majin mixxi
07-06-2004, 18:48
Alberto Statera per Affari & Finanza
"Anche per i ricchi, il troppo è troppo". John Kenneth Galbraith
Un lieve senso di vertigine ci coglie nel consultare le tabelle dei redditi percepiti dai manager italiani. Dodici milioni e ottocentomila euro (diconsi 12,8 milioni, circa 25 miliardi di ex lire) ha dichiarato nel 2003 Luca Cordero di Montezemolo, neopresidente di Confindustria e Fiat; 5,9 e rotti Carlo Puri Negri della Pirelli; 5,5 Marco Tronchetti Provera di PirelliTelecom; 5,5 Alessandro Profumo di Unicredit; 3,2 Enrico Giliberti di Seat Pagine Gialle. E via andando.
I più poveri, a occhio e croce, non hanno incassato meno di un milione di euro. Ma c'è anche chi ha superato Montezemolo, come Davide Croff che, avendo lasciato l'anno scorso la Banca Nazionale del Lavoro, tra stipendio e buonuscita ha messo insieme 16,33 milioni.
Queste cifre non comprendono il valore delle stock option che le grandi aziende assegnano ai loro manager o, per essere più precisi, i manager stessi quasi sempre si autoassegnano. Ad esempio, Corrado Passera di Banca Intesa ha uno stipendio di 2,1 milioni, ma il valore delle sue stock option è cresciuto di 9,8 milioni di euro; Vittorio Mincato, dell'Eni, guadagna "solo" 2,2 milioni, ma le sue opzioni sono in attivo per altri due milioni e mezzo.
Nessun moralismo, per carità, il denaro non è sterco del diavolo e l'arricchimento è la giusta ricompensa per l'abilità di manager che fanno crescere la propria azienda, remunerano gli azionisti e fanno bene all'economia del paese.
Semmai una punta d'invidia. E una curiosità: dopo aver comprato ville, navi, auto, gioielli, e tutto quanto si può comprare per rendere più agiata e piacevole la vita, che cosa fa un manager che porta a casa un paio di miliardi di ex lire al mese di tutto il denaro che inevitabilmente accumula? Ci sembra che spesso tenti di sostituirsi agli azionisti e di comprare l'azienda che l'ha arricchito.
Qualcosa del genere si è sospettata ma lui ha smentito per Giuseppe Morchio, dimissionario dalla Fiat, che prima di entrarvi era già dotato di un bonus di almeno 120 milioni di euro per il suo lavoro in Pirelli e che tuttavia, da amministratore del Lingotto, si era opposto ad un premio a Montezemolo per i buoni risultati della Ferrari.
I superemolumenti dei manager sono arrivati tardi in Italia rispetto agli Usa. Ma ora, dopo gli scandali finanziari, è proprio di lì che vengono forti spifferi che rischiano di diventare un ciclone. John Kenneth Galbraith ha appena pubblicato (in Italia per Rizzoli) un feroce pamphlet intitolato "L'economia della truffa", la cui parte centrale è dedicata ai superemolumenti e alle stock option dei manager. La sua tesi è che nelle società di capitale il potere è ormai del management, "una burocrazia che ha il controllo dei suoi compiti e dei suoi compensi. Compensi al limite del furto".
Questo è anzi additato come il principale evento economico all'inizio del ventunesimo secolo: un sistema della grande impresa basato sull'illimitata facoltà di autoarricchimento, un sistema "in cui i privilegiati hanno l'ultima parola sui loro privilegi. Una truffa non del tutto innocente".
P.S: Cattive notizie per Tremonti. Dice Galbraith: «Non ha fondamento l'idea che le riduzioni fiscali sui redditi più alti contrastino la recessione». Naturalmente, pensano il contrario, pro domo loro, tutti i manager gonfi di stipendi milionari e stock option. Ma "l'in più rischia di non essere speso e di restare economicamente senza effetto". L'ennesima truffa non del tutto innocente.
:eek:
"Anche per i ricchi, il troppo è troppo". John Kenneth Galbraith
Un lieve senso di vertigine ci coglie nel consultare le tabelle dei redditi percepiti dai manager italiani. Dodici milioni e ottocentomila euro (diconsi 12,8 milioni, circa 25 miliardi di ex lire) ha dichiarato nel 2003 Luca Cordero di Montezemolo, neopresidente di Confindustria e Fiat; 5,9 e rotti Carlo Puri Negri della Pirelli; 5,5 Marco Tronchetti Provera di PirelliTelecom; 5,5 Alessandro Profumo di Unicredit; 3,2 Enrico Giliberti di Seat Pagine Gialle. E via andando.
I più poveri, a occhio e croce, non hanno incassato meno di un milione di euro. Ma c'è anche chi ha superato Montezemolo, come Davide Croff che, avendo lasciato l'anno scorso la Banca Nazionale del Lavoro, tra stipendio e buonuscita ha messo insieme 16,33 milioni.
Queste cifre non comprendono il valore delle stock option che le grandi aziende assegnano ai loro manager o, per essere più precisi, i manager stessi quasi sempre si autoassegnano. Ad esempio, Corrado Passera di Banca Intesa ha uno stipendio di 2,1 milioni, ma il valore delle sue stock option è cresciuto di 9,8 milioni di euro; Vittorio Mincato, dell'Eni, guadagna "solo" 2,2 milioni, ma le sue opzioni sono in attivo per altri due milioni e mezzo.
Nessun moralismo, per carità, il denaro non è sterco del diavolo e l'arricchimento è la giusta ricompensa per l'abilità di manager che fanno crescere la propria azienda, remunerano gli azionisti e fanno bene all'economia del paese.
Semmai una punta d'invidia. E una curiosità: dopo aver comprato ville, navi, auto, gioielli, e tutto quanto si può comprare per rendere più agiata e piacevole la vita, che cosa fa un manager che porta a casa un paio di miliardi di ex lire al mese di tutto il denaro che inevitabilmente accumula? Ci sembra che spesso tenti di sostituirsi agli azionisti e di comprare l'azienda che l'ha arricchito.
Qualcosa del genere si è sospettata ma lui ha smentito per Giuseppe Morchio, dimissionario dalla Fiat, che prima di entrarvi era già dotato di un bonus di almeno 120 milioni di euro per il suo lavoro in Pirelli e che tuttavia, da amministratore del Lingotto, si era opposto ad un premio a Montezemolo per i buoni risultati della Ferrari.
I superemolumenti dei manager sono arrivati tardi in Italia rispetto agli Usa. Ma ora, dopo gli scandali finanziari, è proprio di lì che vengono forti spifferi che rischiano di diventare un ciclone. John Kenneth Galbraith ha appena pubblicato (in Italia per Rizzoli) un feroce pamphlet intitolato "L'economia della truffa", la cui parte centrale è dedicata ai superemolumenti e alle stock option dei manager. La sua tesi è che nelle società di capitale il potere è ormai del management, "una burocrazia che ha il controllo dei suoi compiti e dei suoi compensi. Compensi al limite del furto".
Questo è anzi additato come il principale evento economico all'inizio del ventunesimo secolo: un sistema della grande impresa basato sull'illimitata facoltà di autoarricchimento, un sistema "in cui i privilegiati hanno l'ultima parola sui loro privilegi. Una truffa non del tutto innocente".
P.S: Cattive notizie per Tremonti. Dice Galbraith: «Non ha fondamento l'idea che le riduzioni fiscali sui redditi più alti contrastino la recessione». Naturalmente, pensano il contrario, pro domo loro, tutti i manager gonfi di stipendi milionari e stock option. Ma "l'in più rischia di non essere speso e di restare economicamente senza effetto". L'ennesima truffa non del tutto innocente.
:eek: