von Clausewitz
14-10-2004, 00:46
dall'arcfhivio del corriere:
Ostaggi francesi, l' Eliseo nella bufera
Chirac sarebbe stato al corrente della missione «Julia» conclusasi con un clamoroso fiasco. Riunione di emergenza del governo
LA CRISI IRACHENA
Nava Massimo
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI - «Fiasco» è parola italiana entrata nel vocabolario francese corrente. Come il riferimento a «Pulcinella», quando i segreti sono sulla bocca di tutti e suscitano ilarità. O come «fanfaronate» quando qualcuno millanta un credito che non ha. Da qualche giorno, i francesi si specchiano in concetti che sono soliti attribuire all' italico pressappochismo. Perché il dramma degli ostaggi diventa appunto melodramma e la tragedia, se non ci fosse di mezzo la vita umana, comincia ad avere i contorni della farsa. La ricostruzione della fallimentare missione parallela organizzata dal deputato gollista Didier Julia sta diventando un affare di Stato, che coinvolge l' operato del governo e dell' Eliseo, discredita l' azione della diplomazia e dei servizi segreti francesi, fa divampare la polemica nel mondo politico dopo la fase della «sacra unità» tesa a ottenere la liberazione dei due giornalisti, ormai prigionieri da 47 giorni. Ieri, il primo ministro Raffarin ha convocato una riunione d' emergenza, tutti (a cominciare dai parenti dei due giornalisti) fanno appello all' efficacia e alla discrezione, ma intanto ogni contatto con i rapitori sembra interrotto e il dramma di Christian Chesnot e Georges Malbrunot è ancora lontanissimo dalla conclusione. L' Eliseo e il governo hanno sempre preso le distanze e aspramente criticato l' iniziativa di Julia, il settantenne deputato, ormai al quinto mandato, noto per essere fra i promotori di una lobby filoirachena che negli anni Novanta si attivò contro l' embargo a Saddam Hussein. Julia, che adesso rischia una sanzione del partito ma che è difficile considerare un perfetto estraneo alla maggioranza politica, sostiene invece di aver tenuto al corrente Parigi durante le delicate fasi della missione. Venerdì sera, Julia dichiarò che il tentativo era fallito per l' intervento delle forze armate americane che avevano attaccato il convoglio con gli ostaggi. Ieri si è appreso che suoi intermediari avrebbero chiesto all' Eliseo di negoziare con gli americani un corridoio di sicurezza. Richieste ovviamente smentite. Quello che appare da giorni come un gioco delle parti, è stato ricostruito nei dettagli dal quotidiano Le Monde. Si è appreso che il primo viaggio di Julia ad Amman, via Il Cairo, è stato effettuato con un aereo messo a disposizione dal presidente della Costa D' Avorio, Laurent Gbagbo, il cui potere in declino, nella guerra civile che insanguina il suo Paese, dipende anche dall' interposizione di 4.600 soldati francesi spediti due anni fa ad Abidjan. Intermediario fra Julia e il presidente ivoriano un mercante d' armi, Moustafa Aziz, forse saudita o forse marocchino, interessato a ottenere un incarico diplomatico presso l' Unesco, che ha sede a Parigi. Sull' aereo con Julia ci sono anche un ex direttore dell' Unesco, un professore della Sorbona e il personaggio più misterioso di tutta la missione, Philippe Brett, ex autista e guardia del corpo del numero due del Fronte nazionale, probabilmente in contatto con i servizi segreti francesi. È Brett il primo a far sapere di essere entrato in contatto con i rapitori e di aver addirittura visto i giornalisti. Tuttavia, secondo Le Monde, il suo cellulare viene localizzato non a Bagdad, ma alla periferia di Damasco. In realtà, i contatti con i rapitori sono interrotti. E anche la diplomazia francese, dopo l' ottimismo delle prime settimane, brancola nel buio. Fra le righe, c' è il sospetto che americani e governo iracheno non abbiano fatto molti sforzi per aiutare la Francia. Ad aumentare la confusione, i contrasti che sarebbero emersi anche all' interno della missione parallela. Julia parla di emissari arrivati «con valigie colme di denaro», riferendosi probabilmente al mercante d' armi vicino al presidente ivoriano. Nell' «affaire» la Francia s' interroga anche sul ruolo svolto dalla Siria, una vecchia amicizia francese raffreddata dalla recente decisione di Parigi di appoggiare la risoluzione dell' Onu sull' occupazione del Libano. Insomma un vespaio di sospetti, doppi giochi, falsi e veri emissari, il cui primo risultato sono feroci polemiche e lo smarrimento dei francesi che, almeno sulla scena internazionale, ritenevano di avere qualche buon motivo d' orgoglio per l' opposizione alla guerra in Iraq. «Dov' è finito lo Stato?» si chiede Le Monde, il quale ricorda, con una punta di sarcasmo, come la mobilitazione della diplomazia e del governo francese fossero stati presi a modello dall' Italia nella crisi degli ostaggi. La strada del dialogo con il mondo arabo era probabilmente quella giusta. Maldestra è risultata la sua applicazione, con ripercussioni negative sull' immagine del Paese. Per alcuni osservatori, anche francesi, il «fiasco» degli ostaggi diventa il pretesto per delegittimare una politica estera. In realtà, è il sintomo di una crisi di funzionamento del sistema anche in altri campi, della distanza fra nobili principi e comportamenti, fra ambizioni e risultati, di ritardi e figuracce che alcuni intellettuali riassumono nel concetto di «declino». Quando tutto ruota attorno alla figura del Presidente e alla permanente battaglia in corso per sostituirlo, succede che il sistema s' inceppi e che la voce dello Stato diventi cacofonica. Massimo Nava I PROTAGONISTI Jacques Chirac sarebbe stato informato da un suo collaboratore, Didier Julia, deputato Ump, ha condotto una mediazione, Philippe Brett, ex soldato, legato al Fronte nazionale. Lavora per Julia, Laurent Gbagbo: la Costa d' Avorio avrebbe fornito i soldi del riscatto, Precedente Sembra il seguito di una spy story. Servizi segreti paralleli, trattative segrete, personaggi vicini al potere ma abbastanza lontani da poter essere scaricati. A metà degli anni ' 80 la Francia è alla prese con un' altra presa d' ostaggi. Quattro suoi cittadini sono catturati dai militanti filoiraniani dell' Hezbollah, che agiscono sotto una giungla di sigle. Parigi riuscirà a ottenere la loro liberazione cedendo alle condizioni fissate da Teheran (come l' espulsione degli oppositori iraniani e la restituzione di un prestito). Ma non mancano voci sul pagamento di un riscatto, avvenuto grazie a un' operazione clandestina lanciata da funzionari vicini all' allora ministro degli Interni Charles Pasqua (foto). Altra coincidenza: alcuni dei contatti avvengono in Africa, dove vive una ricca comunità sciita libanese.
Ambizioni e cadute I giorni grigi di Chirac
I giorni grigi di Chirac, tra ambizioni e cadute. Dal caso Battisti alla gestione dei sequestri, la Francia si interroga sul declino del sistema. Negativa la lotta gia' in corso per la successione all' Eliseo. La gente osserva lo spettacolo politico sempre piu' da lontano
FRANCIA
Nava Massimo
PARIGI - Il presidente Jacques Chirac va in visita in Cina. Porta in dote Airbus, Tgv, centrali nucleari, il fior fiore di un «sistema Paese» solido, che vuole superare Germania e Italia nei rapporti con Pechino. La Cina è un asse strategico di quella visione multipolare che la Francia persegue dopo la crisi irachena. Visione che Chirac ha difeso all' Assemblea dell' Onu, raccogliendo applausi e consenso. Visione che ispira la diplomazia di Parigi, nella convinzione che il dialogo fra culture sia la strada per affrontare grandi problemi ed emergenze. Ma il successo di Chirac sulla scena internazionale, sull' onda di valori che appartengono al Dna della Francia, ha il suo contrario in patria, dove la girandola di gaffe, polemiche e atteggiamenti tutt' altro che limpidi ridicolizza l' immagine che il Paese pretende di offrire. La vicenda degli ostaggi è emblematica di questo solco fra ambizioni e risultati, modelli teorizzati e loro messa in pratica. Una missione parallela, maldestramente montata da un deputato e qualche spione, forse segretamente avallata dal potere politico, si è risolta in un «fiasco» (anche i francesi usano questa parola!), che mette alla berlina le lezioni di diplomazia filoaraba, anche perché è facile il confronto con la liberazione degli ostaggi italiani. Orgogliosi nel ribadire la giustezza della linea seguita, i francesi sono i primi a flagellarsi sulle falle del sistema (dove è finito lo Stato?, si è chiesto Le Monde) e sulla ricerca di spregiudicate scorciatoie che rivelano, alla faccia dei principi, una bella dose d' ipocrisia. Forse un riferimento ad altre recenti vicende apparirà superficiale. Eppure qualche cosa insegnano. Come considerare la «soluzione» del caso Battisti: lezioni di democrazia e di diritti umani da parte della sinistra, responsabile ripensamento della destra e fuga dell' interessato sotto gli occhi della polizia. In quale contesto di approssimazione inserire il crollo del più avveniristico terminal dell' aeroporto appena inaugurato? Come valutare la rissa nella sinistra, scoppiata per le ambizioni personali di uno dei suoi leader, Laurent Fabius, che rischia di far pendere il Paese dalla parte di un umiliante no al referendum sulla Costituzione europea? Come spiegare, se non con fantasmi irrisolti, l' isterica e precipitosa condanna di atti di antisemitismo poi rivelatisi falsi? E che senso dare all' euforico annuncio di un' imminente liberazione degli ostaggi quando la diplomazia non aveva alcuna certezza? Da tempo, intellettuali ed economisti s' interrogano sul «declino» del sistema. Uno dei più acuti, Nicolas Baverez, ne ha individuato le cause nella difficoltà di adattarsi alle trasformazioni planetarie, nella resistenza alle riforme del modello statuale verticistico e nella cecità della classe politica che difende il modello per perpetuare se stessa. Di qui la schizofrenia fra ambizioni internazionali e peso specifico, performance del settore privato e incrostazioni del pubblico, attese dei cittadini e incapacità del potere di interpretarle. La tesi del declino non è recente, ma il cortocircuito del sistema sembra oggi più evidente perché si è prodotto nel suo perno strutturale, la presidenza della Repubblica e la lotta per la successione, troppo anticipata, troppo diffusa a tutti i livelli della società, troppo spettacolarizzata per non avere effetti devastanti anche sull' immagine di compattezza e determinazione dello Stato. Nell' attesa dell' uomo nuovo, che il circo mediatico ha già individuato in Nicolas Sarkozy, discepolo ribelle di Chirac, la «monarchia» francese perde autorità e legittimità e il Paese finisce per specchiarsi nell' impasse di una campagna elettorale permanente che dilapida energie, condiziona partiti e girandola di posti di comando, influenza la vita politica e persino la diplomazia, sottomette le istituzioni ai sondaggi e quindi al traguardo finale. Chirac recupera all' estero il prestigio che si consuma in patria, ma non sempre il gioco di prestigio riesce. La malattia francese non è il declino, ma questo agitarsi autistico attorno all' Eliseo. I francesi osservano lo spettacolo sempre più da lontano. Si compiacciono di una certa idea della Francia ma detengono il record europeo di consumo di ansiolitici. I giornali grondano di analisi sulla «malattia» del Paese e ne elencano sintomi contraddittori: crisi dell' autorità, iperpotenza americana, mandarinato della classe dirigente, politica spettacolo. Ma i francesi li leggono sempre meno. Anche il prestigioso Le Monde, troppo elitario e parigino, fa i conti con il Paese reale. E anche questo è un segno dei tempi. Massimo Nava
la cosa francamente più irritante di questa vicenda è il fatto che per alcuni giorni si è ricamata una storia fondata sul nulla e naturalmente vi si sono tirati in ballo immancabilmente gli americani
che avrebbero dovuto approntare un non meglio precisato "corridoio umanitario" e che a flop avvenuto sarebbero stati responsabili della mancata liberazione dei due ostaggi francesi per via dei loro "bombardamenti", costringendo il comando americano a smentire seccamente come se poi non avessero altre cose più importanti da pensare
questo a detta del deputato Julia, esponente neogollista al parlamento francese, examicone di saddam, che a sua volta si basava sulle informazione di tal Philippe Brett, ex fronte nazionale (toh un fascista francese) che mentre Julia era a damasco si sarebbe recato in iraq e avrebbe visto con i suoi occhi nientemeno che gli ostaggi francesi
sino a quando i servizi segreti francesi non fecero presente che il medesimo Philippe Brett in realtà non si era mai mosso da damasco :rolleyes:
Ostaggi francesi, l' Eliseo nella bufera
Chirac sarebbe stato al corrente della missione «Julia» conclusasi con un clamoroso fiasco. Riunione di emergenza del governo
LA CRISI IRACHENA
Nava Massimo
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI - «Fiasco» è parola italiana entrata nel vocabolario francese corrente. Come il riferimento a «Pulcinella», quando i segreti sono sulla bocca di tutti e suscitano ilarità. O come «fanfaronate» quando qualcuno millanta un credito che non ha. Da qualche giorno, i francesi si specchiano in concetti che sono soliti attribuire all' italico pressappochismo. Perché il dramma degli ostaggi diventa appunto melodramma e la tragedia, se non ci fosse di mezzo la vita umana, comincia ad avere i contorni della farsa. La ricostruzione della fallimentare missione parallela organizzata dal deputato gollista Didier Julia sta diventando un affare di Stato, che coinvolge l' operato del governo e dell' Eliseo, discredita l' azione della diplomazia e dei servizi segreti francesi, fa divampare la polemica nel mondo politico dopo la fase della «sacra unità» tesa a ottenere la liberazione dei due giornalisti, ormai prigionieri da 47 giorni. Ieri, il primo ministro Raffarin ha convocato una riunione d' emergenza, tutti (a cominciare dai parenti dei due giornalisti) fanno appello all' efficacia e alla discrezione, ma intanto ogni contatto con i rapitori sembra interrotto e il dramma di Christian Chesnot e Georges Malbrunot è ancora lontanissimo dalla conclusione. L' Eliseo e il governo hanno sempre preso le distanze e aspramente criticato l' iniziativa di Julia, il settantenne deputato, ormai al quinto mandato, noto per essere fra i promotori di una lobby filoirachena che negli anni Novanta si attivò contro l' embargo a Saddam Hussein. Julia, che adesso rischia una sanzione del partito ma che è difficile considerare un perfetto estraneo alla maggioranza politica, sostiene invece di aver tenuto al corrente Parigi durante le delicate fasi della missione. Venerdì sera, Julia dichiarò che il tentativo era fallito per l' intervento delle forze armate americane che avevano attaccato il convoglio con gli ostaggi. Ieri si è appreso che suoi intermediari avrebbero chiesto all' Eliseo di negoziare con gli americani un corridoio di sicurezza. Richieste ovviamente smentite. Quello che appare da giorni come un gioco delle parti, è stato ricostruito nei dettagli dal quotidiano Le Monde. Si è appreso che il primo viaggio di Julia ad Amman, via Il Cairo, è stato effettuato con un aereo messo a disposizione dal presidente della Costa D' Avorio, Laurent Gbagbo, il cui potere in declino, nella guerra civile che insanguina il suo Paese, dipende anche dall' interposizione di 4.600 soldati francesi spediti due anni fa ad Abidjan. Intermediario fra Julia e il presidente ivoriano un mercante d' armi, Moustafa Aziz, forse saudita o forse marocchino, interessato a ottenere un incarico diplomatico presso l' Unesco, che ha sede a Parigi. Sull' aereo con Julia ci sono anche un ex direttore dell' Unesco, un professore della Sorbona e il personaggio più misterioso di tutta la missione, Philippe Brett, ex autista e guardia del corpo del numero due del Fronte nazionale, probabilmente in contatto con i servizi segreti francesi. È Brett il primo a far sapere di essere entrato in contatto con i rapitori e di aver addirittura visto i giornalisti. Tuttavia, secondo Le Monde, il suo cellulare viene localizzato non a Bagdad, ma alla periferia di Damasco. In realtà, i contatti con i rapitori sono interrotti. E anche la diplomazia francese, dopo l' ottimismo delle prime settimane, brancola nel buio. Fra le righe, c' è il sospetto che americani e governo iracheno non abbiano fatto molti sforzi per aiutare la Francia. Ad aumentare la confusione, i contrasti che sarebbero emersi anche all' interno della missione parallela. Julia parla di emissari arrivati «con valigie colme di denaro», riferendosi probabilmente al mercante d' armi vicino al presidente ivoriano. Nell' «affaire» la Francia s' interroga anche sul ruolo svolto dalla Siria, una vecchia amicizia francese raffreddata dalla recente decisione di Parigi di appoggiare la risoluzione dell' Onu sull' occupazione del Libano. Insomma un vespaio di sospetti, doppi giochi, falsi e veri emissari, il cui primo risultato sono feroci polemiche e lo smarrimento dei francesi che, almeno sulla scena internazionale, ritenevano di avere qualche buon motivo d' orgoglio per l' opposizione alla guerra in Iraq. «Dov' è finito lo Stato?» si chiede Le Monde, il quale ricorda, con una punta di sarcasmo, come la mobilitazione della diplomazia e del governo francese fossero stati presi a modello dall' Italia nella crisi degli ostaggi. La strada del dialogo con il mondo arabo era probabilmente quella giusta. Maldestra è risultata la sua applicazione, con ripercussioni negative sull' immagine del Paese. Per alcuni osservatori, anche francesi, il «fiasco» degli ostaggi diventa il pretesto per delegittimare una politica estera. In realtà, è il sintomo di una crisi di funzionamento del sistema anche in altri campi, della distanza fra nobili principi e comportamenti, fra ambizioni e risultati, di ritardi e figuracce che alcuni intellettuali riassumono nel concetto di «declino». Quando tutto ruota attorno alla figura del Presidente e alla permanente battaglia in corso per sostituirlo, succede che il sistema s' inceppi e che la voce dello Stato diventi cacofonica. Massimo Nava I PROTAGONISTI Jacques Chirac sarebbe stato informato da un suo collaboratore, Didier Julia, deputato Ump, ha condotto una mediazione, Philippe Brett, ex soldato, legato al Fronte nazionale. Lavora per Julia, Laurent Gbagbo: la Costa d' Avorio avrebbe fornito i soldi del riscatto, Precedente Sembra il seguito di una spy story. Servizi segreti paralleli, trattative segrete, personaggi vicini al potere ma abbastanza lontani da poter essere scaricati. A metà degli anni ' 80 la Francia è alla prese con un' altra presa d' ostaggi. Quattro suoi cittadini sono catturati dai militanti filoiraniani dell' Hezbollah, che agiscono sotto una giungla di sigle. Parigi riuscirà a ottenere la loro liberazione cedendo alle condizioni fissate da Teheran (come l' espulsione degli oppositori iraniani e la restituzione di un prestito). Ma non mancano voci sul pagamento di un riscatto, avvenuto grazie a un' operazione clandestina lanciata da funzionari vicini all' allora ministro degli Interni Charles Pasqua (foto). Altra coincidenza: alcuni dei contatti avvengono in Africa, dove vive una ricca comunità sciita libanese.
Ambizioni e cadute I giorni grigi di Chirac
I giorni grigi di Chirac, tra ambizioni e cadute. Dal caso Battisti alla gestione dei sequestri, la Francia si interroga sul declino del sistema. Negativa la lotta gia' in corso per la successione all' Eliseo. La gente osserva lo spettacolo politico sempre piu' da lontano
FRANCIA
Nava Massimo
PARIGI - Il presidente Jacques Chirac va in visita in Cina. Porta in dote Airbus, Tgv, centrali nucleari, il fior fiore di un «sistema Paese» solido, che vuole superare Germania e Italia nei rapporti con Pechino. La Cina è un asse strategico di quella visione multipolare che la Francia persegue dopo la crisi irachena. Visione che Chirac ha difeso all' Assemblea dell' Onu, raccogliendo applausi e consenso. Visione che ispira la diplomazia di Parigi, nella convinzione che il dialogo fra culture sia la strada per affrontare grandi problemi ed emergenze. Ma il successo di Chirac sulla scena internazionale, sull' onda di valori che appartengono al Dna della Francia, ha il suo contrario in patria, dove la girandola di gaffe, polemiche e atteggiamenti tutt' altro che limpidi ridicolizza l' immagine che il Paese pretende di offrire. La vicenda degli ostaggi è emblematica di questo solco fra ambizioni e risultati, modelli teorizzati e loro messa in pratica. Una missione parallela, maldestramente montata da un deputato e qualche spione, forse segretamente avallata dal potere politico, si è risolta in un «fiasco» (anche i francesi usano questa parola!), che mette alla berlina le lezioni di diplomazia filoaraba, anche perché è facile il confronto con la liberazione degli ostaggi italiani. Orgogliosi nel ribadire la giustezza della linea seguita, i francesi sono i primi a flagellarsi sulle falle del sistema (dove è finito lo Stato?, si è chiesto Le Monde) e sulla ricerca di spregiudicate scorciatoie che rivelano, alla faccia dei principi, una bella dose d' ipocrisia. Forse un riferimento ad altre recenti vicende apparirà superficiale. Eppure qualche cosa insegnano. Come considerare la «soluzione» del caso Battisti: lezioni di democrazia e di diritti umani da parte della sinistra, responsabile ripensamento della destra e fuga dell' interessato sotto gli occhi della polizia. In quale contesto di approssimazione inserire il crollo del più avveniristico terminal dell' aeroporto appena inaugurato? Come valutare la rissa nella sinistra, scoppiata per le ambizioni personali di uno dei suoi leader, Laurent Fabius, che rischia di far pendere il Paese dalla parte di un umiliante no al referendum sulla Costituzione europea? Come spiegare, se non con fantasmi irrisolti, l' isterica e precipitosa condanna di atti di antisemitismo poi rivelatisi falsi? E che senso dare all' euforico annuncio di un' imminente liberazione degli ostaggi quando la diplomazia non aveva alcuna certezza? Da tempo, intellettuali ed economisti s' interrogano sul «declino» del sistema. Uno dei più acuti, Nicolas Baverez, ne ha individuato le cause nella difficoltà di adattarsi alle trasformazioni planetarie, nella resistenza alle riforme del modello statuale verticistico e nella cecità della classe politica che difende il modello per perpetuare se stessa. Di qui la schizofrenia fra ambizioni internazionali e peso specifico, performance del settore privato e incrostazioni del pubblico, attese dei cittadini e incapacità del potere di interpretarle. La tesi del declino non è recente, ma il cortocircuito del sistema sembra oggi più evidente perché si è prodotto nel suo perno strutturale, la presidenza della Repubblica e la lotta per la successione, troppo anticipata, troppo diffusa a tutti i livelli della società, troppo spettacolarizzata per non avere effetti devastanti anche sull' immagine di compattezza e determinazione dello Stato. Nell' attesa dell' uomo nuovo, che il circo mediatico ha già individuato in Nicolas Sarkozy, discepolo ribelle di Chirac, la «monarchia» francese perde autorità e legittimità e il Paese finisce per specchiarsi nell' impasse di una campagna elettorale permanente che dilapida energie, condiziona partiti e girandola di posti di comando, influenza la vita politica e persino la diplomazia, sottomette le istituzioni ai sondaggi e quindi al traguardo finale. Chirac recupera all' estero il prestigio che si consuma in patria, ma non sempre il gioco di prestigio riesce. La malattia francese non è il declino, ma questo agitarsi autistico attorno all' Eliseo. I francesi osservano lo spettacolo sempre più da lontano. Si compiacciono di una certa idea della Francia ma detengono il record europeo di consumo di ansiolitici. I giornali grondano di analisi sulla «malattia» del Paese e ne elencano sintomi contraddittori: crisi dell' autorità, iperpotenza americana, mandarinato della classe dirigente, politica spettacolo. Ma i francesi li leggono sempre meno. Anche il prestigioso Le Monde, troppo elitario e parigino, fa i conti con il Paese reale. E anche questo è un segno dei tempi. Massimo Nava
la cosa francamente più irritante di questa vicenda è il fatto che per alcuni giorni si è ricamata una storia fondata sul nulla e naturalmente vi si sono tirati in ballo immancabilmente gli americani
che avrebbero dovuto approntare un non meglio precisato "corridoio umanitario" e che a flop avvenuto sarebbero stati responsabili della mancata liberazione dei due ostaggi francesi per via dei loro "bombardamenti", costringendo il comando americano a smentire seccamente come se poi non avessero altre cose più importanti da pensare
questo a detta del deputato Julia, esponente neogollista al parlamento francese, examicone di saddam, che a sua volta si basava sulle informazione di tal Philippe Brett, ex fronte nazionale (toh un fascista francese) che mentre Julia era a damasco si sarebbe recato in iraq e avrebbe visto con i suoi occhi nientemeno che gli ostaggi francesi
sino a quando i servizi segreti francesi non fecero presente che il medesimo Philippe Brett in realtà non si era mai mosso da damasco :rolleyes: