majin mixxi
16-09-2004, 20:24
Testo tratto dal libro "Ci precedono nel regno di Dio" di Franco Nascimbene, Padre Comboniano, salito alla ribalta delle cronache per essersi incatenato per protestare contro la legge Bossi-Fini
"Caro Giovanni,
fino a qualche mese fa venivi a cercarmi vicino al ponte sopra i Regi Lagni (vicino Caserta). Poi, insieme a tua moglie, con i tuoi vicini e con l’aiuto dei poliziotti ci avete scacciate da lì perché non è bene che si vedano delle prostitute vicino casa tua. Così adesso vieni a cercarmi qualche chilometro più in là, tutti i martedì alle 23.30.
“ Ciao Joy,come stai? Andiamo?”.
Ogni settimana mi hai cercata, mi hai usata, mi hai pagata. Dietro il tuo falso sorriso non riuscivi a nascondere che benché, desiderassi il mio corpo, mi disprezzavi.
Ma ti sei mai chiesto chi c’è dietro quel corpo che continui a comprare per dieci euro alla volta?
Quando mi hai chiesto il mio nome, ti ho risposto “Joy” ma il mio nome è un altro. Quando mi hai chiesto di dove sono ti ho risposto “giamaicana”, ma io sono nigeriana. Una volta mi hai chiesto l’età e ti ho risposto “vent’anni”, ma ne ho solo diciassette.
Sai, con tanti problemi che ho e con tanta gente che mi ha ingannata, sfruttata, usata, non so mai chi mi è di fronte è un amico o un nemico, per cui è meglio non dargli troppi dati su di me: potrebbe essere pericoloso.
Una volta mi hai chiesto perché portavo sempre questa parrucca rossa e perché mi coprivo il volto con una maschera di creme bianche. Ti ho risposto che questo serviva per ripararmi un poco dal freddo della notte e che più assomigliavo ad un’europea più facilmente trovavo clienti.
Tutto questo in parte è vero, ma forse il motivo più vero è un altro. Sono certa che se mi vedessi con la faccia pulita, senza parrucca e vestita in un altro modo difficilmente mi riconosceresti. Ed è esattamente ciò che voglio.
Voglio distinguere “Joy di notte” con tacchi alti, parrucca, minigonna e crema bianca, da quella che io sono in realtà. Non mi piace fare la prostituta. Per una serie di circostanze ci sono caduta dentro e ora vedo quanto è difficile venirne fuori.
La mia famiglia vive in un appartamentino nelle periferia di una grande città della Nigeria: là vivono la mia mamma e il mio papà. Io sono la prima di nove fratelli e sorelle. Si anch’io ho una famiglia che mi ama, non sono soltanto “dieci euro”; anch’io ho delle persone che mi vogliono bene.
Trovare lavoro in Nigeria non è facile e anche quando si trova non è mai sufficiente per mantenere una famiglia numerosa come la mia. Avevamo visto che alcune vicine di casa erano andate in Italia e che poi la loro famiglia si era comprata l’auto e aveva aperto un negozietto. Sapevamo che probabilmente sarei finita sulla strada, ma in fondo sarebbe stato solo per qualche anno e così la situazione economica della mia famiglia si sarebbe sistemata. E così in casa abbiamo deciso che avrei potuto rischiare.
Abbiamo parlato con chi organizza queste cose, abbiamo firmato un contratto con cui mi impegnavo a pagare quarantamila euro in cambio di documenti, biglietto di viaggio e sistemazione in Italia e sono partita. Quando sono con te sorrido, scherzo, a volte quando passi sulla strada mi vedi cantare. Lo faccio per tirarmi su, per animarmi, per nascondere a me stessa e alla gente che mi vede il dolore profondo in cui sono caduta.
Non puoi immaginare quanto tempo passo piangendo quando nessuno mi vede. Sono sulla strada per sedici ore al giorno e i miei padroni non mi concedono che otto ore per riposare. Mi metto a letto e piango. Piango perché sono diventata una schiava e posso solo fare ciò che altri decidono: battere, battere, sulla strada e battere ancora, farmi usare e far soldi e poi ancora soldi e consegnarli tutti a loro, ai miei padroni.
Piango perché il mio corpo non mi appartiene più: tutti ne fanno ciò che vogliono e io devo sempre dire di sì e umiliarmi davanti a tutte le bestialità che mi chiedono.
Piango perché mi picchiano: mi picchiano i clienti con le loro manie violente, mi picchiano i miei padroni quando non riesco a portare a casa la quantità di soldi che ogni giorno pretendono da me.
Piango perché sulla strada tutti mi trattano come un cane: le mogli che passano in auto e dal finestrino mi gridano “vattene puttana”, gli adolescenti che, passando in motorino, mi mettono le mani addosso, gli uomini che si fermano a guardarmi e mi denudano con gli occhi, i poliziotti che si divertono a spaventarmi a farmi correre come cani da caccia dietro una gazzella.
Piango perché ho paura: ho paura che qualche maniaco mi uccida, ho paura di prendermi l’Aids o qualche altra malattia che mi rovini per tutta la vita, ho paura di rimanere incinta senza neppure sapere di chi.
Piango perché i miei padroni e la mia madam mi hanno portato via i documenti: davanti allo stato italiano non sono nessuno e rischio sempre di andare in carcere, di essere ricattata, denunciata, deportata.
Piango perché penso alla mia famiglia lontana che non vedo da molti mesi. Qui nessuno mi vuole bene.
Piango perché penso al mio futuro: quando finirò di pagare il mio debito? Chi mi vorrà come moglie dopo aver passato tre o quattro anni sulla strada? Che ne sarà della mia salute? E poi il giorno dopo torno in strada e canto e sorrido ma il mio cuore è triste e piange. Vorrei lasciare tutto questo, ma non posso, mi minacciano dicendo che se scappo uccideranno i miei genitori.
Inoltre prima di lasciare la mia patria, durante un rito religioso, mi sono impegnata a non tradire coloro che mi hanno portata in Italia: se lo facessi, gli spiriti maligni mi castigherebbero.
L’unico amico che mi è rimasto è Dio, su di Lui posso sempre contare e ogni giorno prego, gli racconto le mie pene e so che Lui mi capisce.
Non vado in chiesa perché forse non mi accetterebbero sapendo cosa faccio e anche perché non mi sento pulita, ma il mio Dio è sempre con me e mi dà la fora di continuare a vivere.
Chissà Giovanni, se qualche volta hai pensato a queste cose mentre mi usavi o solo guardavi il mio corpo giovane e bello come se fossi un bel cane o un cavallo di razza? Hai pensato qualche volta che anch’io sono un essere umano, che anch’io sono figlia di dio, che anch’io ho una famiglia, che diritto anch’io ad essere trattata con dignità?
Mi piacerebbe non ricevere più sguardi di rispetto, grida di odio, minacce e insulti. Mi piacerebbe incontrare anche in Italia persone che mi sorridano senza secondi fini, che mi rivolgano la parola senza volermi comprare, che mi tendano una mano ma non per spingermi ancora di più nel fango dove sono caduta, ma per aiutarmi a venirne fuori.
Chiedo troppo, Giovanni? Chiedo Troppo?".
"Caro Giovanni,
fino a qualche mese fa venivi a cercarmi vicino al ponte sopra i Regi Lagni (vicino Caserta). Poi, insieme a tua moglie, con i tuoi vicini e con l’aiuto dei poliziotti ci avete scacciate da lì perché non è bene che si vedano delle prostitute vicino casa tua. Così adesso vieni a cercarmi qualche chilometro più in là, tutti i martedì alle 23.30.
“ Ciao Joy,come stai? Andiamo?”.
Ogni settimana mi hai cercata, mi hai usata, mi hai pagata. Dietro il tuo falso sorriso non riuscivi a nascondere che benché, desiderassi il mio corpo, mi disprezzavi.
Ma ti sei mai chiesto chi c’è dietro quel corpo che continui a comprare per dieci euro alla volta?
Quando mi hai chiesto il mio nome, ti ho risposto “Joy” ma il mio nome è un altro. Quando mi hai chiesto di dove sono ti ho risposto “giamaicana”, ma io sono nigeriana. Una volta mi hai chiesto l’età e ti ho risposto “vent’anni”, ma ne ho solo diciassette.
Sai, con tanti problemi che ho e con tanta gente che mi ha ingannata, sfruttata, usata, non so mai chi mi è di fronte è un amico o un nemico, per cui è meglio non dargli troppi dati su di me: potrebbe essere pericoloso.
Una volta mi hai chiesto perché portavo sempre questa parrucca rossa e perché mi coprivo il volto con una maschera di creme bianche. Ti ho risposto che questo serviva per ripararmi un poco dal freddo della notte e che più assomigliavo ad un’europea più facilmente trovavo clienti.
Tutto questo in parte è vero, ma forse il motivo più vero è un altro. Sono certa che se mi vedessi con la faccia pulita, senza parrucca e vestita in un altro modo difficilmente mi riconosceresti. Ed è esattamente ciò che voglio.
Voglio distinguere “Joy di notte” con tacchi alti, parrucca, minigonna e crema bianca, da quella che io sono in realtà. Non mi piace fare la prostituta. Per una serie di circostanze ci sono caduta dentro e ora vedo quanto è difficile venirne fuori.
La mia famiglia vive in un appartamentino nelle periferia di una grande città della Nigeria: là vivono la mia mamma e il mio papà. Io sono la prima di nove fratelli e sorelle. Si anch’io ho una famiglia che mi ama, non sono soltanto “dieci euro”; anch’io ho delle persone che mi vogliono bene.
Trovare lavoro in Nigeria non è facile e anche quando si trova non è mai sufficiente per mantenere una famiglia numerosa come la mia. Avevamo visto che alcune vicine di casa erano andate in Italia e che poi la loro famiglia si era comprata l’auto e aveva aperto un negozietto. Sapevamo che probabilmente sarei finita sulla strada, ma in fondo sarebbe stato solo per qualche anno e così la situazione economica della mia famiglia si sarebbe sistemata. E così in casa abbiamo deciso che avrei potuto rischiare.
Abbiamo parlato con chi organizza queste cose, abbiamo firmato un contratto con cui mi impegnavo a pagare quarantamila euro in cambio di documenti, biglietto di viaggio e sistemazione in Italia e sono partita. Quando sono con te sorrido, scherzo, a volte quando passi sulla strada mi vedi cantare. Lo faccio per tirarmi su, per animarmi, per nascondere a me stessa e alla gente che mi vede il dolore profondo in cui sono caduta.
Non puoi immaginare quanto tempo passo piangendo quando nessuno mi vede. Sono sulla strada per sedici ore al giorno e i miei padroni non mi concedono che otto ore per riposare. Mi metto a letto e piango. Piango perché sono diventata una schiava e posso solo fare ciò che altri decidono: battere, battere, sulla strada e battere ancora, farmi usare e far soldi e poi ancora soldi e consegnarli tutti a loro, ai miei padroni.
Piango perché il mio corpo non mi appartiene più: tutti ne fanno ciò che vogliono e io devo sempre dire di sì e umiliarmi davanti a tutte le bestialità che mi chiedono.
Piango perché mi picchiano: mi picchiano i clienti con le loro manie violente, mi picchiano i miei padroni quando non riesco a portare a casa la quantità di soldi che ogni giorno pretendono da me.
Piango perché sulla strada tutti mi trattano come un cane: le mogli che passano in auto e dal finestrino mi gridano “vattene puttana”, gli adolescenti che, passando in motorino, mi mettono le mani addosso, gli uomini che si fermano a guardarmi e mi denudano con gli occhi, i poliziotti che si divertono a spaventarmi a farmi correre come cani da caccia dietro una gazzella.
Piango perché ho paura: ho paura che qualche maniaco mi uccida, ho paura di prendermi l’Aids o qualche altra malattia che mi rovini per tutta la vita, ho paura di rimanere incinta senza neppure sapere di chi.
Piango perché i miei padroni e la mia madam mi hanno portato via i documenti: davanti allo stato italiano non sono nessuno e rischio sempre di andare in carcere, di essere ricattata, denunciata, deportata.
Piango perché penso alla mia famiglia lontana che non vedo da molti mesi. Qui nessuno mi vuole bene.
Piango perché penso al mio futuro: quando finirò di pagare il mio debito? Chi mi vorrà come moglie dopo aver passato tre o quattro anni sulla strada? Che ne sarà della mia salute? E poi il giorno dopo torno in strada e canto e sorrido ma il mio cuore è triste e piange. Vorrei lasciare tutto questo, ma non posso, mi minacciano dicendo che se scappo uccideranno i miei genitori.
Inoltre prima di lasciare la mia patria, durante un rito religioso, mi sono impegnata a non tradire coloro che mi hanno portata in Italia: se lo facessi, gli spiriti maligni mi castigherebbero.
L’unico amico che mi è rimasto è Dio, su di Lui posso sempre contare e ogni giorno prego, gli racconto le mie pene e so che Lui mi capisce.
Non vado in chiesa perché forse non mi accetterebbero sapendo cosa faccio e anche perché non mi sento pulita, ma il mio Dio è sempre con me e mi dà la fora di continuare a vivere.
Chissà Giovanni, se qualche volta hai pensato a queste cose mentre mi usavi o solo guardavi il mio corpo giovane e bello come se fossi un bel cane o un cavallo di razza? Hai pensato qualche volta che anch’io sono un essere umano, che anch’io sono figlia di dio, che anch’io ho una famiglia, che diritto anch’io ad essere trattata con dignità?
Mi piacerebbe non ricevere più sguardi di rispetto, grida di odio, minacce e insulti. Mi piacerebbe incontrare anche in Italia persone che mi sorridano senza secondi fini, che mi rivolgano la parola senza volermi comprare, che mi tendano una mano ma non per spingermi ancora di più nel fango dove sono caduta, ma per aiutarmi a venirne fuori.
Chiedo troppo, Giovanni? Chiedo Troppo?".