Ja]{|e
26-09-2004, 23:49
quindi copio dal mio blog
27 Settembre 2004
Ore 00.12
Oggi, cioè, ieri, - ovvero poco fa - considerando l'orario, ho perso una persona a me cara. O meglio dire "un mio parente", perché forse nella situazione "a me cara", nonostante il legame di parentela che ci legava, è troppo. Uno zio che non ho mai conosciuto. Uno zio che, nonostante sia stato uno zio di nome, non credo che lo sia stato mai di fatto. Forse per colpa sua, perché lui e sua moglie - sorella di mio padre - , così vecchi dentro, non sono riusciti ad instaurare un rapporto con i miei come quello che sono riusciti ad instaurare la sorella di mia madre e suo marito, i "miei zietti preferiti", o forse per colpa mia, che non sono mai stata presente nella loro solitaria vita.
Allora cos'è che mi fa stare male? Dato che in realtà uno zio non lo è mai stato, che cos'è che mi fa sentire questo vuoto dentro? Perché in questi anni di dialisi mi è sembrato che tutto stesse succedendo ad un estraneo, perché in questi giorni mia madre mi telefonava e io le rispondevo solo "com'è?" per dire "come sta mio zio?", perché in queste sere me lo vedevo apparire e sapevo che non c'era già più e non mi faceva male, o con cinismo mi chiedevo quante ore rimanevano? Perché ora posta davanti al dato di fatto le mie ghiandole lacrimali rispondono ad un impulso che non sento mio? Forse sono i sensi di colpa nei confronti di questo zio che non è stato, un'occasione perduta di apprendere qualcosa da qualcuno che forse poteva dirmi tanto, ed io non ho colto. Sensi di colpa perché da un lato mi sento di aver sempre fatto favoritismi, come una nonna con i nipoti, io con gli zii. Nove mesi fa ho perso un altro zio. Uno zio, dalla parte di mia madre, che era molto più lontano, geograficamente parlando, e ora solo il ricordo, se allora l'ho superata con la mia solita freddezza, mi fa stare male e versare qualche lacrima; ora uno zio, dalla parte di mio padre, più vicino, ma mille anni luce più lontano, forse anche per il fatto che nelle nostre vene non scorreva lo stesso sangue. Ma per chi sono queste lacrime? Mi sta venendo il dubbio che siano lacrime per me, che nella mia orgogliosità vuol fare la dura, che "se non mi cagano io non cago nessuno", che non versa una lacrima davanti agli altri, che "la vita va avanti e noi siamo qua". Ilenia che sorride, nonostante una tristissima telefonata ricevuta davanti agli amici, che si dilegua con un saluto frettoloso per non comunicare una notizia che suona come una vergogna. Come se la morte fosse qualcosa di cui vergognarsi. Ilenia che torna a casa, che prima di andare ad infilarsi due dita in gola si preoccupa degli altri, per il suo piccolo Portnoy in uno dei rari momenti di tenerezza e frequenti di preoccupazione verso il fratello che non risponde alla porta e poi scrive per comunicare a sconosciuti le proprie sensazioni; Ile che gli amici non sono amici e non gli si dice niente, che ha paura di comunicare i propri sentimenti alle persone conosciute, che prima di salutare quelle persone che sono con lei si sofferma a finirsi quel vodka e redbull che così amaro non lo è mai stato, che si sforza di sorridere a battute sceme per cui in altre occasioni si sarebbe piegata in due per le risate. Ilenia che sorride, sempre ed in ogni circostanza, anche nell'istante seguente in cui ha chiuso con sua madre a telefono che le ha comunicato la nefasta notizia. Ilenia, alla quale non frega mai niente, Ilenia "punta di iceberg" che non prova sentimenti, Ilenia che non piange.
Piove, sembra quasi uno scenario surreale di un film, la sera è così triste che mi sarei dovuta aspettare quella telefonata, mentre mi sorseggiavo allegramente il mio drink, era tornata una mi amica da Rimini, non ci vedevamo da un mese, a lei ho dovuto comunicare il mio dolore, io "sempre sorridente", perché altrimenti ci sarebbe rimasta male, ma ne avrei volentieri fatto a meno.
27 Settembre 2004
Ore 00.12
Oggi, cioè, ieri, - ovvero poco fa - considerando l'orario, ho perso una persona a me cara. O meglio dire "un mio parente", perché forse nella situazione "a me cara", nonostante il legame di parentela che ci legava, è troppo. Uno zio che non ho mai conosciuto. Uno zio che, nonostante sia stato uno zio di nome, non credo che lo sia stato mai di fatto. Forse per colpa sua, perché lui e sua moglie - sorella di mio padre - , così vecchi dentro, non sono riusciti ad instaurare un rapporto con i miei come quello che sono riusciti ad instaurare la sorella di mia madre e suo marito, i "miei zietti preferiti", o forse per colpa mia, che non sono mai stata presente nella loro solitaria vita.
Allora cos'è che mi fa stare male? Dato che in realtà uno zio non lo è mai stato, che cos'è che mi fa sentire questo vuoto dentro? Perché in questi anni di dialisi mi è sembrato che tutto stesse succedendo ad un estraneo, perché in questi giorni mia madre mi telefonava e io le rispondevo solo "com'è?" per dire "come sta mio zio?", perché in queste sere me lo vedevo apparire e sapevo che non c'era già più e non mi faceva male, o con cinismo mi chiedevo quante ore rimanevano? Perché ora posta davanti al dato di fatto le mie ghiandole lacrimali rispondono ad un impulso che non sento mio? Forse sono i sensi di colpa nei confronti di questo zio che non è stato, un'occasione perduta di apprendere qualcosa da qualcuno che forse poteva dirmi tanto, ed io non ho colto. Sensi di colpa perché da un lato mi sento di aver sempre fatto favoritismi, come una nonna con i nipoti, io con gli zii. Nove mesi fa ho perso un altro zio. Uno zio, dalla parte di mia madre, che era molto più lontano, geograficamente parlando, e ora solo il ricordo, se allora l'ho superata con la mia solita freddezza, mi fa stare male e versare qualche lacrima; ora uno zio, dalla parte di mio padre, più vicino, ma mille anni luce più lontano, forse anche per il fatto che nelle nostre vene non scorreva lo stesso sangue. Ma per chi sono queste lacrime? Mi sta venendo il dubbio che siano lacrime per me, che nella mia orgogliosità vuol fare la dura, che "se non mi cagano io non cago nessuno", che non versa una lacrima davanti agli altri, che "la vita va avanti e noi siamo qua". Ilenia che sorride, nonostante una tristissima telefonata ricevuta davanti agli amici, che si dilegua con un saluto frettoloso per non comunicare una notizia che suona come una vergogna. Come se la morte fosse qualcosa di cui vergognarsi. Ilenia che torna a casa, che prima di andare ad infilarsi due dita in gola si preoccupa degli altri, per il suo piccolo Portnoy in uno dei rari momenti di tenerezza e frequenti di preoccupazione verso il fratello che non risponde alla porta e poi scrive per comunicare a sconosciuti le proprie sensazioni; Ile che gli amici non sono amici e non gli si dice niente, che ha paura di comunicare i propri sentimenti alle persone conosciute, che prima di salutare quelle persone che sono con lei si sofferma a finirsi quel vodka e redbull che così amaro non lo è mai stato, che si sforza di sorridere a battute sceme per cui in altre occasioni si sarebbe piegata in due per le risate. Ilenia che sorride, sempre ed in ogni circostanza, anche nell'istante seguente in cui ha chiuso con sua madre a telefono che le ha comunicato la nefasta notizia. Ilenia, alla quale non frega mai niente, Ilenia "punta di iceberg" che non prova sentimenti, Ilenia che non piange.
Piove, sembra quasi uno scenario surreale di un film, la sera è così triste che mi sarei dovuta aspettare quella telefonata, mentre mi sorseggiavo allegramente il mio drink, era tornata una mi amica da Rimini, non ci vedevamo da un mese, a lei ho dovuto comunicare il mio dolore, io "sempre sorridente", perché altrimenti ci sarebbe rimasta male, ma ne avrei volentieri fatto a meno.