jumpermax
17-09-2004, 01:00
Quando credi di aver già visto il peggio...
il foglio 16 settembre 2004
L’altra metà del jihad
Al Khansa è la prima rivista online
femminile per la guerra santa e
per l’emancipazione nell’assassinio
Ci avvieremo coperte dai nostri veli, avvolte
nelle nostre vesti, le armi in pugno,
i bambini in grembo, col sacro Corano e la
sunna del profeta di Allah a indicarci la
via”. E’ la rivoluzione jihad-correct della rivista
online al Khansa, per aspiranti martiri
assassini d’ogni dove.
Comparsa il 20 agosto su siti estremisti come
Sawt al Jihad, ma presto accessibile gratuitamente
anche attraverso il portale francese
(francese) kidiwi (a sua volta ospitato
da 9 telecom), al Khansa è la prima pubblicazione
jihadista tutta al femminile, scritta
da donne per altre donne in nome del diritto
all’emancipazione nella morte e nell’assassinio.
Una lettura coranica revisionista
che ha ricevuto l’autorevole suggello di Saad
Mohammed bin Oushan e del defunto luogotenente
di al Qaida in Arabia Saudita Abdul
Aziz al Muqrin, come ha cura di specificare
l’Ufficio femminile per le informazioni
della penisola arabica. Prestigiose le investiture,
altrettanto prestigiosa la tradizione
cui l’ultima nata tra le pubblicazioni jihadiste
si richiama: al Khansa evoca al contempo
un nome, una promessa e un augurio.
Ricorda la figura leggendaria di
una poetessa del VII secolo nota
per le elegie strazianti e
appassionate con cui sublima
la sofferenza ed esalta
il sacrificio per la morte
dei quattro figli con la
sua benedizione per il
jihad. Battagliera, a tratti
vendicativa, al Khansa
piange, ma sono lacrime
di una donna che lotta e
grida, lacrime e versi di
una protagonista. E’ a questa
figura di donna guerriera
che non si contenta
del destino di femmina angelicata
cui le curatrici di al
Khansa invitano tutte le donne
di buona volontà a ispirarsi.
Se gli articoli spendono parole
commosse a ricordare il sacrificio delle sorelle
più vicine ad Allah attraverso “il sangue
dei mariti e gli arti spezzati dei figli”, è
per il riscatto della sorella soldato che al
Khansa rispolvera storia e miti del passato.
Come aveva già detto al Qaradawi
Donne distruttive invocano editoriali e rubriche
che ricordano: “Ai tempi del profeta
le donne erano al fianco degli uomini spalla
a spalla nei campi di battaglia”. Al Khansa
rassicura: non ci sono incongruenze tra vita
domestica e militanza. Madri e figlie possono
legittimamente aspirare a imbracciare
kalashnikov e a indossare cinture al tritolo.
Leggere fiabe per la notte su misura per i
bin Laden di domani, come suggeriva a suo
tempo la rivista “Taliban Princess”, è cosa
buona e giusta, ma le donne dovranno anche
“saper portare le munizioni in spalla”. Avalla
ogni ambizione operativa, l’articolo “Ostacoli
sulla via del jihad per la donna guerriera”
a firma di Umm Badr. “La donna nella
famiglia è una madre, una sorella, una figlia.
Nella società è un’educatrice una propagatrice,
una predicatrice dell’islam. Ma la donna
è anche una guerriera del jihad. Così come
difende la sua famiglia dalle aggressioni
esterne, la donna deve difendere la società
dai pensieri distruttivi e dall’offensiva del
deterioramento ideologico e morale”.
Come e più delle madri-incubatrici di
guerriglieri kashmiri, come e più delle palestinesi
Wafa Idriss e Ayyat al Akkras, delle
vedove nere di Beslan e del Teatro Dubrovka,
le nuove donne guerriere non arriveranno
agli appuntamenti con la morte
scortate. Le epigone di al Khansa sono chiamate
a dimostrare spirito di iniziativa e, se
finora le organizzazioni del terrore dalle Tigri
Tamil alla seconda intifada, passando
per l’Algeria e la Cecenia, reclutavano orfane
e vedove, donne perlopiù sole e senza tutela
per non rompere precisi codici sociali,
familiari e tribali, le nuove jihadiste si arrogano
il diritto di uccidere in proprio. “Siamo
chiamate alla guerra santa tanto quanto gli
uomini, nessuna donna deve chiedere il permesso
al marito o tantomeno a un tutore
perché il jihad è un comandamento e nessuno
deve chiedere autorizzazione per assolvere
un comandamento”. Del resto non è
un mistero che religiosi musulmani come
l’egiziano al Qaradawi, rettore di studi islamici
all’università del Qatar, abbiano giustificato
e approvato l’attivismo femminile: “La
partecipazione delle donne nelle operazioni
di martirio in considerazione dello status
di territorio occupato della Palestina… è
uno dei più lodevoli atti di devozione”. Parole
che trovano un’eco nelle dichiarazioni
del professor Tariq Ramadan. Ma i tempi
cambiano, al Qaida innova e per affrontare
le sfide della modernità al Khansa si candida
a rispondere alle incertezze del nuovo
corso. “Sulla nostra strada possiamo incontrare
ostacoli di varia natura: un’inadeguata
conoscenza del Corano, l’irrompere di sentimenti
come la paura, o la scarsa preparazione
militare”. La rivista risponde con un
programma ad hoc che spazia dallo sport alle
raccomandazioni sul digiuno fino alle
spiegazioni accurate sui fraintendimenti attorno
ai significati del libro sacro, agli esercizi
di respirazione per domare le emozioni,
alla proposta di campi di addestramento per
chi ha scelto il jihad: “La scarsa preparazione
militare è il problema principale non solo
per le donne ma anche per gli uomini”.
il foglio 16 settembre 2004
L’altra metà del jihad
Al Khansa è la prima rivista online
femminile per la guerra santa e
per l’emancipazione nell’assassinio
Ci avvieremo coperte dai nostri veli, avvolte
nelle nostre vesti, le armi in pugno,
i bambini in grembo, col sacro Corano e la
sunna del profeta di Allah a indicarci la
via”. E’ la rivoluzione jihad-correct della rivista
online al Khansa, per aspiranti martiri
assassini d’ogni dove.
Comparsa il 20 agosto su siti estremisti come
Sawt al Jihad, ma presto accessibile gratuitamente
anche attraverso il portale francese
(francese) kidiwi (a sua volta ospitato
da 9 telecom), al Khansa è la prima pubblicazione
jihadista tutta al femminile, scritta
da donne per altre donne in nome del diritto
all’emancipazione nella morte e nell’assassinio.
Una lettura coranica revisionista
che ha ricevuto l’autorevole suggello di Saad
Mohammed bin Oushan e del defunto luogotenente
di al Qaida in Arabia Saudita Abdul
Aziz al Muqrin, come ha cura di specificare
l’Ufficio femminile per le informazioni
della penisola arabica. Prestigiose le investiture,
altrettanto prestigiosa la tradizione
cui l’ultima nata tra le pubblicazioni jihadiste
si richiama: al Khansa evoca al contempo
un nome, una promessa e un augurio.
Ricorda la figura leggendaria di
una poetessa del VII secolo nota
per le elegie strazianti e
appassionate con cui sublima
la sofferenza ed esalta
il sacrificio per la morte
dei quattro figli con la
sua benedizione per il
jihad. Battagliera, a tratti
vendicativa, al Khansa
piange, ma sono lacrime
di una donna che lotta e
grida, lacrime e versi di
una protagonista. E’ a questa
figura di donna guerriera
che non si contenta
del destino di femmina angelicata
cui le curatrici di al
Khansa invitano tutte le donne
di buona volontà a ispirarsi.
Se gli articoli spendono parole
commosse a ricordare il sacrificio delle sorelle
più vicine ad Allah attraverso “il sangue
dei mariti e gli arti spezzati dei figli”, è
per il riscatto della sorella soldato che al
Khansa rispolvera storia e miti del passato.
Come aveva già detto al Qaradawi
Donne distruttive invocano editoriali e rubriche
che ricordano: “Ai tempi del profeta
le donne erano al fianco degli uomini spalla
a spalla nei campi di battaglia”. Al Khansa
rassicura: non ci sono incongruenze tra vita
domestica e militanza. Madri e figlie possono
legittimamente aspirare a imbracciare
kalashnikov e a indossare cinture al tritolo.
Leggere fiabe per la notte su misura per i
bin Laden di domani, come suggeriva a suo
tempo la rivista “Taliban Princess”, è cosa
buona e giusta, ma le donne dovranno anche
“saper portare le munizioni in spalla”. Avalla
ogni ambizione operativa, l’articolo “Ostacoli
sulla via del jihad per la donna guerriera”
a firma di Umm Badr. “La donna nella
famiglia è una madre, una sorella, una figlia.
Nella società è un’educatrice una propagatrice,
una predicatrice dell’islam. Ma la donna
è anche una guerriera del jihad. Così come
difende la sua famiglia dalle aggressioni
esterne, la donna deve difendere la società
dai pensieri distruttivi e dall’offensiva del
deterioramento ideologico e morale”.
Come e più delle madri-incubatrici di
guerriglieri kashmiri, come e più delle palestinesi
Wafa Idriss e Ayyat al Akkras, delle
vedove nere di Beslan e del Teatro Dubrovka,
le nuove donne guerriere non arriveranno
agli appuntamenti con la morte
scortate. Le epigone di al Khansa sono chiamate
a dimostrare spirito di iniziativa e, se
finora le organizzazioni del terrore dalle Tigri
Tamil alla seconda intifada, passando
per l’Algeria e la Cecenia, reclutavano orfane
e vedove, donne perlopiù sole e senza tutela
per non rompere precisi codici sociali,
familiari e tribali, le nuove jihadiste si arrogano
il diritto di uccidere in proprio. “Siamo
chiamate alla guerra santa tanto quanto gli
uomini, nessuna donna deve chiedere il permesso
al marito o tantomeno a un tutore
perché il jihad è un comandamento e nessuno
deve chiedere autorizzazione per assolvere
un comandamento”. Del resto non è
un mistero che religiosi musulmani come
l’egiziano al Qaradawi, rettore di studi islamici
all’università del Qatar, abbiano giustificato
e approvato l’attivismo femminile: “La
partecipazione delle donne nelle operazioni
di martirio in considerazione dello status
di territorio occupato della Palestina… è
uno dei più lodevoli atti di devozione”. Parole
che trovano un’eco nelle dichiarazioni
del professor Tariq Ramadan. Ma i tempi
cambiano, al Qaida innova e per affrontare
le sfide della modernità al Khansa si candida
a rispondere alle incertezze del nuovo
corso. “Sulla nostra strada possiamo incontrare
ostacoli di varia natura: un’inadeguata
conoscenza del Corano, l’irrompere di sentimenti
come la paura, o la scarsa preparazione
militare”. La rivista risponde con un
programma ad hoc che spazia dallo sport alle
raccomandazioni sul digiuno fino alle
spiegazioni accurate sui fraintendimenti attorno
ai significati del libro sacro, agli esercizi
di respirazione per domare le emozioni,
alla proposta di campi di addestramento per
chi ha scelto il jihad: “La scarsa preparazione
militare è il problema principale non solo
per le donne ma anche per gli uomini”.