mareloddo
07-12-2003, 11:35
Iniziamo a descrivere la storia del popolo sardo, dai primi reperti preistorici al grande mistero della civiltà nuragica. Tutte le datazioni sono quelle ufficiali e derivano dalle ricerche dell'archeologo Giovanni Lilliu, lo scopritore della reggia nuragica di Barumini, che ha impegnato tutta la sua vita allo studio dell'archeologia del periodo nuragico e prenuragico in Sardegna. La maggior parte dei reperti sono visibili nel Museo Archeologico di Cagliari, una visita obbligata per chi voglia conoscere a fondo la Sardegna.
I primi reperti in selce mostrano la presenza umana fino dal Paleolitico
Il Pleistocene, il periodo che va da 2 milioni a 10.000 anni fa e vede la comparsa dell'uomo, è caratterizzato dalle grandi glaceazioni. La massima espansione dei ghiacci durante l'ultima glaceazione risale a 20.000 anni fa, a quell'epoca i ghiacciai coprivano mezzo mondo ed il livello dei mari si era abbassato di almeno un centinaio di metri, un'unica grande spianata univa Inghilterra, Irlanda, Svezia, Danimarca, Olanda.
In Sardegna risalgono al Paleolitico Inferiore alcuni ciottoli levigati e strumenti in selce scheggiata rinvenuti nel greto del Rio Altana presso Perfugas, che segnalano tracce di presenza umana centocinquantamila anni fa. Sono tracce di una cultura di tipo Clactoniano (il nome deriva da Clacton-on-Sea nell'Essex dove sono state trovati i primi reperti di questo tipo).
Del Paleolitico Superiore (35000-10000 a.C.) e Mesolitico (10000-6000 a.C.) sono stati trovati ossi lavorati e strumenti in selce nella valle Lanaiuttu presso Oliena, nella grotta Corbeddu (che prende il nome dal leggendario bandito Giovanni Salis Corbeddu che fece della caverna il suo rifugio nei 19 anni di latitanza prima di morire nel 1898 in un conflitto a fuoco). La grotta si ritiene fosse abitata già 14 mila anni fa e in essa sono venuti alla luce i più antichi frammenti ossei umani della Sardegna risalenti a circa 9800 anni prima di Cristo.
E' verso l'8.500 a.C. che si conclude l'era dell'ultima grande glaceazione ed il livello delle acque inizia velocemente a risalire. Per molto tempo si è ipotizzato che questo disgelo sia stato all'origine del mito del Diluvio Universale presente nelle mitologie e nelle religioni di tutto il mondo, anche se è improbabile un ricordo di tale evento dato che allora il mondo era abitato ancora solo da piccoli gruppi di raccoglitori e cacciatori, quasi nulla era cambiato rispetto a 100.000 anni prima.
Nascono le culture dell'Età della Pietra
Siamo nel Neolitico o Età della Pietra ed assistiamo a grandi mutamenti, la temperatura si è innalzata e proprio a partire dal 6.000 a.C. inizia a svilupparsi la civiltà megalitica che vede sorgere un pò ovunque in Europa grandi costruzioni di pietra. Tra il V ed il III millennio a.C. vengono edificati Stonehenge e ad altri cerchi di rocce sincronizzati sugli appuntamenti del sole, i Menhir della Bretagna, i Dolmen di Azutàn in Spagna, ed anche alcune costruzioni in roccia delle Baleari che sembrano parenti dei nuraghi che nasceranno successivamente in Sardegna. E' come se in tutta la parte occidentale del Mediterraneo genti delle quali non si conosce l'origine avessero portato la conoscenza della lavorazione della pietra e dell'architettura, oltre che l'agricoltura, la domesticazione e la lavorazione della ceramica. Genti delle quali si perdono le tracce al termine dell'ultimo disgelo, nel 3.000 a.C., quando i mari raggiungono il livello più alto sommergendo tutte le zone pianeggianti costiere.
Nel Neolitico Antico (6000-4000 a.C.) si sviluppano in Sardegna la cultura di Su Gorropu, quasi alle falde del Gennargentu; quella di Filiestru, dal nome di una grotta presso Mara; quella della grotta Verde a Capo Caccia dove vengono rinvenuti graffiti rupestri. Risale probabilmente a questa epoca una statuetta di basalto di 14 cm chiamata la Venere di Macomer, che la marcata evidenza degli attributi naturali femminili fa ritenere un oggetto di culto, probabilmente una Dea Madre. Delle culture che si sono sviluppate in questo periodo restano ceramica e strumenti in selce e in ossidiana, una pasta vulcanica compatta di consistenza vetrosa detta anche vetro vulcanico, molto pregiata nell'antichità per la sua lavorabilità che permetteva di produrre strumenti duri e resistenti, di cui c'è una forte presenza soprattutto sul monte Arci.
Del Neolitico Medio (4000-3500 a.C.) si sviluppa la cultura di Bonuighinu, dal nome di una grotta vicino a Mara, tra Villanova Monteleone e Bosa. Si tratta di piccole comunità agricole che conoscono l'allevamento di pecore e capre e producono ceramiche di colore per lo più grigio, lisce o con decorazioni incise e graffite. Restano anche strumenti in selce e ossidiana con il lungo manico che termina con una testa rotonda e tre fori che simulano una faccia umana, resti di animali e di molluschi.
Del Neolitico Recente (3500-2700 a.C.) sono stati trovati sempre strumenti in selce e ossidiana, ceramica riccamente decorata, vasi di pietra, i primi reperti metallici come punte di frecce e coltelli. Sono i reperti della cultura di Ozieri, anch'essa ad economia agricola e pastorale, trovati nella grotta di San Michele di Ozieri ed anche nella grotta del Rifugio e nella grotta del Guano presso Oliena. Un reperto eccezionale è l'altare prenuragico di Monte d'Accoddi vicino a Porto Torres, una piramide a gradoni alta 10 mt sulla cui sommità si ritiene si svolgessero riti sacri. Il monumento, a 300 mt dal quale sono presenti due massi di arenaria scolpiti e dipinti uno di bianco l'altro di rosso (forse la coppia divina Dea Madre e Dio Toro), testimonia un eccezionale incontro fra il megalitismo tipico del mondo occidentale e un'architettura invece tipicamente orientale che ricorda i templi a ziqqurat che si sono trovati in Mesopotamia. Altre testimonianze della cultura di Ozieri sono le sepolture in circoli di dolmen con cisti in pietra al centro, come quello che si trova proprio a Ozieri e quello della necropoli di Li Muri presso Arzachena, dove sono stati trovati reperti in pietra levigata ed anche una coppetta in steatite ed alcune collane.
Nell'Età del Rame nascono i dolmen, le pietre fitte e le Domus de Janas
La scoperta della metallurgia ci porta all'Eneolitico o Età del Rame, quando sorgono nel bacino del Mediterraneo le prime costruzioni delle quali abbiamo evidenza storica. L'edificazione delle piramidi in Egitto inizia dal 2.700 a.C., mentre sono più recenti le mura ciclopiche di Micene, Tirinto, Gla, sulle coste dell'Anatolia, a Troia.
In Sardegna nell'Eneolitico Iniziale (2700-2500 a.C.) si ha la fase finale della cultura di Ozieri, definita Sub-Ozieri, con la scomparsa quasi totale delle decorazioni nella ceramica, vasi a fiasco, ciotole a profilo angolato e ornamenti in rame e argento. Nasce anche la cultura di Abealzu-Filigosa delle quali restano soprattutto reperti funerari. Sono di questo periodo alcune rappresentazioni della divinità femminile realizzate con piccoli idoli a traforo.
Con l'Eneolitico Evoluto (2500-2000 a.C.) si sviluppa in diverse parti dell'isola la cultura di Monte Claro, caratterizzata da grandi vasi cilindrici o biconici con solcature parallele.
Poi nell'Eneolitico Finale (2000-1800 a.C.), come in gran parte dell'Europa centro-occidentale anche in Sardegna si sviluppa la cosiddetta cultura dei Vasi Campaniformi, nome che deriva dai vasi dalla tipica forma a campana rovesciata con decorazioni geometriche. Vengono rinvenuti di questo periodo anche bracciali da arciere, bottoni, ornamenti in rame e diversi tipi di armi.
Compaiono nell'Eneolitico i primi dolmen, grandi lastre di pietra infisse nel terreno con un'altra lastra che le copre, un esempio è il dolmen Mottorra vicino a Dorgali. Nascono anche le statue menhir o stele, e le pietre fitte, ossia pietre infisse a cerchio nel terreno come quelle visibili a Ardara e ad Ozieri. Compaiono le capanne megalitiche a pianta rotonda o allungata considerati precursori dei nuraghi, come il Sa Corona di Villagreca presso Nuraminis ed il Bruncu Madugui a Gesturi.
La religiosità si manifesta nel culto della Gran Madre Terra e del Cielo Fecondatore. Le sepolture sono costituiti da stanze scavate nella roccia che riproducevano le caratteristiche di un'abitazione nelle quali i defunti si trovassero come in casa. Sono chiamate Domus de Janas, Concheddas, Casi de li Faddi, Epercias de Fadas (case delle fate), oppure in opposizione Domus de Rogas (case delle streghe). Il più significativo complesso funebre di questo tipo è la necropoli ipogeica di Sant'Andria Priu presso Bonorva, con spazi interni sotterranei molto complessi ed anche sostenuti da colonne e con una misteriosa scultura, detta il Toro di Bonorva, probabilmente con funzione di altare sacrificale. Significativi anche l'ipogeo di Anghelu Ruju e quello di Santu Pedru, entrambi nei dintorni di Alghero, quello di Ozieri.
Nell'Età del Bronzo la civiltà nuragica con menhir, tombe dei giganti, templi a pozzo e pozzi sacri
L'Età del Bronzo è quella del massimo sviluppo della civiltà preistorica nell'isola. All'inizio dell'Età del Bronzo, nell'Età del Bronzo Antico (1.800-1.600 a.C.), si sviluppa la cultura di Bonnanaro nella quale si hanno le prime tracce di quella che sarà l'architettura e la civiltà nuragica, con alcuni proto-nuraghi. Di questa cultura restano soprattutto vasi con anse a gomito.
Inizia quindi lo sviluppo della vera civiltà nuragica, il cui nome deriva da una particolare forma di megalitismo che trova la sua espressione nella costruzione dei nuraghi, torri in pietra utilizzate come case-fortezze e realizzate con blocchi squadrati di pietra. Si trovano anche villaggi nuragici costituiti da capanne in pietra e frasche, come quello di Sa Linnarta presso Orosei e molti altri che si sviluppano, eventualmente in epoca successiva rispetto alla loro prima edificazione, attorno ai nuraghi maggiori.
Nell'Età del Bronzo Medio (1.600-1.300 a.C.) inizia la costruzione dei nuraghi semplici a forma di tronco di cono (a tholos) o ellittica (a corridoio). Tra questi il Cabu Abbas a Olbia, l'Albucciu vicino ad Arzachena, il nuraghe Maiore a Tempio Pausania, il Burghidu a San Michele di Ozieri, il Seruci a Portoscuso, il nuraghe Oes a Torralba. Di questo periodo restano ceramiche a nervature, con decorazioni metopale e con decorazioni a pettine.
Le sepolture assumono la denominazione di Tombe dei Giganti e sono costruzioni di massi a forma di corridoio ai cui lati venivano disposte le salme. Lo spazio antistante detto esedra è spesso circondato da pietre disposte a semicerchio chiamate bètili (parola che in ebraico indica il luogo dove si sofferma il Signore) di forma aniconica, ossia lavorate a forma di ogiva, e la pietra centrale molto più grande possiede una piccola apertura che simula l'ingresso di una abitazione. Significative quella di Coddu Vecchju in località Capichera presso Arzachena, la di Su Monte 'e s'Ape presso Olbia, la S'Ena e Thomes presso Dorgali, quella di Bonorva.
Nell'Età del Bronzo Tardo (1300-900 a.C.) si sviluppano nuraghi complessi come il Palmavera presso Alghero, il Losa ad Abbasanta vicino a Macomer e l'Arrubiu a Orroli, il cosiddetto Santuario Federale di Santa Vittoria a Serri, la Reggia nuragica di Santu Antine a Torralba e soprattutto il grande ed impressionante complesso chiamato Reggia nuragica Su Nuraxi di Barumini. Di questo periodo restano olle a orlo ingrossato, armi, strumenti in bronzo, oggetti di importazione micenea e cipriota. Si realizzano anche bètili antropomorfi, rinvenuti soprattutto nei dintorni di Laconi nel Sarcidano.
La religiosità si manifesta con la realizzazione di tempietti, tra i quali uno dei meglio conservati è il Tempietto di Malchittu vicino ad Arzachena, realizzato a megaron ossia con un atrio quadrangolare antistante la cella. Si manifesta però soprattutto nel culto delle acque: alla dea Gran Madre delle Acque si dedicano Templi a pozzo, con conformazione a cella oppure a megaron. Significativi quello di Milis a Golfo Aranci ed il Su Tempesu di Orune, il pozzo di Sa Testa presso Olbia; ben conservati anche il Tempio a pozzo ipogeico di Santa Anastasia a Sardara ed il Cuccuru Nuraxi a Settimo San Pietro. Il più singolare e meglio conservato è l'affascinante Tempio a pozzo ipogeico di Santa Cristina, nel villaggio nuragico omonimo nel quale è conservata un'abitazione intatta con la sua copertura originale, a Paulilatino.
Che cosa ci rimane della civiltà nuragica
Del periodo della civiltà nuragica restano ceramiche con decorazione geometrica oltre a esempi di statuaria nuragica. Significativi sono i bronzetti che ci presentano diverse scene delle vita del tempo, raffigurando uomini, guerrieri, animali. Vi sono poi le riproduzioni di imbarcazioni.
Quella nuragica era una società organizzata in tribù ognuna guidata da un capo, percorsa da una spiritualità nuova e con attività preminenti l'allevamento e lavorazione dei metalli. Ma contrariamente a quanto si ritiene, i nuragici non furono solo allevatori, furono anche abili lavoratori del bronzo del quale ci viene tramandato che avevano il monopolio nel Mediterraneo, e furono soprattutto un popolo di militari e grandi navigatori.
Queste statuette ci mostrano come nel 1500-1400 a.C. il bronzo, sia lavorato in Sardegna con tecniche di rara bellezza e perfezione. Per produrre il bronzo, usano il rame che abbonda in Sardegna ma possono trovare lo stagno solo in terre lontane. Ma come arrivano così lontano?
Sono certo grandi navigatori. Delle navi di questo periodo vediamo la riproduzione in alcuni oggetti votivi, realizzati di sicuro da navigatori dato che le prore sono ornate con la riproduzione di animali come l'antilope allora sconosciuti. Mancano i remi o di fori per gli stessi, ed hanno sull'albero un misterioso anello rotante sormontato da due corna o una mezzaluna, sul quale sono state fatte varie ipotesi come vedremo nei prossimi capitoli.
Con la grande catastrofe del 1200 a.C. inizia il declino della civiltà nuragica
Verso il 1.200 a.C. un grande sisma distrugge Pilo, il Menelaion, Micene, Tirinto, Midea e Troia. Deve essere stato un evento di straordinaria gravità perché dopo il cataclisma si perdono tutte le precedenti tradizioni e si dovrà arrivare alle scritture di Omero tra il 750 e il 650 a.C. per avere qualche ricordo di quanto è avvenuto in questi 500 anni di black-out.
Anche in Sardegna alla fine dell'Età del Bronzo questo evento ha provocato la distruzione di gran parte dell'architettura nuragica. Si ritiene che il grande sisma avrebbe provocato il maremoto e l'inondazione che sicuramente in quell'epoca ha colpito tutta la Sardegna meridionale allagando completamente il Campidano e distruggendo la maggior parte dei nuraghi presenti in questa zona, che ancora oggi, se li andiamo a visitare, troviamo tutti abbattuti in direzione sud e rimasti parzialmente in piedi solo nel lato nord. Una inondazione della quale abbiamo le prove, che ha lasciato solo acquitrini al posto dei terreni fertili ed ha trasformato la Sardegna nuragica in una immensa palude.
L'isola ormai invivibile viene abbandonata da gran parte della popolazione, che si trova nella necessità di cercare altre terre e si spinge a sud, fino alle soglie della terra degli Egizio. Nell'interno dell'isola si rinchiude quella parte della popolazione che non vuole abbandonarla, e qui la civiltà nuragica si prolunga fino all'Età del Ferro (900-750 a.C.) iniziando la ricostruzione del complesso Su Nuraxi di Barumini. A questo periodo risalgono anche il villaggio nuragico di Serra Orrios vicino a Dorgali, il meglio conservato dell'isola, ed il villaggio di Tiscali sul Supramonte di Oliena, costruito dentro un'ampia cavità in un punto suggestivo e di difficile accesso che costituirà l'estremo baluardo difensivo nel periodo dell'occupazione romana.
Nell'Età del Ferro prosegue il declino di quello che resta della civiltà nuragica
Il ferro compare verso il 900 a.C. e per molto tempo è stato ritenuto un'evoluzione delle conoscenze metallurgiche. A un'analisi più attenta invece si deve riconoscere che è molto più difficilmente lavorabile del bronzo, fonde a temperature molto più alte, la sua durezza non è maggiore rispetto a quella del bronzo ben lavorato, mentre invece la durata è molto inferiore. Si è arrivati quindi alla certezza che il passaggio dalla lavorazione del bronzo a quella del ferro non sia stata un'evoluzione bensì un ripiego, quando ha cominciato a scarseggiare lo stagno per le difficoltà sopravvenute nell'isola dei grandi navigatori che soli avevano conoscenza di quelle rotte. E con l'Età del Ferro prosegue il declino di quello che resta della civiltà nuragica, sovrastata da quella Etrusca che ne era stata precedentemente succube ed ora, grazie alla acquisita padronanza nella lavorazione del nuovo metallo, si impone in tutto il bacino del Mediterraneo.
La storia dei Shardana che guidavano le incursioni nel Mediterraneo dei Popoli del Mare
Nella prossima pagina, seguendo il recente libro di Leonardo Melis 'Shardana. I Popoli del Mare.' cercheremo di raccontare la storia dei Shardana, oggi universalmente riconosciuti come gli abitanti della Sardegna, che guidavano i Popoli del Mare nelle loro incursioni e nei continui tentativi di aggressione di cui ci parlano gli antichi Egizi.
Dove si recano gli abitanti della Sardegna dopo il grande sisma e l'alluvione che nel 1200 ha travolto la civiltà nuragica? Un'idea ce la dà Leonardo Melis che ci racconta dei Popoli del Mare e dei Shardana, i grandi navigatori che partendo dalla Sardegna scorrevano il Mediterraneo molto prima dei Fenici. Riportiamo solo alcuni spunti e rimandiamo direttamente al libro per l'approfondimento dei numerosi altri argomenti in esso presenti.
I grandi navigatori e terribili guerrieri Shardana
A più riprese l'antico Egitto è sottoposto alle incursioni provenienti dal mare da parte di popolazioni guerriere che i sovrani egizi chiamano Popoli del Mare, guidate dai Shardana del mare che indicano come: sconosciuti (non potevano quindi venire dall'Egeo che loro ben conoscevano) - capi dei paesi stranieri (visto che saranno a capo della coalizione dei Popoli del Mare) - re delle isole dell'occidente (che è la posizione della Sardegna rispetto all'Egitto) - re delle isole che sono nel cuore del Grande Mare (il Mediterraneo) - venuti dalle isole e dalla terra posti sul grande cerchio d'acqua (il Mediterraneo) - venuti dall'isola Basileia, alta, con rocce rosse bianche e nere, ricca di rame (si riconosce in questa frase la descrizione della costa orientale della Sardegna).
La parola SHRDN, che si trova in caratteri fenici su una stele rinvenuta a Nora, indica i principi di Dan ossia proprio i Shardana (Shrdn, Shardin, Sher-Dan), universalmente riconosciuti oggi come gli abitanti della Sardegna. Non sono pirati ignoranti, ma hanno alte conoscenze tecnologiche e una profonda religiosità. Gli riconosciamo un eroe, padre di tutti i Sardi, che viene solitamente chiamato proprio Shardana, che i Cartaginesi chiameranno Sidi Babai o Babai Sardan (Sandan, Santas, Antas) ed i Romani Sardus Pater, quello a cui verrà dedicato il tempio di Antas e di cui abbiamo la rappresentazione in una statuetta ritrovata a Genoni.
Le statuette di bronzo trovate nei siti nuragici ci mostrano guerrieri con l'elmo spesso sovrastato da due corna, armati di uno spadone largo e lungo tenuto sulla spalla, o di un'arma curva quasi una specie di boomerang, o di un'arma che sembra un tubo metallico con giunzioni di tipo idraulico. Spesso indossano di traverso sul petto una specie di pugnale dal grande manico e con la lama cortissima. Resta il mistero di uno strano eroe o di una divinità che ci piace chiamare Sardan, a volte identificato con il greco Eracle, il semitico Baal, il babilonese Marduk o il temuto Milqart dei Fenici. Ha quattro occhi (che sembrano quasi occhiali da motociclista) come Marduk, quattro braccia come Apollo a Sparta, la testa circolare sembra contenuta in un casco ed è sormontata da due antenne (come gli dei Mesopotamici) terminanti con due pomelli con tanto di avvitatura, indossa una specie di tuta attillata che termina a girocollo in alto e con due stivali in basso. Porta due scudi con al centro due punte dalle quali partono raggi, e dall'impugnatura degli scudi partono due strani tubi che gli terminano dietro la nuca.
Per produrre il bronzo, di cui hanno il monopolio nel Mediterraneo, usano il rame che abbonda in Sardegna ma possono trovare lo stagno solo in terre lontane. Impossibile che vadano a cercarlo in Cina, molto improbabile che arrivino alle isole Scilly in Cornovaglia dove lo stagno verrà scoperto solo nel 900 a.C., o in Nigeria percorrendo 800 km in un entroterra sconosciuto. Più probabilmente dopo aver circumnavigato l'Africa arrivano in Zimbawe, dove si racconta fossero le leggendarie miniere di re Salomone, e dove ancora oggi vediamo vicino alla zona mineraria le grandi fortificazioni in pietra con mura e torri tronco-coniche simili ai nuraghi, che hanno dato nome alla località e poi all'intero paese dato che Zimbawe in lingua Shona vuol dire grandi case di pietra.
Ma come arrivano così lontano? Sono certo grandi navigatori. Delle navi Shardana vediamo alcuni modelli in oggetti votivi trovati non solo in Sardegna ma anche in tombe etrusche ed a Cipro. Oggetti realizzati di sicuro da navigatori dato che le prore sono ornate con la riproduzione di animali come l'antilope allora sconosciuti. Alcune hanno uno scafo da corsa leggero a fondo curvo e sono molto simili a quelle ritrovate nel 1937 sulle coste dello Yorkshire e che sono state ritenute Vichinghe, finché la prove del C-14 ha datato 1350-1300 a.C. e che quindi ancora oggi restano un mistero irrisolto. Altre, con uno scafo da carico a fondo piatto e con alettoni stabilizzatori inclinati di 45°, si ritiene fossero lunghe fino a 40 mt con capacità di carico di 500 tonnellate, ed il fondo piatto comporta la conoscenza del principio di Archimede molti secoli prima. Mancano di remi o di fori per gli stessi, ed hanno sull'albero un misterioso anello rotante sormontato da due corna o una mezzaluna, sul quale sono state fatte due ipotesi. Poteva servire all'inserimento di un albero trasversale che sosteneva una vela che cadeva con due triangoli ai lati dello scafo, che la rotazione dell'anello avrebbe spostato consentendo alla vela una manovra spedita senza uso di remi né timone. Una seconda interpretazione più azzardata ma affascinante, in base a incisioni su una stele Cartaginese, vede nella mezzaluna un magnete e quindi nell'intera struttura addirittura una bussola con un sestante...
I primi attacchi degli Hyksos e dei Popoli del Mare in Egitto
La prima invasione dal mare documentata in Egitto è quella degli Hyksos, tra il 1785 e il 1750 a.C., che vincono le resistenze e conquistano il potere stabilendo la capitale a Avaris proprio alla foce del Nilo. E' una popolazione evoluta che introduce in Egitto i carri trainati dai cavalli e l'arco composto. Verranno sconfitti e scacciati dall'Egitto solo tra il 1568 e il 1545 dal faraone Amasi. L'origine dell'invasione e l'analogia con le altre successive, portano ad ipotizzare che gli Hyksos altro non fossero che i Shardana, parte dei quali si fermeranno sul posto: li ritroviamo gli anni successivi, alcuni come mercenari e guardie scelte del Faraone, altri a volte alleati dei loro avversari.
In diversi documenti di fonte egizia si parla dei Popoli del Mare e dei Shardana al tempo di Amenofi (Amenophis) I (1557-1530 a.C.), Amenophis III e Tuthmosis III (circa 1400 a.C.). Li raccontano le incisioni del tempio rupestre di Abu Simbel, dei templi di Karnak e di Medinet Habu, ed anche i papiri di Harris e gli scritti di Wilbour. Tra il 1530 e il 1520 Tuthmosis I (Toth-Mose) sconfigge i Mitanni e la Siria che combattono con contingenti Shardana.
Nel 1355 ambasciatori dei Popoli del Mare portano doni al faraone Amenofi (Amenophe) IV e alla regina Nefertiti e li invitano a tornare al culto dell'unico grande dio. Seti I il Grande (secondo faraone dell'XIX dinastia regna dal 1318 al 1304 a.C.) sicuramente utilizza mercenari Shardana. Nel 1294, attaccato dagli Ittiti, Ramses II il Grande (1304-1237 a.C.) si salva nella battaglia di Qadesh con l'aiuto di mercenari Shardana, mentre altri Shardana che il faraone chiama Shardana del mare dal cuore ribelle combattono dalla parte degli Ittiti.
L'esodo di Israele dall'Egitto
Nella Bibbia si parla di Dan, uno dei 12 figli di Giacobbe, che dirà che come il serpente lasceranno la traccia, lui e i suoi discendenti, dove passeranno. Ed infatti dovunque si sposteranno, i Daniti continueranno ad imporre alle località nomi contenenti la comune radice dan.
E' proprio dall'Egitto di Ramses II che nel 1278 abbiamo l'esodo dei perseguitati religiosi verso la Palestina. Li guida Mosè e si sa che la tribù di Dan sarà costituita da ben 62700 uomini, molto più numerosi dei componenti le altre tribù. Si ritiene probabile che abbia aggiunto al suo popolo mercenari che li accompagneranno per difenderli lungo il cammino, scelti tra quella parte dei Shardana che si erano fermati in Egitto e costituivano la guardia scelta del faraone. Ad essi, forti guerrieri, affida la retroguardia per evitare la fuga dei delusi dalla lunga migrazione, poi sulla penisola del Sinai affida loro la difesa del confine nord dalla quale avrebbe potuto arrivare l'attacco delle truppe egiziane che li inseguivano. E Mosè affida la costruzione dell'Arca dell'Alleanza a Ooliab della tribù di Dan, che intesseva la porpora viola, rossa scarlatto e ricamava il bisso, aveva quindi conoscenze allora ignote alle altre tribù. Torneremo ad occuparci della porpora quando parleremo dei Fenici.
Sono mercenari quindi, e appena possibile abbandonano la fede nell'unico Dio e si mettono ad adorare gli idoli, al punto che parte della tribù si stacca e va ad occupare il paese di Lais che chiamerà città di Dan. Di quelli che arrivano alla Terra Promessa, una parte raggiunge Sidone e le altre città costiere (Dan andò ad abitare sulle navi) intenzionata a non fermarsi ma proseguire il suo viaggio (egli è un cucciolo di leone, non vuole sostare, ma deve andare avanti) forse per tornare la suo paese di origine... la Sardegna. La parte della tribù rimasta ha difficoltà ad insediarsi nel suo territorio ed attacca la terra di Lashem che conquista e chiama Leshem-Dan.
Quindi nelle successive narrazioni bibliche la tribù di Dan scompare. Nel Libro dei Re quando Achia prende il mantello e lo divide in 12 pezzi, dice a Geroboamo che a lui lascia 10 pezzi (tribù) che elenca, a Salomone il regno e la tribù di Giuda, non si parla della dodicesima tribù, quella di Dan. Anche nell'Apocalisse i 144000 segnati appartengono 12000 a ciascuna delle 12 tribù, ma nell'elenco non compare più la tribù di Dan.
Nel 1400 i Popoli del Mare arrivano fino a Cipro
Nel 2000 a.C. gli Ittiti avevano iniziato a insediarsi in Anatolia e nel 1600 Hattusili fonda l'impero Ittita; mentre nell'Egeo, distrutta la prima civiltà Cretese, nel 2000 era nata a Creta la civiltà Minoica. La leggenda dice che Minosse non aveva mai eretto mura a difesa della città dato che aveva un grande flotta, ma dovette ordinare a Dedalo la costruzione di un gigante meccanico per difenderla dai Pirati Sardi. La civiltà Minoica prosegue fino al 1500-1470, il suo declino inizia quando a seguito di un'eruzione vulcanica sparisce il suo fiorente insediamento nell'isola Thera o Santorini.
Circa cinquant'anni dopo si ha una prima grande invasione dei Popoli del Mare, le città e i villaggi di Creta vengono completamente distrutti, secondo Plutarco nel 1400 dagli Akawasa (Achei) e i loro alleati, concludendo definitivamente la civiltà Minoica. I Popoli del Mare avevano già conquistato Lemno e Imbro prospicienti i Dardanelli, erano passati in Grecia dove avevano rapito le donne ateniesi e nel 1400 a.C. erano arrivati a Cipro dove si governarono da se stessi. Simonide di Ceo dice che nel primo tentativo di sbarco alcuni Sardi furono catturati e portati a morire tra le braccia arroventate della statua brozea di Talo, e morirono con un beffardo sorriso sulle labbra che chiamò riso sardonico; anche Omero parla di sardus gelo. I Popoli del Mare si stanziano nell'Egeo, nasce la civiltà Micenea, abbiamo prove storiche della presenza dei Shardana nei moltissimi bronzetti trovati a Cipro oltre a un elmo con corna del XII sec a.C., nelle ceramiche nuragiche del XIII sec trovate a Creta ed in altre località, nel culto della Grande Madre e del suo sposo il Dio Toro tipico dei Shardana e nell'analogia con il mito del Minotauro. Forti le analogie delle Tholos e delle mura di Micene con quelle dei nuraghi, ed anche il labirinto ricorda l'ingegno architettonico dei costruttori dei nuraghi.
Dei Shardana però i Greci parleranno soprattutto nella mitologia. Pausania dice che Eracle di ritorno da Tartesso, dopo aver ucciso Gerione, passa in Sardegna e vi lascia il figlio Sardus ed in seguito vi invia Jolao per condurvi la sua progenie, gli Eraclidi. Diodoro Siculo aggiunge che Jolao vi chiama Dedalo a costruirvi i nuraghi; poi i Greci vi avrebbero portato l'agricoltura e l'allevamento delle api. Secondo un'altra leggenda vi arriva quindi Enea per farla colonizzare dal suo equipaggio, ma appare strano questo incontro sull'isola di Achei e Trojani, mortali nemici. Di sicuro la Sardegna non era stata assolutamente colonizzata e non lo sarà per moltissimo tempo. Ancora nel 499 a.C., durante la rivolta delle città della Jonia contro Dario re di Persia, Istieo di Mileto scrive giuro sugli dei protettori che non mi toglierò più la veste se prima non avrò resa tributaria la Sardegna.
Come raccontavamo, pare invece più probabile che siano stati i Greci a subire la colonizzazione dei Shardana. Lo stesso Erodoto fa risalire l'origine dei Greci a Danao, arrivato dall'Egitto a capo dei Dori, e Diodoro Siculo gli attribuisce la colonizzazione del Ponto, dell'Arabia e della Siria. Da parte loro invece i Greci, che non affrontano la parte occidentale del Mediterraneo, non conoscendo la Sardegna non riescono mai a descriverla, ed i Shardana verranno chiamati Pirati Sardi, ma anche Pelasgi, Tirrenidi, Eraclidi, Tespiadi, Danai. Ad esempio Erodoto parla di quei Pelasgi che sull'Ellesponto colonizzarono e abitarono insieme agli Ateniesi. Forse per questa stretta parentela, nell'invasione del 1200 a.C. i Popoli del Mare che come vedremo tutto distruggeranno, risparmieranno invece Atene?
Nel 1200 i Popoli del Mare invadono tutto il Mediterraneo orientale
Già nel 1250 nuove invasioni dei Popoli del Mare distruggono Tirinto e devastano i dintorni di Micene, e nel 1235, dopo le loro incursioni, una grande carestia devasta tutta l'Anatolia. Nel 1231 il faraone Meneptah deve affrontare l'invasione dei re Lebu o Libu (Libici) spalleggiati dai loro alleati venuti delle isole straniere: Akawasa (forse gli Achei di Omero), Tursha (i Tirreni che tirano su torri e che poi si chiameranno Etruschi), Sakalasa o Shekelesh (probabilmente Siculi), Wasasha e Shardana, questi ultimi incaricati del vettovagliamento e del trasporto delle truppe via mare.
A seguito della grande inondazione che verso il 1200 a.C. sommerge gran parte della Sardegna e dell'allontanamento della popolazione verso altre terre, inizia tra il 1220 e il 1180 l'ultima e più grande invasione dei Popoli del Mare. La coalizione è più ampia e comprende anche Tjeker (Teucri, che Omero poi identificherà con i Troiani), Pheleset (Filistei) e popoli che vengono dal nord Europa: Denen (o Danuna) e Sakssar. Distruggono Ugarit e Micene, Biblos e Corinto, cancellano gli imperi Ittita e Miceneo, risparmiano stranamente solo Atene, invadono la Laconia ed arrivano fino in Asia Minore tutto distruggendo al loro passaggio. Una parte della flotta con a capo gli stessi Shardana attacca di nuovo nel 1183 l'Egitto. Ramses III (1197-1165 a.C.) fronteggia un tentativo di invasione a tenaglia da parte dei Libu e dei Popoli del Mare provenienti dall'Asia Minore e dall'Egeo, che vengono ritratti nel tempio di Madinat Habu, e dirà di aver sconfitto i più terribili guerrieri dell'epoca (ma più probabilmente raggiunge con loro un accordo grazie alla mediazione dei mercenari Shardana che militano nelle sue fila). Fallita l'occupazione militare, nel 945 Shesonk, generale dei mercenari Libu, si impadronirà del trono d'Egitto e nel 935 fonderà la XXII dinastia.
L'insediamento dei Popoli del Mare sulle coste orientali del Mediterraneo
Dalla invasione del 1220 alcuni degli invasori tornano in patria carichi di bottino, mentre altri Shardana, Akawasha, Tjeker, Tursha e Pheleset si stabiliscono nelle terre conquistate. Nel 1050 i Pheleset si insediano a Gaza e colonizzano il territorio che dal loro nome verrà chiamata Palestina, saccheggiano Shiloh e nel 1005 sconfiggono Saul re di Israele. I Tursha con i Shardana si fermano invece in Lydia dove nel 1000 a.C. fondano la città Sardi. Erodoto dice che i Tirreni abitarono la Lydia governati dagli Eraclidi (come i greci chiamavano i Sardi) che secondo i Lydi discendevano dal dio del Sole, che assume i nomi di Eracle, Bal, Sandone. Secondo Erodoto dalla Lydia i Tursha (e i Shardana che li governavano) nel 900 a.C. a seguito di una carestia sbarcano in Italia, qui i Tursha si uniscono agli Umbri e verranno chiamati Etruschi. Strabone dice che i loro lucumoni, una sorta di sacerdoti che li governano, vengono designati fra i dignitari Sardi e Festo scrive Reges soliti sunt esse Etruscorum, qui Sardi appellantur. Si divideranno con i Shardana l'influenza sul Mediterraneo, loro a oriente della Sardegna nel mar Tirreno, i Shardana a occidente nel mare Sardo. Restano succubi finché i Shardana detengono il monopolio del bronzo, poi gli Etruschi iniziano la lavorazione del ferro e gli equilibri si ribaltano.
Dalla guerra di Troja al viaggio di Ulisse
La presenza dei Popoli del Mare nell'Egeo li vede coinvolti nella guerra di Troja. Sono nove gli strati portati alla luce che identificano diverse città, la prima grande è Troja VI che nasce ricca e potente e viene distrutta secondo la tradizione da un maremoto nel 1280 a.C. La guerra cantata da Omero dura un secolo e si ritiene si riferisca a Troja VII che viene distrutta da un incendio nel 1180, all'epoca dell'ultima grande invasione dei Popoli del Mare. Nell'Iliade si parla di Akawasa (Achei) della penisola greca alleati con Shardana (Danai) che assediano Troja dove si trovano i Tjeker (Teucri) con i quali sono alleati i Liku (Lici). E fanno tutti parte dei Popoli del Mare, che come si vede costituisconoo alleanze non molto stabili. Anche l'origine della guerra potrebbe essere stata diversa da quella raccontata da Omero. La mitologia racconta infatti che la ninfa del mare Kabeira avrebbe svelato a Dardano i misteri dei Cabiri, i sacerdoti del culto della Grande Dea Cibele venerata a Lemno, Imbro e Samotracia. Misteri portati in queste isole dagli Achei e Danai, e forse anche dai loro alleati Teucri dato che recentemente sono stati rinvenuti a Lemno scritti etruschi. Chissà quindi che i Troiani (o Dardani) non si fossero impossessati delle loro grandi conoscenze ... qualcosa di più prezioso di quanto non fosse la regina Elena!
Conclusa la guerra di Troja, Omero ci racconta il viaggio di Ulisse e descrive Skerìa, l'isola dei Feaci, che pone al centro del Grande Mare. Ci è facile identificarla con la Sardegna che successivamente i Greci chiameranno Sandalion e Ichnussa: i Feaci sarebbero i Sardi del centro ed i Lestrigoni, giganti antropofagi, sarebbero le popolazioni del nord della Sardegna. A sostegno di questa ipotesi l'autore del libro al quale abbiamo attinto porta molti argomenti. Il segno distintivo dei Feaci, presente anche sulla prora delle loro navi, era la mano tesa nel saluto che si trova in moltissimi bronzetti nuragici e che ancora oggi molti anziani in Sardegna usano. La capitale del regno di Alcinoo era una città circondata da numerose torri, e in Sardegna abbiamo ancora oggi più di 7000 nuraghi. Nella sua reggia è descritto il focolare al centro della stanza con sedili di pietra intorno, come era nelle case sarde fino a qualche decennio fa. Viene raccontato Demodoco chiamato aedo rapsodi e ancora oggi solo in Sardegna esiste il poeta che nelle feste improvvisa quasi cantando su temi proposti dalla folla o si cimenta in gare di poesia. In Sardegna si ritrova poi l'ospitalità sacra, e vi si balla il ballo tondo identico a quello che secondo Omero praticavano i giovani Feaci (che si ritrova simile anche in Catalogna dove viene chiamato Sardana). Atena aveva consigliato a Ulisse di buttarsi ai piedi della regina Arete, la donna delle soggette all'uomo la più onorata, e in tutto il Mediterraneo soltanto in Sardegna si è avuta la caratteristica del matriarcato, che ancora oggi sopravvive in Barbagia.
Omero dice anche che le navi dei Feaci non hanno bisogno di timone o timoniere, ma vanno veloci e sicure nei paesi del mondo, esse viaggiano coi pensieri dell'uomo, solcano il mare e l'abisso, avvolte in una nube di vapore e nebbia. Delle navi dei Shardana già abbiamo parlato, ed anche del loro muoversi senza remi né rematori. E più avanti parleremo anche dei Fenici.
Qualche considerazione sull'origine del popolo Sardo
Facendo riferimento a elementi etimologici, si è per molto tempo ritenuto che il popolo Sardo fosse originario della Lydia, in Anatolia, la cui capitale era la città Sardi patria del leggendario re Creso. A favore di questa ipotesi viene citato Erodoto, che dice che al tempo della guerra del faraone Psammetico contro Assurbanipal i mercenari Cari e Joni inviati da Cige, re di Sardi, furono i primi uomini di lingua straniera a insediarsi in quel paese. Ma il nostro racconto, confermato da un'indagine archeologica in Turchia, fa ritenere Sardi fondata intorno al 1000 a.C., ed anche le ultime scoperte tra Haifa e Tel-Aviv confermano insediamenti Shardana in Asia Minore dal 1150 a.C.
Una seconda ipotesi ci porta nella Mesopotamia meridionale abitata dai Sumeri, dove dal 3000 nascono le città-stato delle quali nel 2371 Sargon il Grande, re semita di Akkad, inizia a limitare l'autonomia fondando il primo grande impero che durerà duecento anni. Il popolo Sardo risalirebbe appunto a Sargon ed alla sua dinastia Sargonide (o Sardonide) che lascia la Mesopotamia quando i Sumeri riprendono il potere, abbattono il suo impero e re Urnammu nel 2124 inizia la III dinastia di Ur. La Bibbia dice che la tribù di Abramo esce in questo periodo da Ur dei Caldei, passa per la Siria e si insedia sulle rive del Mar Morto, forse proprio a causa del ritorno al potere dei Sumeri dato che anche Abramo era semita.
Una terza ipotesi è quella sposata dall'autore del libro, che parte dagli eventi eccezionali e dalla grande carestia che nel 2300 a.C. provocano l'esodo delle popolazioni Mesopotamiche verso occidente in una migrazione che segue due direttrici lungo le quali vengono lasciate chiare tracce legate tra l'altro alla radice dan che si ritrova nei nomi delle località e delle città attraversate. Una parte della popolazione sale in Anatolia dove si stanziano i Tjeker e i Liku. Da qui la migrazione si divide in diverse direzioni. Risalendo il Dniepr e il Dvina alcuni raggiungono il Baltico dove troviamo i Saksar (forse Sassoni) e arrivano in Danimarca, nelle Isole Frisone, in Scandinavia e in Irlanda dove si stanziano i Danen (in mitologia i primi colonizzatori dell'Irlanda soni i Tuatha de Danan). Mentre altri lungo il corso del Danubio danno origine alle tribù Celtiche. Altra parte della popolazione si dirige in Siria dove si insedia sulle rive del Mar Morto: sarebbe questa la migrazione di Abramo. Da qui via mare raggiungerà il Mediterraneo occidentale insediandosi nelle sue isole maggiori e nelle coste spagnole e del nord Africa: nel Peloponneso gli Akwasha, a Creta i Pheleset che poi torneranno nella Palestina, in Sicilia i Shakalasha, in Corsica i Washasa, in Libia i Libu. In Sardegna i Shardana e i loro stretti parenti Theresh, che insieme fondano in Sardegna Tarshish o Tartesso, Tharros da cui deriva il nome del fiume Tirso, Nabui o Neapolis. L'origine comune di popolazioni semite abitanti in zone così distanti sarà all'origine del nascere delle diverse coalizioni indicate con la denominazione comune di Popoli del Mare.
Ma sono stati i Shardana a edificare i nuraghi?
L'autore ritiene inoltre che i Shardana, grandi navigatori, non si darebbero mai rinchiusi nello spazio angusto dei nuraghi, non sarebbero quindi nativi dell'isola ma vi sarebbero arrivati dalla Mesopotamia quando i nuraghi erano già stati costruiti da una popolazione precedente, che avrebbe abitato l'isola dall'8400, epoca del primo grande disgelo che come abbiamo detto alcuni interpretano come il diluvio universale, al 3200-2700 quando si sarebbe verificato un secondo grande innalzamento delle acque nel bacino del Mediterraneo. I nuraghi sarebbero quindi contemporanei alle grandi piramidi, rispetto alle quali risultano anche più complessi con le loro diverse camere interne sovrapposte.
Questa ipotesi ci porterebbe però a dover rivedere gran parte delle datazioni relative alle culture che si sono alternate il Sardegna e delle quali abbiamo parlato nel capitolo precedente ... Quando glie lo ho chiesto Leonardo Melis mi ha risposto capovolgendo la domanda e chiedendomi: con quali mezzi si può accertare e datare l'età nuragica nel 1600 a.C.? Se i Sardi di quel periodo, ormai già storicamente databile perché altre civiltà vivevano da secoli con un certo grado di tecnologie e conoscenze (Sumeri, Egizi...) costruirono i nuraghi, perché non hanno continuato a farlo, o meglio, perché non hanno migliorato la loro tecnica costruttiva? Ma si sono invece ridotti a costruire le Pinnettas, le capanne coniche in pietra?
La verità è che dei nuraghi nessuno sa niente di preciso, come per le Piramidi. A suo avviso possiamo solo ipotizzare una civiltà costruttrice scomparsa, i cui sopravvissuti hanno dimenticato pian piano le conoscenze e la tecnica di costruzione. L'errore nelle datazioni ufficiali sarebbe derivato dall'aver adottato un metodo di ricerca relativamente recente, che non ha più di due secoli, ritenendolo infallibile. Stiamo parlando del sistema di datazione delle ceramiche e altri reperti comparandoli con quelli attribuiti ad altre civiltà come quella Micenea, Cretese, Cipriota. Non si è neppure ipotizzato che tali ceramiche e reperti potessero essere invece stati esportati dai Shardana a Micene, Creta e Cipro...
E dall'aver escluso tutti gli altri metodi che erano stati usati precedentemente dagli studiosi, come i Antichi Testi, la Toponomastica, la Mitologia e la Religione. Che vengono invece ora rivalutati al punto che il testo di uno sconosciuto rispetto all'archeologia ufficiale, come Leonardo Melis, ha avuto tanto successo da essere in testa alle classifiche di vendita. Semplicemente perché capovolge un precedente metodo di ricerca che escludeva i Sardi dall'essere i protagonisti della loro Storia.
Questa è la storia dei Popoli del Mare dominatori del mondo antico per un intero millennio
E Platone fa dire da un sacerdote egizio a Solone che ci fu un tempo più antico in cui gli eserciti di una grande civiltà venuta dal Grande Mare Occidentale invasero il nostro mondo tutto distruggendo e solo Atene si salvò (l'invasione del 1200 a.C.). Poi identifica questa civiltà con Atlantide, ma questa è un'altra storia.
In questo capitolo riprendiamo gli spunti offerti da un libro inchiesta del giornalista di La Repubblica Sergio Frau uscito solo nel 2002 e già recensito in tutte le principali pubblicazioni di storia e archeologia. Ne riportiamo solo i concetti fondamentali, dato che non possiamo riproporre le quasi 800 pagine dense di citazioni e ricostruzioni, alle quali rimandiamo per qualsiasi approfondimento.
I greci antichi ci raccontano un mondo pieno di misteri al di là delle colonne d'Eracle
Per sapere qualcosa degli avvenimenti del Mediterraneo antecedenti e subito successivi il cataclisma del 1200 a.C. dobbiamo arrivare a Omero che, tra il 750 e il 650 a.C., per primo ricostruisce e trascrive la precedente tradizione orale, ed agli altri autori greci antichi. Solo ad essi si può fare riferimento pur sapendo che i loro resoconti sono esatti solo finché ci si muove all'interno del Mediterraneo orientale, quello che i Greci ben conoscevano dato che lo percorrevano con le loro navi e che vi avrebbero fissato i loro insediamenti. Al di là delle loro rotte, tutto diventa più vago, l'unico riferimento sono le colonne d'Eracle dove terminava il mondo conosciuto ed al di là delle quali iniziava l'Oceano del quale non esistevano conoscenze dirette ma solo riportate.
Dopo i racconti di Omero, che descrive il lungo viaggio di Ulisse nel Mediterraneo occidentale sconosciuto, e di Esiodo (VIII sec a.C.), informazioni sul mondo al di là delle colonne le dà Platone (427-347 a.C.) che nei suoi dialoghi fa dire a Timeo al di là dello stretto che voi chiamate colonne di Eracle c'era un'isola... e racconta di un grande cataclisma avvenuto quando il mare sommerse l'Europa. Sempre nei dialoghi, Crizia parla del mare di Atlante, al di là di quella bocca che i Greci chiamavano colonne d'Ercole, dove c'era un'isola, e da questa se ne raggiungono altre, e da queste la terra che tutto circonda, un vero continente.
Platone dice inoltre che l'Oceano Atlantico è così melmoso a causa di un'isola chiamata Atlantide che vi è sprofondata, che le navi non riescono a navigarlo. Ed anche Aristotele (384-322 a.C.) dice che l'Oceano Atlantico, a differenza del Mediterraneo che è profondissimo, è invece poco profondo e soggetto a una morta calma tanto che le navi non riescono a navigarlo.
Erodoto (circa 484-425 a.C.), che ha dedicato la vita alle geografie degli antichi ma che ammette di non conoscere l'occidente estremo, aveva raccontato di Corleo di Samo che sarebbe stato portato dai venti al di là delle colonne fino a Tartesso e gli avrebbe raccontato dell'argento e dei metalli, dei commerci al di là delle colonne d'Eracle. Dopo di che racconta del paese dei Celti che vivono al di là delle colonne d'Eracle e dice che l'Istro (che oggi si ritiene fosse il Danubio) nasce dalla città di Pirene. E dice che l'ambra proviene dall'Eridano (il Po) che secondo le notizie in suo possesso sfocia nell'Oceano del Nord. Timeo (circa 350-260 a.C.), che sarà per i suoi contemporanei il maggior conoscitore dell'occidente, dirà addirittura che la Sardegna è prossima all'Oceano e che il Rodano sbocca nell'Atlantico.
Ma informazioni più precise le dà Rufo Festo Avieno, che fu proconsole in Acaia nel 372 dC, ed al nipote che gli chiede dov'è la Palude Meotide dice che gli descriverà il Mediterraneo. Descrive una rotta che passa per Tartesso (la stessa di Corleo da Samo) arriva alle isole Estrimnidi con i suoi fondali bassi che solo se li conosci non affondi, e poi passata l'isola Ierne, ossia sacra, arriva ad Albione. E dice che dalle isole Estrimnidi se ci si spinge verso dove il cielo diventa freddo si arriva nella terra dei Liguri, e poi nel suo viaggio dal Golfo Ligustico torna indietro sul mare che si allarga in un grande golfo fino a Ofiussa ed abbandonata questa riva per il mare interno che s'insinua tra le terre e che chiamano Mare Sardo il ritorno dura sette giorni.
Ma dove si trovavano le colonne d'Ercole?
Ma dove si trovavano le colonne? Se esse delimitavano il mondo allora conosciuto, considerando che l'estremo sud della Sicilia era il punto più ad ovest raggiunto dalla colonizzazione ellenica, si sarebbe tentati di posizionarle proprio lì, nel canale di Sicilia, e di identificare quindi l'Oceano con quello che oggi è il mar Tirreno.
E' solo un'ipotesi, dato che di esse non esiste una esatta localizzazione al tempo dei greci antichi. Ne esistono però indicazioni mitologiche, Diodoro (I a.C.) ad esempio, nel IV libro de la Biblioteca dice che secondo la tradizione più accettata Eracle avrebbe arginato i promontori di Lybia e Europa, prima molto distanti tra loro, riducendo il passaggio a uno spazio stretto e poco profondo per evitare che i mostri marini arrivassero dall'Oceano; mentre secondo un'altra interpretazione i due continenti erano uniti ed egli li avrebbe aperti mescolando l'Oceano (Tirreno) al nostro mare (Jonio).
E' solo un'ipotesi, peraltro assai poco plausibile data la distanza che separa le coste della Sicilia da quelle africane. Ma se così fosse, perché invece ci hanno insegnato che le colonne d'Ercole si trovano a Gibilterra?
Due grandi falsi geografici dei greci moderni che cambiano completamente la storia
Quello che descrivono Omero, Platone e gli altri autori è il mondo dei Greci antichi. Poi avvengono due fatti che cambiano completamente la visuale del mondo, come se a una certa data tutte le conoscenze precedenti fossero state rimesse in gioco ed adattate a chissà quali diversi interessi politici: forse a quello di far vedere la Grecia al centro del mondo allora conosciuto, e successivamente il mondo conosciuto al centro dell'universo.
In base alle attuali conoscenze, il primo geografo a piazzare chiaramente le colonne d’Ercole a Gibilterra risulta essere stato Eratostene (circa 284-192 a.C.), che riordinando la biblioteca di Alessandria d'Egitto vi ritrovò le carte dei cosiddetti bematisti, i soldati che seguivano Alessandro Magno nei suoi viaggi di conquista addetti a misurare la distanza percorsa contando il numero di passi fatti, passo per passo, bêma per bêma, tenerli a mente e riferire ai cartografi. Le enormi distanze percorse verso oriente dalle truppe di Alessandro smentivano la tradizione secondo cui la Grecia sarebbe stata il centro del mondo conosciuto, a meno di spostare le colonne d’Ercole collocandole alla stessa distanza dalla Grecia ma verso occidente, nella parte del Mediterraneo che al suo tempo era ormai conosciuta, e quindi a Gibilterra.
Si sarebbe tentati di ritenere assurdo che esigenze di simmetria propagandistica potessero portare a un tale falso storico, se non fosse che di falsi storici in quell'epoca e subito dopo ne vennero creati altri anche più rilevanti. L'esempio più clamoroso di queste falsificazioni storiche è quello legato alla forma della terra, che Eratostene descrive sferica al punto da misurarne esattamente la circonferenza, come è sferica quella sulle spalle dell'Atlante Farnese conservato al Museo Archeologico di Napoli.
Solo Claudio Tolomeo (circa 90-168) nell'Almagesto porrà la terra piatta al centro dell'universo con la volta stellata che le gira intorno, e quindi nella mitologia greca successiva Atlante sosterrà non più la terra ma il cielo sulle spalle. E quindi ci siamo arrivati: non solo la Grecia si trova al centro del mondo conosciuto, ma il mondo conosciuto al centro dell'universo! Sembrerebbe assurdo, se non sapessimo per quanto tempo la chiesa cattolica, allo stesso modo, ha preteso di imporre Roma al centro di una terra piatta, posta a sua volta al centro dell'universo.
Forse i greci antichi conoscevano la Storia, ma quanti errori nella Geografia!
Oggi sappiamo che la terra è sferica e che né Atene né Roma sono al centro dell'universo, ciò nonostante continuiamo a posizionare con Eratostene le colonne a Gibilterra anche se questo riempie di errori tutti i racconti dei Greci antichi. Se realmente queste si trovavano a Gibilterra, sembra quasi che il Mediterraneo occidentale neppure esistesse dato che ogni descrizione è riferita a terre al di là delle colonne, ossia in pieno Oceano Atlantico. Ed oltre tutto, le distanze, dove nascono e sboccano i fiumi, il numero di giorni dei viaggi assolutamente non tornano. Proviamo ad accennare a qualcuna di queste incongruenze.
Partiamo dall'Oceano melmoso e poco profondo, che oggi si tende a localizzare nel mar Sargasso, vicino alle Azzorre: potevano essere arrivati fin lì i Greci antichi, senza aver incontrato nel loro tragitto tutto quello che si trova nel Mediterraneo occidentale?
Tartesso si troverebbe in Andalusia, ma non riusciamo a trovare i Celti al di là delle colonne, visto che nella loro massima espansione nel 200 a.C. le popolazioni celtiche arrivarono ad occupare dalla Francia alla parte meridionale della Germania e più avanti verso oriente compresa la valle del Danubio, ma mai la Spagna. Per posizionare l'Istro in Spagna Aristotele cento anni dopo, nella Metereologia, sarà costretto a correggere Erodoto e lo farà nascere non più dalla città di Pirene ma dal monte Pirene ossia dai Pirenei!
Non si comprende come l'Eridano (il Po) potrebbe sfociare nell'Oceano del Nord, dato che gli oceani erano al di là delle colonne, mentre al di qua c'erano i mari conosciuti. E come farebbe la Sardegna ad essere prossima all'Oceano o il Rodano a sboccare nell'Atlantico, mentre sappiamo che sbocca presso Marsiglia?
Le cose vanno ancora peggio con il viaggio di Avieno, che si sarebbe svolto lungo le coste della penisola Iberica fino a raggiungere l'Inghilterra. Oggi si ritiene che le isole Estrimnidi fossero nella Manica o addirittura le isole Scilly a sud dell'Inghilterra, l'isola Ierne sarebbe stata l'Irlanda, Albione ovviamente sarebbe stata l'Inghilterra. Difficile ipotizzare per un greco di quell'epoca un viaggio di questo tipo, ma ancora più difficile vedere a nord delle Estrimnidi la terra dei Liguri, che andrebbe localizzata sulle sponde del Mare del Nord o nello Jutland, e soprattutto impensabile il ritorno nel Mare Sardo in sette giorni.
Come si vede, in base alla posizione delle colonne d'Ercole a Gibilterra i conti non tornano, non quadrano il nome delle località e dei mari, le distanze. Come ci si può quindi fidare dei greci antichi, così precisi nelle descrizioni dei loro mari, non ne imbroccassero nemmeno una quando si allontanavano da essi? Che affidabilità possono avere le loro peraltro così dettagliate descrizioni?
Proviamo allora a rimettere le colonne d'Ercole al loro posto ...
A questo punto, l'unico riferimento che può permetterci di interpretare queste descrizioni è la localizzazione esatte delle colonne d'Ercole. Dicearco (circa 347-285 a.C.), discepolo di Aristotele e tra i padri della geografia greca, dà indicazioni precise. Scrive che dal Peloponneso è più lontana la fine dell'Adriatico di quanto non lo siano le colonne d'Ercole. Da Capo Malea alle colonne sarebbero solo 10.000 stadi, ossia, dato che uno stadio erano 600 piedi ossia 180 metri, la distanza sarebbe di circa 1800 km. Si dovrà arrivare a Polibio (circa 203-120 a.C.) per portare la distanza a 22.500 stadi, ossia 4.000 km, per renderla coerente con le affermazioni di Eratostene, ma Polibio non è più un greco antico, è già un moderno che dice queste cose solo molto tempo dopo...
Altri ci avevano già pensato, ma Sergio Frau nel suo libro riesce a documentare in modo difficilmente confutabile l'esatta posizione presumendo che il mito delle colonne d'Ercole, come tutte le altre le leggende, avesse un'origine riscontrabile nella storia del nostro pianeta.
Quindi, riprendendo uno studio di Vittorio Castellani, prova a ricostruire l'assetto geologico al tempo dell'ultima glaceazione. Già ipotizzando un abbassamento del livello dei mari di 100 mt il bacino del Mediterraneo avrebbe avuto una forma molto diversa dall'attuale, ed addirittura l'abbassamento di 200 metri avrebbe visto la Sicilia e Malta collegate da un doppio stretto alla Tunisia. C'era quindi un altro stretto oltre a Gibilterra, un altro stretto che si trovava proprio ai limiti delle conoscenze dei greci antichi, proprio dove finiva il mondo a loro conosciuto, subito oltre Agrigento che ha rappresentato il punto più ad occidente dove si sono spinti con i loro insediamenti. Perché, non dimentichiamolo, nel mar Tirreno i greci non sarebbero mai riusciti ad arrivare, dato che lì si muoveva e predominavano gli altri grandi navigatori dell'epoca, i Fenici prima ed i Cartaginesi poi.
Anche per questo Sergio Frau ritiene quindi di aver rimesso al loro posto le colonne d'Ercole. E scrive: "Le ho rimesse dove iniziavano le terre di Eracle-Melquart, dio dei fenici e dei loro mari, dove Sabatino Moscati diceva che iniziava la Cortina di Ferro dell'antichità, dove Esiodo mette la Soglia di Bronzo che divide il Giorno dalla Notte. Le ho rimesse al Canale di Sicilia: la zona blindata, la Frontiera, il Confine. Al di là di Malta c'era il Far West degli antichi Greci; i fondali infidi controllati dai Cartaginesi e dalle loro navi, vietati a chiunque Fenicio non fosse."
... per scoprire che i greci antichi conoscevano anche la Geografia
Ma ciò che più colpisce è che, come vedremo, posizionando in questo punto le colonne d'Ercole tutti i testi dei greci antichi possono venire riletti e ci si accorge che spariscono tutti gli errori che ci avevano fatto tanto dubitare della loro affidabilità. Anche perché, a ben vedere, non siamo i primi ad avanzare questa ipotesi. Questa interpretazione è già presente nel cosiddetto Atlante di Tolomeo, nel quale viene illustrato in un modo assolutamente diverso da quello che avevamo descritto prima il famoso viaggio di Avieno, facendolo passare per la costa della Sardegna e della Corsica, fino alla terra dei Liguri e poi alle Baleari.
Nell'atlante non è descritta Tartesso, ma non è impensabile localizzarla non già in Andalusia bensì in Sardegna a Nora, dove è stata trovata la stele della quale abbiamo parlato nel capitolo precedente, che riporta in caratteri fenici oltre alla parola SHRDN (Shardana) anche la frase B TRSHSH (in Tartesso). Le isole Estrimnidi corrispondono a Sant'Antioco con i suoi fondali bassi che solo se li conosci non affondi, indicata come Molybodes nesos o Melibode Plombea o isola del piombo, ed alle isole che la circondano. L'isola Ierne, ossia sacra, è l'Asinara chiamata anche Herculis Insula, vicina all'imbocco del Fretum Gallicum oggi Bocche di Bonifacio. Albione non è l'Inghilterra bensì Albiana, al centro della Corsica. E si comprende come dalle isole Estrimnidi se ci si spinge verso dove il cielo diventa freddo si arriva nella terra dei Liguri, che quindi sarebbe giustamente la Liguria. Il viaggio prosegue dal Golfo Ligustico, ossia dal golfo Ligure, da dove torna indietro sul mare che si allarga in un grande golfo fino a Ofiussa, posizionata nell'atlante a Formentera, ed i conti tornano anche quando, abbandonata questa riva per il mare interno che s'insinua tra le terre e che chiamano Mare Sardo, il ritorno dura sette giorni.
E quindi l'Oceano Atlantico viene a coincidere con il nostro mar Tirreno e tutti i conti finalmente tornano: i Celti al di là delle colonne d'Ercole, la Sardegna prossima all'Oceano ed il Rodano che sbocca nell'Atlantico, l'affermazione di Dicearco che dal Peloponneso è più lontana la fine dell'Adriatico di quanto non lo siano le colonne d'Ercole, i 1800 km di navigazione da Capo Malea alle colonne, ecc.
E se fosse quindi la Sardegna il perduto continente di Atlantide?
Non è più fantasia credere che al di là delle colonne d'Ercole c'era un'isola, e da questa se ne raggiungono altre, e da queste la terra che tutto circonda, un vero continente. A questo punto ritornano anche il fondo così melmoso che le navi non riescono a navigarlo ed il mare poco profondo e soggetto a una morta calma tanto che le navi non riescono a navigarlo, basti pensare alle secche intorno a Sant'Antioco.
Nei dialoghi di Platone, Crizia racconta una storia che gli aveva raccontato quando lui aveva l'età di dieci anni suo nonno novantenne che l'aveva sentita dal grande legislatore ateniese Solone (638-558 a.C.), che a sua volta l'aveva appresa in Egitto da un sapiente sacerdote di Sais. Il sacerdote aveva descritto a Solone la bellezza di Atlantide, una terra costituita di fertili praterie e di alte montagne che la difendevano dai venti freddi del Nord e popolata da animali domestici e selvatici; il sottosuolo era ricco dei più pregiati metalli tra cui l'oricalco (che in realtà si ritiene fosse una lega composta da rame e zinco). Vi abbondavano le sorgenti d'acqua calda e fredda, le cui acque affluivano poi in un grandioso bosco sacro per poi finire nei bacini del porto, dove si trovavano moltissime navi protette da una cinta di mura dalla parte del mare e provenienti dai luoghi più lontani. Vi erano palazzi, torri e un tempio al dio Poseidone.
L’isola di Atlante è descritta come terra dal clima mite, che dà più raccolti all’anno ed è ricca di metalli preziosi, che regna sui Tirrenici ossia sul popolo delle torri. Dove le torri sarebbero i forse diecimila nuraghi che avrebbero affollato l’isola a quel tempo, che non potevano non rimanere impresse al viaggiatore, torri che erano allora del tutto sconosciute nel resto del mondo. E qui si trova la Tartesso, terra ricca di messi e frutti ma soprattutto terra dell’argento, di miniere ricchissime e famose, per cui il Gennargentu era davvero nell’antichità la porta dell’argento.
Questo non è che un accenno alle moltissime analogie che nel libro vengono evidenziate tra le descrizioni che ci sono pervenute del continente di Atlantide, di Skerìa l'isola dei Feaci, e della Sardegna come doveva essere allora e come è oggi. Vi si parla del clima, della posizione, dell'architettura, degli idoli e dei. Si parla del re dei re, dei commerci, dell'esercito e delle armi, della fedeltà a Poseidone. Delle loro capacità di navigatori, del sistema portuale, dei bagni di acqua calda, del gioco, gli stadi, la ginnastica e la danza, la presenza dei vecchi più vecchi, l'argento ed i metalli, l'abbondanza, il verde. Si elencano le date e le coincidenze, si racconta del fango che le sommerge e della malaria che le affligge...
Ora, in quest'isola di Atlante, vi era una grande e mirabile potenza regale che possedeva l'intera isola e molte altre isole e parti del continente. Inoltre dominavano, al di qua dello Stretto, le regioni della Libya fino all'Egitto, e dell'Europa fino alla Tirrenia (inizialmente il Paese delle Torri o l'Isola delle Torri, solo in seguito l'Etruria). Ricordiamo che ci dice Dionigi di Alicarnasso che in quel tempo il nome Tirrenia risuonava per la Grecia, e tutta l'Italia occidentale tolte via le denominazioni delle singole popolazioni assunse quell'appellativo. Come fare a non pensare allora a quando nel Mediterraneo oltre ai Greci e agli Egizi c'erano i Popoli del Mare, quella coalizione guidata dai Shardana che comprendeva Libu e Tursha, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente?
E come non riconoscere nell'attacco dei Popoli del Mare la descrizione fatta dal sacerdote e riportata da Crizia quando dice che tutta questa potenza, unitasi insieme, tentò una volta, con una sola mossa, di sottomettere la vostra regione (la Grecia) e tutte quelle che stanno al di qua dello Stretto. Allora, dunque, la potenza della vostra città (Atene) apparve eroica per virtù e vigore a tutte le genti. Infatti, superando ogni altro per forza d'animo e in tutte quelle arti che servono in guerra, in parte guidando i Greci, in parte procedendo da sola per necessità quando gli altri defezionarono, dopo aver affrontato estremi pericoli, vinse gli invasori e innalzò il trofeo della vittoria. E così impedì che venissero sottomessi coloro che non erano stati ancora sottomessi, e liberò con generosità tutti gli altri che abitano al di qua delle Colonne di Eracle.
Nel libro viene anche riportato il risultato di uno studio commissionato all'architetto Paolo Marcoratti sulla posizione geografica della città di Atlantide secondo le indicazioni del testo platonico, che al termine delle analisi condotte sul terreno gli consentono di affermare che la posizione della città di Atlantide e della pianura con essa confinante sia probabilmente quella corrispondente all'area geografica situata in Italia, nella regione Sardegna, nel territorio compreso tra il Golfo di Cagliari e la Pianura del Campidano.
Alla fine della lettura si rimane sconcertati: vengono fatti quadrare tutti i conti. O quasi. Perché qualche difficoltà di spiegazione viene dalla datazione della storia di Atlantide, quando Platone parla di 9000 anni prima dei suoi tempi. E si arriverebbe ancora prima della civiltà megalitica, quando ancora non poteva esistere un popolo che già conoscesse i metalli e la scrittura. Ma Crizia parla di scrittura, e bronzo, e armi, e carri, e triremi, e cocchi per gli arcieri. Qui ci viene di nuovo incontro Sergio Frau, quando, constatato come fosse strana la misurazione del tempo in anni cosa che i greci non facevano mai, ipotizza che invece si trattasse di mesi. Cosa che a mio avviso non è del tutto improponibile, se si pensa alle analoghe interpretazioni degli anni e delle generazioni fatte per l'Antico Testamento. In questo modo, 9000 mesi e quindi 750 anni da sommare al 399 a.C. data della presunta morte di Socrate, portano il momento del massimo splendore di Atlantide a coincidere con il momento di massimo sviluppo della civiltà nuragica, e quindi quello che sempre Platone chiama il popolo venuto dal mare non sarebbero altro che i Shardana.
La fine di Atlantide e i riscontri nella reggia di Barumini, il gigante abbattuto
Ma c'è un'altra cosa che Platone racconta di Atlantide ed è la disastrosa inondazione che la avrebbe colpita fino a distruggerla. Dice ancora Crizia che in tempi successivi, essendosi verificati terribili terremoti e inondazioni, nel corso di un giorno e di una terribile notte tutti i vostri guerrieri (di Atene) sprofondarono insieme dentro la terra e allo stesso modo fu sommersa e scomparve l'Isola di Atlantide. Per questo ancora oggi quel mare è diventato impercorribile e inesplorabile, essendo d'impedimento i bassifondi fangosi che produsse l'Isola sprofondando. Ed anche qui i conti tornano con quelli del grande sisma avvenuto verso il 1200 a.C., che avrebbe provocato il grande maremoto con l'inondazione che sicuramente in quell'epoca ha colpito tutta la Sardegna meridionale allagando completamente il Campidano e distruggendo la maggior parte dei nuraghi presenti in questa zona, che ancora oggi, se li andiamo a visitare, troviamo tutti abbattuti in direzione sud e rimasti parzialmente in piedi solo nel lato nord.
Giovanni Lilliu racconta che ragazzo con gli amici saliva sul colle accanto a al paese di Barumini e con gli amici si calava con delle corde all'interno di un foro alla sommità del colle sotto la quale si apriva quasi un enorme pozzo. Poi Lilliu, divenuto grande archeologo, dedica 50anni della vita allo scavo e alla riscoperta sotto quell'alta collina della grande reggia di Barumini. Per scoprire che tra la fine del II e l'inizio del I millennio a.C. il nuraghe subì un grave danno che obbligò per la ricostruzione a rifasciarlo per l'intero perimetro con un anello murario alto 3 metri, con la chiusura delle feritoie nella parte bassa e la realizzazione di un nuovo ingresso a ben 7 metri di altezza e questa volta rivolto verso nord-est invece che a sud-est come l'ingresso originario. Osserva che nella zona circostante a fronte di 27 nuraghi non è rimasta neppure una tomba, e che invece nel terreno circostante sono state trovate 150 teste di mazza usate come zappe da scavo ad indicare che era in corso una grande opera di costruzione. Questo è il Campidano fino alle Giare, che si alzano come una diga per l'acqua che arriva con il maremoto ribaltando indietro l'onda anomala da questo generata fino a farle ricoprire con 7/8 metri di residui alluvionali tutto quanto vi era contenuto. Una parte dei nuraghi emerge da questo strato alluvionale, il grande nuraghe di Barumini ne usciva di solo 120 centimetri, mentre le tombe sono rimaste sommerse come tutto quanto riguardava la civiltà che vi abitava. Si deve arrivare sull'alto delle Giare per ritrovare i nuraghi intatti, le tombe dei giganti e tutto ciò che nel Campidano è probabilmente ancora nascosto sotto il terreno.
Abbiamo le prove di questa grande inondazione che ha lasciato solo acquitrini al posto dei terreni fertili ed ha trasformato la Sardegna nuragica in una palude abbandonata da gran parte del suo popolo che si sarebbe portato fino alle estreme coste orientali del Mediterraneo.
Poi in Sardegna arrivano i Fenici
Ed è proprio da quello che oggi è il Libano che nell'VIII secolo a.C. arriveranno sulla costa della Sardegna le imbarcazioni Fenicie.
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