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View Full Version : RIFIUTI E ARMI IN SOMALIA E MOZAMBICO, LA STORIA DI ILARIA ALPI


Max2
12-02-2004, 15:24
Milano, 9 febbraio - Pubblichiamo la trascrizione integrale dell’audizione tenuta dai magistrati Gualdi e Romanelli alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul traffico dei rifiuti che si è svolta il 28 gennaio.

Audizione dei sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Milano, Gemma Gualdi e Maurizio Romanelli.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Milano, Gemma Gualdi e Maurizio Romanelli.
La Commissione sta svolgendo una specifica indagine volta ad approfondire taluni specifici profili inerenti alla vicenda dell'omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell'operatore Milan Hrovatin, cui sarebbero connessi aspetti, di competenza della Commissione medesima, che riguarderebbero l'acquisizione di informazioni relative a presunti traffici illeciti di rifiuti radioattivi con la Somalia.
Ricordo che la Commissione ha già ascoltato su tale materia i giornalisti di Famiglia Cristiana, Alberto Chiara, Barbara Carazzolo e Luciano Scalettari, i coniugi Alpi, il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Franco Ionta, il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale de L'Aquila, Giuseppe Pititto, l'avvocato D'Amato ed il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti, Luciano Tarditi.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, darei ora la parola alla dottoressa Gemma Gualdi, quindi al dottor Maurizio Romanelli, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine del loro intervento.
GEMMA GUALDI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Signor presidente, lavoro attualmente alla procura della Repubblica di Milano, alla direzione distrettuale antimafia. Ai tempi cui si riferiscono i particolari di cui devo parlare mi occupavo di reati contro la pubblica amministrazione all'interno dell'apposito dipartimento.
Con molto stupore, oltre che con ringraziamento nei vostri confronti, sono qui oggi, sia perché gli accertamenti giudiziari espletati all'interno della mia indagine toccano soltanto di sfuggita l'oggetto centrale della vostra Commissione, sia perché ho già diffusamente riferito davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, presieduta dal senatore Mensorio, nel 1995.
Sono venuta a conoscenza dei fatti che oggi vi possono interessare partendo da molto lontano, in particolare - come ho detto, mi occupavo di reati contro la pubblica amministrazione - da una vasta indagine esistente allora negli uffici milanesi nei confronti di plurimi soggetti imprenditori e politici per l'effettuazione di alcuni lavori; si trattava di appalti, ed io indagavo in modo particolare su quelli eseguiti nei paesi in via di sviluppo.
Un particolare campo operativo degli imprenditori italiani e soprattutto milanesi, tant'è la mia competenza, si era svolto nel territorio somalo. In particolare ricordo che nei primi mesi del 1993 si presentò spontaneamente in procura per rendere le proprie dichiarazioni un soggetto somalo, che ai tempi svolgeva le funzioni di presidente della camera di commercio di Mogadiscio, il quale intendeva rivelare alcuni accadimenti e riferire alla magistratura italiana quanto era a sua conoscenza in merito alle attività che, in una prima fase, potevano sembrare soltanto di espansione dell'industria italiana e dell'imprenditoria
milanese nei paesi più bisognosi. Questo soggetto somalo ha iniziato a raccontare dell'esistenza di una gran quantità di lavori prestati da imprenditori milanesi nel suo territorio di appartenenza, inquadrati sotto una prospettiva commerciale e di regolarissima trattativa di provvigioni, in base alla quale entrambe le composizioni nazionali, quella italiana e quella somala, guadagnavano dallo svolgimento di questi lavori all'estero, quella che normalmente viene indicata come una percentuale a titolo di provvigione. Certamente sotto la prospettiva penale questa provvigione assume altri nomi, ma nel momento e per l'oggetto che qui interessa credo sia sostanzialmente rilevante il fatto, al di là dell'inquadramento commerciale o penale, della tangente e/o provvigione di cui ci parlavano questi soggetti. Ci spiegavano come questi soggetti operanti in Somalia, che intrattenevano rapporti con gli imprenditori italiani e quindi con gli uomini politici del tempo, a tutti ben noti, trattavano appalti per importi assolutamente esorbitanti per il tempo (i primi lavori risalgono agli anni settanta), in quanto si parlava di circa 2.000 miliardi complessivi annui. Certamente si trattava di un giro di affari di notevole consistenza.
Al di là di tutto questo, i soggetti di cui ho parlato hanno preso a parlare - devo sottolinearlo - quasi con ironia, con la convinzione di assoluta regolarità e normalità, come se non vi fosse alcun profilo di possibile rilevanza penale, anche in relazione alla trattativa commerciale del traffico di armi. In particolare riferivano che di questa esportazione di prodotto italiano faceva parte anche quella dell'arma, intendendo sia la singola arma leggera sia i carri armati di cui molto si è sentito parlare e si è letto sui giornali. In sostanza riferiscono dinanzi all'autorità giudiziaria che vi sono plurimi incontri presso le varie ditte milanesi che producono armi oppure oggetti di precisione, come questi acquirenti esteri vengono accompagnati da esponenti del nostro mondo politico oltre che di quello imprenditoriale, come provano le armi, come le sperimentano nelle sale balistiche appositamente interrate e protette, ed infine come vengono acquistati consistenti quantitativi di armi di vario genere.
Dunque, il mio interesse, nel prosieguo delle indagini, si è concentrato nell'assumere informazioni nei confronti di quegli imprenditori indicati originariamente dai soggetti somali, imprenditori che ampiamente hanno confermato quanto vi ho finora descritto. In particolare hanno parlato di alcuni progetti imprenditoriali in vari settori, come quelli dell'agricoltura, dell'estrazione dell'acqua, della costruzione delle strade (la famosa Garoe-Bosaso che certamente conoscete), nonché nell'ambito della pesca. A questo proposito si parla ampiamente di un determinato progetto che assume molte denominazioni, ma che in pratica è il progetto Somit fish o quello della ditta SEC, di un imprenditore veneto che aveva fornito alcuni pescherecci in Mogadiscio, peraltro dotati - non ho mai avuto il piacere di osservarli direttamente, ma tutti i testimoni lo riferiscono - di strutture interne poco adatte al trasporto del pesce ma più idonee a trasporti di altro genere di merci. In particolare, viene riferito ampiamente da parte degli imprenditori milanesi di come questi pescherecci venissero largamente utilizzati per continue attività di trasporto, certamente a titolo non di armatore o di vettore, ma di esecuzione di un progetto di pesca effettuato dall'imprenditore italiano in collaborazione con il Governo somalo, inteso a seguire alcuni interessi; si parla esplicitamente degli interessi dell'allora Siad Barre. Molti imprenditori confermano di essere a conoscenza dell'avvenuto trasporto di armi, dell'avvenuta fornitura di armi in cambio di un'espansione dell'imprenditoria milanese, che
otteneva nel proprio bilancio interno il capitolo particolare dei lavori effettuati all'estero, che consentiva sulla carta e di fatto di movimentare un importo di denaro e un giro di lavori decisamente molto aumentato, con la garanzia della capienza del mercato somalo, e si dice che all'interno di quest'attività di esportazione di merci italiane certamente rientravano i carri armati, le armi, le munizioni di cui ho ampiamente detto.
Per ritornare alla vicenda dei pescherecci, che non è certamente limitrofa con il caso di Ilaria Alpi, e vi spiegherò il perché, risultavano addirittura interrogati numerosi marinai che raccontavano come, notte tempo, tali pescherecci rallentassero la loro corsa in mare aperto, venissero affiancati da alcune barche, e i marinai, come accade all'ortomercato con le cassette della frutta, con la forza delle braccia, trasportassero le casse contenenti munizioni o armi leggere, che venivano poi trasportate a Mogadiscio, non potendo quelle navi attraccare nei porti regolari.
Perché questa premessa per arrivare a configurare questa dettagliata descrizione del rapporto di compravendita di mitragliette, di carri armati, di munizioni con la Somalia all'interno della vicenda di Ilaria Alpi? Perché sembrava, dalla fase iniziale delle indagini da me seguite, che il giorno immediatamente precedente a quello in cui è stata uccisa, Ilaria Alpi avesse appena intervistato il famoso e ben noto ingegner Mugne, proprio in relazione a vicende inerenti alle navi di cui vi ho detto e all'attività di trasporto mercantile, non proprio di pesce, che tali navi pare effettuassero da lungo tempo.
Ricordo in particolare la presentazione spontanea che era stata fatta dai genitori di Ilaria Alpi che riferivano, anche sulla base dei taccuini di cui loro sono a conoscenza e della vicenda travagliata di questi taccuini, di cui si è ampiamente detto, la loro certezza, non processualmente poi comprovata e la loro assoluta consapevolezza morale che la figlia fosse stata assassinata perché aveva scoperto un qualcosa relativo al traffico di armi con quel paese, cosa che evidentemente avrebbe dato molto fastidio ad uno dei due gruppi di potere che allora politicamente si contendevano il paese.
Come ho detto, molti imprenditori italiani hanno ampiamente confermato questa versione, ed in particolare hanno riferito che la necessità della Somalia, in quel momento di aperta guerra intestina, era quella di recepire la maggiore quantità possibile di armamenti, tant'è che addirittura Siad Barre avrebbe personalmente chiesto ad uno dei nostri uomini politici - si è fatto il nome di Paolo Pillitteri - degli aiuti in armi, sostenendo la richiesta con la grave situazione politica interna del paese e dei contrasti con l'Etiopia. Vi era gran "fame" di armi in un paese che, pur essendo in guerra sia all'interno sia all'esterno dei propri confini, ne era di fatto assolutamente privo. Si parlava di progetti di fornitura di armi per migliaia di dollari di allora; a quel tempo vi era l'interessamento da parte di alcuni personaggi italiani per quella fornitura di carri armati Oto Melara di cui la Commissione è certamente a conoscenza.
L'indagine è proseguita e sono stati sentiti numerosi soggetti che operavano quali tecnici all'interno della cooperazione con i paesi del Terzo mondo, in particolare con la Somalia; ricordo soprattutto alcuni esperti ingegneristi o amministrativi che hanno visto con i propri occhi le fasi immediatamente successive all'omicidio di Ilaria Alpi e che hanno raccontato, a me inquirente, la loro convinzione - ma ancora una volta si tratta di deduzioni di testi oculari - che la giornalista fosse stata uccisa perché aveva messo il naso in qualcosa che era troppo delicato e pericoloso per gli equilibri interni di quel paese.
Alcuni tecnici della cooperazione hanno riferito della scenografia in cui Ilaria Alpi era inserita, dei contatti con i nostri soggetti diplomatici, dei contatti con alcuni militari (penso al maggiore Rajola) e riferiscono come la giornalista avesse abbondantemente tratto informazioni e commenti circa quest'attività di trasporto delle navi dall'Italia alla Somalia, di cui vi ho già detto.
Con riferimento più specifico all'oggetto centrale di interesse della Commissione non posso - ahimè - far altro che dedurre come nulla di concreto - per un pubblico ministero o per un giudice parlare di concreto significa comprova giudiziariamente sostenibile e con forza probatoria anche davanti ad un dibattimento - sia emerso in relazione allo scambio tra merci e scorie tossiche o tra armi e rifiuti tossici.
Si è sempre intraveduta la possibilità che ci fosse in realtà un passaggio o un trasferimento di altro oltre ai campi militari, al pescato delle navi, al pellame delle ditte, ai pozzi per estrarre l'acqua, insomma a quanto di pacificamente, cartaceamente e documentalmente veniva trasferito o prodotto in quel paese ma nulla di giudiziariamente probante è mai stato - quanto meno da me -raccolto con riferimento al passaggio manifesto e inequivoco tra materiale "x" e scorie tossiche. Tuttavia, di questo argomento si è parlato, si è detto e vi sono state numerose indicazioni di soggetti: parlo di nomi certamente a loro conosciuti; parlo del notorio Marocchino, di Guido Garelli, di Elio Sacchetti e di soggetti che si diceva allora fossero derivanti anche da appartenenze ad associazioni segrete italiane e che avrebbero fatto parte di quei passaggi
che figuravano come passaggi commerciali regolari ma, in realtà, aventi ad oggetto merci differenti e cioè armi in cambio di scorie tossiche.
Devo, tuttavia, riferire come dal punto di vista della mia prospettiva - che non può che essere quella giurisdizionale di una prova che abbia rilevanza e dignità tale anche dinanzi ad un dibattimento e ad un giudizio - che nulla al riguardo è stato mai ritenuto come raggiunto e comprovato. Pertanto, sono qui oggi a riferire che, all'epoca, dell'argomento si è dinanzi a me, nel corso delle mie indagini, ampiamente trattato e che molti soggetti ne hanno fatto cenno, quantomeno come ipotesi di lavoro o come prospettiva idonea a giustificare gli accadimenti che di fatto non ottenevano in altra forma alcuna motivazione o giustificazione; ma, debbo aggiungere, nulla di tutto questo ha mai assunto la dignità di prova: non a caso, infatti, mi sono guardata bene dal condurre chicchessia a dibattimento sulla base di informazioni fornite da soggetti il cui ruolo è sempre stato a cavallo tra il manifesto e il nascosto, tra il regolare e, forse, il penalmente discutibile.
Di tutto ciò vi tratto oggi con assoluta estrema sintesi poiché, come anticipato, ne ho ampiamente trattato nel corso di un lunghissima audizione dinanzi alla Commissione d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, proprio tra queste mura, il giorno 13 giugno 1995. È evidente che, ancorché sia proceduralmente complicato, assumendo la verbalizzazione e la trascrizione in forma di resoconto stenografico di quella seduta, si può ampiamente e con ben maggiori dettagli e particolarità giungere ad una ricostruzione completa dello stato delle indagini allora in pieno divenire e, dunque, fresche nella loro concretezza quotidiana, mentre oggi sono semplicemente un ricordo, forse, di verità storiche. A quell'epoca ho prodotto numerosi verbali qui lungamente elencati: se il presidente lo ritiene, posso anche lasciare agli atti questa traccia in modo da poter eventualmente risalire ai documenti.
Debbo inoltre ribadire che, al di là di quanto otto o nove anni fa da me ampiamente riferito, la stessa Commissione di inchiesta sulla cooperazione negli anni di cui ho detto, aveva effettuato importanti acquisizioni. In particolare, nel gennaio-febbraio 1996 alcuni membri della Commissione si erano addirittura recati in missione a Mogadiscio e a Gibuti. In quella circostanza - ho qui il resoconto e, se il presidente lo desidera, è a sua disposizione - alcuni membri della Commissione (ricordo, tra gli altri, l'onorevole Gritta Grainer, se non sbaglio, anche l'onorevole Brunetti) avevano raccolto numerosissime ed importanti informazioni direttamente nel paese interessato. La vicenda di Ilaria Alpi era allora attualissima e, dunque, la Commissione assunse sul posto informazioni in ordine all'ambito e alla scenografia locale in cui tale omicidio era avvenuto e sui possibili obiettivi da parte dei mandanti. La Commissione concluse i suoi lavori affermando "la gente, all'unanimità, dice che la giornalista italiana è stata uccisa perché sapeva qualcosa che non doveva sapere, perché sapeva qualcosa di troppo", salvo poi vagare anch'essa nel comprendere con più esattezza quale fosse la notizia fondamentale che ne aveva causato la morte: le navi della Shifco (di cui ho già detto), che probabilmente non trasportavano solo pescato bensì altro? La ricezione di armi da parte di non si sa chi o di quale delle due fazioni allora militarmente armate a Mogadiscio? Il famigerato trasferimento di scorie tossiche?
Ricordo solo che nel resoconto dei lavori svolti durante la missione dai membri della Commissione d'inchiesta sulla cooperazione, vi è un'ampia stesura delle dichiarazioni rese da Marocchino che, come ognuno di voi certamente sa, ha grande parte nelle vicende italiane politiche e commerciali, al confine (potremmo dire border-line) con ogni aspetto che qui può interessare e del quale si era ampiamente occupato. Marocchino formalmente svolgeva il ruolo di trasportatore e dichiarava formalmente di essere colui che si occupava di trasportare le merci da una parte all'altra del paese. Peraltro, interrogato in un certo giorno, con alcune casse in mano, da parte di soggetti militari delle forze militari internazionali del tempo (allora erano soprattutto soldati americani), i quali avevano accostato il nostro connazionale e al quale avevano chiesto cosa stesse trasportando da Mogadiscio a Balcad, rispose che si trattava di contenitori dell'esercito italiano poiché egli stava lavorando - così si è qualificato - in nome e per conto dell'esercito italiano e dunque stava evidentemente (così disse ai militari americani) trasportando armi per l'esercito italiano. Evidentemente, si tratta di dichiarazioni inquietanti che peraltro la Commissione di cui ho parlato ha ampiamente valutato e commentato.
Inoltre, nel verbale della Commissione del 1996 si riferisce, a proposito dell'attività della società Shifco - ovvero di quelle navi italiane di cui nessuno ha mai accertato con esattezza che cosa trasportassero - quanto accertato, anche tramite l'audizione di organismi diplomatici italiani presenti sul territorio somalo, su quale fosse l'ambito delle indagini della giornalista italiana, quale fosse lo stato delle sue conoscenze con riferimento alle navi Shifco, che avrebbero lavorato per l'ingegner Mugne e su quali fossero i rapporti con l'allora colonnello Rayola. Sempre nei verbali dell'attività all'estero di quella Commissione si parla del ruolo del nostro connazionale Garelli e di altro soggetto italiano da loro certamente già sentito, ovvero il ben noto Giovagnini, che viene indicato da soggetti interrogati dai membri della Commissione, come colui che forniva direttamente le armi a Siad Barre.
Con riferimento, invece, alle scorie nucleari, la Commissione all'epoca aveva interrogato l'ingegner Mugne, proprio sul fatto che venissero scaricate nel nord della Somalia per essere poi depositate o nascoste in alcuni territori. Peraltro, questo soggetto somalo ben addentro alla conoscenza di molte vicende locali riferisce che, poiché il porto non poteva essere adibito a tale scopo, tali scorie sarebbero state nascoste in una zona settentrionale del paese; tuttavia - conclude l'ingegner Mugne riferendo ai membri della Commissione di cui ho detto - egli non avrebbe certamente potuto riferire elementi di certezza. Vale la pena di sottolineare, per un tocco di colore, che l'ingegner Mugne quando ricevette i membri della Commissione bicamerale d'inchiesta sulla cooperazione, ne chiese l'identificazione e la qualificazione: lo chiese ad un membro dopo l'altro, per conoscerne bene il vissuto personale e politico di appartenenza, il che evidentemente dice molte cose in merito alla comprensione e al ruolo di quel soggetto nella gestione degli accadimenti.
Credo che tanto possa bastare per quanto oggi di interesse della Commissione. Ritengo che sarebbe utile - e, se il presidente lo consente, lo lascerei agli atti - il resoconto della Commissione sulla cooperazione, soprattutto per la parte in cui i membri lì recatisi riferiscono di quanto hanno accertato - in ciò, lavorando in parallelo con l'attività del mio ufficio di Milano - sull'attività degli imprenditori italiani con i governatori somali, con i gruppi politici somali, con il trasferimento di beni in cambio di armi e, forse, di luoghi dove nascondere qualcosa che i paesi industrializzati non sapevano o non avevano modo di eliminare diversamente. Pertanto, se il presidente lo consente, posso consegnare agli atti tale documentazione.
PRESIDENTE. Certamente, dottoressa Gualdi. Acquisiamo con piacere la documentazione che lei ci sta fornendo.
GEMMA GUALDI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano. Come ho anticipato, tutte le mie indagini hanno avuto un esito processuale non positivo, nel senso che alcuni fatti forse di inequivoca rilevanza penale e alcuni episodi di corruzione sono stati trasferiti per competenza all'autorità giudiziaria romana poiché, evidentemente, i fatti di corruzione - se esistenti - attenevano ad organismi romani: parlo, in particolare, del Ministero degli esteri e degli organismi internazionali interessati, come ad esempio il FAI (Fondo aiuti italiani) allora operante e ben noto rispetto a tali vicende. Quindi, gli episodi - diciamo così - penalmente più delineati sono stati trasmessi per competenza all'autorità giudiziaria, soprattutto l'autorità giudiziaria romana, nel 1995, nonché ad altre dislocazioni distrettuali. Vi sono stati altri trasferimenti di atti e procedimenti nel 1995 anche con riferimento ad altre ipotesi di reato, comunque sempre attinenti ai reati contro la pubblica amministrazione.
Ho, invece, personalmente gestito le vicende relative all'indagine sul traffico di armi: tuttavia, pur contenendo tale indagine elementi forse più descrittivi, più qualificanti e personificanti dei fatti di cui vi ho oggi riferito solo in estrema sintesi, questa indagine non ha potuto addivenire alla dignità di quella prova che è necessaria perché tali fatti vengano giudicati e comprovati e vengano attribuiti con i criteri che, grazie a Dio, la nostra giurisdizione impone in capo a chicchessia. Dunque, l'indagine si è svolta con un gran
dispendio di energia, di tempo e di attenzione, così come è necessario per affrontare questo genere di verità, di accadimenti che credo non siano irrilevanti da conoscere, al di là della loro dignità processuale; tuttavia, la mia conoscenza rimane talora a livello di elementi ipotizzati o di accadimenti sospettati, talora a livello di fatti comprovati: però, per far addivenire tali verità alla dignità di prova penale, gli spazi e gli strumenti che la procedura penale ci fornisce non si sono rivelati né idonei né sufficienti. Dunque, vi fornisco un quadro, talora di verità sospettate, talora di accadimenti comprovati, ma che sul piano processuale non hanno potuto vedere sbocchi differenti da quello della ricostruzione di meri accadimenti storici e politici.
PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Gemma Gualdi. Do ora la parola al dottor Maurizio Romanelli.
MAURIZIO ROMANELLI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano. Signor presidente, segnalo in via preliminare che non mi sono mai occupato direttamente, per ovvie ragioni, dell'omicidio a danno di Ilaria Alpi. Le ragioni sono molto semplici: innanzitutto, vi è il fatto che la competenza non era nostra bensì dell'autorità giudiziaria romana.
Ho già fornito al dottor Moccia, che è consulente della Commissione, sia alcuni riferimenti sia specifici atti. Per quanto riguarda i riferimenti, ho fornito l'indicazione di alcuni ufficiali di polizia giudiziaria che ritengo di particolare valore ed esperienza nel campo del traffico interno e sovranazionale di rifiuti. Ho fornito, altresì, alcuni atti che potevano aiutare a ricostruire in tempi abbastanza recenti fatti di traffico transnazionale di rifiuti.
In particolare (mi scuso se sbaglio, ma potrò essere più preciso in seguito), ricordo di aver trasmesso due annotazioni riepilogative che erano state sviluppate e redatte nell'ambito della mia indagine. Signor presidente, dall'elenco da lei fatto, relativo alle persone che sono state sentite, ho visto che l'attenzione è stata focalizzata sul procedimento nato nella Procura di Milano a seguito della presentazione spontanea di una persona che aveva in prima battuta conferito con un ufficiale della polizia giudiziaria del Corpo forestale dello Stato (sappiamo che si tratta di investigatori specializzati in tale fenomeno). Quella persona, tramite quell'ufficiale di polizia giudiziaria, si presentò alla Procura di Milano e cominciò a raccontare fatti che risalivano molto indietro nel tempo e che attenevano al traffico transnazionale di rifiuti; vi era però un vantaggio rispetto a inchieste su vicende simili, che erano state gestite anche in altre parti del territorio nazionale: il vantaggio era rappresentato dal fatto che quella persona era stata recentemente ricontattata dai suoi interlocutori nelle vicende passate e, pertanto, offriva alla Procura di Milano la possibilità di fare un tipo di investigazione, che per sua definizione, è più tranquillizzante rispetto ad una investigazione diretta soltanto a ricostruire il passato: ovvero, un tipo di investigazione diretta anche all'attualità. Ritengo sia stata questa la ragione principale per cui decidemmo, come Procura distrettuale, di provare a - diciamo così - vedere il gioco. Infatti il dichiarante parlava del passato ma, così facendo, riferiva anche di fatti che erano in corso in quel momento. Tra quei fatti vi era, in particolare, una prospettiva di traffico transnazionale ad alto livello verso il Mozambico. Vi erano, cioè, alcuni soggetti che avevano ricevuto offerte da parte delle autorità del Mozambico nel senso di destinare una grossissima fetta di territorio (agli atti vi è anche una localizzazione in linea di massima di quel territorio) a ricevere rifiuti di “qualunque” tipo - lo dico tra virgolette - da parte dei paesi interessati. Questo personaggio era stato dunque ricontattato proprio perché in passato aveva del pari operato in altri paesi (secondo il suo racconto) con modalità simili , cioè cercando di curare che i rifiuti prodotti dai paesi occidentali e, in particolare, dall'Italia potessero arrivare a destinazioni "povere" dove potessero avere forme di definizione molto rudimentali e pericolose: parliamo di rifiuti spiaggiati o magari affondati in prossimità del territorio.
Decidemmo allora di andare a vedere il gioco di quello che chiamammo "progetto Mozambico": dunque, attraverso un'attività che venne condotta con gli strumenti dell'investigazione e quindi, in particolare, attraverso intercettazioni sia telefoniche sia ambientali, che sono peraltro compendiate nelle annotazioni che ho trasmesso - o che credo di aver trasmesso: presidente, la prego di controllare - alla Commissione, emersero sicuramente degli aspetti inquietanti, che giustificavano assolutamente l'attenzione che veniva focalizzata sull'indagine. Gli aspetti inquietanti erano molti e sembravano deporre per l'illegalità complessiva di quel "progetto Mozambico", pur essendovi in Italia - come dire - una particolare attenzione da parte del Ministero competente, che mai e poi mai avrebbe autorizzato fatti di esportazione con le caratteristiche di quel tipo: dunque, il competente Ministero italiano in quell'occasione si comportò in modo assolutamente e del tutto regolare.
Quali profili di illegalità emersero? Tanti. Li ricordo in sintesi e la Commissione li troverà ben evidenziati nelle annotazioni, con riserva, se necessario, di esprimere più approfonditamente anche le mie valutazioni. Intanto vi erano alcuni elementi non corrispondenti alla verità nella documentazione di base proveniente dal Mozambico, nel senso che si lasciava credere che fossero già stati costruiti, o in fase di costruzione, degli impianti importanti, che avrebbero consentito poi un'effettiva destinazione di questi rifiuti e che fossero compatibili con le normative transnazionali che disciplinano la materia. Sia dalle battute che captammo attraverso l'attività di intercettazione, sia da alcune fotografie che furono mostrate, in realtà non c'era assolutamente niente; in sostanza, si trattava di una discarica a cielo aperto. Vi erano le ripetute affermazioni dei portatori di questi contatti con le autorità del Mozambico, nel senso che - anche in questo caso uso un'espressione di sintesi - in Mozambico potevano fare quello che volevano. Vi era la partecipazione alle società che, a vari livelli del fenomeno, erano coinvolte nel progetto, di soggetti che sono noti alle procure distrettuali; in particolare, tra le persone che venivano valutate come possibili per il trasporto di rifiuti a mezzo di navi c'era un soggetto abbastanza noto, Khashoggi. Fra coloro che dovevano essere titolari di una quota in una delle società coinvolte nel progetto vi era un soggetto con una scheda criminologica di terrorista internazionale, Al Qasar. Quindi, si tratta di un fatto significativamente inquietante. Sempre attraverso questa attività tecnica c'era anche quella che avrebbe dovuto garantire, come ho detto prima, il massimo di veridicità e di serietà, c'era il riferimento a traffici di altro tipo, nel senso che parlando di alcuni di questi soggetti si diceva con assoluta tranquillità che si occupavano anche di traffico di armi, che avevano denaro per effettuarlo e che non c'erano problemi; si poteva fare qualunque cosa. Inoltre, c'era stato il riferimento di uno dei principali protagonisti di questa vicenda a se medesimo come colui che, negli anni precedenti, aveva non dico inventato, ma almeno praticato il sistema di mandare i rifiuti in territori desertici e di abbandonarli lì. Si trattava quasi di una rivendicazione della propria attività in passato.
Questo è il quadro che emerso, a mio parere abbastanza significativo e che in linea di massima conferma le dichiarazioni parallelamente rese; si tratta infatti di un quadro che esprime una realtà sull'attualità e che dà alcune piccole conferme anche in riferimento al passato. In questo quadro, se non ricordo male, non vi erano accenni diretti alla vicenda somala, ma parallelamente, come la Commissione sa, era in corso un'indagine di un collega della procura della Repubblica di Asti, il dottor Tarditi, diretta sull'attività in Somalia, e quindi vi era la possibilità di realizzare scambi sia informativi sia di atti. In particolare il collega aveva scelto anch'egli la strada - a mio modo di vedere doverosa e in passato complessa, per ragioni a voi certamente note - di utilizzare nell'investigazione strumenti importanti quali le intercettazioni telefoniche ed ambientali, senza i quali non si arriva da nessuna parte. Mi sembra di ricordare che il collega avesse ottenuto risultati abbastanza significativi; in particolare, vi erano intercettazioni dirette anche del Marocchino, ma su questo avrà riferito il collega.
Questa è la situazione in sintesi, in quanto ho trasmesso alla Commissione gli atti essenziali di questa vicenda, con riserva ovviamente di integrarli. Alcuni verbali del soggetto che ci rendeva le dichiarazioni parevano rilevanti ai fini del caso dell'omicidio di Ilaria Alpi. Pertanto io ho fatto ciò che penso sia doveroso da parte di ciascuno di noi: nel momento in cui ho ritenuto questi verbali importanti a questo riguardo li ho trasmessi alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, che aveva in carico i vari filoni (ora non ricordo quali fossero le fasi dell'investigazione romana). La Commissione sa che sono intervenute delle novità, diciamo così, extraindagine, nel senso che il soggetto che aveva reso le dichiarazioni alla procura di Milano ha poi rilasciato una serie di interviste ai giornalisti di Famiglia Cristiana ed ha raccontato le vicende che di volta in volta aveva vissuto. Questo, ripeto, è molto sinteticamente il quadro della situazione, disponibile comunque a qualsiasi approfondimento da parte mia, se fosse necessario.
Ho ritenuto opportuno alla fine chiedere l'archiviazione di questo procedimento, pur avendo raggiunto un livello probatorio, atteso il tipo di investigazione scelta, abbastanza significativo, perché è quasi impossibile ricostruire, con gli strumenti propri del processo penale, fenomeni di traffico transnazionale illegale e formulare delle imputazioni per il passato più remoto.
Sull'attualità, questo progetto che, a mio modo di vedere, conserva quei profili di illegalità che vi ho brevemente indicato, è rimasto a livello di progetto e, pur valutando varie possibilità, non siamo riusciti a superare lo scoglio rappresentato dal fatto che quel tipo di movimenti transfrontalieri non potevano essere autorizzati. Questo è forse il cruccio dell'indagine, nel senso che mi è stato più volte detto che sarebbe stato opportuno provare ad andare avanti, cercando di approfondire le indagini, facendo partire le navi per verificare cosa accadeva e per capire se fossero reali quegli accenni alla più vasta gamma di rifiuti di cui si parlava nelle intercettazioni. Infatti, in alcuni casi si capiva che il progetto faceva riferimento anche a rifiuti estremamente pericolosi, però - giusto o sbagliato, comunque questa è la responsabilità del mio ufficio - abbiamo ritenuto di non poter andare oltre e siamo rimasti ad uno stadio che era significativamente preparatorio, con tutta una serie di accenni a vari e rilevanti profili di illegalità, ma non di più.
Se la Commissione lo ritiene opportuno, posso verificare quali siano gli atti che ho trasmesso, in quanto - e me ne scuso - ieri non sono riuscito a farlo. Detto ciò, rimango a vostra disposizione per qualsiasi atto o approfondimento.
EGIDIO BANTI. Dottor Romanelli, a proposito del progetto Mozambico, come lei lo ha definito, a quando risalgono i fatti cui le indagini fanno riferimento? In base alle informazioni in suo possesso, sono ancora in corso attività di questo genere, ancorché se ne possa o meno dimostrare l'illiceità? A quale parte d'Italia faceva riferimento il progetto Mozambico? Per esempio, prima la dottoressa Gualdi ha parlato di imprenditori milanesi, per la parte di indagini che la riguardava. Non ho capito bene se il progetto Mozambico, al di là dei luoghi da cui materialmente partivano le navi, disponesse di un unico centro in cui i "cervelli" lavoravano ed organizzavano le attività, oppure se l'organizzazione era diffusa in varie parti d'Italia. Ovviamente, questo è collegato non con la vicenda di Ilaria Alpi ma con la competenza specifica della nostra Commissione, perché il fatto che vi siano o vi siano stati traffici di questo genere è proprio l'oggetto del nostro lavoro.
Dottoressa Gualdi, da cosa deriva la mancata comprova giudiziaria del traffico dei rifiuti, di cui ci ha parlato, vale a dire il fatto che non si sia trovata conferma di tale traffico? Deriva dal fatto che non si è trovato, diciamo così, il corpo del reato, vale a dire i rifiuti, oppure che anche in questo caso, al di là di dichiarazioni e di intercettazioni, non si sono riscontrati fatti reali? Vorrei capire meglio per quale motivo lei abbia ritenuto e ritiene che la questione non sia da approfondire giudiziariamente.
PRESIDENTE. Ringrazio il collega Banti per aver precisato che questa vicenda ci interessa non per il profilo attinente all'omicidio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin ma per le conoscenze che tale vicenda potrebbe offrirci ai fini della comprensione del fenomeno del traffico internazionale di rifiuti. Partendo da tale vicenda si può infatti capire lo stato dell'arte delle indagini e delle iniziative e se quanto accaduto accade ancora, per adottare le misure necessarie per evitare questi fenomeni. Ciò anche alla luce del fatto che in una fattispecie particolare le nostre autorità, in modo particolare il Ministero degli affari esteri, seguivano la vicenda con grande attenzione, in modo corretto e con solerzia.
MAURIZIO ROMANELLI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Per quanto riguarda le date, come ho detto in modo forse un po' generico - e me ne scuso - si tratta di fatti abbastanza recenti, trattandosi di un'indagine che ha attraversato la seconda metà del 1997 e il 1998, forse anche il 1999.
Per quanto riguarda i luoghi, vi erano delle zone del milanese; in particolare, uno di questi imprenditori operava sicuramente a livello sopranazionale ed aveva una società nell'hinterland milanese, tanto che alcuni degli incontri che sono stati poi sottoposti ad intercettazione sono avvenuti in quell'area. Peraltro, a queste società partecipavano soggetti di varie parti d'Italia e anche appartenenti a Stati extraeuropei; in particolare, si trattava di imprenditori argentini e spagnoli.
In riferimento all'attualità, è sempre difficile dare giudizi che abbiano un minimo di serietà. Devo dire con franchezza che, come procura distrettuale antimafia, provammo a condurre questa investigazione in particolare in quanto vi erano degli spunti che apparivano estremamente concreti. Per quanto riguarda le conoscenze delle procure distrettuali antimafia sia di Milano sia di altre città, è emerso che fenomeni di traffico interno con destinazione aree meridionali richiedono contatti con le aree di criminalità territoriali; è questo un elemento riscontrato anche nel corso dei lavori della vostra Commissione e di quella Antimafia.
Quanto al fenomeno transnazionale, la mia idea è che possa essere esistita e che possa tuttora esistere una sorta di "struttura di servizio", cioè persone che...
EGIDIO BANTI. Pensano a tutto loro.
MAURIZIO ROMANELLI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Lei ha usato un'espressione sintetica ma efficace. Persone che sono in condizione di pensarci. Una mia ulteriore impressione è che nel passato - molto difficilmente ricostruibile - le cose avvenissero più semplicemente dal lato criminale, in quanto sicuramente esistevano, a livello transnazionale, a livello interno e a quello di Polizia giudiziaria, una normativa ed una sensibilità diverse. Ricordo un'intercettazione in cui uno dei principali soggetti che rivendicava il fatto che nel passato lui lo faceva in modo "brutale", ma aggiungeva poi che le cose erano cambiate, tanto che le ripercussioni di queste azioni avevano causato problemi alle sue società in Olanda, a seguito di una serie di contestazioni da parte di gruppi ecologisti come Greenpeace. Ho idea che in passato esisteva come un'area libera in cui era ridotto il contrasto; a livello di strutture italiane, si è avuto quanto meno un comportamento assolutamente corretto e formale, nel senso che traffici di questo tipo non potevano e non possono mai essere autorizzati e non si è mai avuto il passaggio successivo - nel quale io speravo - cioè che alla fine si facessero lo stesso, mettendo da parte la parvenza di legalità e facendola - chiedo scusa per l'espressione - "alla bruta", come forse avveniva in passato.
EGIDIO BANTI. A parte il Mozambico, avete trovato qualche traccia che porti a paesi africani, per esempio al Sahara spagnolo?
MAURIZIO ROMANELLI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Si tratta di una domanda posta a ragion veduta: lei sa che da molto tempo si parla in varie sedi e in varie occasioni dei cosiddetti progetti Urano, 1 e 2; anche qui se ne è parlato, in quanto si trattava di un gruppo di persone che compariva anche in quegli atti che in qualche modo venivano creati con riferimento al progetto Urano. Ma anche lì le possibilità di verifica sono estremamente complesse. Comunque, la risposta è sicuramente sì, negli stessi termini in cui negli anni ottanta si parlava pacificamente di Stati dell'America Latina, in particolare di Santo Domingo.
Come la Commissione forse sa, non mi sono ulteriormente occupato della questione, e la procura di Milano ha fornito alcune informazioni di carattere generale al procuratore distrettuale, una collega che segue da sempre i fenomeni di traffico interno. Per la verità, la sensazione è che il fenomeno continui, anche a livello sovranazionale; anche se ormai mi occupo d'altro, dai rapporti con gli investigatori di alto profilo che hanno seguito il caso sono emersi segnali che il fenomeno è ancora in atto, magari con quelle maggiori attenzioni e cautele che vi ho indicato.
GEMMA GUALDI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. È curioso rispondere ad una domanda apparentemente di estrema facilità: da che cosa deriva una mancata comprova giudiziaria. Come per ogni tipo di reato, ciò scaturisce da una mancanza di qualità della prova, di robustezza, di sostenibilità della prova. Nel caso specifico, invece, credo che questa mancanza della prova sia inequivocabilmente da attribuirsi ad un dato preciso: le fonti dichiaranti, i soggetti che l'ufficio è stato in grado di individuare, di interrogare, di escutere e di verbalizzare non risultavano sotto alcun profilo attendibili. Certamente, questa è una valutazione per forza di cose personale: questa è la natura del nostro lavoro, per cui ci si prende la responsabilità di esercitare l'azione penale oppure di chiedere la trasmissione di un fascicolo all'archivio. È evidentemente una valutazione e, come tale, passibile di una rivisitazione o di una erroneità. Tuttavia, la valutazione che allora - e nel corso di parecchi anni - mi ha sostenuto è che le fonti che venivano a riferire questi fatti, anche di estrema gravità (ben più gravi, cioè, di un singolo ipotetico omicidio), non fossero attendibili per svariati motivi: perché passibili quegli stessi soggetti di essere sottoposti a procedimento penale, perché appartenenti a gruppi di potere imprenditoriale o politico oppure (lo dico con innocenza, perché non è il mio mestiere quello di approfondire tale settore) perché appartenenti ai servizi segreti. Allora, quando taluno mi si qualifica come appartenente ai servizi segreti, magari pur non essendolo, oppure quando qualcuno non lo dichiara, ma lascia sospettare di appartenere ai servizi segreti (parliamo, magari, di soggetti militari italiani operanti all'estero o del corpo diplomatico operante all'estero), è evidente che quella dichiarazione viene da me recepita e verbalizzata ma poi, se dichiararla più o meno attendibile, è davvero un altro tipo di argomento. Dunque, ho reputato che mancasse la comprova giudiziaria, quanto meno di alcuni titoli di reato, per la qualità intrinseca dell'atto istruttorio.
Ricordo (ma questo è più che altro un tocco di colore) quando alcune persone si presentavano a me affermando di aver avuto de relato l'informazione dal militare "tal dei tali" (mi si risparmi di fornire il nominativo) pacificamente operante per i servizi segreti. Oppure, ricordo (anche qui, mi si risparmi di fornire il nominativo) quando interrogavo persone assolutamente irreprensibili e come tali degne della massima attendibilità, le quali appena entrate nella mia stanza e sedutesi dinanzi alla mia scrivania dichiaravano di essere state avvicinate, fuori dalla porta, da Tizio o da Caio, il quale aveva consigliato loro di riferire o meno alcuni aspetti, a preferenza di altri. Ebbene, è evidente che un pubblico ministero dinanzi a dichiarazioni di questo tipo non può che procedere con la maggior precauzione possibile.
Un altro elemento di gravissimo ostacolo alle indagini è l'assoluta, totale e insuperabile impossibilità di effettuare atti di indagine all'estero, in Somalia: non vi è mai stato alcuno, né italiano né somalo, che abbia avuto la possibilità sotto il profilo istituzionale o la coscienza morale di effettuare atti di indagine in Somalia per conto della magistratura italiana.
Con il senno di poi e con l'esperienza di alcuni anni di Direzione distrettuale antimafia, mi viene da pensare che forse un'analoga struttura di indagine e operativa a quell'epoca, per quel genere di indagine, forse avrebbe giovato. Lo dico perché voi stessi avete ascoltato colleghi provenienti dalle più diverse zone d'Italia; altri colleghi - a Roma , a Latina ed al sud Italia - si sono occupati di parti, di aspetti, di parcelle o cellule di queste vicende processuali, ma non abbiamo avuto (forse è un mea culpa o una nota di demerito per tutti noi che ci siamo occupati del caso) la lungimiranza di saper coordinare fra noi le indagini ad un livello non solo nazionale ma almeno sovranazionale: infatti, già allora era pacifico che si trattasse di traffico internazionale. Non abbiamo avuto gli strumenti tecnici e forse non abbiamo avuto la creatività necessaria: non saprei dirlo. Certamente è stato difficile e grandemente punitivo, sotto il profilo dell'efficacia delle indagini, non poter effettuare atti all'estero, cosa che oggi avviene quotidianamente, con la cooperazione internazionale: ma quell'epoca, sotto questo punto di vista, era certamente preistoria.
L'ipotesi che è sul fondo e alla quale non sono in grado assolutamente di fornire una risposta, ovvero quella dell'omicidio di Ilaria Alpi, è se la giornalista fosse arrivata a questo oppure allo stadio pregresso, ovvero quello della corruzione imprenditoriale, allora pacificamente descritta da più fonti. Credo che attualmente la questione sia differente da quella dell'epoca cui mi sono riferita nelle mie indagini. Credo davvero che, come ha riferito il mio collega, ci fossero e ci siano tuttora, in quel territorio, soggetti nostri connazionali che hanno operato nell'assoluto arbitrio, nell'indipendenza, nell'autonomia e, mi verrebbe da dire, nell'assoluta impunità e il cui agire e il cui fare erano totalmente gestiti dalla loro inventiva e dagli scopi più o meno leciti che essi andavano perseguendo. Mi sembra davvero poco parlare di impunità con riferimento ad alcuni soggetti dei quali ho già fornito i cognomi.
Come prevenire? Piacerebbe anche a me sapere come prevenire questo genere di reati o, comunque, di reati che attengono alla sfera collettiva e che vengono gestiti in modo organizzato, al di là dei singoli gruppi, con una vera e propria criminalità organizzata. Ovviamente, ritengo che la regolarità e la trasparenza delle attività imprenditoriali transnazionali, siano un primo sicuro passo. Successivamente, il controllo delle attività all'estero, con possibilità di collegamento con forze di polizia internazionali e con forze - laddove esistenti - di magistratura estere, sarebbe un secondo importante passo che oggi mi sembra utopistico con riferimento ad alcuni paesi.
PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Gemma Gualdi ed il dottor Maurizio Romanelli per la squisita cortesia di essere qui intervenuti, nonché per le utili sollecitazioni che sono state offerte e che saranno per noi motivo di ulteriori approfondimenti. Cogliamo sin d'ora la disponibilità manifestata nel valutare successivamente ulteriori considerazioni critiche sul lavoro già svolto.
Nel ringraziarvi, vi auguro buon lavoro e ribadisco il dato dal quale siamo partiti: la vostra azione e la relazione che ci è stata fornita ci servono per continuare il percorso di comprensione sul traffico internazionale di rifiuti. Quelli derivanti dalla vicenda di Ilaria Alpi ci sembrano spunti di straordinario rilievo, probabilmente non probatorio ai fini di un giudizio penale, ma straordinariamente utili ai fini della comprensione di fenomeni e di modalità di esecuzione di traffici. Sotto questo profilo, ringrazio la dottoressa Gualdi e il dottor Romanelli per la loro squisita disponibilità. Ringrazio, altresì, i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,20.

ni.jo
12-02-2004, 17:26
leggerò più tardi, intanto complimenti per l'argomento.:)

Max2
13-02-2004, 08:22
grazie ;)

Bet
13-02-2004, 09:04
qualcuno puo' fare un riassunto?
:coffee:

Adric
13-02-2004, 15:12
Lo riporto su.

Se ne parla troppo poco :mad: