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View Full Version : La politica USA degli ultimi anni


Chromo
17-05-2004, 10:57
«Noi abbiamo appreso che gli Stati Uniti incoraggiano sia governi autoritari che democratici a stroncare il legittimo dissenso e a dichiarare terroristi coloro che sono attivi nei movimenti dei diritti civili. Incoraggiano inoltre leggi repressive e anti-democratiche come strumento per la lotta al terrorismo».

Jimmy Carter, ex presidente degli Stati Uniti, 14 maggio

A voi va bene questa cosa? Condividete il concetto oppure non pensate sia così?

bandierarossa
17-05-2004, 11:06
Diversi Paesi africani stanno ormai diventando importanti produttori di petrolio. Non si tratta solo di Stati che - come la Nigeria, la Libia e l'Algeria - da oltre mezzo secolo sono tra i primi venti produttori d'idrocarburi al mondo, ma anche di realtà che - come Angola, Guinea Equatoriale e Gabon - hanno cominciato a sfruttare più di recente i loro giacimenti petroliferi, con prospettive promettenti per il futuro.
Nonostante questa manna che viene dal cielo (o meglio, dal sottosuolo), agli abitanti di un continente così affamato di risorse e bisognoso di capitali il mensile satirico dell'Africa occidentale «Le Marabout» ha recentemente suggerito che «se per caso scavando nel vostro orto trovate il petrolio, forse è meglio che tamponiate il buco e non ne facciate nulla». Una battuta paradossale, spiegata con alcuni esempi: «Il petrolio ha portato in Nigeria 350 miliardi di dollari negli ultimi 40 anni. Di questi, circa cento sarebbero spariti. Oggi il reddito pro capite dei nigeriani è di 283 dollari l'anno. Appena un po' più di quello del contadino del Burkina Faso, che non ha altro da offrire al mondo che un po' di miglio e di cotone. Anche in Guinea Equatoriale - continuava ancora la rivista -, Paese che ha scoperto il petrolio nel 1995 e oggi produce 0,44 barili per ogni abitante (tanto quanto Arabia Saudita e Kuwait), quasi nulla cambia».
Non si tratta solo delle naturali iperboli di un giornale satirico, che mette l'accento sia sulla mancata redistribuzione del gettito petrolifero sia sulla corruzione, in fondo due facce di uno stesso problema. Appena l'anno scorso, l'organizzazione non governativa «Global Witness» calcolò che nel 2001 dalle casse dell'Angola, che pure ricava l'87% del reddito dal petrolio, sarebbero spariti ben 1.600 milioni di dollari, un terzo delle entrate, finiti nelle tasche di due petrolieri locali.

Questo meccanismo perverso, per cui buona parte della rendita si appiccica alle mani di chi la gestisce, è un misto di corruzione e di sfruttamento in cui sono complici e conniventi membri del potere locale, mediatori senza scrupoli e grandi multinazionali. Le compagnie petrolifere del posto, quasi sempre in mano a parenti o amici di chi è al potere, pretendono tangenti per sé e per gli intermediari, e alle grandi compagnie internazionali che acquistano il petrolio impongono il silenzio sulle transazioni illecite. Dal canto loro le multinazionali come la British Petroleum, la Exxon Mobil, la Chevron Texaco, la Total Fina Elf, stanno cinicamente al gioco pur di essere premiate con sconti sui prezzi, e conservano i segreti per non venire escluse dal mercato locale come rappresaglia.
Di recente uno che di queste cose se ne intende, il finanziere George Soros (che dopo aver contribuito con le sue speculazioni negli anni Novanta a mettere in crisi le monete di Malaysia, Russia e Brasile ora cerca di redimersi con iniziative filantropiche e conflitti sempre più aspri al sistema capitalistico), ha iniziato la campagna perché in primo luogo le grandi multinazionali del petrolio siano costrette alla trasparenza nei loro contratti e nelle transazioni. È il minimo che oggi si possa iniziare a fare per cercare di indurre i governi africani a una prima pratica di buon governo e per troncare un gioco che è sporco perché svolto sulla pelle del continente più disperato del mondo.
Gli esperti: «La produzione presto comincerà a calare» Il «picco» estrattivo potrebbe essere molto vicino: a maggio un convegno cercherà risposte Ma le compagnie sono già all'opera per il futuro.

Geologi, economisti, presidenti di multinazionali energetiche: saranno tutti a Berlino il prossimo maggio. Richiamati da un convegno internazionale che cercherà di rispondere a una domanda inaudita, ed anche minacciosa: il picco petrolifero è già arrivato? «Picco petrolifero» è un termine che va spiegato, visto che dovremo conviverci. Ogni pozzo aperto dalla Shell, dall'Eni o dalla Exxon ha una durata di vita determinata: se ne estrae un numero crescente di barili (equivalenti a 159 litri) di oro nero, fino a che il pozzo raggiunge il «picco» produttivo: dopo il quale, l'emissione di grezzo diminuisce, fino ad esaurirsi. Inesorabilmente. Un famoso geofisico scomparso nel 1989, King Hubbert, radunò i dati di tutti i pozzi aperti ai suoi tempi (gli anni Settanta) per prevedere il momento del declino produttivo globale. Da allora, il grafico della produzione mondiale di greggio (Curva di Hubbert) viene continuamente aggiornato, grazie alle più avanzate tecniche di prospezione. Esiste addirittura, in Danimarca, un istituto dedito alla sorveglianza del grafico di Hubbert: è l'Aspo, Associazione per lo studio del picco petrolifero. Tra gli esperti, nessuno dubita che la civiltà fondata sul petrolio sia al tramonto. La sola differenza: gli ottimisti pongono il declino della produzione fra il 2020 e il 2030, i pessimisti fra il 2004 e il 2010. Non si tratta, stavolta, di messaggi allarmistici come quello sulla «fine delle risorse» lanciato dal Club di Roma negli anni '60.

Sono le sorelle petrolifere ad inquietarsi, perché i loro pozzi, in ogni luogo del pianeta, «buttano» sempre meno. Nel dicembre scorso, alla Borsa di Londra, si è brindato la notizia che un nuovo «grande» giacimento era stato scoperto nel Mare del Nord. Grande quanto? Abbastanza da coprire il fabbisogno del pianeta per 4 giorni. L'oro nero non sparirà da un giorno all'altro. Ma diverrà sempre più caro, e più costoso da estrarre. In un mondo dove la domanda cresce impetuosamente, con l'entrata di Cina e India nella società dei consumi. Oggi il mondo consuma 9 miliardi di tonnellate di petrolio ed equivalenti (tep) l'anno, ma con enormi disparità: dai 4,5 tep per persona l'anno nel Primo Mondo l'anno, ai 0,7 tep l'anno per ogni persona del Terzo. Se la domanda di costoro (cinque miliardi di uomini) si avvicinerà a quella occidentale, nel 2050 occorrerà produrre 30 miliardi di tep. Il triplo di oggi. Forse non a caso la BP, mantenendo la celebre sigla, ha cambiato nome: da British Petroleum s'è ribattezzata Beyond Petroleum (oltre il petrolio) e investe molto nel solare. Mentre la Total si è buttata nell'eolico. E non a caso, da tempo le Sette Sorelle non costruiscono nuove raffinerie. Il guaio è che nessuna altra fonte può davvero sostituire il liquido nero come motore della civiltà quale la conosciamo. Delle 4,5 tonnellate che ciascuno di noi consuma ogni anno, solo il 16 per cento finisce nel serbatoio della nostra auto.

Il 31 per cento ci fornisce fertilizzanti e materiali chimici d'ogni genere (dai pesticidi alle plastiche ai medicinali), il 19 per cento serve a far funzionare impianti e fabbriche, il 13 per cento serve all'irrigazione. Se il petrolio rincara, rincara anche il cibo, la cui produzione moderna dipende dal carburante in proporzione inimmaginabile. Se il petrolio sparisce, la produzione agricola torna al Medio Evo. «Ogni americano ha a disposizione l'energia su cui poteva contare un signore romano padrone di 200 schiavi», spiega Jospeh Tainter, archeologo presso il ministero americano dell'Agricoltura. «Una riduzione del 30 per cento dell'energia, come potrebbe verificarsi nei prossimi vent'anni, renderebbe impossibile alimentare tu tti gli attuali abitanti della Terra».

LittleLux
17-05-2004, 11:07
Originariamente inviato da Chromo
«Noi abbiamo appreso che gli Stati Uniti incoraggiano sia governi autoritari che democratici a stroncare il legittimo dissenso e a dichiarare terroristi coloro che sono attivi nei movimenti dei diritti civili. Incoraggiano inoltre leggi repressive e anti-democratiche come strumento per la lotta al terrorismo».

Jimmy Carter, ex presidente degli Stati Uniti, 14 maggio

A voi va bene questa cosa? Condividete il concetto oppure non pensate sia così?

Guarda che troppo rosso fa male:D

Comunque, direi che Carter abbia sostanzialmente ragione, solo, io non limiterei il ragionamento esclusivamente agli ultimi anni...di fatto, gli USA, stanno facendo questo tipo di politica sin dalla fine della seconda guerra, certo poi, ci sono periodi in cui questo è più evidente ed altri in cui lo è meno (a seconda delle amministrazioni al potere), direi, tuttavia, che in questa politica c'è una continuità di fondo che va aldilà del colore politico dell'amministrazione di turno.

bandierarossa
17-05-2004, 11:08
Gli esperti: «La produzione presto comincerà a calare» Il «picco» estrattivo potrebbe essere molto vicino: a maggio un convegno cercherà risposte Ma le compagnie sono già all'opera per il futuro.

Geologi, economisti, presidenti di multinazionali energetiche: saranno tutti a Berlino il prossimo maggio. Richiamati da un convegno internazionale che cercherà di rispondere a una domanda inaudita, ed anche minacciosa: il picco petrolifero è già arrivato? «Picco petrolifero» è un termine che va spiegato, visto che dovremo conviverci. Ogni pozzo aperto dalla Shell, dall'Eni o dalla Exxon ha una durata di vita determinata: se ne estrae un numero crescente di barili (equivalenti a 159 litri) di oro nero, fino a che il pozzo raggiunge il «picco» produttivo: dopo il quale, l'emissione di grezzo diminuisce, fino ad esaurirsi. Inesorabilmente. Un famoso geofisico scomparso nel 1989, King Hubbert, radunò i dati di tutti i pozzi aperti ai suoi tempi (gli anni Settanta) per prevedere il momento del declino produttivo globale. Da allora, il grafico della produzione mondiale di greggio (Curva di Hubbert) viene continuamente aggiornato, grazie alle più avanzate tecniche di prospezione. Esiste addirittura, in Danimarca, un istituto dedito alla sorveglianza del grafico di Hubbert: è l'Aspo, Associazione per lo studio del picco petrolifero. Tra gli esperti, nessuno dubita che la civiltà fondata sul petrolio sia al tramonto. La sola differenza: gli ottimisti pongono il declino della produzione fra il 2020 e il 2030, i pessimisti fra il 2004 e il 2010. Non si tratta, stavolta, di messaggi allarmistici come quello sulla «fine delle risorse» lanciato dal Club di Roma negli anni '60.

Sono le sorelle petrolifere ad inquietarsi, perché i loro pozzi, in ogni luogo del pianeta, «buttano» sempre meno. Nel dicembre scorso, alla Borsa di Londra, si è brindato la notizia che un nuovo «grande» giacimento era stato scoperto nel Mare del Nord. Grande quanto? Abbastanza da coprire il fabbisogno del pianeta per 4 giorni. L'oro nero non sparirà da un giorno all'altro. Ma diverrà sempre più caro, e più costoso da estrarre. In un mondo dove la domanda cresce impetuosamente, con l'entrata di Cina e India nella società dei consumi. Oggi il mondo consuma 9 miliardi di tonnellate di petrolio ed equivalenti (tep) l'anno, ma con enormi disparità: dai 4,5 tep per persona l'anno nel Primo Mondo l'anno, ai 0,7 tep l'anno per ogni persona del Terzo. Se la domanda di costoro (cinque miliardi di uomini) si avvicinerà a quella occidentale, nel 2050 occorrerà produrre 30 miliardi di tep. Il triplo di oggi. Forse non a caso la BP, mantenendo la celebre sigla, ha cambiato nome: da British Petroleum s'è ribattezzata Beyond Petroleum (oltre il petrolio) e investe molto nel solare. Mentre la Total si è buttata nell'eolico. E non a caso, da tempo le Sette Sorelle non costruiscono nuove raffinerie. Il guaio è che nessuna altra fonte può davvero sostituire il liquido nero come motore della civiltà quale la conosciamo. Delle 4,5 tonnellate che ciascuno di noi consuma ogni anno, solo il 16 per cento finisce nel serbatoio della nostra auto.

Il 31 per cento ci fornisce fertilizzanti e materiali chimici d'ogni genere (dai pesticidi alle plastiche ai medicinali), il 19 per cento serve a far funzionare impianti e fabbriche, il 13 per cento serve all'irrigazione. Se il petrolio rincara, rincara anche il cibo, la cui produzione moderna dipende dal carburante in proporzione inimmaginabile. Se il petrolio sparisce, la produzione agricola torna al Medio Evo. «Ogni americano ha a disposizione l'energia su cui poteva contare un signore romano padrone di 200 schiavi», spiega Jospeh Tainter, archeologo presso il ministero americano dell'Agricoltura. «Una riduzione del 30 per cento dell'energia, come potrebbe verificarsi nei prossimi vent'anni, renderebbe impossibile alimentare tu tti gli attuali abitanti della Terra».

Booyaka
17-05-2004, 11:22
Originariamente inviato da Chromo
«Noi abbiamo appreso che gli Stati Uniti incoraggiano sia governi autoritari che democratici a stroncare il legittimo dissenso e a dichiarare terroristi coloro che sono attivi nei movimenti dei diritti civili. Incoraggiano inoltre leggi repressive e anti-democratiche come strumento per la lotta al terrorismo».

Jimmy Carter, ex presidente degli Stati Uniti, 14 maggio

A voi va bene questa cosa? Condividete il concetto oppure non pensate sia così?

1. Jimmy Carter è considerato dalla maggiorparte degli Americani come un pessimo presidente. Vorrà dire qualcosa?

2. Rimpiango i tempi di quando c'era l'URSS, non perchè sia un comunista ma perchè era bello vedere anche gli USA mettersi a 90 di tanto in tanto (vedi trattato sugli Euromissili o SALT 2, espressione di Reagan quando Gorbaciov dichiarò l'effettivo potenziale atomico sovietico in alerta 24/7 --> :eek: )