majin mixxi
25-10-2004, 21:53
È difficile immaginare un’ostentazione di ricchezza più concentrata di quella dell’Upper East Side di Manhattan, dove da tutti gli edifici emana il profumo del denaro, del potere e del prestigio. Case da alcuni milioni di dollari sono allineate lungo i suoi marciapiedi percorsi da bambinaie d’alta classe e cani di razza, accanto a sontuose gallerie d’arte e prestigiose boutique.
Ma anche su questo sfondo opulento, il Carlyle Hotel spicca. La sua torre si leva spavalda verso il cielo dominando Central Park e tutto l’orizzonte circostante. Le pareti di colori sobri e i sontuosi tappeti dell’interno si adattano perfettamente alla sua altolocata clientela. È un albergo per persone abituate al successo e che si sentono a proprio agio nel lusso. In una città piena di alberghi sfarzosi, è uno dei più regali.
È quindi abbastanza appropriato che nell’estate del 1987, quando si è formato, il Carlyle Group abbia scelto il nome di questa residenza lussuosa. All’epoca i suoi fondatori, Stephen Norris e David Rubenstein, s’incontravano spesso in questo albergo tra la 76esima e Madison Avenue. Volevano che il nome della loro società evocasse un’idea di antica ricchezza, e quello del Carlyle le si attagliava perfettamente.
Ma nessuno dei due poteva immaginare che il Carlyle Group sarebbe diventato una delle società a capitale privato più potenti e di maggior successo del mondo, che avrebbe gestito 13 miliardi di dollari e avrebbe avuto più contatti politici di quanti sono i telefoni alla Casa Bianca. Nei 15 anni trascorsi dalla sua fondazione, il Carlyle Group è diventato il corrispettivo finanziario dell’albergo da cui ha preso il nome: una presenza dominante in un mondo fatto di ricchezza, potere e politica.
Oggi il Carlyle Group agisce nell’ambito del «triangolo di ferro» dove gli interessi dell’esercito più potente del mondo si intrecciano con quelli della politica e dell’alta finanza. È una società che annovera nella sua storia operazioni di copertura della Cia, vendite segrete di armi e una stupefacente quantità di appoggi politici.
Avendo fatto dell’acquisizione di ditte appaltatrici della difesa la base della sua strategia finanziaria, oggi la Carlyle si trova a essere beneficiaria del più grande aumento di spese militari della storia americana. I pianeti sembrano essersi perfettamente allineati a suo favore in soli 15 anni.
Con l’ascesa al potere di George W. Bush, ormai la Casa Bianca è piena di ex dipendenti, amici e soci in affari della Carlyle. E con l’aumento del bilancio della difesa in conseguenza degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, la Carlyle è riuscita a trarre enormi profitti dalle sue società che operano in quel settore, come la United Defense. Per l’America saranno anche tempi duri, ma la Carlyle ha il vento in poppa.
Anche se per i primi dieci anni della sua storia la società è riuscita a tenersi fuori della portata dei radar, ultimamente i suoi successi hanno attirato maggiormente l’attenzione. Dopotutto è difficile rimanere anonimi quando si hanno tra i propri dipendenti personaggi come George Bush senior, James Baker III, John Major e Arthur Levitt.
È difficile anche evitare quelle fastidiose accuse di scorrettezza aziendale, conflitto di interessi e sfruttamento della propria influenza politica, quando il proprio presidente onorario è l’ex segretario alla difesa Frank Carlucci, un uomo che ha suscitato polemiche per tutta la vita e all’università di Princeton divideva la stanza con Donald Rumsfeld, attuale responsabile della difesa.
Perfino George Bush junior e Colin Powell hanno lavorato per il Carlyle Group. Dopo aver fatto affari per anni con tutti, dalla famiglia dei Bush a quella dei bin Laden, i dirigenti della Carlyle hanno cominciato a vedere che i loro successi erano accompagnati da sospetti di complotto.
Alcuni critici accusano le pratiche del gruppo di non essere altro che forma di access capitalism, una sorta di «capitalismo presenzialista», un modo per raccogliere fondi tirando in ballo grossi nomi. Qualcuno lo chiama «il club degli ex presidenti». Qualcun altro si preoccupa che possa influenzare la politica interna ed estera.
Altri ancora, compresa l’ex deputata della Georgia Cynthia McKinney, hanno addirittura insinuato che il presidente Bush abbia permesso che accadesse la catastrofe dell’11 settembre per poter imporre un tipo di politica che avrebbe favorito il gruppo. Ma per quanto siano vaghi questi sospetti, la Carlyle merita un esame più approfondito.
L’esistenza stessa di una società del genere dimostra che i politici non riescono a resistere alla tentazione di approfittare delle loro cariche pubbliche per comportarsi in un modo che, secondo alcuni, denota una certa mancanza di scrupoli. Elenchiamo alcuni dei primati stabiliti dal Carlyle Group in America:
- è la prima volta che un presidente agisce in nome di una ditta appaltatrice della difesa;
- è la prima volta che un ex presidente elargisce consigli a suo figlio, mentre è in carica, su questioni di politica estera che influiscono direttamente sugli interessi economici di entrambi;
- è la prima volta che un’impresa a capitale privato di questo tipo apre i propri uffici a Washington, anziché in sedi più tradizionali come New York o Chicago;
- è la prima volta che una società raccoglie un gruppo di personaggi che neanche gli autori di X-files si sarebbero mai sognati di mettere insieme. Oltre a tutti i pesi massimi della politica nazionale degli Stati Uniti, tra i suoi consulenti e collaboratori ci sono Fidel Ramos, ex presidente delle Filippine, Park Tae-joon, ex primo ministro della Corea del Sud, e l’ex premier tailandese Anan Panyarachun.
Se l’idea che tutti questi uomini possano prendere insieme decisioni di politica internazionale vi lascia perplessi, non siete gli unici. Alcune organizzazioni di vigilanza sui comportamenti politici, come Judicial Watch e il Center for Public Integrity, hanno lanciato da tempo l’allarme sulla possibilità di episodi di corruzione all’interno della Carlyle.
La società è stata oggetto di indagini da parte dell’Fbi, è stata criticata aspramente da alcuni parlamentari, denunciata dagli attivisti politici e messa in imbarazzo dagli scandali.
Ma non si è mai fermata, anzi, ha continuato a fare quello che le riesce meglio: guadagnare montagne di soldi per i suoi investitori. I cani da guardia possono anche continuare ad abbaiare alla luna, perché qui il problema non sono le azioni illegali bensì quelle legali.
In un’epoca in cui il paese sta cominciando ad aprire gli occhi sui legami tra gli alti papaveri della politica e le imprese miliardarie, pur tenendosi sempre pronto ad affrontare il prossimo scandalo e aspettandosi da un momento all’altro che la politica gli si ritorca contro, il Carlyle Group dimostra fino a che punto questi rapporti possano procedere indisturbati.
E appena si comincia a insinuare che qualcuno possa trarre profitto dalla guerra di solito la Carlyle è in cima alla lista dei sospettati. Le coincidenze e il caso spiegano solo fino a un certo punto lo sfrenato successo di questa società. Per riempire i vuoti bisogna tener conto dell’astuzia, dei legami politici e delle amicizie.
La cosa ancor più sconcertante per gli investitori è che la Carlyle è diventata il modello di una nuova generazione di banche d’affari, che affidano posizioni di rilievo a politici per attirare investitori, capi di stato stranieri e partner commerciali. Perché mai altrimenti la Metropolitan West Financial di Los Angeles avrebbe dovuto nominare vicepresidente Al Gore, che non ha nessuna esperienza professionale in materia di investimenti? Perché ha capito che il modello Carlyle paga.
Ma è il particolare modo di investire della Carlyle che rende più perplessi. Concentrandosi su settori rigidamente regolamentati come quello della difesa, delle telecomunicazioni, dell’energia e della sanità, la Carlyle punta sul fatto di poter prevedere le future tendenze della spesa pubblica, o di influenzarle direttamente.
E assumendo ex ministri della difesa, ex presidenti, l’ex capo della Securities and Exchange Commission e l’ex presidente della Federal Communications Commission, è in grado di fare entrambe le cose.
:eek:
Ma anche su questo sfondo opulento, il Carlyle Hotel spicca. La sua torre si leva spavalda verso il cielo dominando Central Park e tutto l’orizzonte circostante. Le pareti di colori sobri e i sontuosi tappeti dell’interno si adattano perfettamente alla sua altolocata clientela. È un albergo per persone abituate al successo e che si sentono a proprio agio nel lusso. In una città piena di alberghi sfarzosi, è uno dei più regali.
È quindi abbastanza appropriato che nell’estate del 1987, quando si è formato, il Carlyle Group abbia scelto il nome di questa residenza lussuosa. All’epoca i suoi fondatori, Stephen Norris e David Rubenstein, s’incontravano spesso in questo albergo tra la 76esima e Madison Avenue. Volevano che il nome della loro società evocasse un’idea di antica ricchezza, e quello del Carlyle le si attagliava perfettamente.
Ma nessuno dei due poteva immaginare che il Carlyle Group sarebbe diventato una delle società a capitale privato più potenti e di maggior successo del mondo, che avrebbe gestito 13 miliardi di dollari e avrebbe avuto più contatti politici di quanti sono i telefoni alla Casa Bianca. Nei 15 anni trascorsi dalla sua fondazione, il Carlyle Group è diventato il corrispettivo finanziario dell’albergo da cui ha preso il nome: una presenza dominante in un mondo fatto di ricchezza, potere e politica.
Oggi il Carlyle Group agisce nell’ambito del «triangolo di ferro» dove gli interessi dell’esercito più potente del mondo si intrecciano con quelli della politica e dell’alta finanza. È una società che annovera nella sua storia operazioni di copertura della Cia, vendite segrete di armi e una stupefacente quantità di appoggi politici.
Avendo fatto dell’acquisizione di ditte appaltatrici della difesa la base della sua strategia finanziaria, oggi la Carlyle si trova a essere beneficiaria del più grande aumento di spese militari della storia americana. I pianeti sembrano essersi perfettamente allineati a suo favore in soli 15 anni.
Con l’ascesa al potere di George W. Bush, ormai la Casa Bianca è piena di ex dipendenti, amici e soci in affari della Carlyle. E con l’aumento del bilancio della difesa in conseguenza degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, la Carlyle è riuscita a trarre enormi profitti dalle sue società che operano in quel settore, come la United Defense. Per l’America saranno anche tempi duri, ma la Carlyle ha il vento in poppa.
Anche se per i primi dieci anni della sua storia la società è riuscita a tenersi fuori della portata dei radar, ultimamente i suoi successi hanno attirato maggiormente l’attenzione. Dopotutto è difficile rimanere anonimi quando si hanno tra i propri dipendenti personaggi come George Bush senior, James Baker III, John Major e Arthur Levitt.
È difficile anche evitare quelle fastidiose accuse di scorrettezza aziendale, conflitto di interessi e sfruttamento della propria influenza politica, quando il proprio presidente onorario è l’ex segretario alla difesa Frank Carlucci, un uomo che ha suscitato polemiche per tutta la vita e all’università di Princeton divideva la stanza con Donald Rumsfeld, attuale responsabile della difesa.
Perfino George Bush junior e Colin Powell hanno lavorato per il Carlyle Group. Dopo aver fatto affari per anni con tutti, dalla famiglia dei Bush a quella dei bin Laden, i dirigenti della Carlyle hanno cominciato a vedere che i loro successi erano accompagnati da sospetti di complotto.
Alcuni critici accusano le pratiche del gruppo di non essere altro che forma di access capitalism, una sorta di «capitalismo presenzialista», un modo per raccogliere fondi tirando in ballo grossi nomi. Qualcuno lo chiama «il club degli ex presidenti». Qualcun altro si preoccupa che possa influenzare la politica interna ed estera.
Altri ancora, compresa l’ex deputata della Georgia Cynthia McKinney, hanno addirittura insinuato che il presidente Bush abbia permesso che accadesse la catastrofe dell’11 settembre per poter imporre un tipo di politica che avrebbe favorito il gruppo. Ma per quanto siano vaghi questi sospetti, la Carlyle merita un esame più approfondito.
L’esistenza stessa di una società del genere dimostra che i politici non riescono a resistere alla tentazione di approfittare delle loro cariche pubbliche per comportarsi in un modo che, secondo alcuni, denota una certa mancanza di scrupoli. Elenchiamo alcuni dei primati stabiliti dal Carlyle Group in America:
- è la prima volta che un presidente agisce in nome di una ditta appaltatrice della difesa;
- è la prima volta che un ex presidente elargisce consigli a suo figlio, mentre è in carica, su questioni di politica estera che influiscono direttamente sugli interessi economici di entrambi;
- è la prima volta che un’impresa a capitale privato di questo tipo apre i propri uffici a Washington, anziché in sedi più tradizionali come New York o Chicago;
- è la prima volta che una società raccoglie un gruppo di personaggi che neanche gli autori di X-files si sarebbero mai sognati di mettere insieme. Oltre a tutti i pesi massimi della politica nazionale degli Stati Uniti, tra i suoi consulenti e collaboratori ci sono Fidel Ramos, ex presidente delle Filippine, Park Tae-joon, ex primo ministro della Corea del Sud, e l’ex premier tailandese Anan Panyarachun.
Se l’idea che tutti questi uomini possano prendere insieme decisioni di politica internazionale vi lascia perplessi, non siete gli unici. Alcune organizzazioni di vigilanza sui comportamenti politici, come Judicial Watch e il Center for Public Integrity, hanno lanciato da tempo l’allarme sulla possibilità di episodi di corruzione all’interno della Carlyle.
La società è stata oggetto di indagini da parte dell’Fbi, è stata criticata aspramente da alcuni parlamentari, denunciata dagli attivisti politici e messa in imbarazzo dagli scandali.
Ma non si è mai fermata, anzi, ha continuato a fare quello che le riesce meglio: guadagnare montagne di soldi per i suoi investitori. I cani da guardia possono anche continuare ad abbaiare alla luna, perché qui il problema non sono le azioni illegali bensì quelle legali.
In un’epoca in cui il paese sta cominciando ad aprire gli occhi sui legami tra gli alti papaveri della politica e le imprese miliardarie, pur tenendosi sempre pronto ad affrontare il prossimo scandalo e aspettandosi da un momento all’altro che la politica gli si ritorca contro, il Carlyle Group dimostra fino a che punto questi rapporti possano procedere indisturbati.
E appena si comincia a insinuare che qualcuno possa trarre profitto dalla guerra di solito la Carlyle è in cima alla lista dei sospettati. Le coincidenze e il caso spiegano solo fino a un certo punto lo sfrenato successo di questa società. Per riempire i vuoti bisogna tener conto dell’astuzia, dei legami politici e delle amicizie.
La cosa ancor più sconcertante per gli investitori è che la Carlyle è diventata il modello di una nuova generazione di banche d’affari, che affidano posizioni di rilievo a politici per attirare investitori, capi di stato stranieri e partner commerciali. Perché mai altrimenti la Metropolitan West Financial di Los Angeles avrebbe dovuto nominare vicepresidente Al Gore, che non ha nessuna esperienza professionale in materia di investimenti? Perché ha capito che il modello Carlyle paga.
Ma è il particolare modo di investire della Carlyle che rende più perplessi. Concentrandosi su settori rigidamente regolamentati come quello della difesa, delle telecomunicazioni, dell’energia e della sanità, la Carlyle punta sul fatto di poter prevedere le future tendenze della spesa pubblica, o di influenzarle direttamente.
E assumendo ex ministri della difesa, ex presidenti, l’ex capo della Securities and Exchange Commission e l’ex presidente della Federal Communications Commission, è in grado di fare entrambe le cose.
:eek: