mickes2
11-07-2011, 07:43
Tony Manero (2008) di Pablo Larrain
http://farm3.static.flickr.com/2550/4078505456_fc21e1a247.jpg
Il sogno (ed unico scopo nella vita) di Raùl è quello di diventare il sosia di Tony Manero, trovando la consacrazione definitiva nel mondo della tv.
Riuscito, feroce ritratto di un perdente, uno spaccato di vita di un disperato opportunista, di un uomo che non ha coscienza, che non si fa scrupoli ad intrufolarsi nella casa di un anziana, malmenarla e derubarla di quel poco che ha, per raggiungere un obiettivo flebile, del tutto fine a se stesso. Il regista allarga gli orizzonti e ci racconta (seppur in modo piuttosto pleonastico) anche il clima generale di degrado che imperversa nel Cile durante la dittatura di Pinochet, con i coprifuoco e le varie limitazioni che gravano sugli abitanti ed i conoscenti di Raùl: perdenti come, o più di lui. La fotografia livida e desaturata, con tutti i colori che virano al grigio, si adatta benissimo all’atmosfera di degrado: puzzolente e viscida come il protagonista.
Ciò che non mi ha convinto è il taglio registico: è un mix poco riuscito tra la camera a mano Dardenniana, ed i pedinamenti alla Van Sant. Riprese che strizzano l’occhio al Dogma, che però inducono a togliere del pathos laddove serviva. Passaggi didascalici ed esibizionistici oltre il limite della sopportazione (in tal caso le scene di sesso sono orribili) e comunque il film ha quel velo didascalico dall’inizio alla fine, che finisce il più delle volte per appiattire e rendere vacuo l’assunto, Le immagini a volte sfuocate non le ho proprio capite, anzi irritano ancora di più perché vanno a ricercare quell’aura di autorialità che finisce per essere solamente pretestuosa.
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Il sogno (ed unico scopo nella vita) di Raùl è quello di diventare il sosia di Tony Manero, trovando la consacrazione definitiva nel mondo della tv.
Riuscito, feroce ritratto di un perdente, uno spaccato di vita di un disperato opportunista, di un uomo che non ha coscienza, che non si fa scrupoli ad intrufolarsi nella casa di un anziana, malmenarla e derubarla di quel poco che ha, per raggiungere un obiettivo flebile, del tutto fine a se stesso. Il regista allarga gli orizzonti e ci racconta (seppur in modo piuttosto pleonastico) anche il clima generale di degrado che imperversa nel Cile durante la dittatura di Pinochet, con i coprifuoco e le varie limitazioni che gravano sugli abitanti ed i conoscenti di Raùl: perdenti come, o più di lui. La fotografia livida e desaturata, con tutti i colori che virano al grigio, si adatta benissimo all’atmosfera di degrado: puzzolente e viscida come il protagonista.
Ciò che non mi ha convinto è il taglio registico: è un mix poco riuscito tra la camera a mano Dardenniana, ed i pedinamenti alla Van Sant. Riprese che strizzano l’occhio al Dogma, che però inducono a togliere del pathos laddove serviva. Passaggi didascalici ed esibizionistici oltre il limite della sopportazione (in tal caso le scene di sesso sono orribili) e comunque il film ha quel velo didascalico dall’inizio alla fine, che finisce il più delle volte per appiattire e rendere vacuo l’assunto, Le immagini a volte sfuocate non le ho proprio capite, anzi irritano ancora di più perché vanno a ricercare quell’aura di autorialità che finisce per essere solamente pretestuosa.
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