SaMu
07-07-2004, 18:20
Retribuire gli insegnanti universitari secondo il merito: cosa ne pensate?
06/07/2004: "La competizione migliora l'università"
di Maurizio Viroli
La Stampa, 6 luglio 2004
Se fosse attuata con rigore, la proposta dell'Associazione Treelle di introdurre la retribuzione degli insegnanti secondo il merito sarebbe una riforma salutare.
Il principio è ineccepibile: anziché pagare gli insegnanti in base all'anzianità di servizio, pagarli secondo il merito.
Secondo questo principio funzionano e prosperano le università americane più prestigiose. Ogni docente, di qualsiasi grado, riceve un salario annuo deciso in base ad una valutazione rigidamente individuale dell'attività scientifica e dell'insegnamento. Ogni anno, a dicembre, dobbiamo infatti presentare al direttore del dipartimento un resoconto delle nostre pubblicazioni, le recensioni, gli eventuali premi, l'elenco delle conferenze e dei convegni ai quali abbiamo partecipato e ogni altra informazione utile a determinare il valore del nostro lavoro di ricerca, oltre ovviamente alle valutazioni delle nostre lezioni che gli studenti hanno compilato.
Completato il piccolo (o grande) dossier, non resta che aspettare fidenti aprile, quando arriva puntualmente la lettera del Consiglio di Amministrazione che t'informa di quanto il tuo salario annuo aumenterà nell'Anno Accademico successivo. Nessuna discussione, nessun negoziato, nessun sindacato: decide l'Università in base alla proposta del direttore del dipartimento.
Le conseguenze di questo modo di procedere sono, in primo luogo, che nessuno conosce il salario degli altri colleghi (a meno che qualcuno decida di rivelarlo, cosa che non avviene quasi mai); in secondo luogo che due docenti con la medesima anzianità di servizio e il medesimo rango accademico possono avere trattamenti molto differenti. Ma la vera, e più importante, conseguenza è l'incentivo a continuare a produrre ricerca al più alto livello possibile e ad insegnare con impegno, con evidente beneficio sia per l'istituzione universitaria nel suo insieme, sia per gli studenti.
Dubito che una riforma simile possa mai essere introdotta in Italia. Contro di essa si leverebbe tuonante la voce dei sindacati che impugnerebbero il principio dell'uguaglianza: tutti i docenti del medesimo rango ed età devono essere trattati in modo uguale, non importa se uno ha scritto e continua a scrivere libri importanti e l'altro ha pubblicato solo opere senza valore o ha smesso addirittura di far ricerca. Non credo neppure che sindacati e docenti sarebbero conquistati dall'argomento che la sinistra dovrebbe sempre tenere alta la bandiera della giustizia e che è invece somma ingiustizia trattare i diseguali in modo eguale (e chi è diseguale nel merito è certo diseguale).
Ammesso che si volesse davvero introdurre nelle università il principio della retribuzione in base alla qualità del lavoro scientifico e didattico, resta il problema cruciale del chi decide e del come decidere. Nelle università americane, come ho messo in rilievo, a decidere dei salari sono il direttore del dipartimento, i vari amministratori, e in ultima istanza il consiglio di amministrazione sulla base di criteri certo opinabili, ma del tutto verificabili.
Nelle università italiane deciderebbero presidi e rettori eletti dai professori. Si verrebbe così a determinare una situazione in cui presidi e rettori deciderebbero del salario di professori che hanno nelle loro mani l'arma del voto: neppure dei santi resisterebbero alla tentazione di remunerare gli amici e punire i nemici, con tanti saluti al merito.
Nessuna via di scampo? No, la via esiste ed è quella di evitare le vie di mezzo: si istituiscano i salari individuali, la libera competizione fra le università, e soprattutto non si dia ai professori il potere di decidere dei salari. Sarebbe il modo per introdurre un po' di giustizia e per migliorare la ricerca e l'insegnamento. Sarebbe una vero programma di sinistra.
[email protected]
06/07/2004: "La competizione migliora l'università"
di Maurizio Viroli
La Stampa, 6 luglio 2004
Se fosse attuata con rigore, la proposta dell'Associazione Treelle di introdurre la retribuzione degli insegnanti secondo il merito sarebbe una riforma salutare.
Il principio è ineccepibile: anziché pagare gli insegnanti in base all'anzianità di servizio, pagarli secondo il merito.
Secondo questo principio funzionano e prosperano le università americane più prestigiose. Ogni docente, di qualsiasi grado, riceve un salario annuo deciso in base ad una valutazione rigidamente individuale dell'attività scientifica e dell'insegnamento. Ogni anno, a dicembre, dobbiamo infatti presentare al direttore del dipartimento un resoconto delle nostre pubblicazioni, le recensioni, gli eventuali premi, l'elenco delle conferenze e dei convegni ai quali abbiamo partecipato e ogni altra informazione utile a determinare il valore del nostro lavoro di ricerca, oltre ovviamente alle valutazioni delle nostre lezioni che gli studenti hanno compilato.
Completato il piccolo (o grande) dossier, non resta che aspettare fidenti aprile, quando arriva puntualmente la lettera del Consiglio di Amministrazione che t'informa di quanto il tuo salario annuo aumenterà nell'Anno Accademico successivo. Nessuna discussione, nessun negoziato, nessun sindacato: decide l'Università in base alla proposta del direttore del dipartimento.
Le conseguenze di questo modo di procedere sono, in primo luogo, che nessuno conosce il salario degli altri colleghi (a meno che qualcuno decida di rivelarlo, cosa che non avviene quasi mai); in secondo luogo che due docenti con la medesima anzianità di servizio e il medesimo rango accademico possono avere trattamenti molto differenti. Ma la vera, e più importante, conseguenza è l'incentivo a continuare a produrre ricerca al più alto livello possibile e ad insegnare con impegno, con evidente beneficio sia per l'istituzione universitaria nel suo insieme, sia per gli studenti.
Dubito che una riforma simile possa mai essere introdotta in Italia. Contro di essa si leverebbe tuonante la voce dei sindacati che impugnerebbero il principio dell'uguaglianza: tutti i docenti del medesimo rango ed età devono essere trattati in modo uguale, non importa se uno ha scritto e continua a scrivere libri importanti e l'altro ha pubblicato solo opere senza valore o ha smesso addirittura di far ricerca. Non credo neppure che sindacati e docenti sarebbero conquistati dall'argomento che la sinistra dovrebbe sempre tenere alta la bandiera della giustizia e che è invece somma ingiustizia trattare i diseguali in modo eguale (e chi è diseguale nel merito è certo diseguale).
Ammesso che si volesse davvero introdurre nelle università il principio della retribuzione in base alla qualità del lavoro scientifico e didattico, resta il problema cruciale del chi decide e del come decidere. Nelle università americane, come ho messo in rilievo, a decidere dei salari sono il direttore del dipartimento, i vari amministratori, e in ultima istanza il consiglio di amministrazione sulla base di criteri certo opinabili, ma del tutto verificabili.
Nelle università italiane deciderebbero presidi e rettori eletti dai professori. Si verrebbe così a determinare una situazione in cui presidi e rettori deciderebbero del salario di professori che hanno nelle loro mani l'arma del voto: neppure dei santi resisterebbero alla tentazione di remunerare gli amici e punire i nemici, con tanti saluti al merito.
Nessuna via di scampo? No, la via esiste ed è quella di evitare le vie di mezzo: si istituiscano i salari individuali, la libera competizione fra le università, e soprattutto non si dia ai professori il potere di decidere dei salari. Sarebbe il modo per introdurre un po' di giustizia e per migliorare la ricerca e l'insegnamento. Sarebbe una vero programma di sinistra.
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