cerbert
17-12-2003, 09:39
Quanto segue è un estratto del Rapporto Censis 2003 sulla società italiana. Sebbene si possa concedere che i tempi sono ancora "acerbi" per fare una valutazione dei processi di privatizzazione e liberalizzazione finanziaria, merita di essere considerato come un dato empirico da registrare.
Due note:
1) il rapporto completo può essere consultato su:
http://www.censis.it/277/280/339/3826/cover.ASP#d1
2) sono state omesse, per ovvi motivi tecnici, le tabelle e i grafici che sono sicuramente molto significativi.
Privatizzazioni con esiti oligopolistici
Il buio in cui l'intera nazione si è risvegliata il 28 settembre scorso ha rotto il silenzio calato, da almeno due anni a questa parte, sul tema delle privatizzazioni. Risvegliando un processo che, prima con la cessione delle quote Enel, poi con lo sblocco delle procedure di collocamento per Alitalia, sembra aver ripreso il suo corso. E' poi, seguita la cessione di un'ulteriore quota dell'Enel, mentre per Rai e Alitalia il dibattito resta fluido.
La moltiplicazione degli attori economici sembrerebbe, almeno sulla carta, dar ragione a chi considera ormai inevitabile l'evoluzione dei mercati verso assetti più competitivi e concorrenziali: basti pensare che tra 1998 e 2002, il numero delle imprese attive nel settore dell'energia e del gas è cresciuto del 24,7%, e di quelle operanti nel comparto delle telecomunicazioni del 27,8% (tab. 28).
A più di cinque anni di distanza dall'avvio delle liberalizzazioni, l'assetto captive dei principali mercati dei servizi pubblici impedisce di fatto lo sviluppo di un regime competitivo: è il caso dell'energia e del gas dove la prima azienda di settore copre rispettivamente il 66% e 65,3% della quota di mercato della telefonia fissa, dove il primo operatore nazionale ha una quota di mercato del 70,8%, di quella mobile (50,2%), dei trasporti aerei (66,9%) e dei servizi assicurativi (22,2%).
La razionalizzazione dei costi di produzione ha prodotto una contrazione significativa del numero degli occupati in alcuni comparti: basti pensare che tra 1998 e 2002 il numero di occupati è diminuito del 13,1% nel settore dell'energia e gas, del 6,9% in quello assicurativo, del 12% nei trasporti ferroviari. La conseguente inefficienza ha finito per gravare sui consumatori buona parte in termini di costo effettivo e qualità del servizio.
Negli ultimi quattro anni infatti, i prezzi dei principali servizi di pubblica utilità sono quasi tutti cresciuti: quelli assicurativi e bancari sono esplosi (raddoppiando i primi e crescendo del 49,2% i secondi), e anche quelli dei servizi in cui i recenti processi di liberalizzazione avevano alimentato le attese dei consumatori, hanno registrato incrementi significativi: il prezzo del gas è aumentato dell'8,8%, quello dell'energia elettrica del 17,2%, (registrando peraltro nei primi sei mesi del 2003 una crescita del 5,9%) quello dei trasporti - ferroviari e aerei - di più del 10%, sebbene i secondi siano diminuiti nei primi sei mesi del 2003 dell'1%.
L'aumento dei prezzi si è fatto sentire sulla spesa complessiva delle famiglie, cresciuta per tutti i servizi indicati (fig. 14).
Il risultato globale è che il nostro resta ancora uno dei paesi più cari d'Europa (tab. 29).
Rispetto alla media, gli italiani spendono il 29,2% in più per inviare posta prioritaria, il 13,2% in più sulla bolletta dell'elettricità e il 4,5% in più su quella del gas; anche viaggiare in treno costa mediamente di più (circa il 4,1% in più per un biglietto di seconda classe).
E se sul fronte del risparmio, le attese degli italiani sono state di gran lunga deluse, anche sotto il profilo della qualità dei servizi, il passaggio dalla gestione pubblica a quella privata non sembra aver prodotto risultati particolarmente apprezzabili (fig. 16).
La mia impressione è che molte delle promesse fatte dalla privatizzazione siano andate deluse a causa di quel valore "assoluto" a cui certi opinionisti, politici ed economisti danno alle pratiche di concretizzazione delle teorie neoliberiste.
Insomma, si diceva che la privatizzazione avrebbe "funzionato e basta".
In realtà, come si poteva ampiamente prevedere, appena aperte le privatizzazioni, soggetti economici "forti" hanno rapidamente concentrato in poche mani quote sufficienti a formare un oligopolio in nulla diverso da quello statale e, se possibile, ancora meno controllato e ancora meno interessato a fornire un "servizio".
La fretta e l'insofferenza verso le "regole", che sono valse una condanna di "statalismo" a chi le invocava, hanno giocato contro i consumatori.
Due note:
1) il rapporto completo può essere consultato su:
http://www.censis.it/277/280/339/3826/cover.ASP#d1
2) sono state omesse, per ovvi motivi tecnici, le tabelle e i grafici che sono sicuramente molto significativi.
Privatizzazioni con esiti oligopolistici
Il buio in cui l'intera nazione si è risvegliata il 28 settembre scorso ha rotto il silenzio calato, da almeno due anni a questa parte, sul tema delle privatizzazioni. Risvegliando un processo che, prima con la cessione delle quote Enel, poi con lo sblocco delle procedure di collocamento per Alitalia, sembra aver ripreso il suo corso. E' poi, seguita la cessione di un'ulteriore quota dell'Enel, mentre per Rai e Alitalia il dibattito resta fluido.
La moltiplicazione degli attori economici sembrerebbe, almeno sulla carta, dar ragione a chi considera ormai inevitabile l'evoluzione dei mercati verso assetti più competitivi e concorrenziali: basti pensare che tra 1998 e 2002, il numero delle imprese attive nel settore dell'energia e del gas è cresciuto del 24,7%, e di quelle operanti nel comparto delle telecomunicazioni del 27,8% (tab. 28).
A più di cinque anni di distanza dall'avvio delle liberalizzazioni, l'assetto captive dei principali mercati dei servizi pubblici impedisce di fatto lo sviluppo di un regime competitivo: è il caso dell'energia e del gas dove la prima azienda di settore copre rispettivamente il 66% e 65,3% della quota di mercato della telefonia fissa, dove il primo operatore nazionale ha una quota di mercato del 70,8%, di quella mobile (50,2%), dei trasporti aerei (66,9%) e dei servizi assicurativi (22,2%).
La razionalizzazione dei costi di produzione ha prodotto una contrazione significativa del numero degli occupati in alcuni comparti: basti pensare che tra 1998 e 2002 il numero di occupati è diminuito del 13,1% nel settore dell'energia e gas, del 6,9% in quello assicurativo, del 12% nei trasporti ferroviari. La conseguente inefficienza ha finito per gravare sui consumatori buona parte in termini di costo effettivo e qualità del servizio.
Negli ultimi quattro anni infatti, i prezzi dei principali servizi di pubblica utilità sono quasi tutti cresciuti: quelli assicurativi e bancari sono esplosi (raddoppiando i primi e crescendo del 49,2% i secondi), e anche quelli dei servizi in cui i recenti processi di liberalizzazione avevano alimentato le attese dei consumatori, hanno registrato incrementi significativi: il prezzo del gas è aumentato dell'8,8%, quello dell'energia elettrica del 17,2%, (registrando peraltro nei primi sei mesi del 2003 una crescita del 5,9%) quello dei trasporti - ferroviari e aerei - di più del 10%, sebbene i secondi siano diminuiti nei primi sei mesi del 2003 dell'1%.
L'aumento dei prezzi si è fatto sentire sulla spesa complessiva delle famiglie, cresciuta per tutti i servizi indicati (fig. 14).
Il risultato globale è che il nostro resta ancora uno dei paesi più cari d'Europa (tab. 29).
Rispetto alla media, gli italiani spendono il 29,2% in più per inviare posta prioritaria, il 13,2% in più sulla bolletta dell'elettricità e il 4,5% in più su quella del gas; anche viaggiare in treno costa mediamente di più (circa il 4,1% in più per un biglietto di seconda classe).
E se sul fronte del risparmio, le attese degli italiani sono state di gran lunga deluse, anche sotto il profilo della qualità dei servizi, il passaggio dalla gestione pubblica a quella privata non sembra aver prodotto risultati particolarmente apprezzabili (fig. 16).
La mia impressione è che molte delle promesse fatte dalla privatizzazione siano andate deluse a causa di quel valore "assoluto" a cui certi opinionisti, politici ed economisti danno alle pratiche di concretizzazione delle teorie neoliberiste.
Insomma, si diceva che la privatizzazione avrebbe "funzionato e basta".
In realtà, come si poteva ampiamente prevedere, appena aperte le privatizzazioni, soggetti economici "forti" hanno rapidamente concentrato in poche mani quote sufficienti a formare un oligopolio in nulla diverso da quello statale e, se possibile, ancora meno controllato e ancora meno interessato a fornire un "servizio".
La fretta e l'insofferenza verso le "regole", che sono valse una condanna di "statalismo" a chi le invocava, hanno giocato contro i consumatori.