ni.jo
14-05-2004, 14:22
Michael Braun è corrispondente della Tageszeitung di Berlino. Nato nel 1957, è in Italia dal 1996.
Lo scandalo è un'opinione
In Italia non ci sono criteri largamente condivisi per giudicare le malefatte dei politici. È tutta questione di schieramenti politici, scrive il corrispondente della Tageszeitung Michael Braun
Uno dei commenti che anche in Italia capita di sentire sullo scandalo delle torture in Iraq è: rivelare l'orrore fa onore agli Stati Uniti e in ogni caso ci mostra l'abissale differenza tra democrazia e dittatura. La democrazia – secondo quest'idea – si distingue dalla tirannia perché vive gli scandali come tali, indagando, biasimando e punendo i responsabili.
Lasciamo stare l'uso cinico di questa argomentazione, che mira a elogiare chi è stato appena scoperto a torturare su larga scala. È un altro aspetto quello che ci interessa: sorge il sospetto che questo schema di contrapposizione tra democrazia e dittatura sia un po' grossolano.
Anche tra sistemi democratici troviamo infatti differenze radicali nel modo di lavare i propri panni sporchi. La prima e più importante sta nella domanda alla base di ogni scandalo: ma i panni sono davvero sporchi? Altrove – negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania – i criteri di risposta sono largamente condivisi. In Italia, a quanto pare, non è così: la sporcizia diventa mera opinione, una questione di orientamento politico, di schieramento.
Il caso Telekom Serbia
Prendiamo lo scandalo (ma lo è?) Telekom Serbia. Era partito da un'inchiesta in puro stile anglosassone del quotidiano La Repubblica su alcuni aspetti poco chiari dell'acquisizione della società di telefonia serba da parte di Telecom Italia. A Washington o a Berlino sarebbe seguita un'indagine parlamentare tesa a chiarire gli eventi. In Italia, invece, all'inizio non è successo nulla – dal momento che la minoranza in parlamento non ha il potere di costringere la maggioranza a insediare una commissione inquirente.
Si è dovuta aspettare la vittoria di Berlusconi per una tempestiva creazione della commissione (che in Italia diventa la clava delle maggioranze per colpire le opposizioni). Eppure, fedeli al motto "gli scandali non sono fatti ma opinioni", i berlusconiani non sono sembrati ansiosi di chiarire i reali contorni dell'affare. Hanno invece tirato fuori dal cilindro una schiera di faccendieri e truffatori, promuovendoli sul campo a testimoni-chiave.
L'operazione è riuscita male, i truffatori sono stati scoperti e oggi ci troviamo, felici e contenti, con due scandali Telekom: la destra italiana non smette di accusare Prodi, Dini, Fassino – anche se le prove mancano – mentre la sinistra si concentra sul metascandalo delle prove e delle testimonianze false. E nel mezzo non troviamo nessuna opinione pubblica pronta a difendere standard condivisi per giudicare l'operato dei politici (di chi ha eventualmente avuto responsabilità nell'affare Telekom e di chi forse ha gestito le indagini montando uno scandalo a tavolino).
Invece gli italiani vivono in mondi separati, popolati da scandali a scelta a seconda del proprio giornale preferito, dove ciò che per l'Unità è bianco per il Giornale è nero. Appunto: gli scandali sono un'opinione. E una scena come quella accaduta al senato statunitense, dove il ministro della difesa è stato messo in crisi dalle domande di un senatore del suo partito, sarebbe inimmaginabile a Montecitorio.
Per i politici tutto ciò ha una conseguenza positiva: non dover mai trarre conseguenze. In altri paesi ogni tanto qualcuno se ne deve andare perché ha rubato, corrotto, mentito o solo occultato la verità. E altrove basta la responsabilità politica per perdere l'onore e il posto. In Italia sarebbe impensabile; qui non basta neanche la responsabilità penale.
Infatti un senatore della repubblica condannato a due anni perché giudicato colpevole di estorsione in combutta con un mafioso non si deve preoccupare granché: la sua condanna vale a malapena un trafiletto sui giornali. Andarsene? E perché? Tanto si scandalizzano solo quelli dell'opposizione. Oggi anche le sentenze di tribunale passano per essere un'opinione.
Lo scandalo è un'opinione
In Italia non ci sono criteri largamente condivisi per giudicare le malefatte dei politici. È tutta questione di schieramenti politici, scrive il corrispondente della Tageszeitung Michael Braun
Uno dei commenti che anche in Italia capita di sentire sullo scandalo delle torture in Iraq è: rivelare l'orrore fa onore agli Stati Uniti e in ogni caso ci mostra l'abissale differenza tra democrazia e dittatura. La democrazia – secondo quest'idea – si distingue dalla tirannia perché vive gli scandali come tali, indagando, biasimando e punendo i responsabili.
Lasciamo stare l'uso cinico di questa argomentazione, che mira a elogiare chi è stato appena scoperto a torturare su larga scala. È un altro aspetto quello che ci interessa: sorge il sospetto che questo schema di contrapposizione tra democrazia e dittatura sia un po' grossolano.
Anche tra sistemi democratici troviamo infatti differenze radicali nel modo di lavare i propri panni sporchi. La prima e più importante sta nella domanda alla base di ogni scandalo: ma i panni sono davvero sporchi? Altrove – negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania – i criteri di risposta sono largamente condivisi. In Italia, a quanto pare, non è così: la sporcizia diventa mera opinione, una questione di orientamento politico, di schieramento.
Il caso Telekom Serbia
Prendiamo lo scandalo (ma lo è?) Telekom Serbia. Era partito da un'inchiesta in puro stile anglosassone del quotidiano La Repubblica su alcuni aspetti poco chiari dell'acquisizione della società di telefonia serba da parte di Telecom Italia. A Washington o a Berlino sarebbe seguita un'indagine parlamentare tesa a chiarire gli eventi. In Italia, invece, all'inizio non è successo nulla – dal momento che la minoranza in parlamento non ha il potere di costringere la maggioranza a insediare una commissione inquirente.
Si è dovuta aspettare la vittoria di Berlusconi per una tempestiva creazione della commissione (che in Italia diventa la clava delle maggioranze per colpire le opposizioni). Eppure, fedeli al motto "gli scandali non sono fatti ma opinioni", i berlusconiani non sono sembrati ansiosi di chiarire i reali contorni dell'affare. Hanno invece tirato fuori dal cilindro una schiera di faccendieri e truffatori, promuovendoli sul campo a testimoni-chiave.
L'operazione è riuscita male, i truffatori sono stati scoperti e oggi ci troviamo, felici e contenti, con due scandali Telekom: la destra italiana non smette di accusare Prodi, Dini, Fassino – anche se le prove mancano – mentre la sinistra si concentra sul metascandalo delle prove e delle testimonianze false. E nel mezzo non troviamo nessuna opinione pubblica pronta a difendere standard condivisi per giudicare l'operato dei politici (di chi ha eventualmente avuto responsabilità nell'affare Telekom e di chi forse ha gestito le indagini montando uno scandalo a tavolino).
Invece gli italiani vivono in mondi separati, popolati da scandali a scelta a seconda del proprio giornale preferito, dove ciò che per l'Unità è bianco per il Giornale è nero. Appunto: gli scandali sono un'opinione. E una scena come quella accaduta al senato statunitense, dove il ministro della difesa è stato messo in crisi dalle domande di un senatore del suo partito, sarebbe inimmaginabile a Montecitorio.
Per i politici tutto ciò ha una conseguenza positiva: non dover mai trarre conseguenze. In altri paesi ogni tanto qualcuno se ne deve andare perché ha rubato, corrotto, mentito o solo occultato la verità. E altrove basta la responsabilità politica per perdere l'onore e il posto. In Italia sarebbe impensabile; qui non basta neanche la responsabilità penale.
Infatti un senatore della repubblica condannato a due anni perché giudicato colpevole di estorsione in combutta con un mafioso non si deve preoccupare granché: la sua condanna vale a malapena un trafiletto sui giornali. Andarsene? E perché? Tanto si scandalizzano solo quelli dell'opposizione. Oggi anche le sentenze di tribunale passano per essere un'opinione.