von Clausewitz
17-09-2004, 16:34
Iran esecuzioni capitali
Ateqeh Rajabi, una ragazza di 16 anni è stata giustiziata in pubblico nella città di Neka, il 15 agosto. Lo ha reso noto la Commissione delle donne del Consiglio della resistenza iraniana. La ragazza era stata condannata per "atti incompatibili con la castità". La condanna a morte è stata confermata dalla Corte Suprema, ed eseguita con l’approvazione di Mahmoud Shahroudi, capo del potere giudiziario del regime dei mullah. Nel corso del processo, Ateqeh non ha avuto l’assistenza di un avvocato e si è difesa da sola, dichiarando a Haj Reza’i, il giudice che presiedeva l’udienza, che se fosse stato una persona seria avrebbe dovuto perseguire gli istigatori della corruzione morale e non le vittime. La sua coraggiosa difesa ha indispettito il giudice che l’ha condannata a morte nonostante la pena, in base alla legge, non potesse essere l’esecuzione. Reza’i ha dichiarato che ha deciso di giustiziare la ragazza per la sua "lingua tagliente".
Un coimputato, di cui è ignota l’identità, è stato condannato a 100 frustate e rilasciato dopo la fustigazione. [fonte: Nessuno tocchi Caino]
In poche parole, se in Iran stai sulle balle al giudice, sei morto. Inquietante!
da http://atahualpa.splinder.com/archive/2004-08
IRAN: LE PROMESSE E LA REALTA’
di Massimo Cipolla
Gli scioperi della fame di quest’estate nella prigione di Evin e i continui arresti di studenti, giornalisti e operai rappresentano due segnali del peggioramento della situazione dei diritti umani in Iran.
L’anno scorso la comunità internazionale aveva espresso soddisfazione per l’annuncio, da parte delle autorità giudiziarie iraniane, di una “moratoria” sulle lapidazioni; salvo scoprire, a novembre, che lo stesso potere giudiziario aveva semplicemente proposto un emendamento alla legge che stabilisce come eseguire le condanne alla lapidazione e alla crocifissione.
L’impiccagione è rimasta invece immutata. Ateqeh Rajabi è morta in questo modo, il 15 agosto a 16 anni, con l’accusa di aver compiuto atti incompatibili con la castità. Sembrerebbe inoltre, ma tutti gli elementi a disposizione di AI sono oggetto di ulteriori accertamenti, che la ragazza fosse una disabile mentale.
AI teme, e non è la sola, che questo comportamento incoerente pregiudichi la serietà dell’impegno di Teheran per il rispetto del diritto internazionale.
L’Iran non ha dato seguito alle raccomandazioni di due organismi dell’Onu, il Gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie e il Relatore speciale sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione. Questo atteggiamento ha indispettito l’Unione Europea, che pare stia rimettendo in discussione il “Dialogo sui diritti umani” con Teheran.
Non bisogna dimenticare, infatti, che proprio per evitare un grave irrigidimento dei rapporti tra l’Iran e la comunità internazionale a causa della politica nucleare del paese, nel 2003 i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito visitarono congiuntamente Teheran.
La morte in stato di fermo della fotoreporter iraniana-canadese Zahra Kazemi, nel luglio 2003, ha spinto il governo del Canada a presentare una risoluzione all’Assemblea Generale dell’Onu, contenente dure critiche alla situazione dei diritti umani in Iran. Le indagini e il processo, gravemente carenti, su questo omicidio, con ogni probabilità, esaspereranno ancora di più le proteste a livello diplomatico.
Ricordiamo i fatti. Le inchieste sollecitate dal governo e dal parlamento hanno portato, nell’agosto scorso, a individuare le persone che erano state fino all’ultimo momento vicino a Zahra Kazemi e hanno stabilito che la donna era stata torturata e colpita a morte con un colpo alla testa. A ottobre Mohammad Reza Aghdam Ahmadi, un funzionario dei servizi di sicurezza, è stato accusato di aver “partecipato a un omicidio semi-intenzionale” per poi essere prosciolto al termine di un processo sommario durato una sola giornata.
A giudizio di AI, il processo per la morte di Zahra Kazemi manca di ogni requisito di completezza e indipendenza: alcuni alti funzionari, tirati in ballo dall’inchiesta parlamentare per aver partecipato agli interrogatori della giornalista, non sono stati mai lambiti dall’indagine giudiziaria, che guarda caso è condotta dall’Ufficio del Procuratore capo di Tehran, da cui dipendono quegli alti funzionari.
AI ha chiesto alle autorità giudiziarie e all’Ufficio diritti umani del ministero degli Affari esteri di accreditare l’avvocato Khalil Matouk a seguire il processo. La risposta tarda ad arrivare, nonostante l’Ufficio diritti umani abbia espresso il desiderio di stabilire “relazioni bilaterali” con AI.
Nel corso del processo, gli avvocati che rappresentano la famiglia della vittima non hanno potuto convocare testimoni e far esaminare prove determinanti per chiarire le circostanze della morte. Un medico, ad esempio, sarebbe pronto a testimoniare di aver udito Zahra Kazemi dire ai suoi colleghi: “Mi hanno rotto il naso, mi hanno spezzato i pollici e le dita dei piedi”.
Dopo l’assoluzione di Ahmadi, le autorità giudiziarie hanno ordinato alla stampa di non seguire più il caso. Peggio ancora, con un comunicato ufficiale, le stesse autorità hanno affermato che il verdetto di assoluzione può solo significare che Zahra Kazami è morta accidentalmente.
Ce n’è abbastanza perché l’Unione Europea ed altri soggetti internazionali inizino a chiedersi che senso ha portare avanti programmi bilaterali sui diritti umani con uno Stato che non ha interesse a rispettare gli standard internazionali e che considera i suoi rappresentanti al di sopra della legge.
da http://www.amnesty.it/notiziario/04_09_10/primopiano4.php3
Ateqeh Rajabi, una ragazza di 16 anni è stata giustiziata in pubblico nella città di Neka, il 15 agosto. Lo ha reso noto la Commissione delle donne del Consiglio della resistenza iraniana. La ragazza era stata condannata per "atti incompatibili con la castità". La condanna a morte è stata confermata dalla Corte Suprema, ed eseguita con l’approvazione di Mahmoud Shahroudi, capo del potere giudiziario del regime dei mullah. Nel corso del processo, Ateqeh non ha avuto l’assistenza di un avvocato e si è difesa da sola, dichiarando a Haj Reza’i, il giudice che presiedeva l’udienza, che se fosse stato una persona seria avrebbe dovuto perseguire gli istigatori della corruzione morale e non le vittime. La sua coraggiosa difesa ha indispettito il giudice che l’ha condannata a morte nonostante la pena, in base alla legge, non potesse essere l’esecuzione. Reza’i ha dichiarato che ha deciso di giustiziare la ragazza per la sua "lingua tagliente".
Un coimputato, di cui è ignota l’identità, è stato condannato a 100 frustate e rilasciato dopo la fustigazione. [fonte: Nessuno tocchi Caino]
In poche parole, se in Iran stai sulle balle al giudice, sei morto. Inquietante!
da http://atahualpa.splinder.com/archive/2004-08
IRAN: LE PROMESSE E LA REALTA’
di Massimo Cipolla
Gli scioperi della fame di quest’estate nella prigione di Evin e i continui arresti di studenti, giornalisti e operai rappresentano due segnali del peggioramento della situazione dei diritti umani in Iran.
L’anno scorso la comunità internazionale aveva espresso soddisfazione per l’annuncio, da parte delle autorità giudiziarie iraniane, di una “moratoria” sulle lapidazioni; salvo scoprire, a novembre, che lo stesso potere giudiziario aveva semplicemente proposto un emendamento alla legge che stabilisce come eseguire le condanne alla lapidazione e alla crocifissione.
L’impiccagione è rimasta invece immutata. Ateqeh Rajabi è morta in questo modo, il 15 agosto a 16 anni, con l’accusa di aver compiuto atti incompatibili con la castità. Sembrerebbe inoltre, ma tutti gli elementi a disposizione di AI sono oggetto di ulteriori accertamenti, che la ragazza fosse una disabile mentale.
AI teme, e non è la sola, che questo comportamento incoerente pregiudichi la serietà dell’impegno di Teheran per il rispetto del diritto internazionale.
L’Iran non ha dato seguito alle raccomandazioni di due organismi dell’Onu, il Gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie e il Relatore speciale sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione. Questo atteggiamento ha indispettito l’Unione Europea, che pare stia rimettendo in discussione il “Dialogo sui diritti umani” con Teheran.
Non bisogna dimenticare, infatti, che proprio per evitare un grave irrigidimento dei rapporti tra l’Iran e la comunità internazionale a causa della politica nucleare del paese, nel 2003 i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito visitarono congiuntamente Teheran.
La morte in stato di fermo della fotoreporter iraniana-canadese Zahra Kazemi, nel luglio 2003, ha spinto il governo del Canada a presentare una risoluzione all’Assemblea Generale dell’Onu, contenente dure critiche alla situazione dei diritti umani in Iran. Le indagini e il processo, gravemente carenti, su questo omicidio, con ogni probabilità, esaspereranno ancora di più le proteste a livello diplomatico.
Ricordiamo i fatti. Le inchieste sollecitate dal governo e dal parlamento hanno portato, nell’agosto scorso, a individuare le persone che erano state fino all’ultimo momento vicino a Zahra Kazemi e hanno stabilito che la donna era stata torturata e colpita a morte con un colpo alla testa. A ottobre Mohammad Reza Aghdam Ahmadi, un funzionario dei servizi di sicurezza, è stato accusato di aver “partecipato a un omicidio semi-intenzionale” per poi essere prosciolto al termine di un processo sommario durato una sola giornata.
A giudizio di AI, il processo per la morte di Zahra Kazemi manca di ogni requisito di completezza e indipendenza: alcuni alti funzionari, tirati in ballo dall’inchiesta parlamentare per aver partecipato agli interrogatori della giornalista, non sono stati mai lambiti dall’indagine giudiziaria, che guarda caso è condotta dall’Ufficio del Procuratore capo di Tehran, da cui dipendono quegli alti funzionari.
AI ha chiesto alle autorità giudiziarie e all’Ufficio diritti umani del ministero degli Affari esteri di accreditare l’avvocato Khalil Matouk a seguire il processo. La risposta tarda ad arrivare, nonostante l’Ufficio diritti umani abbia espresso il desiderio di stabilire “relazioni bilaterali” con AI.
Nel corso del processo, gli avvocati che rappresentano la famiglia della vittima non hanno potuto convocare testimoni e far esaminare prove determinanti per chiarire le circostanze della morte. Un medico, ad esempio, sarebbe pronto a testimoniare di aver udito Zahra Kazemi dire ai suoi colleghi: “Mi hanno rotto il naso, mi hanno spezzato i pollici e le dita dei piedi”.
Dopo l’assoluzione di Ahmadi, le autorità giudiziarie hanno ordinato alla stampa di non seguire più il caso. Peggio ancora, con un comunicato ufficiale, le stesse autorità hanno affermato che il verdetto di assoluzione può solo significare che Zahra Kazami è morta accidentalmente.
Ce n’è abbastanza perché l’Unione Europea ed altri soggetti internazionali inizino a chiedersi che senso ha portare avanti programmi bilaterali sui diritti umani con uno Stato che non ha interesse a rispettare gli standard internazionali e che considera i suoi rappresentanti al di sopra della legge.
da http://www.amnesty.it/notiziario/04_09_10/primopiano4.php3