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View Full Version : A tutti gli esperti di storia...


Bandit
20-03-2004, 19:57
.....mi potreste dare delle informazioni abbastanza precise e concise su alcuni punti? Spero di si:

1) affermazione di Giolitti" libera chiesa in libero stato"
2)patto delle guarantige
3)non expedit di (mi sembra) di Pio 9°
4) patto Gentiloni
5)un qualcosa col nome Pica


Ciao e grazie per la vostra cultura.

Bandit
21-03-2004, 13:49
Aiuto mi serve una mano.

eraser
21-03-2004, 14:00
LA LEGGE DELLE GUARENTIGIE (13 MAGGIO 1871)

Approvata il 13 maggio 1871, la legge delle Guarentigie fu considerata un atto unilaterale e come tale respinta dal Papato. Tale legge incontrò l'opposizione sia dei clericali sia dei giurisdizionalisti.
Essa prevedeva l'impegno italiano a garantire il libero svolgimento del magistero papale ed ecclesiastico, l'attribuzione al Papa di una protezione giuridica simile a quella accordata al re, il diritto di mantenere un corpo di guardie armate, il privilegio della extra-territorialità (la condizione delle sedi diplomatici nei Paesi ospitanti) per i palazzi del Vaticano e del Laterano, nonché per la residenza di Castelgandolfo.
La legge si ispirava al principio cavouriano del "libera Chiesa in libero Stato", cioè ad una forma di separatismo liberale.
Dopo aver lanciato la scomunica maggiore contro quanti avevano attuato o favorito "l'usurpazione", Pio IX si chiuse nei palazzi vaticani dichiarandosi prigioniero e appellandosi alle potenze cattoliche.
In risposta alla legge delle Guarentigie, fu emessa l'enciclica "Ubi nos" del 15 maggio, con la quale fu ribadito il principio che il potere spirituale non potesse andare disgiunto da quello temporale.
Il problema dei rapporti fra cattolicesimo e Stato liberale divenne ancora più grave di quanto non fosse già in passato. Nel 1874 la Curia romana giunse a vietare esplicitamente ai cattolici la partecipazione alla vita politica, in particolare alle elezioni con la formula del "non expedit" ("non conviene").
Soltanto dopo alcuni decenni, nell'età giolittiana, questo divieto sarebbe stato attenuato e poi progressivamente eliminato, fino al completo rientro dei cattolici, sia in quanto elettori sia in quanto eletti, nella vita politica italiana.
Riportiamo gli articoli più importanti della legge, ricordando che essa regolò i rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede per quasi sessanta anni, fino al 1929.

eraser
21-03-2004, 14:03
LA QUESTIONE ITALIANA E IL "NON EXPEDIT"

Alle più estese riserve culturali nei confronti di Pio IX derivategli da impropria o travisata lettura del Sillabo si aggiungono quelle «italiane» dalla sua opposizione all'unificazione e poi alla partecipazione dei cattolici al progresso del nuovo Stato.

È l'immagine «politica» del Mastai costruita, in cattiva fede, dai risorgimentalisti anticlericali già nel 1848, e poi intenzionalmente sempre replicata, su due pregiudiziali incomprensioni. La prima delle quali è di aver voluto misurare con lo stesso metro esclusivamente politico personaggi impegnati, magari con diversa prospettiva e perfino su fronti opposti, nella «questione italiana» come nell'unica o preminente loro ragion d'essere (Mazzini, Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele II, l'Imperatore Ferdinando, Metternich, Napoleone III...), da una parte, e, dall'altra, un Pio IX, per il quale la conservazione o perdita dello Stato Pontificio e l'unità politica d'Italia erano questioni soltanto secondarie e relative. Si è sottovalutato, voluto ignorare perfino, che il Mastai ebbe, come pochi altri Papi, una solare egemone coscienza del suo ruolo e delle sue responsabilità di capo supremo della Chiesa universale, e che fu questa unicamente a determinare, nella mutevole e imprevedibile situazione italiana (ed europea), le sue scelte e decisioni, spesso originali rispetto ai pareri degli stessi suoi collaboratori, dolorosamente per lui divergenti da dove l'avrebbe portato il suo cuore d'italiano, in contraddizione con quelle esclusivamente politiche degli artefici dell'unificazione.

La seconda incomprensione è di non aver voluto riconoscere come la soluzione cavouriana-piemontese del nostro Risorgimento rieditasse e concludesse il plurisecolare scontro fra «libertà della Chiesa» e «libertà dello Stato»: di una Chiesa che si proclama d'istituzione e costituzione divina, società perfetta e autonoma, con diritto e poteri di magistero e giurisdizione oltre che sulle coscienze anche nella sfera del civile-pubblico, come l'educazione (scuola), il matrimonio (famiglia), il costume (e perciò mezzi di informazione e comunicazione); e di uno Stato che si attribuisce tutto il diritto e tutto il potere ovunque si esca fuori dalla sfera della pura coscienza, e quindi anche sull'agire esterno della Chiesa (così da rendere inaccettabile per i cattolici il conclamato principio «libera Chiesa in libero Stato»).

Quale sia stata veramente la posizione di Pio IX in ordine alla questione risorgimentale sarebbe necessario riproporre (e in parte è stato già fatto nell'ultimo decennio), a rettifica di stereotipi acritici, alla luce della doviziosa documentazione storica proveniente dall'Archivio Segreto Vaticano, dalla varia Diplomazia e da carteggi privati nonché dall'Archivio Rosminiano di Stresa, documentazione volutamente disattesa quando non proprio ignorata dalla letteratura laica.

Ma lo spazio disponibile ci consente solo alcune risultanze illuminanti, non senza aver richiamato ovvietà come la giustificazione storica dello Stato Pontificio, la legittima sovranità di Pio IX, il suo nessun obbligo di abdicare in favore di chicchessia, il non diritto di usurpazione da parte di alcuno o di annessione in virtù di plebisciti a suffragio ristretto e di esito predeterminato...

Risulta, intanto, che Pio IX riconosceva «naturale» l'aspirazione dei risorgimentali all'unificazione politica dei diversi Stati in cui si istituzionalizzava la unica «nazionalità» italiana, e tale la dichiarava all'Imperatore d'Austria Ferdinando nella Lettera del 3 maggio 1848 nel mentre come Papa si disimpegnava dalla guerra e proponeva una onorevole pacifica transazione. Risulta ancora il non interesse di Papa Mastai per la soluzione confederativa, in quanto non utile né alla missione del Pontificato né all'Italia medesima.

Egli sapeva benissimo come sinceri cattolici (conservatori intransigenti) pensassero alla sovranità temporale di «diritto divino» (voluta positivamente da Dio), e pertanto inalienabile, e come altri cattolici (moderati e liberali), rispettabili non meno, chiedessero la rinuncia spontanea a rendere possibile l'unificazione d'Italia. Rispetto ai primi, non volle mai giungere a definire dogmaticamente la necessità per il Papato della sovranità temporale; e, per i secondi, se non fosse stata praticabile altra via, per l'unità d'Italia, fuori che l'annessione (al Piemonte) dello Stato Pontificio e di Roma, non si sarebbe opposto, ad una precisa condizione però. Al Papa non interessava la sovranità temporale in sé e per sé (non la richiedeva il Vangelo, anzi!); essa era «di fatto», «nel presente ordine delle cose» la condizione più favorevole, per il Papato, di esercitare in piena libertà magistero e giurisdizione sulla intera Chiesa cattolica. Era infatti storicamente provato (cattività avignonese; Pio VI e Pio VII sotto Napoleone) che la sudditanza politica del Papa ne comprometteva la libertà e universalità, del potere spirituale. Perciò dichiarava: che gli sarebbe bastata per tale indipendenza la sovranità temporale «su di un fazzoletto di terra» (che fu, poi, la base dei Patti Lateranensi). Ma non la sovranità temporale, grande o piccola che fosse, bensì la totale libertà di esercizio della funzione petrina era ciò che gli stava sommamente e irrinunciabilmente a cuore, e questa Egli doveva mantenersi e sentirsi garantita in modo permanente, stabile e a livello internazionale.

Non essendogli, nei negoziati ufficiosi e ufficiali, questa libertà garantita dai Piemontesi, sostenitori di un Liberalismo a dir poco giurisdizionalista e promulgatori di leggi vessatorie per la Chiesa (Leggi Siccardi); non essendogli suggerita, dai cattolici moderati e liberali che auspicavano la fine del potere temporale, altra possibilità praticabile a quello scopo (dislocazione della Sede pontificia in altro Stato di questo o d'altro continente, proclamazione della libertà religiosa alla Cavour, «guarentigie» unilaterali, non negoziate né avallate soprannazionalmente); imponendosi di fatto la soluzione unitaria che comportava la fine dell'indipendenza politica della Santa Sede, l'assoggettamento del papato e della sua giurisdizione sulla Chiesa al governo italiano...: Pio IX è costretto a una difesa simbolica (ma non simulata) del suo Stato e di Roma.

E se, dopo l'usurpazione manu militari, sembra attendersi qualcosa che lo risarcisca della menomazione subita, quell'attesa non nasce dalla speranza di un intervento armato delle Potenze europee contro l'Italia (sa quanto inaffidabile e «interessato» fosse stato ogni precedente aiuto!); semmai, dall'impressione che il nuovo Stato Italiano non reggesse («impopolare» com'era e subito costretto all'uso della forza non solo nel Meridione ma anche in zone annesse per plebiscito); e, comunque, non gli interessava il risarcimento territoriale, bensì il prestigio religioso e morale del Papato, che veramente da allora si rese «mondiale».

Certo è, infine, che Pio IX mai si rassegnò, sempre condannò implacabilmente, con la stessa sua autoreclusione in Vaticano, la soluzione cavouriano-piemontese della questione italiana, ossia l'usurpazione dello Stato della Chiesa; e concepì in termini di opposizione il rapporto dei cattolici con il nuovo Stato, al punto che la storiografia tradizionale, anche parte di quella ecclesiastica, sembra nel vero quando parla del Non Expedit del 1871, cioè della secessione dei cattolici dalla vita politica dell'Italia unita, come dell'intransigenza di Papa Mastai (quasi a dire che aveva sbagliato ad opporsi e ha continuato a sbagliare mostrandosi ostile e irriducibile ad accomodamenti).

Ma non è meno certo che nulla fu evitato da parte liberale di quanto potesse umiliare ed offendere la dignità e la coscienza del papato e della Chiesa; per cui nulla incoraggiava il Pontefice sulla via della conciliazione. L'intransigenza cattolica è stata la risposta inevitabile, uguale e contraria, alla intransigenza antiecclesiastica ed anticristiana del liberalismo (nelle sue forme storiche) e della massoneria.

Aver obliterato che la questione italiana, in sé politica (come realizzare l'unità e farla accettare nell'assetto europeo seguito al Congresso di Vienna), era complicata di implicazioni ideologiche è ciò che ha provocato giudizi opposti su Pio IX. Orbene, uno storico, sul piano delle ideologie, può non condividere le tesi cattoliche sulla religione, sulla rivelazione, sulla natura della Chiesa e sui rapporti fra questa e lo Stato, come il cattolico rifiutare l'ideologia laica. Ma lo storico, in quanto storico, nel valutare fatti, persone e loro comportamenti, non può far finta che i risorgimentalisti laici non sottendessero alla loro soluzione del problema unitario una concezione della Chiesa e dello Stato opposta a quella cattolica; e che Pio IX non fosse prima e sopra di tutto il Papa. Non può e non deve ricostruire i fatti dal punto di vista unico ed esclusivo di una delle parti in causa. Altrimenti da un giudizio ideologico invece che storico, un giudizio di parte anziché equanime. E ciò non gli compete e non gli farebbe onore.