Yomo82
07-09-2004, 18:03
«La guerra in Cecenia ha ucciso 40mila bambini»
È stato protagonista di un prolungato sciopero della fame attuato per attirare l’attenzione delle cancellerie europee dell’Europarlamento sulla tragedia cecena: Olivier Dupuis, già europarlamentare radicale ha legato la sua azione politica a Bruxelles alla difesa delle «centinaia di migliaia di ceceni abbandonati ad un destino funesto e sottoposti, dal 1994, ad un vero e proprio genocidio nascosta dalle classi dirigenti europee del mondo della politica, dell’economia e dei mass media».
Il mondo è inorridito di fronte alla strage di bambini a Beslan. I terroristi hanno agito in nome della «causa cecena». Lei che per questa causa si è battuto da non violento come valuta questa tragica vicenda?
«In tutte le cause giuste, legittime si può ricorrere a mezzi criminali oppure a mezzi non criminali. In questo caso, che qualcuno abbia usato mezzi criminali per perseguire una causa che io ritengo giusta, ciò non deve far venire meno la drammaticità e la necessità di affrontare la questione cecena».
Vladimir Putin ha ribadito la volontà di proseguire la guerra totale contro il terrorismo islamico-ceceno. Ma esiste davvero una soluzione militare alla questione cecena?
«Assolutamente no. Sono ormai cinque anni dalla seconda guerra scatenata dal primo ministro di allora, Putin, e poi perseguita da lui stesso in quanto presidente, e non credo che la situazione sia migliorata. Tutt’altro. E non solo per quanto riguarda l’azione terroristica ma anche per ciò che concerne la tragedia che vive il popolo ceceno: il 20% della popolazione è stata eliminata. Rapimenti, torture, stupri, esecuzioni di massa, un Paese distrutto: così è stata ridotta la Cecenia. Tutto questo è il risultato tragico di una politica disastrosa da parte russa, e non penso che proseguire su questa via possa dare risultati diversi da quelli, terrificanti, che ha già dato. Giustamente si piangono i bambini uccisi a Beslan. Ma quante lacrime sono state versate per i quarantamila bambini uccisi negli ultimi anni in Cecenia?».
Non crede che i tanti lati oscuri nella strage di Beslan possano incrinare il rapporto di fiducia tra Putin e l’opinione pubblica russa, e la sua credibilità internazionale?
Questa incrinatura è già in atto. La polarità di Putin è in discesa e potrebbe ulteriormente calare. Il problema di fondo riguarda la Comunità internazionale, gli Stati Uniti e l’Europa in primo luogo che hanno creduto in questa scorciatoia politica di Putin che non riguarda soltanto la questione cecena, ma che investe la democrazia in Russia, lo Stato di diritto in Russia. Questa linea di fermezza è stata perseguita anche al prezzo di una erosione fortissima dei diritti, della libertà di stampa in Russia, della libertà imprenditoriale e di quella dei cittadini, e con una visione neocoloniale imposta con la forza più bruta in Cecenia ma anche in altre repubbliche del Caucaso e non solo del Caucaso. Senza un approccio democratico fondato sullo Stato di diritto e sulla politica, le relazioni europee con la Russia sono molto a rischio, anche al di là della crisi cecena».
Lei ha denunciato a più riprese l’indifferenza delle cancellerie europee sulla tragedia cecena. Cosa c’è dietro questa indifferenza?
Ci sono interessi sostanziosi, come petrolio e gas e i rifornimenti per i Paesi dell’Unione Europea, come l’Italia, la Germania, la Francia , la Gran Bretagna che hanno puntato molto in particolare sul gas ma anche sul petrolio russo, e dall’altra parte c’è anche, in prospettiva, un mercato di 150milioni di abitanti alle porte dell’Europa. Queste due cose hanno un valore molto alto nel determinare la politica dei leader leader occidentali. A cio va aggiunto il vecchio riflesso che è quello di essere molto tolleranti nei confronti delle dittature in nome di una cosiddetta stabilità. Col passare degli anni, molto spesso questi uomini politici hanno dovuto riconoscere che questo appoggio a una stabilità fondata su scorciatoie militariste e sull’erosione di libertà fondamentali , della democrazia e dello Stato di diritto, provocava effetti molto gravi. Credo che questo riflesso della classe politica europea è molto presente; preferisce non guardare ai problemi gravi della Russia e di credere in un leader “miracoloso”, in questo caso Putin, che risolve tutti i problemi e che garantisce all’Europa la stabilità della Russia e con essa gli interessi nel settore petrolifero e in altri ancora».
Di fronte al massacro di Beslan non c’è il rischio che nell’opinione pubblica internazionale si stabilisca l’equazione ceceni uguale terroristi?
«Questa generalizzazione è sbagliata, ingiusta e va contrastata con la massima determinazione. Sarebbe come se i baschi potessero essere considerati tutti terroristi per colpa di quelli dell’Eta. Questo va ribadito all’opinione pubblica a maggiore ragione in un contesto in cui le possibilità di manipolazione o addirittura di organizzazione di atti del genere è molto maggiore. In uno Stato come quello russo fondato su una struttura in buona parte nelle mani dei servizi segreti, sapendo anche ciò che questi servizi segreti sono stati capaci di fare nella storia dell’Unione Sovietica, evidentemente ci si può aspettare il peggio; un peggio alimentato anche da menti criminali come quelle dei terroristi di Beslan. Resta il fatto che quella condotta da Mosca in Cecenia è una guerra di colonizzazione, come lo fu in Algeria. Ma De Gaulle capì che una guerra contro un intero popolo non poteva mai essere vinta ed ebbe il coraggio e la lungimiranza di ritirarsi. Ma De Gaulle si rivelò un vero statista, e non un “piccolo zar” come si manifesta Vladimir Putin. Garantire una vera stabilità con la democrazia e lo Stato di diritto in Russia e con uno Stato di diritto e la democrazia in Cecenia. In questo senso, penso che possa essere rilanciata la proposta di un “modello Kosovo” per la Cecenia, vale a dire quello di un’amministrazione internazionale in grado di avviare un percorso che metta un punto finale a questa tragedia, per la Russia e per la Cecenia. Una proposta che comincia a conquistare consensi anche all’interno della Russia, ma che si scontra con le paure e gli opportunismi dell’Occidente».
È stato protagonista di un prolungato sciopero della fame attuato per attirare l’attenzione delle cancellerie europee dell’Europarlamento sulla tragedia cecena: Olivier Dupuis, già europarlamentare radicale ha legato la sua azione politica a Bruxelles alla difesa delle «centinaia di migliaia di ceceni abbandonati ad un destino funesto e sottoposti, dal 1994, ad un vero e proprio genocidio nascosta dalle classi dirigenti europee del mondo della politica, dell’economia e dei mass media».
Il mondo è inorridito di fronte alla strage di bambini a Beslan. I terroristi hanno agito in nome della «causa cecena». Lei che per questa causa si è battuto da non violento come valuta questa tragica vicenda?
«In tutte le cause giuste, legittime si può ricorrere a mezzi criminali oppure a mezzi non criminali. In questo caso, che qualcuno abbia usato mezzi criminali per perseguire una causa che io ritengo giusta, ciò non deve far venire meno la drammaticità e la necessità di affrontare la questione cecena».
Vladimir Putin ha ribadito la volontà di proseguire la guerra totale contro il terrorismo islamico-ceceno. Ma esiste davvero una soluzione militare alla questione cecena?
«Assolutamente no. Sono ormai cinque anni dalla seconda guerra scatenata dal primo ministro di allora, Putin, e poi perseguita da lui stesso in quanto presidente, e non credo che la situazione sia migliorata. Tutt’altro. E non solo per quanto riguarda l’azione terroristica ma anche per ciò che concerne la tragedia che vive il popolo ceceno: il 20% della popolazione è stata eliminata. Rapimenti, torture, stupri, esecuzioni di massa, un Paese distrutto: così è stata ridotta la Cecenia. Tutto questo è il risultato tragico di una politica disastrosa da parte russa, e non penso che proseguire su questa via possa dare risultati diversi da quelli, terrificanti, che ha già dato. Giustamente si piangono i bambini uccisi a Beslan. Ma quante lacrime sono state versate per i quarantamila bambini uccisi negli ultimi anni in Cecenia?».
Non crede che i tanti lati oscuri nella strage di Beslan possano incrinare il rapporto di fiducia tra Putin e l’opinione pubblica russa, e la sua credibilità internazionale?
Questa incrinatura è già in atto. La polarità di Putin è in discesa e potrebbe ulteriormente calare. Il problema di fondo riguarda la Comunità internazionale, gli Stati Uniti e l’Europa in primo luogo che hanno creduto in questa scorciatoia politica di Putin che non riguarda soltanto la questione cecena, ma che investe la democrazia in Russia, lo Stato di diritto in Russia. Questa linea di fermezza è stata perseguita anche al prezzo di una erosione fortissima dei diritti, della libertà di stampa in Russia, della libertà imprenditoriale e di quella dei cittadini, e con una visione neocoloniale imposta con la forza più bruta in Cecenia ma anche in altre repubbliche del Caucaso e non solo del Caucaso. Senza un approccio democratico fondato sullo Stato di diritto e sulla politica, le relazioni europee con la Russia sono molto a rischio, anche al di là della crisi cecena».
Lei ha denunciato a più riprese l’indifferenza delle cancellerie europee sulla tragedia cecena. Cosa c’è dietro questa indifferenza?
Ci sono interessi sostanziosi, come petrolio e gas e i rifornimenti per i Paesi dell’Unione Europea, come l’Italia, la Germania, la Francia , la Gran Bretagna che hanno puntato molto in particolare sul gas ma anche sul petrolio russo, e dall’altra parte c’è anche, in prospettiva, un mercato di 150milioni di abitanti alle porte dell’Europa. Queste due cose hanno un valore molto alto nel determinare la politica dei leader leader occidentali. A cio va aggiunto il vecchio riflesso che è quello di essere molto tolleranti nei confronti delle dittature in nome di una cosiddetta stabilità. Col passare degli anni, molto spesso questi uomini politici hanno dovuto riconoscere che questo appoggio a una stabilità fondata su scorciatoie militariste e sull’erosione di libertà fondamentali , della democrazia e dello Stato di diritto, provocava effetti molto gravi. Credo che questo riflesso della classe politica europea è molto presente; preferisce non guardare ai problemi gravi della Russia e di credere in un leader “miracoloso”, in questo caso Putin, che risolve tutti i problemi e che garantisce all’Europa la stabilità della Russia e con essa gli interessi nel settore petrolifero e in altri ancora».
Di fronte al massacro di Beslan non c’è il rischio che nell’opinione pubblica internazionale si stabilisca l’equazione ceceni uguale terroristi?
«Questa generalizzazione è sbagliata, ingiusta e va contrastata con la massima determinazione. Sarebbe come se i baschi potessero essere considerati tutti terroristi per colpa di quelli dell’Eta. Questo va ribadito all’opinione pubblica a maggiore ragione in un contesto in cui le possibilità di manipolazione o addirittura di organizzazione di atti del genere è molto maggiore. In uno Stato come quello russo fondato su una struttura in buona parte nelle mani dei servizi segreti, sapendo anche ciò che questi servizi segreti sono stati capaci di fare nella storia dell’Unione Sovietica, evidentemente ci si può aspettare il peggio; un peggio alimentato anche da menti criminali come quelle dei terroristi di Beslan. Resta il fatto che quella condotta da Mosca in Cecenia è una guerra di colonizzazione, come lo fu in Algeria. Ma De Gaulle capì che una guerra contro un intero popolo non poteva mai essere vinta ed ebbe il coraggio e la lungimiranza di ritirarsi. Ma De Gaulle si rivelò un vero statista, e non un “piccolo zar” come si manifesta Vladimir Putin. Garantire una vera stabilità con la democrazia e lo Stato di diritto in Russia e con uno Stato di diritto e la democrazia in Cecenia. In questo senso, penso che possa essere rilanciata la proposta di un “modello Kosovo” per la Cecenia, vale a dire quello di un’amministrazione internazionale in grado di avviare un percorso che metta un punto finale a questa tragedia, per la Russia e per la Cecenia. Una proposta che comincia a conquistare consensi anche all’interno della Russia, ma che si scontra con le paure e gli opportunismi dell’Occidente».