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View Full Version : ragazza spot wind


Pipppos
22-12-2003, 13:30
Qualcuno sà come si chiama la splendida fanciulla dello spot ?:oink: :oink:

Pipppos
22-12-2003, 13:38
Ho trovato da solo,si chiama Berenice Marchand :oink: :sofico: :D

Zac 89
22-12-2003, 13:39
:oink: :oink: :oink:

]Rik`[
22-12-2003, 13:41
decisamente :oink: :oink: :oink:

fermau
22-12-2003, 13:50
già che parliamo di spot....un po ot ma....


1 )chi è la rossa della pubblicità della aperol ?
2)chi è la rossa della pubblicità della puma (quella con Buffon in auto) ?
3) tempo fa in Tv c'era uno spot con liv tyler:cool: :cool:

che spot eraaaaaaaaaaaaaaa !!!!! ?????????????


ciauz

nemorino
22-12-2003, 13:50
Berenice, che nome meraviglioso...

chi non ricorda la Berenice di E.A. Poe?



COOOOOSAAAA?!?!

non lo conoscete?

vabbè ve lo regalo... vi regalo un piccolo gioiello... leggetelo tutto d'un fiato, non ve ne pentirete:


Berenice (1835)


Dicebant mihi sodales, si sepulchrum amicae
visitarem, curas meas aliquantulum fore levatas.

Mi dicevano i compagni che, se avessi visitato il sepolcro
dell'amica, le mie sofferenze sarebbero un poco diminuite.

EBN ZAIAT


L'infelicità è molteplice. La sfortuna della terra è multiforme. Protendendosi sul vasto orizzonte come l'arcobaleno, ha sfumature di colori altrettanto diversi - e anche altrettanto definiti, eppure intimamente fusi. Si protende sul vasto orizzonte come l'arcobaleno! Come mai dalla bellezza ho tratto una simile bruttura? Dal simbolo della pace un'immagine di dolore? Ma, come nell'etica il male è conseguenza del bene, così, nella realtà, dalla gioia nasce il dolore. Sia che la memoria della passata felicità costituisca il tormento del presente, sia che le angosce che sono abbiano origine nelle estasi che avrebbero potuto essere.

Il mio nome di battesimo è Egeo; tacerò quello della mia famiglia. Eppure non vi sono in tutto il paese torri più venerabili per antichità della mia grigia e cupa dimora avita. La nostra stirpe è stata chiamata razza di visionari; e molti particolari sorprendenti - come l'aspetto della casa avita, gli affreschi della sala principale, gli arazzi delle stanze da letto, la cesellatura di alcune colonne dell'armeria, ma soprattutto la galleria di antichi dipinti, lo stile della biblioteca e infine il suo contenuto molto particolare - sono prove più che sufficienti ad avallare tale credenza.
I ricordi dei miei primi anni sono legati a quella stanza e ai suoi libri di cui non dirò altro. Qui morì mia madre. Qui sono nato io. Ma sarebbe del tutto ozioso affermare che non fossi vissuto prima di allora, che l'anima non abbia avuto una esistenza antecedente. Potete negarlo?
Non discutiamone. Io ne sono convinto, non pretendo di persuadere gli altri.
V'è tuttavia un ricordo di forme aeree, di occhi spirituali pieni di significato, di suoni melodiosi eppure mesti - un ricordo che non vuole cancellarsi, una memoria simile a un'ombra -, vaga, mutevole, indefinita, vacillante; e, come di un'ombra, mi sarà impossibile liberarmene finché vivrà in me la luce radiosa della mia ragione.
Sono nato in quella stanza. Destandomi infine dalla lunga notte di ciò che sembrava, ma non era, inesistenza, per approdare all'improvviso nella terra stessa delle fate, in un castello della fantasia, nel folle dominio del pensiero e dell'erudizione monastica, non è singolare che mi guardassi intorno con occhi febbrili e stupiti, che seppellissi la mia infanzia nei libri e dissipassi la giovinezza nelle fantasticherie; ma è singolare, invece, mentre gli anni fuggivano e la pienezza della virilità mi trovava ancora nella casa avita - è davvero singolare il ristagno che all'improvviso inaridì le sorgenti della mia vita e il capovolgimento che stravolse il carattere dei miei più semplici pensieri. Le realtà del mondo mi apparivano come visioni e soltanto come visioni, mentre le folli idee della terra dei sogni divenivano in cambio, non la materia prima della mia vita quotidiana, ma, realmente, la mia unica intera esistenza.
Berenice e io eravamo cugini e crescemmo insieme nella mia dimora paterna.
Tuttavia, crescemmo diversamente: io cagionevole di salute e sprofondato nella malinconia, lei agile, graziosa e piena di vitalità; per lei le escursioni in montagna, per me gli studi del chiostro; io rintanato nel mio cuore, dedito anima e corpo alla più intensa e dolorosa meditazione, lei spensierata, vagante nella vita senza curarsi delle ombre disseminate lungo il suo sentiero o del volo muto delle ore dalle ali di corvo.
Berenice! Invoco il suo nome - Berenice! - e dalle grigie rovine della memoria migliaia di ricordi tumultuosi si ridestano a quel suono! Oh, la sua immagine è ora vivida davanti a me come nei primi giorni della sua spensieratezza e allegria! Oh, bellezza superba eppure fantastica! Oh, silfide tra i boschetti di Arnheim! O Naiade tra le sue fonti! E poi, poi tutto è mistero e terrore - una storia che non andrebbe raccontata. La malattia, una malattia fatale, si abbatté sul suo corpo come vento del deserto; e mentre ancora la contemplavo, lo spirito della trasformazione la travolse, pervadendone la mente, le abitudini, il temperamento e turbandone nel modo più sottile e terribile, persino la fisionomia. Ahimè, il distruttore venne e si dileguò!
E la vittima, dov'era? Io non la riconoscevo, o almeno, non la riconoscevo più come Berenice!
Nel lungo elenco di malattie che fecero seguito a quella prima e fatale che aveva così orribilmente mutato la persona fisica e morale di mia cugina, va ricordata come la più triste e ostinata, una sorta di epilessia che non di rado si risolveva in uno stato di trance, molto somigliante a una vera e propria dissoluzione dalla quale, in moltissimi casi, si riaveva con un risveglio sorprendentemente repentino.
Contemporaneamente, la mia malattia - perché mi è stato detto che soltanto così avrei dovuto chiamarla - la mia malattia, dicevo, crebbe rapidamente fino ad assumere il carattere di monomania, una nuova e straordinaria forma che, accrescendo di vigore di ora in ora, di attimo in attimo, finì per esercitare su di me un incontrastato dominio.
Questa monomania, se così devo chiamarla, si manifestava con un'irritabilità morbosa di quelle proprietà mentali che la metafisica definisce di attenzione.
È molto probabile che io non sia compreso; ma temo, in verità, che sia impossibile dare alla mente del lettore medio un'idea adeguata di quella nervosa intensità di interesse, con cui, nel mio caso, le facoltà di concentrazione (per non usare termini tecnici), si impegnavano e sprofondavano nella contemplazione anche dei più comuni oggetti dell'universo.
Meditare instancabilmente per lunghe ore, appuntando l'attenzione su qualche dettaglio senza importanza o nei caratteri tipografici di un libro; restarmene assorto per la maggior parte di una giornata estiva inseguendo un'ombra bizzarra proiettata di sbiego sulla tappezzeria o sul pavimento; perdermi per una intera notte a fissare la fiamma immobile di una lampada o la brace nel camino; fantasticare per giorni interi sul profumo di un fiore; o ripetermi in maniera ossessiva una parola qualsiasi, finché il suono, mille volte pronunciato, si vuotava di ogni significato; perdere ogni senso dinamico o di esistenza fisica in un'immobilità assoluta del corpo, ostinatamente prolungata; ecco alcune delle più comuni e meno dannose aberrazioni prodotte da una condizione mentale, a dire il vero non del tutto priva di precedenti, ma certamente tale da sfidare qualsiasi analisi o spiegazione.
Ma non voglio essere frainteso; l'eccessiva, assidua, morbosa attenzione così destata in me da oggetti di natura marginale, non deve essere confusa con quella tendenza a rimuginare comune a tutta l'umanità, e a cui indulgono in particolar modo le persone dotate di una fervida immaginazione.
E non era neppure, come si potrebbe supporre in un primo momento, una condizione estrema, o una esagerazione di tale tendenza, ma una cosa fondamentalmente e sostanzialmente diversa e distinta.
Nel primo caso il sognatore, o visionario, attratto da un oggetto di solito non futile, perde di vista, a poco a poco, l'oggetto in un mucchio di deduzioni e suggestioni che ne scaturiscono finché, al termine di un sogno a occhi aperti spesso pieno di voluttà, si accorge che l'incitamentum o causa prima delle sue meditazioni, è completamente svanito e rimosso.
Nel mio caso, il movente originario era invariabilmente futile, sebbene assumesse, attraverso la mia fantasia malata, un'importanza irreale e rifratta.
Venivano fatte ben poche deduzioni, seppure se ne facevano; e quelle poche tornavano immancabilmente all'oggetto originario, come a un fulcro.
Le meditazioni non erano mai piacevoli, e, al termine del sogno a occhi aperti, la causa prima, ben lungi dall'essere stata persa di vista, aveva raggiunto quell'esagerato interesse soprannaturale che costituiva la caratteristica dominante della malattia. In una parola, le facoltà mentali più particolarmente eccitate in me erano, come ho già detto, quelle dell'attenzione, mentre nel sognatore a occhi aperti, sono quelle speculative.
I miei libri, all'epoca, se non servivano a eccitare il mio disordine mentale, condividevano, come è facile comprendere, per il loro carattere fantastico e irrazionale, le caratteristiche qualità del disordine stesso.
Ricorderò, fra gli altri, il trattato del nobile italiano Celio Secondo Curione, De Amplitudine Beati Regni Dei; la grande opera di Sant'Agostino, La Città di Dio, e il De Carne Christi di Tertulliano la cui affermazione paradossale, "Mortus est Dei Filius; credibile est quia ineptum est et sepultus resurrexit; certum est quia impossibile est", assorbì completamente il mio tempo per parecchie settimane di laboriosa e sterile ricerca.
Apparirà quindi chiaro che, turbata nel suo equilibrio soltanto da simili inezie, la mia ragione somigliava a quello scoglio di cui dice Tolomeo Efestione, che, incrollabile agli attacchi dell'umana violenza e al furore ancor più terribile delle onde e dei venti, tremava al solo tocco del fiore chiamato Asfodelo.
Sebbene a un osservatore distratto possa sembrare indubbio che l'alterazione prodotta dalla tragica malattia nella condizione morale di Berenice, dovesse offrirmi parecchi argomenti su cui esercitare l'intensa e anormale capacità meditativa, di cui non senza difficoltà ho descritto la natura, tuttavia non era così. Negli intervalli lucidi del mio male, la sua sciagura mi addolorava realmente e, prendendo profondamente a cuore la rovina assoluta della sua bella e dolce esistenza, non mancavo di meditare spesso e amaramente sulle forze prodigiose e misteriose che potevano avere operato una così strana e improvvisa rivoluzione.
Ma queste riflessioni non facevano parte dell'idiosincrasia del mio male, ed erano le stesse che in simili circostanze sarebbero occorse alla maggior parte dei mortali. Fedele al suo particolare carattere, il mio disordine mentale si dilettava nei mutamenti di minore importanza, sebbene più impressionanti, avvenuti nella struttura fisica di Berenice, nella singolare e spaventosa distorsione della sua fisionomia.
Durante i giorni più splendidi della sua ineguagliata bellezza, certamente non l'avevo mai amata. Nella strana anomalia della mia esistenza, i miei sentimenti non erano mai stati del cuore, e le passioni erano sempre state della mia mente.
Attraverso i grigiori del primo mattino, tra le ombre intricate del bosco a mezzogiorno, nel silenzio della mia biblioteca durante la notte, mi aveva aleggiato davanti agli occhi e io l'avevo veduta, non come la Berenice viva e palpitante, bensì come la Berenice di un sogno; non come una creatura, terrestre, ma come l'astrazione di tale essere; non come una cosa da ammirare, ma da analizzare; non come un oggetto d'amore, ma come il tema della speculazione più astrusa, per quanto disordinata.
E ora, ora tremavo in sua presenza, impallidivo al suo avvicinarsi; e tuttavia commiserando amaramente le pietose condizioni del suo decadimento, mi ricordai che mi aveva lungamente amato, e, in un malaugurato momento, le parlai di matrimonio.
Alla fine il momento delle nostre nozze si approssimò, quando, un pomeriggio d'inverno di quell'anno - uno di quei giorni intempestivamente caldi, calmi e nebbiosi che sono la nutrice della bella Alcione1 - sedevo (credendomi solo) nella parte più recondita della biblioteca. Ma sollevando gli occhi, vidi Berenice dinanzi a me. Era la mia immaginazione eccitata, o l'influenza dell'atmosfera, o l'incerta luce dello studio, o i tessuti grigi di cui era drappeggiata la sua figura, a darle un contorno così vacillante e indistinto? Non saprei.
Non disse una parola, e io - per nulla al mondo - avrei proferito una sillaba. Un brivido gelido mi percorse le membra; un senso di insopportabile angoscia mi oppresse; una curiosità devastante mi afferrò l'animo; e ricadendo sulla sedia, rimasi qualche attimo senza respiro, immoto con gli occhi fissi sulla sua figura. Ahimè! la sua magrezza era estrema, e non un segno del suo essere primitivo si scorgeva più in tutta la sua persona. Il mio sguardo febbrile si posò infine sul suo viso.
La fronte era alta, pallidissima, singolarmente serena; e i capelli un tempo neri come l'ebano, la ricoprivano in parte e ombreggiavano le tempie incavate con innumerevoli riccioli fattisi ora di un giallo acceso e spiacevolmente contrastanti nel loro carattere fantastico con la malinconia dominante del suo aspetto.
Gli occhi erano senza vita, senza splendore e parevano privi di pupille; involontariamente mi ritrassi dalla loro vitrea fissità per contemplare le labbra sottili e serrate. Queste si schiusero, e in un sorriso straordinariamente significativo, i denti della nuova Berenice si mostrarono lentamente alla mia vista. Volesse Iddio che non li avessi mai veduti, o che, vedutili, fossi morto!

Lo sbattersi di una porta mi scosse e, alzando lo sguardo, scoprii che mia cugina aveva abbandonato la stanza.
Ma, ahimè, dalla stanza disordinata della mia mente, non si era allontanata e non sarebbe stato scacciato il candido e allucinante spettro dei suoi denti.
Non una macchia sulla loro superficie, non un'ombra sul loro smalto, o una incisione sui bordi che il breve attimo del suo sorriso non fosse bastato a imprimere nella mia memoria. Li vedevo adesso ancora più chiaramente di allora. I denti! I denti! Erano qui, e lì, e ovunque, visibili e tangibili dinanzi a me; lunghi, stretti e troppo bianchi, con le labbra esangui che vi si serravano intorno come al momento esatto del loro primo terribile apparire. Poi, sopravvenne tutta la furia della mia monomania e invano lottai contro il suo strano irresistibile influsso. Tra i molteplici oggetti del mondo esterno non pensavo che ai denti. Per questi provavo un desiderio febbrile.
Ogni altro oggetto, ogni diverso interesse era assorbito in quell'unica contemplazione. Essi, essi soltanto erano presenti allo sguardo della mia mente, ed essi, nella loro individualità unica diventarono l'essenza della mia vita mentale. Li vedevo in ogni luce. Li giravo in ogni posa. Ne studiavo le caratteristiche. Riflettevo sulle loro particolarità. Ne analizzavo la conformazione. Meditavo sull'alterazione della loro natura. Rabbrividivo nell'attribuirgli, nella mia immaginazione, la capacità emotiva e senziente e, anche svincolati dalle labbra, una qualche facoltà d'espressione morale.
Di Mademoiselle Salle è stato giustamente detto: "Que tous ses pas étaient dessentiments", e di Berenice io più seriamente pensavo que tous ses dents étaient des idées. Des idées! Ecco il folle pensiero che mi distrusse! Des idées!... dunque era questo che me li faceva desiderare con tanto ardore! Sentivo che soltanto il loro possesso avrebbe potuto farmi ritrovare la pace e restituirmi la ragione.
E la sera si chiuse su di me - poi sopraggiunsero le tenebre e indugiarono e infine si dileguarono - e il giorno sorse ancora - e le nebbie di un'altra notte si raccolsero di nuovo intorno a me - e io sedevo ancora impietrito in quella stanza solitaria, e ancora me ne stavo sprofondato nella mia meditazione, e ancora il fantasma dei denti mi teneva nella morsa del suo terribile potere, fluttuando con la più vivida e orrifica chiarezza tra le luci e le ombre mutevoli della stanza.
Infine un grido come di terrore e angoscia spezzò i miei sogni; a questo, dopo una pausa, seguì un suono confuso di voci turbate, miste a molti gemiti sommessi di dolore e affanno. Mi alzai dalla sedia e, spalancata una delle porte della biblioteca, vidi nell'anticamera una domestica in lacrime che mi comunico che Berenice non era più! Era stata colta da un attacco di epilessia sul far del giorno e ora, al calare della notte, la tomba era pronta ad accoglierla e tutti i preparativi per il funerale erano terminati.
Mi ritrovai seduto nella biblioteca; di nuovo da solo. Mi sembrava di uscire allora da un incubo confuso ed eccitante. Sapevo che era mezzanotte, come sapevo che al calar del sole Berenice era stata sepolta.
Ma, del terribile periodo di tempo trascorso da allora non avevo reale o almeno precisa coscienza. Ma il ricordo era colmo d'orrore - di un orrore tanto più orribile in quanto vago, di un terrore tanto più terribile in quanto ambiguo. Era una pagina spaventosa del libro della mia vita, interamente composta di reminiscenze oscure, mostruose e incomprensibili.
Invano tentavo di decifrarle, e intanto, di quando in quando, qualcosa come la larva di un suono perduto, un grido acuto e lacerante, il grido di una voce di donna, sembrava risuonarmi nelle orecchie. Avevo commesso qualcosa, ma cosa? Me lo chiedevo ad alta voce e l'eco sussurrante della stanza mi rispondeva: "Cosa?".
Sul tavolo accanto a me ardeva una lampada, e vicino c'era una piccola scatola: non aveva alcun segno particolare, l'avevo notata spesso, prima di allora, perché apparteneva al medico di famiglia. Ma come mai ora si trovava lì, sul mio tavolo, e perché rabbrividivo guardandola? Non c'era modo di spiegarsi tutto ciò, ma alla fine lo sguardo mi cadde sulle pagine aperte di un libro, e su una frase sottolineata.
Le parole erano quelle singolari ma semplici del poeta Ebn Zaiat: "Dicebant mihi sodales, si sepulchrum amicae visitarem, curas meas aliquantulum fore levatas".
Ma perché, leggendole, i capelli mi si drizzarono in testa e il sangue mi si gelò nelle vene? Sentii bussare lievemente alla porta della biblioteca e, pallido come un morto, un domestico entrò camminando in punta di piedi. Il suo sguardo era folle di terrore; egli mi parlò con voce tremante, strozzata, bassissima. Cosa diceva? Capivo soltanto brandelli di discorso.
Raccontava di un grido disumano che aveva spezzato il silenzio della notte... del radunarsi di tutta la servitù, della ricerca della provenienza del suono; e poi il tono della sua voce si fece paurosamente chiaro mentre parlava di una tomba violata... di un corpo avvolto in un sudario, sfigurato che ancora respirava... ancora palpitava..., ancora vivo!
Indicò i miei vestiti: erano infangati e macchiati di sangue. Non parlai ed egli mi prese delicatamente una mano: recava impressi i segni di unghie umane; volse lo sguardo a un oggetto appoggiato alla parete. Lo guardai qualche istante: era una vanga. Con un grido, mi precipitai alla tavola, afferrai la scatola che vi era posata. Ma non riuscii ad aprirla. Nel tremito mi scivolò di mano e cadde pesantemente andando in frantumi; ne ruzzolarono fuori, con rumore secco, alcuni strumenti da dentista, mischiati a trentadue minuscoli oggetti bianchi che parevano d'avorio che si sparpagliarono qua e là sul pavimento.

Edgar Allan Poe
1 Poiché Giove, durante l'inverno, regala due volte sette giorni di tepore, gli uomini chiamano quest'epoca mite e temperata nutrice della bella Alcione. Simonide.

ufo1
23-12-2003, 01:28
Originariamente inviato da nemorino
Berenice, che nome meraviglioso...

chi non ricorda la Berenice di E.A. Poe?
...
STRA CUT
....

http://www.chatitaliachat.it/serpe/carteles/28.gif

bluelake
23-12-2003, 07:30
E come dimenticare Berenice di Francesco Baccini...

Berenice (Francesco Baccini)



LA- (LAb) (SOL)(FA#)

E dimmi se ti piace, la mia foto da bambino,

FA MI

sono l'ultimo con in mano un cestino.

E non mi guardare, con quel tuo sguardo assente,

come se fossi un portacenere o un parente.



LA DO# RE FA#

Berenice tu non parli mai

RE MI LA MI

è per questo che ti sposerei

LA DO# RE FA#

Berenice dai non far così

RE MI

voglio solo averti...



E guarda questa foto, l'ho scattata in prima media,

si lo so ero più largo della sedia.

Ma sai io vado pazzo, per i tuoi capelli biondi,

così morbidi gommosi e così densi.



Berenice...



strum



Ma si sgonfia l'illusione, il sogno della nostra unione,

alla foto della comunione.

È stato un movimento brusco, non era mia intenzione,

mi si è ammosciata sotto il mozzicone.



Berenice, tu non ci sei più

ti ha stroncata un'ms blu

berenice, sai mi sento giù

ma però non fumo più.

:D

Alien
23-12-2003, 07:42
Torniamo in tema:

Si chiama Berenice Marchand il volto che Wind ha scelto per il lancio di i-mode.
Berenice ha 24 anni e fa la fotomodella a Parigi, dove vive. Ha un fratello e una sorella più piccoli che frequentano il liceo. I suoi tratti orientali li deve al padre di origini cambogiane e cinesi, mentre la madre è francese, proprio come lei. Si è laureata in arte e da un anno e mezzo studia teatro.

http://news2000.libero.it/img2/fotogallery/1069156346berenice_new05.jpg

http://news2000.libero.it/img2/fotogallery/1069156459berenice_new06.jpg

ma non sbavatemi sul monitor adesso!:D

Korn
23-12-2003, 07:43
Originariamente inviato da ufo1
http://www.chatitaliachat.it/serpe/carteles/28.gif
basta saper legger su non disperare :D

bombardax
23-12-2003, 07:49
da quando è moderatore fa lo sborone.....:D :D :D :D

nemorino
23-12-2003, 11:56
Originariamente inviato da bombardax
da quando è moderatore fa lo sborone.....:D :D :D :D

ho sempre fatto lo sborone....

nemorino
23-12-2003, 11:57
Originariamente inviato da ufo1
http://www.chatitaliachat.it/serpe/carteles/28.gif

un po' di buone letture fanno sempre bene


metti a posto la sign!