fluke81
24-03-2013, 23:31
In The Flesh
Non più zombie ma “affetti da sindrome di morte parziale”. È in questo modo che Dominic Mitchell ha fatto evolvere il progetto iniziale di una storia incentrata sul ritorno a casa, in famiglia e in comunità, di qualcuno dopo che questo qualcuno aveva compiuto un atto orribile in una situazione di black out mentale: fino a che punto una persona non più padrona di sé può essere ritenuta responsabile delle sue azioni, fino a che punto la società deve e può riaccogliere questa persona al suo interno. Trasformare la causa scatenante dell’evento episodico di disordine mentale in zombificazione ha permesso di estendere quello che poteva essere un dramma famigliare a una crisi della società tutta e delle istituzioni, estremizzando il concetto stesso di riabilitazione e concedendo pari importanza ai “vivi” e ai “non morti” : i primi sopravvissuti e desiderosi di tornare alle proprie vite, i secondi altrettanto sopravvissuti – anche alla loro stessa morte – alle prese con il reinserimento nella società. La novità è evidente: per la prima volta indaghiamo la post apocalisse dal punto di vista di un non morto.
In The Flesh inizia là dove generalmente uno zombie movie termina. Sappiamo che a un certo punto 140.000 morti si sono risvegliati, sappiamo che c’è stata una guerra, ci viene detto che il Governo aveva sottostimato la portata dell’emergenza e che per questo le zone periferiche e rurali a cui era stato promesso aiuto sono state invece abbandonate e costrette a provvedere alla propria protezione con la costituzione di gruppi volontari armati. A un certo punto si è trovata non una cura ma un trattamento. In virtù di questo trattamento farmacologico, affiancato al sostegno psicologico, lo zombie riacquista la propria umanità (e con essa i ricordi) perdendo contestualmente lo stimolo a nutrirsi di esseri umani. Kieran Walker (Luke Newberry) è uno dei pazienti in via di dismissione ed è attraverso la sua storia che iniziamo a conoscere questa nuova realtà.
Roarton è una cittadina (immaginaria) del nord Inghilterra posizionata in una di quelle aree in cui il Governo non è riuscito a garantire protezione ma a cui adesso impone il reintegro. Il primo esercito di volontari - HVF: Human Volunteers Force - si è formato proprio qui e i suoi membri – tra cui la sorella di Kieren – sono convinti che la loro battaglia, a distanza di anni di quiete, è più che mai viva perché è quando si abbassano le difese che si espone il fianco ai nemici. In un contesto simile di riassetto sociale dopo una resurrezione di massa è facile intuire quanto e come la componente religiosa trovi spazio. Come spiega lo stesso Mitchell: “[...] where there are no answers there’s a vacuum and everything becomes speculation.If something can’t be explained by science, religion fills that hole.” La Bibbia dunque si presta a fornire argomentazioni sia al parroco locale che vede nel ritorno dei non morti le sembianze dei cavalieri dell’Apocalisse, sia al profeta dei non morti che vede nella loro resurrezione un dono divino.
Kieran si ritrova dunque accolto in casa dai genitori ma osteggiato dalla sorella, nascosto agli occhi della comunità che diffida dei non morti ma che al suo interno, proprio tra i più apertamente ostili al reintegro, ospita persone che vivono già il dramma dei Walker. Non a caso il momento più crudo e disperato è l’esecuzione da parte del comandante degli HVF di una sua ex concittadina a cui chiede di togliere le lenti per avere la certezza di essere nel giusto uccidendo un “già cadavere” e non l’essere umano che che è stata moglie, madre e amica per vent’anni. E in una sorte di punizione – o prova – divina sarà proprio lo stesso comandante a dover fronteggiare all’interno della sua famiglia l’eventualità di riaccogliere in casa il figlio creduto morto in Afghanistan ma che in realtà è solo parzialmente morto.
In tutto questo Kieren è un osservatore straniato e malinconico, doppiamente fuori posto: è tornato da non morto in quella stessa famiglia/comunità da cui volontariamente aveva deciso di allontanarsi per sempre con il suicidio. Ironia della sorte la resurrezione è la seconda possibilità, forse, per dire tutto quello che non aveva trovato modo di esprimere con un biglietto di addio. Bravissimo Luke Newberry a dare un’interpretazione delicata e malinconica che aiuta noi spettatori ad avvicinarci allo stato d’animo di quello che, comunque sia, è stato un mostro. Tutta la prima puntata – di tre totali – si è mantenuta su un costante tono si straniamento, sottolineato da un’atmosfera plumbea, accompagnato dal senso dell’orrore nascosto lì, dietro l’angolo. Insomma, promosso.
trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=53I2_DbVUqU
ho visto la prima puntata, a me è piaciuto, non è genere trash, anzi è quasi drammatico, dategli una possibilita.Tanto sono solo 3 puntate:O
Non più zombie ma “affetti da sindrome di morte parziale”. È in questo modo che Dominic Mitchell ha fatto evolvere il progetto iniziale di una storia incentrata sul ritorno a casa, in famiglia e in comunità, di qualcuno dopo che questo qualcuno aveva compiuto un atto orribile in una situazione di black out mentale: fino a che punto una persona non più padrona di sé può essere ritenuta responsabile delle sue azioni, fino a che punto la società deve e può riaccogliere questa persona al suo interno. Trasformare la causa scatenante dell’evento episodico di disordine mentale in zombificazione ha permesso di estendere quello che poteva essere un dramma famigliare a una crisi della società tutta e delle istituzioni, estremizzando il concetto stesso di riabilitazione e concedendo pari importanza ai “vivi” e ai “non morti” : i primi sopravvissuti e desiderosi di tornare alle proprie vite, i secondi altrettanto sopravvissuti – anche alla loro stessa morte – alle prese con il reinserimento nella società. La novità è evidente: per la prima volta indaghiamo la post apocalisse dal punto di vista di un non morto.
In The Flesh inizia là dove generalmente uno zombie movie termina. Sappiamo che a un certo punto 140.000 morti si sono risvegliati, sappiamo che c’è stata una guerra, ci viene detto che il Governo aveva sottostimato la portata dell’emergenza e che per questo le zone periferiche e rurali a cui era stato promesso aiuto sono state invece abbandonate e costrette a provvedere alla propria protezione con la costituzione di gruppi volontari armati. A un certo punto si è trovata non una cura ma un trattamento. In virtù di questo trattamento farmacologico, affiancato al sostegno psicologico, lo zombie riacquista la propria umanità (e con essa i ricordi) perdendo contestualmente lo stimolo a nutrirsi di esseri umani. Kieran Walker (Luke Newberry) è uno dei pazienti in via di dismissione ed è attraverso la sua storia che iniziamo a conoscere questa nuova realtà.
Roarton è una cittadina (immaginaria) del nord Inghilterra posizionata in una di quelle aree in cui il Governo non è riuscito a garantire protezione ma a cui adesso impone il reintegro. Il primo esercito di volontari - HVF: Human Volunteers Force - si è formato proprio qui e i suoi membri – tra cui la sorella di Kieren – sono convinti che la loro battaglia, a distanza di anni di quiete, è più che mai viva perché è quando si abbassano le difese che si espone il fianco ai nemici. In un contesto simile di riassetto sociale dopo una resurrezione di massa è facile intuire quanto e come la componente religiosa trovi spazio. Come spiega lo stesso Mitchell: “[...] where there are no answers there’s a vacuum and everything becomes speculation.If something can’t be explained by science, religion fills that hole.” La Bibbia dunque si presta a fornire argomentazioni sia al parroco locale che vede nel ritorno dei non morti le sembianze dei cavalieri dell’Apocalisse, sia al profeta dei non morti che vede nella loro resurrezione un dono divino.
Kieran si ritrova dunque accolto in casa dai genitori ma osteggiato dalla sorella, nascosto agli occhi della comunità che diffida dei non morti ma che al suo interno, proprio tra i più apertamente ostili al reintegro, ospita persone che vivono già il dramma dei Walker. Non a caso il momento più crudo e disperato è l’esecuzione da parte del comandante degli HVF di una sua ex concittadina a cui chiede di togliere le lenti per avere la certezza di essere nel giusto uccidendo un “già cadavere” e non l’essere umano che che è stata moglie, madre e amica per vent’anni. E in una sorte di punizione – o prova – divina sarà proprio lo stesso comandante a dover fronteggiare all’interno della sua famiglia l’eventualità di riaccogliere in casa il figlio creduto morto in Afghanistan ma che in realtà è solo parzialmente morto.
In tutto questo Kieren è un osservatore straniato e malinconico, doppiamente fuori posto: è tornato da non morto in quella stessa famiglia/comunità da cui volontariamente aveva deciso di allontanarsi per sempre con il suicidio. Ironia della sorte la resurrezione è la seconda possibilità, forse, per dire tutto quello che non aveva trovato modo di esprimere con un biglietto di addio. Bravissimo Luke Newberry a dare un’interpretazione delicata e malinconica che aiuta noi spettatori ad avvicinarci allo stato d’animo di quello che, comunque sia, è stato un mostro. Tutta la prima puntata – di tre totali – si è mantenuta su un costante tono si straniamento, sottolineato da un’atmosfera plumbea, accompagnato dal senso dell’orrore nascosto lì, dietro l’angolo. Insomma, promosso.
trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=53I2_DbVUqU
ho visto la prima puntata, a me è piaciuto, non è genere trash, anzi è quasi drammatico, dategli una possibilita.Tanto sono solo 3 puntate:O