dimitry
18-09-2004, 16:54
Il Caucaso torna a far parlare di sé a seguito del duplice attentato aereo avvenuto ai danni di due apparecchi delle aviolinee russe e al sequestro mostre di Beslan dove alcune decine di guerriglieri ceceni hanno preso in ostaggio bambini e genitori di un complesso scolastico della città della Repubblica autonoma dell'Ossezia del nord appartenente alla Federazione Russa. La guerra in Cecenia sembra essere diventata permanente e a pagarne le spese sono sempre di più le popolazioni civili della Federazione Russa e della stessa repubblica secessionista ormai pesantemente martirizzata. Lo scontro ceceno, però, non è l'unica guerra in corso nella tormentata penisola ponte tra l'Europa e l'Asia. In Georgia il neo presidente Mikheil Saakashvili, dopo aver piegato la repubblica secessionista dell'Adzaria, posta tra la Georgia e la Turchia, ha iniziato le manovre di attacco all'Ossezia del Sud la cui popolazione è etnicamente e culturalmente la stessa del nord, ma il cui territorio è situato all'interno della Georgia. L'Ossezia del Sud è indipendente de facto dal 1993 quando emerse vittoriosa dalla breve guerra di secessione contro Tblisi all'indomani dello scioglimento dell'URSS. Tale secessione venne appoggiata dai Russi che, grazie ai movimenti indipendentisti in Ossezia, Abkhazia e Adzaria poterono rientrare nella repubblica caucasica diventata indipendente in funzione di peace-keepers, costruendo basi militari sul suo territorio in zone non controllate da Tblisi. La cacciata del Presidente Shevardnadze avvenuta a dicembre del 2003 con l'appoggio degli Stati Uniti è stato il primo segnale del palesarsi di un progetto nazionalista georgiano per recuperare i territori perduti nel 1991-93. Tale progetto viene posto in essere oggi grazie all'appoggio esplicito degli USA che contano alcune centinaia di militari sul campo, ufficialmente in funzione antiterrorista, ma in pratica con quella di addestratori dell'esercito della repubblica caucasica.
L'appoggio di Washington non nasce da spiccate propensioni americane a favorire la Georgia nella sua disputa territoriale con osseti ed abkhazi, ma dalla volontà di isolare in modo drastico Mosca dal trasporto degli idrocarburi del Mar Caspio verso l'Europa. Il nuovo presidente georgiano, infatti, si è impegnato alla costruzione dell'oleodotto Baku-Ceyan che dovrebbe portare il petrolio del Caspio dall'Azerbaigian al porto turco attraversando il territorio di Tblisi, mettendo così fuori gioco la linea di trasporto verso il porto russo di Novorossijsk sul Mar Nero. Inoltre, questo secondo oleodotto passa all'interno della Cecenia. Diventa così chiaro perché il conflitto in Cecenia ha un'importanza strategica nei rapporti Usa-Russia e perché Washington si stia mobilitando per consentire ai georgiani di piegare due piccole repubbliche ribelli e per espellere le basi e le truppe russe dalla repubblica caucasica. La costruzione di un oleodotto completamente controllato dalla Georgia nel momento in cui l'oleodotto concorrente è a continuo rischio di sabotaggio da parte della guerriglia cecena comporterebbe l'esclusiva USA nel controllo delle risorse petrolifere del Caspio meridionale, l'isolamento della Russia verso l'Europa e il completamento dell'accerchiamento dell'Iran.
All'interno di questo quadro deve essere posta la mobilitazione progressiva di decine di migliaia di soldati della Georgia ai confini dell'Ossezia e il rinnovato appoggio di Tblisi alla guerriglia cecena. Saakashvili spera di scatenare una guerra di breve durata che pieghi gli osseti, ne provochi la fuga verso il territorio russo e gli consenta di annettersi il territorio ribelle. Gli osseti da parte loro sanno, in caso di sconfitta di doversi aspettare una feroce pulizia etnica che "georgizzi" il loro paese e si preparano a una guerra di resistenza che probabilmente assumerà tratti di una ferocia inimmaginabile, dal momento che nessuno degli osseti si è dimenticato i 20.000 morti (quasi tutti civili) subiti da questa popolazione nel corso della guerra di secessione dalla Georgia.
I russi dal canto loro sanno che la loro cacciata dalle basi ossete ed abkhaze vorrebbe dire l'emarginazione di Mosca da qualsiasi gioco caucasico e il diffondersi della ribellione all'interno delle molte repubbliche autonome della Federazione. Anche Mosca, quindi, non abbandonerà la mano se non a seguito di un conflitto catastrofico che potrebbe portare alla dissoluzione della stessa Russia in un insieme di staterelli oligarchici gestiti da locali feudatari di Washington.
La questione dell'oleodotto è quella attorno alla quale si è venuto a costruire il conflitto che più di ogni altro sta portando Russia e USA sulla strada del confronto armato, sia pure per interposto esercito. Inoltre Ossezia ed Abkhazia, in quanto stati de facto ma non riconosciuti sono da sempre basi perfette per il contrabbando, il traffico d'armi, di droga e di uomini, totalmente controllati dalla mafia russa e dai suoi molti appoggi all'interno del Kremlino e dell'Armata Russa; una ragione in più per la quale Mosca non può permettersi di abbandonare le due repubbliche caucasiche secessioniste.
Chi soffia sul fuoco: padri e padrini dell'indipendentismo ceceno
L'assalto alla scuola di Beslan e la successiva carneficina attuata dalla guerriglia cecena tra gli ostaggi (bambini, maestre e qualche genitore) in seguito all'attacco all'edificio condotto dalle forze speciali russe con il consueto mix di ferocia ed incapacità al quale hanno abituato il mondo negli ultimi anni si inserisce in questa partita come un episodio della stessa guerra che devasta il Caucaso dalla fine dell'URSS ad adesso. È vero, infatti, come ricordano molti commentatori sui media occidentali che la guerra coloniale russa in Cecenia è iniziata nella prima metà dell'Ottocento quando l'espansionismo russo toccò le terre del Caucaso meridionale e non è mai davvero finita, ma è altrettanto vero che la nuova fiammata indipendentista iniziata con la dichiarazione d'indipendenza del 1991 e con la successiva guerra voluta e persa da Eltsin nel biennio 1994-96, ha sponsor e padrini in parte coincidenti con quelli che oggi sponsorizzano la ventata nazionalista ed aggressiva georgiana. Il moderno indipendentismo ceceno nasce laico e guidato da ex ufficiali dell'esercito sovietico decisi ad approfittare dello sfascio russo seguito ai convulsi giorni dell'Autunno del 1991 per affermare l'indipendenza di un territorio che avrebbe potuto contare sulla rendita del transito petrolifero per garantirsi una certa prosperità. Gli anni successivi vedono la progressiva emarginazione della leadership laica e la sua sostituzione con una religiosa a base wahabita, il cui finanziamento veniva effettuato in primo luogo dalla monarchia saudita desiderosa di estendere la propria influenza politica su tutti i territori a maggioranza islamica, tramite l'esportazione della versione reazionaria ed oscurantista della religione musulmana, nata in Arabia nel corso del XVIII secolo ed adottata dalla dinastia dei Saud, allora re beduini del Neged in perenne conflitto con gli altri regni della penisola arabica e con gli Sceriffi della Mecca appartenenti alla dinastia Hascemita (quella per intendersi che tuttora esprime il Re di Giordania).
Accanto al wahabismo saudita opera all'islamizzazione dell'indipendentismo ceceno e alla sua trasformazione in una guerriglia feroce, capace di utilizzare l'attentato suicida come la strage di ostaggi, la guerra aperta come l'infiltrazione nel territorio russo, anche una delle principali compagnie petrolifere mondiali: la Chevron-Texaco, la cui consigliera per l'area caucasica, responsabile per le politiche locali, è una signora che tutto il mondo ha imparato a conoscere negli ultimi quattro anni: Condoleeza Rice, l'attuale ministro per la Sicurezza nazionale dell'amministrazione Bush.
La presenza di volontari wahabiti della più diversa estrazione nazionale (arabi, algerini, egiziani, afgani, bengalesi.) tra i guerriglieri ceceni indica, inoltre, che il reclutamento degli effettivi delle formazioni wahabite cecene avveniva fin dalla prima metà degli anni Novanta a cura dell'ISI, il famigerato servizio segreto pakistano inventore e sostenitore del regime talebano afgano e delle organizzazioni politiche e militari wahabita e deobandiste (un'altra scuola islamica a forte orientamento reazionario nata nel XIX secolo nell'India musulmana). Insomma, come in Afganistan, la sinergia tra petroldollari ed ideologia religiosa saudita, logistica ed addestramento pakistani e supervisione geopolitica e geoeconomica a cura dell'intreccio tra dirigenza economica e politica a stelle e strisce. L'interesse della multinazionale americana nello sviluppo della guerriglia cecena è chiaro: mettere fuori gioco la concorrenza europea ed asiatica nel trasporto del greggio del Mar Caspio e tagliare le gambe al monopolio russo. Questi obiettivi vengono perseguiti con una politica di sostegno sempre più marcato alle oligarchie che governano in modo autocratico gli stati asiatici creati dalla disintegrazione dell'URSS, in primis l'Azerbaigian che possiede i giacimenti maggiormente sviluppati, e al contempo con una spinta aggressiva tendente a sabotare le linee di trasporto del greggio costruite al tempo dell'Unione Sovietica che, invariabilmente, passano tutte all'interno della Russia. Da questo punto di vista l'insurrezione della Cecenia, sul cui territorio passa la condotta che porta a Novorossijsk, il porto russo sul Mar Nero specializzato nell'esportazione petrolifera, viene colta come un'occasione unica per il perseguimento dell'obiettivo di inglobamento del controllo del petrolio. Le amministrazioni americane, dal canto loro, hanno continuato a perseguire una politica volta ad impedire che la Russia potesse ripresentarsi come potenza autonoma dagli Stati Uniti, capace di continuare la tradizione sovietica di contrapposizione alla potenza americana, e a costruire le condizioni per le quali l'immenso paese potesse diventare una buona occasione per la speculazione finanziaria internazionale a guida USA.
D'altro canto in questa politica hanno trovato l'interessata collaborazione all'interno del paese di una nuova classe di ex funzionari del Partito Comunista riciclatisi grazie alla loro posizione fra i capitalisti della "nuova Russia", distruttivi dal punto di vista dello sviluppo produttivo ma estremamente abili nel fare profitti nel campo finanziario. Sono loro che hanno gonfiato al massimo la bolla della finanza russa esplosa poi nel 1998 travolgendo il risparmio nazionale del paese ma salvaguardando le immense fortune che questa classe di capitalisti senza imprenditoria avevano accumulato negli anni precedenti.
La guerra in Cecenia è sempre stata un buon affare per questa neo classe dominante; a prescindere dai profitti realizzati con il contrabbando e il commercio delle armi con il "nemico", in questi anni la guerriglia cecena è stata soprattutto un ottimo pretesto per indirizzare il malcontento della popolazione verso un obiettivo esterno e per decidere i destini politici della Russia del XXI secolo; Eltsin e la sua banda vengono definitivamente sacrificati grazie a una strana offensiva della guerriglia a suon di bombe a Mosca ed occupazione di ospedali in Daghestan (azioni, guarda caso, condotte dall'incredibile capo guerrigliero Basayev, concorrente del Presidente ceceno in esilio Maskhadov, responsabile anche del rapimento carneficina di Beslan) nel 1999, mentre Putin viene presentato alla nazione come il futuro Presidente grazie all'offensiva che porta alla rioccupazione del martoriato paese caucasico e che tuttora non ha trovato la sua conclusione. Oggi non si può che sospettare che la stessa classe di grandi capitalisti finanziari, proprietari di tutte le risorse strategiche del paese, sia interessata a contrastare il tentativo del gruppo dirigente riunito attorno a Putin di costruire un capitalismo nazionale nel paese, sviluppando la propria base produttiva e rafforzando i propri legami commerciali e politici con i paesi europei e, necessariamente, esautorando questa classe di oligarchi legata a doppio filo al capitale finanziario americano e alla svendita delle materie prime del paese.
La facilità con la quale i guerriglieri ceceni sono riusciti a far saltare in aria due aviogetti, a far scoppiare due ordigni nella metropolitana di Mosca e, infine, ad assaltare la scuola osseta, rimandano alla presenza di sicure complicità all'interno del paese oltre che ai suoi vulnerabili confini con la Georgia con la quale, come abbiamo visto, è in corso una vera e propria guerra sul procinto di diventare calda con sullo sfondo l'appoggio statunitense a Tblisi.
Dietro alle tragedie russe di questi giorni si configura un'alleanza spuria tra gli interessi strategici americani, quelli economici delle multinazionali petrolifere USA, quelli del nazionalismo georgiano e del fondamentalismo wahabita a guida saudita e quelli dell'oligarchia finanziaria russa. L'obiettivo di questa alleanza oggi è quello di dimostrare che l'amministrazione Putin non è in grado di difendere la Russia e di suscitare un clima che ne permetta la sostituzione con un'altra più morbidamente incline ad assecondare gli interessi interni ed esteri legati alla finanza internazionale.
L'assalto criminale con il quale le forze di sicurezza russe hanno chiuso la vicenda del sequestro di Beslan, con il corollario di centinaia di morti tra bambini ed adulti rinchiusi nella scuola osseta rimanda alla necessità per il gruppo dirigente putiniano di mostrarsi deciso e feroce nei confronti della guerriglia cecena per ottenere l'obiettivo di impadronirsi realmente della Russia, defenestrandone i padroni finanziari che continuano a muovere i fili fondamentali del potere nell'immenso paese eurasiatico.
La posta in gioco è enorme e le conseguenze della vittoria di uno o dell'altro dei due contendenti sono tali che i massacri della popolazione civile, carne da macello e massa di manovra per gli interessi contrastanti dei contendenti in campo, sono destinati a continuare e ad approfondirsi, tanto più adesso quando, dopo il massacro di Beslan, l'ultimo dei tabù comunemente accettati dall'umanità, quello del rispetto della vita dei bambini, è stato definitivamente violato tanto dalla guerriglia che dalle forze di sicurezza russe in diretta televisiva mondiale.
Francamente non mi convince molto la sbrigativa analisi storico-politica
dell’intervento “Le due culture di potere” di Aldo Reggiani
Certo, da un General Manager ci si aspetta logicamente un’opinione
liberale e liberista, e su Nexus giustamente c’è spazio per tutte le idee.
Che l’Italia abbia perso molti treni negli ultimi 40 anni, a causa del fatto
che è governata da una classe politica di malfattori, mafiosi, nepotisti,
tangentisti e lobbisti (in una parola neo-coloniale), incapaci di vedere al
di là del proprio naso è giusto ribadirlo. Che questa sia l’eredità della
cultura borbonica-mediterranea, lo dubito fortemente rimembrando, così a
spanne, che le “Polis” della Magna Grecia erano in Sicilia e che all’epoca
dell’unificazione era il Regno dei Borboni a detenere il primato nella
penisola dal punto di vista del benessere e della produttività dei
cittadini. Se proprio vogliamo trovare una causa storica del fatto che
l’Italia è il paese della burocrazia e della malversazione, va cercata, se
mai, nella sua origine savoiarda. E considerato che i regnanti piemontesi
erano imparentati con i francesi (illuministi e iniziatori della moderna
democrazia parlamentare) e che dal secondo dopoguerra siamo diventati
colonia degli Usa, sembra proprio che l’Italia rappresenti un vero
fallimento della strategia di imporre “con le buone o con le cattive” una
mentalità democratica ateniese-anglo-americana.
Il modello della Polis ateniese, comunque, può esistere solo se si esercita
la democrazia diretta, con assemblee pubbliche alle quali la cittadinanza è
chiamata a partecipare. Che la municipalità di Seattle sia un esempio di
democrazia partecipativa migliore dei nostri comuni è molto probabile. Che
il merito di ciò risieda nella sua fondazione anglosassone, non è detto,
altrimenti non si spiegherebbe perché gli USA siano una pessima democrazia
rappresentativa (con il primato di astensionismo tra i paesi
industrializzati) che si preoccupa di imbarcarsi in guerre autolesioniste e
contrarie alla volontà popolare, fatte ad hoc per occupare pozzi di petrolio
che potrebbero essere resi obsoleti dall’applicazione su vasta scala del
Dual-Bus che tanto piacque ai cittadini di Seattle.
Quindi c’è anche un problema di scala. Alle dimensioni della nazione
l’esercizio della democrazia si limita al rito delle elezioni periodiche,
attraverso cui vengono legittimati al potere dei personaggi scelti dalle
oligarchie, che andranno a fare un mestiere oscuro e lontano dal controllo
puntuale dei loro elettori, che dovranno subire le conseguenze delle
decisioni veramente importanti, prese da eminenze grigie, su cui nemmeno i
politici hanno il controllo. La “Democrazia” altro non è che il potere
dell’oligarchia, gestito attraverso una serie di procedure che fanno
sembrare che i cittadini siano parte in causa (un modo per “metterlo nel
culo alla gente con il loro consenso” - leggasi “Sudditi” di M.Fini). E
naturalmente gli USA sono il non plus-ultra dell’ipocrisia di questo potere
democratico, basta vedere la composizione dell’attuale entourage della Casa
Bianca: tutta gente che sta sul libro paga di aziende che curano interessi
ben precisi e non certo quelli dei cittadini.
E’ giusto poi non ammazzare i piccoli imprenditori, ma spero che per
liberalizzare l’impresa e gli incentivi ai neo-imprenditori che aprono
un’attività non sia per forza necessario distruggere il Welfare come ha
fatto la Tatcher negli anni ’80 (molti in UK ringraziano ancora oggi). Tra
la via “burocratica” e la via del “Laissez-faire” totale ci sarà una terza
via?
E anche la distinzione generalizzata tra ex-colonie borboniche ed ex-colonie
anglofone, secondo me non regge affatto. USA, Canada e Australia non sono
ex-colonie; sono luoghi in cui l’uomo bianco europeo è andato ad abitare
stabilmente, prendendo il posto di chi vi abitava prima. Quindi non è che la
cultura “democratica” ha attecchito meglio che negli altri luoghi,
semplicemente in quei luoghi l’Europa si è replicata, sterminando
preventivamente coloro che occupavano spazio “improduttivamente” (pellirossa
e Inuit nordamericani, aborigeni australiani). Mostrando quindi il vero
volto razzista che sottende la democrazia “neo-ateniese” moderna (in questo
aspetto somigliante a quella dell’antica Grecia, a cui accedevano i pochi, i
cittadini liberi, e da cui era esclusa la massa degli schiavi).
Dove invece gli autoctoni sono rimasti la maggioranza etnica della
popolazione, governati dalla classe dirigente europea (Africa, est asiatico)
oppure dove i colonizzatori si sono mescolati con gli indigeni (tipicamente
nei domini spagnoli e portoghesi in Sudamerica), lì abbiamo il Terzo Mondo.
Additare l’India come esempio di paese dallo sviluppo economico molto alto e
partecipazione dei cittadini molto intensa, lo trovo fuori luogo (al
contrario si tratta del migliore esempio di catastrofe umanitaria che il
colonialismo inglese sia riuscito a compiere in una civiltà estremamente
popolosa).
E anche infierire sul Brasile e l’Argentina (e il Cile?) mi pare scortese.
Se questi saltano da una dittatura all’altra è colpa della cultura
post-spagnola? O non è forse colpa dei loro invadenti vicini di casa?
L’America Latina è il continente ex-colonia che più di tutti ha cercato
nella partecipazione dal basso le motivazioni per costruire dei governi
indipendenti, i quali, quelle poche volte che sono arrivati al potere sono
stati scalzati con il decisivo aiuto di forze esterne che hanno rimesso le
cose a posto. I guerriglieri della CIA o i ricatti del FMI, si sono
prodigati per affermare in Sudamerica tutto fuorché la democrazia della
Magna Charta.
In ultima analisi volendo generalizzare - scorrettamente - il destino delle
ex-colonie nel mondo, a me viene da distinguere i paesi abitati da autoctoni
e meticci da quelli abitati da bianchi e autoctoni ma governati sempre e
comunque dall’elite WASP.
I rivolgimenti dell’ultimo secolo, per esempio, hanno permesso all’India e
al Sudafrica di passare dal secondo gruppo al primo, non certo in virtù di
una mentalità inculcata dalla democrazia nordeuropea, ma a forza di calci in
culo e grazie a congiunture internazionali favorevoli. E ci vorranno molti
decenni per risolvere i secolari problemi di quei paesi.
La sola eccezione a questo panorama risulta il Giappone, peculiare mix di
democrazia moderna, efficiente e autoritaria, popolato e governato da
autoctoni, che vivono da un secolo secondo la ricetta del modello
occidentale (importata volenti o nolenti).
L’unica massima che possiamo quindi evincere dalla storia è che la cultura
di potere mercantile-capitalista è risultata vincente. Questa impostazione
ha prodotto, nei paesi dei padroni, la democrazia; nei paesi degli schiavi,
la servitù e l’instabilità sociale.
L'appoggio di Washington non nasce da spiccate propensioni americane a favorire la Georgia nella sua disputa territoriale con osseti ed abkhazi, ma dalla volontà di isolare in modo drastico Mosca dal trasporto degli idrocarburi del Mar Caspio verso l'Europa. Il nuovo presidente georgiano, infatti, si è impegnato alla costruzione dell'oleodotto Baku-Ceyan che dovrebbe portare il petrolio del Caspio dall'Azerbaigian al porto turco attraversando il territorio di Tblisi, mettendo così fuori gioco la linea di trasporto verso il porto russo di Novorossijsk sul Mar Nero. Inoltre, questo secondo oleodotto passa all'interno della Cecenia. Diventa così chiaro perché il conflitto in Cecenia ha un'importanza strategica nei rapporti Usa-Russia e perché Washington si stia mobilitando per consentire ai georgiani di piegare due piccole repubbliche ribelli e per espellere le basi e le truppe russe dalla repubblica caucasica. La costruzione di un oleodotto completamente controllato dalla Georgia nel momento in cui l'oleodotto concorrente è a continuo rischio di sabotaggio da parte della guerriglia cecena comporterebbe l'esclusiva USA nel controllo delle risorse petrolifere del Caspio meridionale, l'isolamento della Russia verso l'Europa e il completamento dell'accerchiamento dell'Iran.
All'interno di questo quadro deve essere posta la mobilitazione progressiva di decine di migliaia di soldati della Georgia ai confini dell'Ossezia e il rinnovato appoggio di Tblisi alla guerriglia cecena. Saakashvili spera di scatenare una guerra di breve durata che pieghi gli osseti, ne provochi la fuga verso il territorio russo e gli consenta di annettersi il territorio ribelle. Gli osseti da parte loro sanno, in caso di sconfitta di doversi aspettare una feroce pulizia etnica che "georgizzi" il loro paese e si preparano a una guerra di resistenza che probabilmente assumerà tratti di una ferocia inimmaginabile, dal momento che nessuno degli osseti si è dimenticato i 20.000 morti (quasi tutti civili) subiti da questa popolazione nel corso della guerra di secessione dalla Georgia.
I russi dal canto loro sanno che la loro cacciata dalle basi ossete ed abkhaze vorrebbe dire l'emarginazione di Mosca da qualsiasi gioco caucasico e il diffondersi della ribellione all'interno delle molte repubbliche autonome della Federazione. Anche Mosca, quindi, non abbandonerà la mano se non a seguito di un conflitto catastrofico che potrebbe portare alla dissoluzione della stessa Russia in un insieme di staterelli oligarchici gestiti da locali feudatari di Washington.
La questione dell'oleodotto è quella attorno alla quale si è venuto a costruire il conflitto che più di ogni altro sta portando Russia e USA sulla strada del confronto armato, sia pure per interposto esercito. Inoltre Ossezia ed Abkhazia, in quanto stati de facto ma non riconosciuti sono da sempre basi perfette per il contrabbando, il traffico d'armi, di droga e di uomini, totalmente controllati dalla mafia russa e dai suoi molti appoggi all'interno del Kremlino e dell'Armata Russa; una ragione in più per la quale Mosca non può permettersi di abbandonare le due repubbliche caucasiche secessioniste.
Chi soffia sul fuoco: padri e padrini dell'indipendentismo ceceno
L'assalto alla scuola di Beslan e la successiva carneficina attuata dalla guerriglia cecena tra gli ostaggi (bambini, maestre e qualche genitore) in seguito all'attacco all'edificio condotto dalle forze speciali russe con il consueto mix di ferocia ed incapacità al quale hanno abituato il mondo negli ultimi anni si inserisce in questa partita come un episodio della stessa guerra che devasta il Caucaso dalla fine dell'URSS ad adesso. È vero, infatti, come ricordano molti commentatori sui media occidentali che la guerra coloniale russa in Cecenia è iniziata nella prima metà dell'Ottocento quando l'espansionismo russo toccò le terre del Caucaso meridionale e non è mai davvero finita, ma è altrettanto vero che la nuova fiammata indipendentista iniziata con la dichiarazione d'indipendenza del 1991 e con la successiva guerra voluta e persa da Eltsin nel biennio 1994-96, ha sponsor e padrini in parte coincidenti con quelli che oggi sponsorizzano la ventata nazionalista ed aggressiva georgiana. Il moderno indipendentismo ceceno nasce laico e guidato da ex ufficiali dell'esercito sovietico decisi ad approfittare dello sfascio russo seguito ai convulsi giorni dell'Autunno del 1991 per affermare l'indipendenza di un territorio che avrebbe potuto contare sulla rendita del transito petrolifero per garantirsi una certa prosperità. Gli anni successivi vedono la progressiva emarginazione della leadership laica e la sua sostituzione con una religiosa a base wahabita, il cui finanziamento veniva effettuato in primo luogo dalla monarchia saudita desiderosa di estendere la propria influenza politica su tutti i territori a maggioranza islamica, tramite l'esportazione della versione reazionaria ed oscurantista della religione musulmana, nata in Arabia nel corso del XVIII secolo ed adottata dalla dinastia dei Saud, allora re beduini del Neged in perenne conflitto con gli altri regni della penisola arabica e con gli Sceriffi della Mecca appartenenti alla dinastia Hascemita (quella per intendersi che tuttora esprime il Re di Giordania).
Accanto al wahabismo saudita opera all'islamizzazione dell'indipendentismo ceceno e alla sua trasformazione in una guerriglia feroce, capace di utilizzare l'attentato suicida come la strage di ostaggi, la guerra aperta come l'infiltrazione nel territorio russo, anche una delle principali compagnie petrolifere mondiali: la Chevron-Texaco, la cui consigliera per l'area caucasica, responsabile per le politiche locali, è una signora che tutto il mondo ha imparato a conoscere negli ultimi quattro anni: Condoleeza Rice, l'attuale ministro per la Sicurezza nazionale dell'amministrazione Bush.
La presenza di volontari wahabiti della più diversa estrazione nazionale (arabi, algerini, egiziani, afgani, bengalesi.) tra i guerriglieri ceceni indica, inoltre, che il reclutamento degli effettivi delle formazioni wahabite cecene avveniva fin dalla prima metà degli anni Novanta a cura dell'ISI, il famigerato servizio segreto pakistano inventore e sostenitore del regime talebano afgano e delle organizzazioni politiche e militari wahabita e deobandiste (un'altra scuola islamica a forte orientamento reazionario nata nel XIX secolo nell'India musulmana). Insomma, come in Afganistan, la sinergia tra petroldollari ed ideologia religiosa saudita, logistica ed addestramento pakistani e supervisione geopolitica e geoeconomica a cura dell'intreccio tra dirigenza economica e politica a stelle e strisce. L'interesse della multinazionale americana nello sviluppo della guerriglia cecena è chiaro: mettere fuori gioco la concorrenza europea ed asiatica nel trasporto del greggio del Mar Caspio e tagliare le gambe al monopolio russo. Questi obiettivi vengono perseguiti con una politica di sostegno sempre più marcato alle oligarchie che governano in modo autocratico gli stati asiatici creati dalla disintegrazione dell'URSS, in primis l'Azerbaigian che possiede i giacimenti maggiormente sviluppati, e al contempo con una spinta aggressiva tendente a sabotare le linee di trasporto del greggio costruite al tempo dell'Unione Sovietica che, invariabilmente, passano tutte all'interno della Russia. Da questo punto di vista l'insurrezione della Cecenia, sul cui territorio passa la condotta che porta a Novorossijsk, il porto russo sul Mar Nero specializzato nell'esportazione petrolifera, viene colta come un'occasione unica per il perseguimento dell'obiettivo di inglobamento del controllo del petrolio. Le amministrazioni americane, dal canto loro, hanno continuato a perseguire una politica volta ad impedire che la Russia potesse ripresentarsi come potenza autonoma dagli Stati Uniti, capace di continuare la tradizione sovietica di contrapposizione alla potenza americana, e a costruire le condizioni per le quali l'immenso paese potesse diventare una buona occasione per la speculazione finanziaria internazionale a guida USA.
D'altro canto in questa politica hanno trovato l'interessata collaborazione all'interno del paese di una nuova classe di ex funzionari del Partito Comunista riciclatisi grazie alla loro posizione fra i capitalisti della "nuova Russia", distruttivi dal punto di vista dello sviluppo produttivo ma estremamente abili nel fare profitti nel campo finanziario. Sono loro che hanno gonfiato al massimo la bolla della finanza russa esplosa poi nel 1998 travolgendo il risparmio nazionale del paese ma salvaguardando le immense fortune che questa classe di capitalisti senza imprenditoria avevano accumulato negli anni precedenti.
La guerra in Cecenia è sempre stata un buon affare per questa neo classe dominante; a prescindere dai profitti realizzati con il contrabbando e il commercio delle armi con il "nemico", in questi anni la guerriglia cecena è stata soprattutto un ottimo pretesto per indirizzare il malcontento della popolazione verso un obiettivo esterno e per decidere i destini politici della Russia del XXI secolo; Eltsin e la sua banda vengono definitivamente sacrificati grazie a una strana offensiva della guerriglia a suon di bombe a Mosca ed occupazione di ospedali in Daghestan (azioni, guarda caso, condotte dall'incredibile capo guerrigliero Basayev, concorrente del Presidente ceceno in esilio Maskhadov, responsabile anche del rapimento carneficina di Beslan) nel 1999, mentre Putin viene presentato alla nazione come il futuro Presidente grazie all'offensiva che porta alla rioccupazione del martoriato paese caucasico e che tuttora non ha trovato la sua conclusione. Oggi non si può che sospettare che la stessa classe di grandi capitalisti finanziari, proprietari di tutte le risorse strategiche del paese, sia interessata a contrastare il tentativo del gruppo dirigente riunito attorno a Putin di costruire un capitalismo nazionale nel paese, sviluppando la propria base produttiva e rafforzando i propri legami commerciali e politici con i paesi europei e, necessariamente, esautorando questa classe di oligarchi legata a doppio filo al capitale finanziario americano e alla svendita delle materie prime del paese.
La facilità con la quale i guerriglieri ceceni sono riusciti a far saltare in aria due aviogetti, a far scoppiare due ordigni nella metropolitana di Mosca e, infine, ad assaltare la scuola osseta, rimandano alla presenza di sicure complicità all'interno del paese oltre che ai suoi vulnerabili confini con la Georgia con la quale, come abbiamo visto, è in corso una vera e propria guerra sul procinto di diventare calda con sullo sfondo l'appoggio statunitense a Tblisi.
Dietro alle tragedie russe di questi giorni si configura un'alleanza spuria tra gli interessi strategici americani, quelli economici delle multinazionali petrolifere USA, quelli del nazionalismo georgiano e del fondamentalismo wahabita a guida saudita e quelli dell'oligarchia finanziaria russa. L'obiettivo di questa alleanza oggi è quello di dimostrare che l'amministrazione Putin non è in grado di difendere la Russia e di suscitare un clima che ne permetta la sostituzione con un'altra più morbidamente incline ad assecondare gli interessi interni ed esteri legati alla finanza internazionale.
L'assalto criminale con il quale le forze di sicurezza russe hanno chiuso la vicenda del sequestro di Beslan, con il corollario di centinaia di morti tra bambini ed adulti rinchiusi nella scuola osseta rimanda alla necessità per il gruppo dirigente putiniano di mostrarsi deciso e feroce nei confronti della guerriglia cecena per ottenere l'obiettivo di impadronirsi realmente della Russia, defenestrandone i padroni finanziari che continuano a muovere i fili fondamentali del potere nell'immenso paese eurasiatico.
La posta in gioco è enorme e le conseguenze della vittoria di uno o dell'altro dei due contendenti sono tali che i massacri della popolazione civile, carne da macello e massa di manovra per gli interessi contrastanti dei contendenti in campo, sono destinati a continuare e ad approfondirsi, tanto più adesso quando, dopo il massacro di Beslan, l'ultimo dei tabù comunemente accettati dall'umanità, quello del rispetto della vita dei bambini, è stato definitivamente violato tanto dalla guerriglia che dalle forze di sicurezza russe in diretta televisiva mondiale.
Francamente non mi convince molto la sbrigativa analisi storico-politica
dell’intervento “Le due culture di potere” di Aldo Reggiani
Certo, da un General Manager ci si aspetta logicamente un’opinione
liberale e liberista, e su Nexus giustamente c’è spazio per tutte le idee.
Che l’Italia abbia perso molti treni negli ultimi 40 anni, a causa del fatto
che è governata da una classe politica di malfattori, mafiosi, nepotisti,
tangentisti e lobbisti (in una parola neo-coloniale), incapaci di vedere al
di là del proprio naso è giusto ribadirlo. Che questa sia l’eredità della
cultura borbonica-mediterranea, lo dubito fortemente rimembrando, così a
spanne, che le “Polis” della Magna Grecia erano in Sicilia e che all’epoca
dell’unificazione era il Regno dei Borboni a detenere il primato nella
penisola dal punto di vista del benessere e della produttività dei
cittadini. Se proprio vogliamo trovare una causa storica del fatto che
l’Italia è il paese della burocrazia e della malversazione, va cercata, se
mai, nella sua origine savoiarda. E considerato che i regnanti piemontesi
erano imparentati con i francesi (illuministi e iniziatori della moderna
democrazia parlamentare) e che dal secondo dopoguerra siamo diventati
colonia degli Usa, sembra proprio che l’Italia rappresenti un vero
fallimento della strategia di imporre “con le buone o con le cattive” una
mentalità democratica ateniese-anglo-americana.
Il modello della Polis ateniese, comunque, può esistere solo se si esercita
la democrazia diretta, con assemblee pubbliche alle quali la cittadinanza è
chiamata a partecipare. Che la municipalità di Seattle sia un esempio di
democrazia partecipativa migliore dei nostri comuni è molto probabile. Che
il merito di ciò risieda nella sua fondazione anglosassone, non è detto,
altrimenti non si spiegherebbe perché gli USA siano una pessima democrazia
rappresentativa (con il primato di astensionismo tra i paesi
industrializzati) che si preoccupa di imbarcarsi in guerre autolesioniste e
contrarie alla volontà popolare, fatte ad hoc per occupare pozzi di petrolio
che potrebbero essere resi obsoleti dall’applicazione su vasta scala del
Dual-Bus che tanto piacque ai cittadini di Seattle.
Quindi c’è anche un problema di scala. Alle dimensioni della nazione
l’esercizio della democrazia si limita al rito delle elezioni periodiche,
attraverso cui vengono legittimati al potere dei personaggi scelti dalle
oligarchie, che andranno a fare un mestiere oscuro e lontano dal controllo
puntuale dei loro elettori, che dovranno subire le conseguenze delle
decisioni veramente importanti, prese da eminenze grigie, su cui nemmeno i
politici hanno il controllo. La “Democrazia” altro non è che il potere
dell’oligarchia, gestito attraverso una serie di procedure che fanno
sembrare che i cittadini siano parte in causa (un modo per “metterlo nel
culo alla gente con il loro consenso” - leggasi “Sudditi” di M.Fini). E
naturalmente gli USA sono il non plus-ultra dell’ipocrisia di questo potere
democratico, basta vedere la composizione dell’attuale entourage della Casa
Bianca: tutta gente che sta sul libro paga di aziende che curano interessi
ben precisi e non certo quelli dei cittadini.
E’ giusto poi non ammazzare i piccoli imprenditori, ma spero che per
liberalizzare l’impresa e gli incentivi ai neo-imprenditori che aprono
un’attività non sia per forza necessario distruggere il Welfare come ha
fatto la Tatcher negli anni ’80 (molti in UK ringraziano ancora oggi). Tra
la via “burocratica” e la via del “Laissez-faire” totale ci sarà una terza
via?
E anche la distinzione generalizzata tra ex-colonie borboniche ed ex-colonie
anglofone, secondo me non regge affatto. USA, Canada e Australia non sono
ex-colonie; sono luoghi in cui l’uomo bianco europeo è andato ad abitare
stabilmente, prendendo il posto di chi vi abitava prima. Quindi non è che la
cultura “democratica” ha attecchito meglio che negli altri luoghi,
semplicemente in quei luoghi l’Europa si è replicata, sterminando
preventivamente coloro che occupavano spazio “improduttivamente” (pellirossa
e Inuit nordamericani, aborigeni australiani). Mostrando quindi il vero
volto razzista che sottende la democrazia “neo-ateniese” moderna (in questo
aspetto somigliante a quella dell’antica Grecia, a cui accedevano i pochi, i
cittadini liberi, e da cui era esclusa la massa degli schiavi).
Dove invece gli autoctoni sono rimasti la maggioranza etnica della
popolazione, governati dalla classe dirigente europea (Africa, est asiatico)
oppure dove i colonizzatori si sono mescolati con gli indigeni (tipicamente
nei domini spagnoli e portoghesi in Sudamerica), lì abbiamo il Terzo Mondo.
Additare l’India come esempio di paese dallo sviluppo economico molto alto e
partecipazione dei cittadini molto intensa, lo trovo fuori luogo (al
contrario si tratta del migliore esempio di catastrofe umanitaria che il
colonialismo inglese sia riuscito a compiere in una civiltà estremamente
popolosa).
E anche infierire sul Brasile e l’Argentina (e il Cile?) mi pare scortese.
Se questi saltano da una dittatura all’altra è colpa della cultura
post-spagnola? O non è forse colpa dei loro invadenti vicini di casa?
L’America Latina è il continente ex-colonia che più di tutti ha cercato
nella partecipazione dal basso le motivazioni per costruire dei governi
indipendenti, i quali, quelle poche volte che sono arrivati al potere sono
stati scalzati con il decisivo aiuto di forze esterne che hanno rimesso le
cose a posto. I guerriglieri della CIA o i ricatti del FMI, si sono
prodigati per affermare in Sudamerica tutto fuorché la democrazia della
Magna Charta.
In ultima analisi volendo generalizzare - scorrettamente - il destino delle
ex-colonie nel mondo, a me viene da distinguere i paesi abitati da autoctoni
e meticci da quelli abitati da bianchi e autoctoni ma governati sempre e
comunque dall’elite WASP.
I rivolgimenti dell’ultimo secolo, per esempio, hanno permesso all’India e
al Sudafrica di passare dal secondo gruppo al primo, non certo in virtù di
una mentalità inculcata dalla democrazia nordeuropea, ma a forza di calci in
culo e grazie a congiunture internazionali favorevoli. E ci vorranno molti
decenni per risolvere i secolari problemi di quei paesi.
La sola eccezione a questo panorama risulta il Giappone, peculiare mix di
democrazia moderna, efficiente e autoritaria, popolato e governato da
autoctoni, che vivono da un secolo secondo la ricetta del modello
occidentale (importata volenti o nolenti).
L’unica massima che possiamo quindi evincere dalla storia è che la cultura
di potere mercantile-capitalista è risultata vincente. Questa impostazione
ha prodotto, nei paesi dei padroni, la democrazia; nei paesi degli schiavi,
la servitù e l’instabilità sociale.