ALBIZZIE
15-10-2004, 07:47
Morte del fratello di Bisaglia, ora s'indaga per omicidio
Il corpo di don Mario Bisaglia, fratello del leader Dc Antonio Bisaglia, fu ripescato dal lago di Domegge di Cadore (Belluno) il 17 agosto 1992. A oltre 12 anni di distanza, si riapre la vicenda
BELLUNO - Si riapre non senza clamori, a oltre 12 anni di distanza, il sipario sulla vicenda della morte di don Mario Bisaglia, fratello del leader Dc Antonio Bisaglia, il cui corpo fu ripescato dal lago di Domegge di Cadore (Belluno) il 17 agosto 1992.
La svolta sta in una consulenza anatomopatologica disposta dal pm della Procura della Repubblica di Belluno Raffaele Massaro, dalla quale emergerebbe la certezza che il sacerdote non si suicidò morendo per annegamento, come avrebbero voluto far pensare anche i sassi ritrovati nelle sue tasche, ma finì nello specchio d’acqua già privo di vita, probabilmente soffocato, ma senza che gli assassini lasciassero tracce di violenza sul corpo.
Il mistero del decesso è collegato a un’altra morte, quella del fratello, Antonio, scivolato al largo di Portofino dal panfilo della moglie, Romilda Bollati di Saint Pierre, in una giornata di mare straordinariamente calmo. Il corpo fu ripescato in fretta da un elicottero militare, trasportato a Roma e tumulato senza autopsia. La salma non la potè vedere neanche don Mario che, da allora, secondo quanti lo conoscevano, intraprese un caparbio percorso di ricostruzione della verità, per nulla convinto delle cause accidentali dell’evento.
Rimane coperto da interrogativi anche il motivo per cui il religioso, nell’agosto del 1992, partì da Rovigo diretto in Cadore. Secondo alcune ipotesi avrebbe dovuto incontrare dei giornalisti i quali attendevano da lui dei documenti importanti relativi al decesso del potente leader democristiano. Le carte, però, nessuno le vide perchè il prete, intercettato probabilmente dai sicari, non si presentò mai all’appuntamento.
Se negli anni scorsi il caso della morte di don Bisaglia fu archiviato come suicidio non è affatto per superficialità del pm di allora: lo ha detto oggi il sostituto procuratore della Repubblica di Belluno, Raffaele Massaro, ricostruendo il percorso che ha portato alla riapertura della vicenda e alla rubricazione del fatto sotto l’ipotesi di reato di omicidio nei confronti di ignoti.
A dare il «la» al nuovo filone di indagine, ha spiegato il magistrato, è stato lo scorso anno un esposto in cui un cittadino, direttamente interessato ad un particolare della vicenda, avrebbe fornito elementi tali da indurre la Procura a effettuare un nuovo esame della salma del sacerdote.
La consulenza, affidata a due diversi anatomopatologi, ha confermato che il decesso sarebbe avvenuto non per annegamento ma per una forma di soffocamento provocata senza atti violenti. Chiave di volta nel chiarire il dubbio di fondo che ha accompagnato negli anni tutta l’indagine, è stata l’assenza di diatomee nel fegato, nel midollo e, soprattutto, nei polmoni della vittima. L’indagine sugli organismi - delle alghe composte da un numero limitatissimo di cellule contenenti residui di silicio che si fissano indelebilmente sui tessuti che li assorbono - però all’epoca dei fatti non sarebbe stata possibile. Secondo quanto riferito oggi dagli investigatori, infatti, nel 1992 tale procedura era seguita soltanto da poche magistrature estere, e in Italia non vi era una conoscenza sufficiente di tali forme organiche, benchè generalmente indagate nelle ricerche archeologiche. L’esame sui polmoni di don Mario, in particolare, in questo caso è stato affidato ad un esperto a livello internazionale di cui Massaro ha preferito non fornite le generalità.
Il pm del tempo, Fabio Saracini, secondo Massaro avrebbe inoltre condotto le sue indagini con uno scrupolo «eccellente», nonostante la base di partenza fosse l’esito di un’autopsia che attribuiva, senza incertezze, la morte di Bisaglia ad annegamento.
Nei mesi scorsi, ha detto ancora il pm, sono stati numerosi i testimoni convocati in Procura, nessuno dei quali, ha precisato - rispondendo a una domanda specifica collegata ai dubbi paralleli sulla morte del fratello di don Mario, Antonio Bisaglia - «con aderenze ad ambienti politici».
Rimane ignoto, ha aggiunto ancora Massaro, il testimone che, pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo del sacerdote, si era fatto vivo in forma anonima con gli uffici giudiziari raccontando di aver visto nella settimana precedente alcune persone che gettavano nel lago «un oggetto voluminoso». L’invito del magistrato allo sconosciuto è quello di rimettersi in contatto con gli organi investigativi, naturalmente con la garanzia della più assoluta riservatezza.
Il corpo di don Mario Bisaglia, fratello del leader Dc Antonio Bisaglia, fu ripescato dal lago di Domegge di Cadore (Belluno) il 17 agosto 1992. A oltre 12 anni di distanza, si riapre la vicenda
BELLUNO - Si riapre non senza clamori, a oltre 12 anni di distanza, il sipario sulla vicenda della morte di don Mario Bisaglia, fratello del leader Dc Antonio Bisaglia, il cui corpo fu ripescato dal lago di Domegge di Cadore (Belluno) il 17 agosto 1992.
La svolta sta in una consulenza anatomopatologica disposta dal pm della Procura della Repubblica di Belluno Raffaele Massaro, dalla quale emergerebbe la certezza che il sacerdote non si suicidò morendo per annegamento, come avrebbero voluto far pensare anche i sassi ritrovati nelle sue tasche, ma finì nello specchio d’acqua già privo di vita, probabilmente soffocato, ma senza che gli assassini lasciassero tracce di violenza sul corpo.
Il mistero del decesso è collegato a un’altra morte, quella del fratello, Antonio, scivolato al largo di Portofino dal panfilo della moglie, Romilda Bollati di Saint Pierre, in una giornata di mare straordinariamente calmo. Il corpo fu ripescato in fretta da un elicottero militare, trasportato a Roma e tumulato senza autopsia. La salma non la potè vedere neanche don Mario che, da allora, secondo quanti lo conoscevano, intraprese un caparbio percorso di ricostruzione della verità, per nulla convinto delle cause accidentali dell’evento.
Rimane coperto da interrogativi anche il motivo per cui il religioso, nell’agosto del 1992, partì da Rovigo diretto in Cadore. Secondo alcune ipotesi avrebbe dovuto incontrare dei giornalisti i quali attendevano da lui dei documenti importanti relativi al decesso del potente leader democristiano. Le carte, però, nessuno le vide perchè il prete, intercettato probabilmente dai sicari, non si presentò mai all’appuntamento.
Se negli anni scorsi il caso della morte di don Bisaglia fu archiviato come suicidio non è affatto per superficialità del pm di allora: lo ha detto oggi il sostituto procuratore della Repubblica di Belluno, Raffaele Massaro, ricostruendo il percorso che ha portato alla riapertura della vicenda e alla rubricazione del fatto sotto l’ipotesi di reato di omicidio nei confronti di ignoti.
A dare il «la» al nuovo filone di indagine, ha spiegato il magistrato, è stato lo scorso anno un esposto in cui un cittadino, direttamente interessato ad un particolare della vicenda, avrebbe fornito elementi tali da indurre la Procura a effettuare un nuovo esame della salma del sacerdote.
La consulenza, affidata a due diversi anatomopatologi, ha confermato che il decesso sarebbe avvenuto non per annegamento ma per una forma di soffocamento provocata senza atti violenti. Chiave di volta nel chiarire il dubbio di fondo che ha accompagnato negli anni tutta l’indagine, è stata l’assenza di diatomee nel fegato, nel midollo e, soprattutto, nei polmoni della vittima. L’indagine sugli organismi - delle alghe composte da un numero limitatissimo di cellule contenenti residui di silicio che si fissano indelebilmente sui tessuti che li assorbono - però all’epoca dei fatti non sarebbe stata possibile. Secondo quanto riferito oggi dagli investigatori, infatti, nel 1992 tale procedura era seguita soltanto da poche magistrature estere, e in Italia non vi era una conoscenza sufficiente di tali forme organiche, benchè generalmente indagate nelle ricerche archeologiche. L’esame sui polmoni di don Mario, in particolare, in questo caso è stato affidato ad un esperto a livello internazionale di cui Massaro ha preferito non fornite le generalità.
Il pm del tempo, Fabio Saracini, secondo Massaro avrebbe inoltre condotto le sue indagini con uno scrupolo «eccellente», nonostante la base di partenza fosse l’esito di un’autopsia che attribuiva, senza incertezze, la morte di Bisaglia ad annegamento.
Nei mesi scorsi, ha detto ancora il pm, sono stati numerosi i testimoni convocati in Procura, nessuno dei quali, ha precisato - rispondendo a una domanda specifica collegata ai dubbi paralleli sulla morte del fratello di don Mario, Antonio Bisaglia - «con aderenze ad ambienti politici».
Rimane ignoto, ha aggiunto ancora Massaro, il testimone che, pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo del sacerdote, si era fatto vivo in forma anonima con gli uffici giudiziari raccontando di aver visto nella settimana precedente alcune persone che gettavano nel lago «un oggetto voluminoso». L’invito del magistrato allo sconosciuto è quello di rimettersi in contatto con gli organi investigativi, naturalmente con la garanzia della più assoluta riservatezza.