tra l'altro ho saputo che il giorno della morte "casualmente" coincide con un anniversario noto agli islamici. Praticamente l'hanno fatto coincidere, visto che la morte cerebrale e' storia di un po' di tempo fa...
che teatrino ridicolo..
La morte di Arafat sembra essere diventata una questione politica ed economica, dimenticando i risvolti umani della faccenda.
Mentre il vecchio leader agonizzava su un letto tenuto in vita dalle macchine si litigava per la sua successione, si litigava per spartirsi il suo patrimonio (stimato in circa 4 miliardi di dollari, possibile?), si litigava sul luogo della sepoltura. La moglie reclamava una sorta di buonuscita e un vitalizio "onorevole" che potesse mantenerla in maniera "adeguata" a Parigi, la sepoltura avverrà a Ramalla (è corretto?) in attesa del momento in cui Israele gli concederà di essere sepolto a Gerusalemme, le autorità palestinesi volevano indietro i soldi che Arafat aveva "accantonato per la causa"...
E intanto Arafat moriva e di questo in fondo non importava niente a nessuno :boh:
fabius00
11-11-2004, 15:20
io non sono ne con gli israeliani ne con i palestinesi, ma arafat non l'ho mai retto!
uno che entra nel palzzo dell'ONU e fa questo monologo:
"io sono un uomo che nella mano destra ha un mitra e nella sinistra un ramo d'ulivo. Ecco fate che il ramoscello d'ulivo non cadda mai dalla mia mano" io l'avrei preso e cacciato a calci in culo! :mad:
Come mai non dicono di cosa è morto?
Boh.
Pure il nobel per la pace gli avevano dato :doh: cosa ne penseranno le vittime degli attentati voluti da lui e dalla sua organizzazione :boh:
majin mixxi
11-11-2004, 18:56
Originariamente inviato da the_joe
Pure il nobel per la pace gli avevano dato :doh: cosa ne penseranno le vittime degli attentati voluti da lui e dalla sua organizzazione :boh:
come si fa a risponderti senza dire la verità?
Jamal Crawford
11-11-2004, 20:05
Yasser Arafat e' morto, un terrorista in meno
Paracleto
11-11-2004, 22:05
Originariamente inviato da bluelake
Era il simbolo stesso della causa palestinese. La sua militanza risale ai primi anni Cinquanta. Da studente prima e da comandante militare poi è stato per mezzo secolo il principale sostenitore della nascita di uno Stato palestinese. Ha fondato Al Fatah, poi confluita nell'Olp, ha superato indenne il «settembre nero» del 1970, ha vissuto in Kuwait, a Beirut e Tunisi e dopo 27 anni di esilio è tornato nei territori palestinesi alla guida dell'Anp per finire recluso nella sua fortezza della Muqata, assediato dai tank israeliani. Musulmano sunnita, sposato, nel 1994 ha vinto il Nobel per la pace. Ecco le date più significative della sua vita.
1929: Nasce in Egitto. A 16 anni comincia a contrabbandare armi verso la Palestina per combattere gli inglesi e gli ebrei
1948: Con la creazione dello Stato di Israele, si rifugia a
Gaza e poi in Egitto dove diventa presidente dell'Unione degli
studenti palestinesi dal 1952 al 1956
1959 - Si stabilisce in Kuwait dove lavora come ingegnere e fonda il movimento nazionale di Al Fatah
1964: Lascia il Kuwait per dedicarsi alla lotta palestinese. Al Fatah entra nell'organizzazione per la liberazione della Palestina
1969: Viene eletto presidente del Comitato esecutivo
dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), in
clandestinità assume il nome di Abu Ammar (il padre di Ammar)
1974: Il vertice arabo di Rabat riconosce l'Olp come il solo
e legittimo rappresentante del popolo palestinese
1971-1982: Vive a Beirut, da dove è costretto a fuggire e a
rifugiarsi in Tunisia
1987: Associa il suo nome all'Intifada
1990: Appoggia l'invasione irachena del Kuwait da parte di Saddam Hussein
1992: Sposa la propria assistente, la cristiana Suha Tawil, da cui ha una figlia
1992: Sopravvive a un grave incidente in macchina nel deserto libico
1994: Vince il premio Nobel per la Pace con i leader
israeliani Yitzhak Rabin, assassinato il 27 ottobre 1995, e
Shimon Peres, per gli accordi di pace firmati alla Casa Bianca
nel 1993. Rientra nei territori palestinesi
1995: Con Rabin firma un accordo sulla presenza israeliana in Cisgiordania. Rabin verrà poi assassinato nel novembre dello stesso anno da un ultranazionalista israeliano
1996: Eletto presidente dell'Autorità palestinese
1998: Firma con Netanyahu un accordo sul ritiro graduale di Israele dalla Cisgiordania
1999: Nuovo accordo con Ehud Barak
2000: I negoziati di pace si interrompono. Inizia la seconda Intifada
2001: Il suo vecchio nemico, Ariel Sharon, viene eletto primo ministro in Israele
2001: E' messo al confino a Ramallah, dove l'esercito israeliano lo tiene sotto assedio nel suo quartier generale diroccato
2002: Il presidente americano George W. Bush lo dichiara politicamente morto
2003: Il consiglio di sicurezza israeliano dà parere positivo in linea di principio all'espulsione di Arafat dai territori.
2004: Ricoverato a Parigi dopo un grave peggioramento della sua salute
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/11_Novembre/04/arafatbio.shtml
manca la parte dove ammazza i civili
...è morto accanto al suo popolo(idealmente), il posto dove poi ha sempre vissuto, in mezzo alla gente...senza troppi agi e comodità. Nn è stato un santo certo...ma a capo di governi ben più "immacolati", civili, e moderni ci sono carnefici ben più subdoli e votati al terrorismo di quanto lo è stato lui.
Il rispetto nn glielo si può negare.
Paracleto
11-11-2004, 23:32
Originariamente inviato da Ciaba
...è morto accanto al suo popolo(idealmente), il posto dove poi ha sempre vissuto, in mezzo alla gente...senza troppi agi e comodità. Nn è stato un santo certo...ma a capo di governi ben più "immacolati", civili, e moderni ci sono carnefici ben più subdoli e votati al terrorismo di quanto lo è stato lui.
Il rispetto nn glielo si può negare.
se posso dire la mia, io il rispetto glielo nego senza tanti problemi
Lucio Virzì
11-11-2004, 23:52
La cerimonia al Cairo rischiava di diventare un "caso" politico
Fino a sera era stata annunciata solo la presenza di Mantica
Non solo un sottosegretario
Ai funerali Pera e Alemanno
Da molti paesi Ue le delegazioni saranno ad alto livello
Fini aveva detto: "Mantica va benissimo per il governo"
di MARCO BRACCONI
Silvio Berlusconi
ROMA - Dal mattino le opposizioni avevano annunciato la loro presenza al gran completo. Con i leader, e non solo. Il governo, invece, per ore e ore ha parlato di una delegazione di basso profilo. Il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica. E basta. Nemmeno un ministro. Una scelta che rischiava di far diventare i funerali di Yasser Arafat un "caso" per la politica italiana. Interna ed estera. Tanto è vero che in serata, alla fine, è arrivata la notizia della partecipazione del presidente del Senato Marcello Pera e del ministro Gianni Alemanno.
La sola presenza di Mantica sarebbe stata una mosca bianca, al ribasso, mentre da Londra si prepara a partire per Il Cairo il capo della diplomazia Jack Straw. Lo stesso faranno Francia e Germania, con i loro ministri degli Esteri Michel Barnier e Joschka Fischer. E così la Spagna, il Portogallo, la Grecia. Per l'Unione Europea, andrà al Cairo l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Xavier Solana.
Per l'Italia, al contrario, per ore, previsto solo un sottosegretario. Poi ecco i nomi di Pera e Alemanno. Non ci sarà Berlusconi, ma pochissimi saranno i capi di governo che parteciperanno alle esequie. Però non andrà neanche Frattini, che è ancora ministro degli Esteri, né Gianfranco Fini, pronto a succedergli alla Farnesina.
Forse non è un caso che il vicepremier, stamattina a Tel Aviv, abbia detto che "Arafat ha avuto comportamenti ambigui con il terrorismo" e ribadito che "l'Italia è forse in Europa il Paese più amico di Israele". Poi, alcune ore dopo, proprio poco prima che la delegazione italiana si alzasse di livello, dirà chiaramente che il sottosegretario Mantica "è la persona più adatta" per rappresentare il governo italiano ai funerali del Cairo.
Resta il fatto che per tutta la giornata il governo italiano ha preso una decisione che rischiava di isolarlo in Europa. Perché il livello delle delegazioni che partecipano a un funerale di questo tipo è sempre un fatto politico. E il fatto politico è che il governo italiano aveva scelto il profilo più basso tra tutti i Paesi europei. Simile, invece, a quanto deciso dagli Stati Uniti da dove non partirà Colin Powell ma solo il vice segretario di Stato per il Medio Oriente William Burns.
In Italia, intanto, salta agli occhi, comunque, la differenza con quanto farà l'opposizione. Che ha rinviato la riunione di domani della Gad e sarà rappresentata da Piero Fassino e Massimo D'Alema per i Ds, Oliviero Diliberto e Armando Cossutta per i Comunisti italiani, il segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti. Pronti a porgere l'estremo saluto allo scomparso leader dell'Olp. E a polemizzare di nuovo con un governo che da tempo accusano di fare scelte fuori dal comune sentire dell'Europa.
(11 novembre 2004)
Originariamente inviato da Jamal Crawford
Yasser Arafat e' morto, un terrorista in meno
Peccato che un'altro terrorista sia il primo ministro israeliano.
NeSs1dorma
12-11-2004, 01:55
Originariamente inviato da the_joe
Pure il nobel per la pace gli avevano dato :doh: cosa ne penseranno le vittime degli attentati voluti da lui e dalla sua organizzazione :boh:
infatti. ha sulla coscienza centinaia di morti.
un terrorista di meno sulla faccia della terra
Lucio Virzì
12-11-2004, 08:28
Per chi, senza averne alcun titolo, vomita offese nei confronti di Arafat, non ancora tumulato: come accogliete la notizia della delegazione ufficiale Italiana che sarà presente alle esequie insieme a quelle degli altri paesi?
LuVi
jumpermax
12-11-2004, 10:04
Originariamente inviato da Lucio Virzì
Per chi, senza averne alcun titolo, vomita offese nei confronti di Arafat, non ancora tumulato: come accogliete la notizia della delegazione ufficiale Italiana che sarà presente alle esequie insieme a quelle degli altri paesi?
LuVi
Come una forma di ipocrisia che mi disgusta. Già avevo una pessima idea di lui per quello che aveva fatto da vivo, figuriamoci dopo aver visto il balletto di cifre e conti segreti che c'è stato alla sua morte. Non mi risulta che alla morte di Ceausescu ci sia andata qualche delegazione... ecco più o meno il concetto è lo stesso. L'unica cosa che salva la questione è il valore che Arafat aveva per i palestinesi che ha tiranneggiato e sfruttato per tutti questi anni, certo avrei preferito mille volte di più che fosse morto dopo la creazione di uno stato palestinese, in modo che non potendo più usare gli israeliani come scudo i palestinesi vedessero coi loro occhi che razza di persona fosse. Ma sarebbe morto 5 minuti dopo credo... e qualcuno crede ancora che stesse lavorando per la pace. Mah....
Geremia TNT
12-11-2004, 10:16
Originariamente inviato da Lucio Virzì
Per chi, senza averne alcun titolo, vomita offese nei confronti di Arafat, non ancora tumulato:.......
LuVi
Mi chiedo chi possa averne titolo? Allora non vedo che titolo si possa avere per vomitare offese, ad es., contro il Presidente USA ......
Originariamente inviato da Lucio Virzì
...... come accogliete la notizia della delegazione ufficiale Italiana che sarà presente alle esequie insieme a quelle degli altri paesi?
LuVi
Una mossa squisitamente ipocrita. Specialmente dopo lo squallido "tira e molla" a cui abbiamo assitito sulle cifre, conti, etc...
L'unica cosa positiva é il simbolo che era per tutti i palestinesi, che comunque ha tiranneggiato negli anni del suo "potere", al livello di tanti altri dittatori...
ciao
Originariamente inviato da Lucio Virzì
Per chi, senza averne alcun titolo, vomita offese nei confronti di Arafat, non ancora tumulato: come accogliete la notizia della delegazione ufficiale Italiana che sarà presente alle esequie insieme a quelle degli altri paesi?
LuVi
Se ho vomitato offese dicendo che secondo me il nobel per la pace non se lo meritava nel modo più assoluto, credo di aver detto la verità, per quanto riguarda la presenza dei delegati dei governi al suo funerale, ritengo che sia un atto in qualche modo "dovuto" in quanto bene o male Arafat è sempre stato l'interlocutore per i palestinesi quindi per non fomentare discordia (cosa che in quei posti non manca) credo sia bene essere diplomatici.
La morte di Yasser Arafat
Usato e isolato di Magdi Allam
Una moschea all’interno di una struttura militare nei pressi dell’aeroporto internazionale del Cairo, la sede prescelta per l’odierna cerimonia funebre ufficiale di Yasser Arafat, simboleggia l’isolamento sostanziale e tradisce l’ostracismo effettivo che per oltre un trentennio gli hanno riservato i fratelli-nemici arabi. Si tratta di un’area chiusa e asettica dove non ci sarà spazio per il sentimento e la partecipazione popolare. L'amara verità è che Arafat era formalmente tollerato ma in realtà osteggiato dagli altri leader arabi. Basti pensare al fatto che ci sono stati molti più palestinesi massacrati in Giordania, Libano e Siria di quanti non siano stati uccisi dagli israeliani. L'amara verità è che con Arafat la causa palestinese si è trasformata in uno strumento di conservazione del potere dei regimi arabi, aizzando e mobilitando le masse contro l'eterno nemico sionista esterno, per celare e aggirare la realtà di tirannia e sottosviluppo interno. Anche se in definitiva, al di là della demagogia e dell'inganno, i palestinesi hanno scoperto di non essere poi così tanto amati nel mondo arabo.
Questa realtà era tangibile nella reazione della popolazione egiziana quando accolse entusiasticamente il presidente Anwar al Sadat al rientro al Cairo dopo la firma degli accordi di pace di Camp David con Menahem Begin nel 1978. In quella circostanza Arafat esclamò all'indirizzo di Sadat: «Gli mozzerò le mani con cui ha sottoscritto quegli accordi». Eppure quindici anni dopo, il 13 settembre 1993, nello stesso Giardino delle rose della Casa Bianca, Arafat firmò con Yitzhak Rabin un accordo quadro meno vantaggioso e da una posizione di maggiore debolezza dei palestinesi.
Ebbene nell'abbraccio degli egiziani a Sadat c'era un profondo senso di liberazione e di emancipazione: «Noi abbiamo pagato il prezzo più ingente sul piano delle vite umane e dei costi economici nel corso di tre guerre con Israele», era il ragionamento ricorrente tra la popolazione, «E' ora di dire basta. Noi abbiamo fatto la nostra parte e continueremo a farla tramite l'arma del negoziato. Nessuno può rimproverarci e impartirci lezioni di nazionalismo arabo. Chi ritiene di poter riscattare la Palestina con la forza militare è libero di farlo. Ma noi d'ora in poi intendiamo investire le nostre risorse per migliorare le condizioni di vita e per assicurare la pace al nostro popolo». Gli egiziani ricordavano come la stessa morte di Gamal Abdel Nasser il 28 settembre 1970 era stata causata dall'eccessivo stress a cui fu sottoposto per mediare tra Arafat e re Hussein, convocati al Cairo, al fine di porre fine alla strage dei palestinesi in Giordania. Dove Arafat aveva creato uno Stato nello Stato mettendo a repentaglio la sovranità giordana. Un copione che poi si ripeté in Libano. Dove passava Arafat seminava partigianeria e odii, lasciando alle sue spalle conflitti e instabilità.
Nel 1979 Arafat patrocinò e fomentò l'espulsione dell'Egitto dalla Lega Araba capeggiando il cosiddetto «Fronte del rifiuto e della fermezza». Ma dopo la cacciata dei suoi fedaiyin dal Libano nell'82 per mano degli israeliani e tra l'inerzia dei siriani, dopo la strage dei suoi fedelissimi per mano dei siriani con l'ausilio dei collaborazionisti Abu Moussa e Ahmed Jibril, Arafat cercò e ottenne la riconciliazione dell'Egitto di Mubarak. Ed è soltanto quando Arafat si sentì abbandonato e allo stremo delle sue forze, che si ritrovò costretto a convertirsi all'opzione negoziale. Il passo più significativo fu il riconoscimento del diritto di Israele all'esistenza pronunciato nel dicembre del 1988 di fronte all'Assemblea generale dell'Onu riunita ad hoc a Ginevra.
Eppure Arafat tornò ad allearsi con Saddam Hussein all'indomani dell'occupazione del Kuwait nel 1990, mettendosi contro la legalità internazionale. Questo brusco voltafaccia conferma che Arafat è stato un funambolo del potere e un giocoliere della politica. Ha fatto tutto e il contrario di tutto pur di salvaguardare il proprio potere. Ha giocato a più tavoli per strumentalizzare la politica, la guerriglia e il terrorismo senza tuttavia assumersi l'onere dello statista. Quando nel luglio del 2000 intuì che l'approvazione della proposta di pace sottopostagli dal premier israeliano Ehud Barak e dal presidente americano Bill Clinton gli avrebbe messo contro buona parte delle organizzazioni palestinesi, Arafat disse: «Preferisco essere ucciso dal proiettile di un israeliano che mi considera un nemico, anziché dal proiettile di un palestinese che mi condanna come un traditore». In quella storica circostanza Arafat ha sacrificato l'ideale nazionale dello Stato palestinese alla sua brama di potere personale.
Amava dire che aveva «sposato la Palestina». Un simbolo che rincorreva un mito. Dietro cui si celavano malamente un uomo che si sentiva solo e un sogno che lui stesso aveva infranto. Una solitudine e un vuoto che riemergono ai suoi funerali consumati in gran fretta in una sorta di terra di nessuno da leader desiderosi soltanto di archiviare il passato.
Magdi Allam
12 novembre 2004
Arafat è stato nel bene e nel male il simobolo di un popolo.
E' stato per trenta anni alla guida di una Palestina che non ha trovato pace: qualche responsabilità l' avrà avuta, no ?
Il Nobel è stato prematuro: in seguito ha dimostrato di non meritarlo.
NeSs1dorma
12-11-2004, 18:35
Originariamente inviato da Geremia TNT
Mi chiedo chi possa averne titolo? Allora non vedo che titolo si possa avere per vomitare offese, ad es., contro il Presidente USA ......
ma non l'hai ancora imparato?
Loro possono diffamare, insultare, svillaneggiare chi vogliono, perche Loro hanno la Verità Rivelata.. soffrono di un ridicolo complesso di superiorità, che non gli fa accettare intimamente che qualcuno possa insultare i loro "eroi".. e reagiscono di conseguenza..
Poi dove erano gli insulti? mi sento libero di AFFERMARE a PIENO TITOLO che quell'uomo era un TERRORISTA, per cui caro il mio arrogante Luvi la bocca la vai a tappare a qualcun altro, perche a me non la tappi
...come al solito...."fascisti su marte"....ma magari fossero solo lì.
Paracleto
12-11-2004, 21:32
Originariamente inviato da Lucio Virzì
Per chi, senza averne alcun titolo,
e quale sarebbe questo titolo?
tu non sei il giudice della condotta morale di chichessia, il titolo me lo da ciò che penso nei confronti di un immondo essere che ha dichiaratamente abbracciato il nazistissimo obiettivo di far fuori tutti gli ebrei
e non me lo sono inventato io, sono parole sue.
vomita offese nei confronti di Arafat, non ancora tumulato: come accogliete la notizia della delegazione ufficiale Italiana che sarà presente alle esequie insieme a quelle degli altri paesi?
LuVi
come un'ovvietà politica
madaboutpc
13-11-2004, 15:21
Originariamente inviato da alex75
La morte di Yasser Arafat
Usato e isolato di Magdi Allam
Una moschea all’interno di una struttura militare nei pressi dell’aeroporto internazionale del Cairo, la sede prescelta per l’odierna cerimonia funebre ufficiale di Yasser Arafat, simboleggia l’isolamento sostanziale e tradisce l’ostracismo effettivo che per oltre un trentennio gli hanno riservato i fratelli-nemici arabi. Si tratta di un’area chiusa e asettica dove non ci sarà spazio per il sentimento e la partecipazione popolare. L'amara verità è che Arafat era formalmente tollerato ma in realtà osteggiato dagli altri leader arabi. Basti pensare al fatto che ci sono stati molti più palestinesi massacrati in Giordania, Libano e Siria di quanti non siano stati uccisi dagli israeliani. L'amara verità è che con Arafat la causa palestinese si è trasformata in uno strumento di conservazione del potere dei regimi arabi, aizzando e mobilitando le masse contro l'eterno nemico sionista esterno, per celare e aggirare la realtà di tirannia e sottosviluppo interno. Anche se in definitiva, al di là della demagogia e dell'inganno, i palestinesi hanno scoperto di non essere poi così tanto amati nel mondo arabo.
Questa realtà era tangibile nella reazione della popolazione egiziana quando accolse entusiasticamente il presidente Anwar al Sadat al rientro al Cairo dopo la firma degli accordi di pace di Camp David con Menahem Begin nel 1978. In quella circostanza Arafat esclamò all'indirizzo di Sadat: «Gli mozzerò le mani con cui ha sottoscritto quegli accordi». Eppure quindici anni dopo, il 13 settembre 1993, nello stesso Giardino delle rose della Casa Bianca, Arafat firmò con Yitzhak Rabin un accordo quadro meno vantaggioso e da una posizione di maggiore debolezza dei palestinesi.
Ebbene nell'abbraccio degli egiziani a Sadat c'era un profondo senso di liberazione e di emancipazione: «Noi abbiamo pagato il prezzo più ingente sul piano delle vite umane e dei costi economici nel corso di tre guerre con Israele», era il ragionamento ricorrente tra la popolazione, «E' ora di dire basta. Noi abbiamo fatto la nostra parte e continueremo a farla tramite l'arma del negoziato. Nessuno può rimproverarci e impartirci lezioni di nazionalismo arabo. Chi ritiene di poter riscattare la Palestina con la forza militare è libero di farlo. Ma noi d'ora in poi intendiamo investire le nostre risorse per migliorare le condizioni di vita e per assicurare la pace al nostro popolo». Gli egiziani ricordavano come la stessa morte di Gamal Abdel Nasser il 28 settembre 1970 era stata causata dall'eccessivo stress a cui fu sottoposto per mediare tra Arafat e re Hussein, convocati al Cairo, al fine di porre fine alla strage dei palestinesi in Giordania. Dove Arafat aveva creato uno Stato nello Stato mettendo a repentaglio la sovranità giordana. Un copione che poi si ripeté in Libano. Dove passava Arafat seminava partigianeria e odii, lasciando alle sue spalle conflitti e instabilità.
Nel 1979 Arafat patrocinò e fomentò l'espulsione dell'Egitto dalla Lega Araba capeggiando il cosiddetto «Fronte del rifiuto e della fermezza». Ma dopo la cacciata dei suoi fedaiyin dal Libano nell'82 per mano degli israeliani e tra l'inerzia dei siriani, dopo la strage dei suoi fedelissimi per mano dei siriani con l'ausilio dei collaborazionisti Abu Moussa e Ahmed Jibril, Arafat cercò e ottenne la riconciliazione dell'Egitto di Mubarak. Ed è soltanto quando Arafat si sentì abbandonato e allo stremo delle sue forze, che si ritrovò costretto a convertirsi all'opzione negoziale. Il passo più significativo fu il riconoscimento del diritto di Israele all'esistenza pronunciato nel dicembre del 1988 di fronte all'Assemblea generale dell'Onu riunita ad hoc a Ginevra.
Eppure Arafat tornò ad allearsi con Saddam Hussein all'indomani dell'occupazione del Kuwait nel 1990, mettendosi contro la legalità internazionale. Questo brusco voltafaccia conferma che Arafat è stato un funambolo del potere e un giocoliere della politica. Ha fatto tutto e il contrario di tutto pur di salvaguardare il proprio potere. Ha giocato a più tavoli per strumentalizzare la politica, la guerriglia e il terrorismo senza tuttavia assumersi l'onere dello statista. Quando nel luglio del 2000 intuì che l'approvazione della proposta di pace sottopostagli dal premier israeliano Ehud Barak e dal presidente americano Bill Clinton gli avrebbe messo contro buona parte delle organizzazioni palestinesi, Arafat disse: «Preferisco essere ucciso dal proiettile di un israeliano che mi considera un nemico, anziché dal proiettile di un palestinese che mi condanna come un traditore». In quella storica circostanza Arafat ha sacrificato l'ideale nazionale dello Stato palestinese alla sua brama di potere personale.
Amava dire che aveva «sposato la Palestina». Un simbolo che rincorreva un mito. Dietro cui si celavano malamente un uomo che si sentiva solo e un sogno che lui stesso aveva infranto. Una solitudine e un vuoto che riemergono ai suoi funerali consumati in gran fretta in una sorta di terra di nessuno da leader desiderosi soltanto di archiviare il passato.
Magdi Allam
12 novembre 2004
se penso allo speciale di raitre di ieri sera in cui si ricostruiva la vita di arafat, quando veniva intervistao da televisioni europee e americane con gli occhioloni lucidi e commiserevoli parlando in un inglese poco fluente si mostrava l'uomo di pace e contro il terrorismo mentre nei suoi discorsi in palestina inneggiava agli shahid (martiri) che si facevano esplodere negli autobus israeliani...
visto con i miei occhi ieri sera
MarColas
13-11-2004, 19:29
Su Arafat mi sembra degna di menzione l'opinione di Shimon Peres, dal Corriere di oggi:
È la perdita di un padre che non rinnegò l’odio
I palestinesi vedono in Yasser Arafat il padre della loro nazione. Come un padre, Arafat ha fatto molto per i suoi figli, ma è stato spesso iperprotettivo nei loro confronti. Arafat è una figura difficile da affrontare. Ha fatto più di qualsiasi altro capo per forgiare un'identità palestinese unica e distinta. È stato la voce e il simbolo della causa palestinese, alla quale in quarant'anni i suoi incessanti sforzi hanno conquistato un posto di primo piano nell'agenda internazionale.
Conquiste troppo spesso ottenute con la spada. Ha combattuto duramente Israele e gli israeliani. Pur continuando a promettere di cambiare, non ha mai davvero abbandonato il terrorismo come strumento per mantenere in vita la causa palestinese.
Arafat era amato e rispettato dalla sua gente. Conduceva una vita modesta. Viveva per il popolo. Ha spianato la strada alla storica soluzione del problema della divisione della terra tra uno Stato ebraico e uno palestinese. Rompendo con il passato, ha dato prova di coraggio. Ha accettato un compromesso doloroso con Israele sulla base dei confini tracciati prima del 1967, lasciando da parte la mappa proposta dalle Nazioni Unite nel 1947 con la risoluzione 181, che i palestinesi all'epoca rifiutarono.
Ma non è andato abbastanza lontano. Tra l'amore della sua gente e la battaglia per il miglioramento delle condizioni di vita del suo popolo, purtroppo ha scelto il primo. Una volta mi disse, dopo la firma degli accordi di Oslo: «Ecco che mi hai fatto: ero un personaggio popolare tra la mia gente, mi hai trasformato in una figura controversa agli occhi dei palestinesi e dell'intero mondo arabo».
Alla fine, la popolarità ha avuto la meglio sull'ambiguità. Le sue dichiarate scelte politiche erano coraggiose, ma non le ha mai attuate fino in fondo. Non ha voltato le spalle al terrorismo e all'odio. Ha tradito le speranze di molti, e perso credibilità con quanti avrebbero potuto fare di più per sostenere la sua causa. Non ha gettato le basi di un doloroso ma necessario processo: lasciarsi alle spalle sogni di grandezza che non portano altro che disperazione e imparare a vivere, amare ed essere felici in questo mondo.
Era un uomo di talento. Acuto, immediato, poche cose sfuggivano alla sua attenzione. Lo incuriosivano le abitudini dell'Occidente, che tuttavia considerava irrilevanti per la sua causa. Sapeva trarre vantaggio da stati d'anarchia. Regnava su un sistema arcaico e profondamente centralizzato, tenendo strette le redini dei gruppi armati e dei flussi finanziari. Ai Paesi donatori che chiedevano una gestione trasparente, rispondeva seccato: «Non sono una danzatrice del ventre»; non era disposto ad accettare alcuna esibizione indecente. Lo lasciava perplesso la caotica democrazia israeliana. Mi disse una volta: «Dio, la democrazia, ma chi l'ha inventata? È estenuante». Aveva una memoria impressionante in fatto di nomi, sceglieva di dimenticare molti fatti.
La scomparsa di un padre è sempre causa di profondo dolore. Ma offre anche un'opportunità per crescere e diventare adulti. Il mondo guarda oggi al popolo palestinese rimasto orfano, spera di vederlo assumere il controllo del proprio destino, dire addio ai sogni di gioventù e mostrare il coraggio di accettare la realtà, piuttosto che desiderarne una diversa.
I palestinesi devono riconoscere che Israele è qui per restare. Il popolo ebraico è profondamente legato alla sua storica terra, ma desidera anche vivere in pace. Dobbiamo spartirci questo piccolo territorio. Un popolo cresce quando impara a condividere. Quando sostituisce all'ira la volontà di rendere il mondo migliore per tutti. È questa la mia preghiera per tutti noi - palestinesi e israeliani, ebrei e arabi - che guardiamo al futuro: che impariamo a desiderare quel che più conta nella vita. Niente di più, niente di meno. Una vita finisce. Per tante altre è tempo di cominciare.
Originariamente inviato da NeSs1dorma
ma non l'hai ancora imparato?
Loro possono diffamare, insultare, svillaneggiare chi vogliono, perche Loro hanno la Verità Rivelata.. soffrono di un ridicolo complesso di superiorità, che non gli fa accettare intimamente che qualcuno possa insultare i loro "eroi".. e reagiscono di conseguenza..
Poi dove erano gli insulti? mi sento libero di AFFERMARE a PIENO TITOLO che quell'uomo era un TERRORISTA, per cui caro il mio arrogante Luvi la bocca la vai a tappare a qualcun altro, perche a me non la tappi
Ma "arrogante" ti sentivi proprio in dovere di mettercelo o era solo per il gusto di.
Non mi pare di aver letto alcuna offesa nei post di LuVi quindi IL MINIMO sarebbe comportarsi di conseguenza.
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