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blamecanada
25-06-2010, 07:53
Lettera degli economisti

LA POLITICA RESTRITTIVA AGGRAVA LA CRISI,
ALIMENTA LA SPECULAZIONE E PUO’ CONDURRE ALLA
DEFLAGRAZIONE DELLA ZONA EURO. SERVE UNA
SVOLTA DI POLITICA ECONOMICA PER SCONGIURARE
UNA CADUTA ULTERIORE DEI REDDITI E
DELL’OCCUPAZIONE



Ai membri del Governo e del Parlamento
Ai rappresentanti italiani presso le Istituzioni dell’Unione europea
Ai rappresentanti delle forze politiche e delle parti sociali
E per opportuna conoscenza al Presidente della Repubblica





La gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non si risolveranno attraverso tagli ai salari, alle pensioni, allo Stato sociale, all’istruzione, alla ricerca, alla cultura e ai servizi pubblici essenziali, né attraverso un aumento diretto o indiretto dei carichi fiscali sul lavoro e sulle fasce sociali più deboli.

Piuttosto, si corre il serio pericolo che l’attuazione in Italia e in Europa delle cosiddette “politiche dei sacrifici” accentui ulteriormente il profilo della crisi, determinando una maggior velocità di crescita della disoccupazione, delle insolvenze e della mortalità delle imprese, e possa a un certo punto costringere alcuni Paesi membri a uscire dalla Unione monetaria europea.

Il punto fondamentale da comprendere è che l’attuale instabilità della Unione monetaria non rappresenta il mero frutto di trucchi contabili o di spese facili. Essa in realtà costituisce l’esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato dell’Unione e dall’orientamento di politica economica restrittiva dei Paesi membri caratterizzati da un sistematico avanzo con l’estero.

***

La crisi mondiale esplosa nel 2007-2008 è tuttora in corso. Non essendo intervenuti sulle sue cause strutturali, da essa non siamo di fatto mai usciti. Come è stato riconosciuto da più parti, questa crisi vede tra le sue principali spiegazioni un allargamento del divario mondiale tra una crescente produttività del lavoro e una stagnante o addirittura declinante capacità di consumo degli stessi lavoratori. Per lungo tempo questo divario è stato compensato da una eccezionale crescita speculativa dei valori finanziari e dell’indebitamento privato che, partendo dagli Stati Uniti, ha agito da stimolo per la domanda globale.

Vi è chi oggi confida in un rilancio della crescita mondiale basato su un nuovo boom della finanza statunitense. Scaricando sui bilanci pubblici un enorme cumulo di debiti privati inesigibili si spera di dare nuovo impulso alla finanza e al connesso meccanismo di accumulazione. Noi riteniamo che su queste basi una credibile ripresa mondiale sia molto difficilmente realizzabile, e in ogni caso essa risulterebbe fragile e di corto respiro. Al tempo stesso consideriamo illusorio auspicare che in assenza di una profonda riforma del sistema monetario internazionale la Cina si disponga a trainare la domanda globale, rinunciando ai suoi attivi commerciali e all’accumulo di riserve valutarie.

Siamo insomma di fronte alla drammatica realtà di un sistema economico mondiale senza una fonte primaria di domanda, senza una “spugna” in grado di assorbire la produzione.

L’irrisolta crisi globale è particolarmente avvertita nella Unione monetaria europea. La manifesta fragilità della zona euro deriva da profondi squilibri strutturali interni, la cui causa principale risiede nell’impianto di politica economica liberista del Trattato di Maastricht, nella pretesa di affidare ai soli meccanismi di mercato i riequilibri tra le varie aree dell’Unione, e nella politica economica restrittiva e deflazionista dei paesi in sistematico avanzo commerciale. Tra questi assume particolare rilievo la Germania, da tempo orientata al contenimento dei salari in rapporto alla produttività, della domanda e delle importazioni, e alla penetrazione nei mercati esteri al fine di accrescere le quote di mercato delle imprese tedesche in Europa. Attraverso tali politiche i paesi in sistematico avanzo non contribuiscono allo sviluppo dell’area euro ma paradossalmente si muovono al traino dei paesi più deboli. La Germania, in particolare, accumula consistenti avanzi commerciali verso l’estero, mentre la Grecia, il Portogallo, la Spagna e la stessa Francia tendono a indebitarsi. Persino l’Italia, nonostante una crescita modestissima del reddito nazionale, si ritrova ad acquistare dalla Germania più di quanto vende, accumulando per questa via debiti crescenti.

La piena mobilità dei capitali nell’area euro ha favorito enormemente il formarsi degli squilibri nei rapporti di credito e debito tra paesi. Per lungo tempo, sulla base della ipotesi di efficienza dei mercati, si è ritenuto che la crescita dei rapporti di indebitamento tra i paesi membri dovesse esser considerata il riflesso positivo di una maggiore integrazione finanziaria dell’area euro. Ma oggi è del tutto evidente che la presunta efficienza dei mercati finanziari non trova riscontro nei fatti e che gli squilibri accumulati risultano insostenibili.

Sono queste le ragioni di fondo per cui gli operatori sui mercati finanziari stanno scommettendo sulla deflagrazione della zona euro. Essi prevedono che per il prolungarsi della crisi le entrate fiscali degli Stati declineranno e i ricavi di moltissime imprese e banche si ridurranno ulteriormente. Per questa via, risulterà sempre più difficile garantire il rimborso dei debiti, sia pubblici che privati. Diversi paesi potrebbero quindi esser progressivamente sospinti al di fuori della zona euro, o potrebbero decidere di sganciarsi da essa per cercare di sottrarsi alla spirale deflazionista. Il rischio di insolvenza generalizzata e di riconversione in valuta nazionale dei debiti rappresenta pertanto la vera scommessa che muove l’azione degli speculatori. L’agitazione dei mercati finanziari verte dunque su una serie di contraddizioni reali. Tuttavia, è altrettanto vero che le aspettative degli speculatori alimentano ulteriormente la sfiducia e tendono quindi ad auto-realizzarsi. Infatti, le operazioni ribassiste sui mercati spingono verso l’alto il differenziale tra i tassi dcinteresse e i tassi di crescita dei redditi, e possono rendere improvvisamente insolventi dei debitori che precedentemente risultavano in grado di rimborsare i prestiti. Gli operatori finanziari, che spesso agiscono in condizioni non concorrenziali e tutt’altro che simmetriche sul piano della informazione e del potere di mercato, riescono quindi non solo a prevedere il futuro ma contribuiscono a determinarlo, secondo uno schema che nulla ha a che vedere con i cosiddetti ‘fondamentali’ della teoria economica ortodossa e i presunti criteri di efficienza descritti dalle sue versioni elementari.

***

In un simile scenario riteniamo sia vano sperare di contrastare la speculazione tramite meri accordi di prestito in cambio dell’approvazione di politiche restrittive da parte dei paesi indebitati. I prestiti infatti si limitano a rinviare i problemi senza risolverli. E le politiche di “austerità” abbattono ulteriormente la domanda, deprimono i redditi e quindi deteriorano ulteriormente la capacità di rimborso dei prestiti da parte dei debitori, pubblici e privati. La stessa, pur significativa svolta di politica monetaria della BCE, che si dichiara pronta ad acquistare titoli pubblici sul mercato secondario, appare ridimensionata dall’annuncio di voler “sterilizzare” tali operazioni attraverso manovre di segno contrario sulle valute o all’interno del sistema bancario.

Gli errori commessi sono indubbiamente ascrivibili alle ricette liberiste e recessive suggerite da economisti legati a schemi di analisi in voga in anni passati, ma che non sembrano affatto in grado di cogliere gli aspetti salienti del funzionamento del capitalismo contemporaneo.

E’ bene tuttavia chiarire che l’ostinazione con la quale si perseguono le politiche depressive non è semplicemente il frutto di fraintendimenti generati da modelli economici la cui coerenza logica e rilevanza empirica è stata messa ormai fortemente in discussione nell’ambito della stessa comunità accademica. La preferenza per la cosiddetta “austerità” rappresenta anche e soprattutto l’espressione di interessi sociali consolidati. Vi è infatti chi vede nell’attuale crisi una occasione per accelerare i processi di smantellamento dello stato sociale, di frammentazione del lavoro e di ristrutturazione e centralizzazione dei capitali in Europa. L’idea di fondo è che i capitali che usciranno vincenti dalla crisi potranno rilanciare l’accumulazione sfruttando tra l’altro una minor concorrenza sui mercati e un ulteriore indebolimento del lavoro.

Occorre comprendere che se si insiste nell’assecondare questi interessi non soltanto si agisce contro i lavoratori, ma si creano anche i presupposti per una incontrollata centralizzazione dei capitali, per una desertificazione produttiva del Mezzogiorno e di intere macroregioni europee, per processi migratori sempre più difficili da gestire, e in ultima istanza per una gigantesca deflazione da debiti, paragonabile a quella degli anni Trenta.

***

Il Governo italiano ha finora attuato una politica tesa ad agevolare questo pericoloso avvitamento deflazionistico. E le annunciate, ulteriori strette di bilancio, associate alla insistente tendenza alla riduzione delle tutele del lavoro, non potranno che provocare altre cadute del reddito, dopo quella pesantissima già fatta registrare dall’Italia nel 2009. Si tenga ben presente che sono altamente discutibili i presupposti scientifici in base ai quali si ritiene che attraverso simili politiche si migliora la situazione economica e di bilancio e quindi ci si salvaguarda da un attacco speculativo. Piuttosto, per questa via si rischia di alimentare la crisi, le insolvenze e quindi la speculazione.

Nemmeno si può dire che dalle opposizioni sia finora emerso un chiaro programma di politica economica alternativa. Una maggior consapevolezza della gravità della crisi e degli errori del passato va diffondendosi, ma si sono levate voci da alcuni settori dell’opposizione che suggeriscono prese di posizione contraddittorie e persino deteriori, come è il caso delle proposte tese a introdurre ulteriori contratti di lavoro precari o ad attuare massicci programmi di privatizzazione dei servizi pubblici. Gli stessi, frequenti richiami alle cosiddette “riforme strutturali” risultano controproducenti laddove, anzichè caratterizzarsi per misure tese effettivamente a contrastare gli sprechi e i privilegi di pochi, si traducono in ulteriori proposte di ridimensionamento dei diritti sociali e del lavoro.

Quale monito per il futuro, è opportuno ricordare che nel 1992 l’Italia fu sottoposta a un attacco speculativo simile a quelli attualmente in corso in Europa. All’epoca, i lavoratori italiani accettarono un gravoso programma di “austerità”, fondato soprattutto sulla compressione del costo del lavoro e della spesa previdenziale. All’epoca, come oggi, si disse che i sacrifici erano necessari per difendere la lira e l’economia nazionale dalla speculazione. Tuttavia, poco tempo dopo l’accettazione di quel programma, i titoli denominati in valuta nazionale subirono nuovi attacchi. Alla fine l’Italia uscì comunque dal Sistema Monetario Europeo e la lira subì una pesante svalutazione. I lavoratori e gran parte della collettività pagarono così due volte: a causa della politica di “austerità” e a causa dell’aumento del costo delle merci importate.
Va anche ricordato che, con la prevalente giustificazione di abbattere il debito pubblico in rapporto al Pil, negli anni passati è stato attuato nel nostro paese un massiccio programma di privatizzazioni. Ebbene, i peraltro modesti effetti sul debito pubblico di quel programma sono in larghissima misura svaniti a seguito della crisi, e le implicazioni in termini di posizionamento del Paese nella divisione internazionale del lavoro, di sviluppo economico e di benessere sociale sono oggi considerati dalla piu autorevole letteratura scientifica altamente discutibili.

***

Noi riteniamo dunque che le linee di indirizzo finora poste in essere debbano essere abbandonate, prima che sia troppo tardi.

Occorre prendere in considerazione l’eventualità che per lungo tempo non sussisterà una locomotiva in grado di assicurare una ripresa forte e stabile del commercio e dello sviluppo mondiale. Per evitare un aggravamento della crisi e per scongiurare la fine del progetto di unificazione europea è allora necessaria una nuova visione e una svolta negli indirizzi generali di politica economica. Occorre cioè che l’Europa intraprenda un autonomo sentiero di sviluppo delle forze produttive, di crescita del benessere, di salvaguardia dell’ambiente e del territorio, di equità sociale.

Affinchè una svolta di tale portata possa concretamente svilupparsi, è necessario in primo luogo dare respiro al processo democratico, è necessario cioè disporre di tempo. Ecco perchè in via preliminare proponiamo di introdurre immediatamente un argine alla speculazione. A questo scopo sono in corso iniziative sia nazionali che coordinate a livello europeo, ma i provvedimenti che si stanno ponendo in essere appaiono ancora deboli e insufficienti. Fermare la speculazione è senz’altro possibile, ma occorre sgombrare il campo dalle incertezze e dalle ambiguità politiche. Bisogna quindi che la BCE si impegni pienamente ad acquistare i titoli sotto attacco, rinunciando a “sterilizzare” i suoi interventi. Occorre anche istituire adeguate imposte finalizzate a disincentivare le transazioni finanziarie a breve termine ed efficaci controlli amministrativi sui movimenti di capitale. Se non vi fossero le condizioni per operare in concerto, sarà molto meglio intervenire subito in questa direzione a livello nazionale, con gli strumenti disponibili, piuttosto che muoversi in ritardo o non agire affatto.

L’esperienza storica insegna che per contrastare efficacemente la deflazione bisogna imporre un pavimento al tracollo del monte salari, tramite un rafforzamento dei contratti nazionali, minimi salariali, vincoli ai licenziamenti e nuove norme generali a tutela del lavoro e dei processi di sindacalizzazione. Soprattutto nella fase attuale, pensare di affidare il processo di distruzione e di creazione dei posti di lavoro alle sole forze del mercato è analiticamente privo di senso, oltre che politicamente irresponsabile.

In coordinamento con la politica monetaria, occorre sollecitare i Paesi in avanzo commerciale, in particolare la Germania, ad attuare opportune manovre di espansione della domanda al fine di avviare un processo di riequilibrio virtuoso e non deflazionistico dei conti con l’estero dei Paesi membri dell’Unione monetaria europea. I principali Paesi in avanzo commerciale hanno una enorme responsabilità, al riguardo. Il salvataggio o la distruzione della Unione dipenderà in larga misura dalle loro decisioni.

Bisogna istituire un sistema di fiscalità progressiva coordinato a livello europeo, che contribuisca a invertire la tendenza alla sperequazione sociale e territoriale che ha contribuito a scatenare la crisi. Occorre uno spostamento dei carichi fiscali dal lavoro ai guadagni di capitale e alle rendite, dai redditi ai patrimoni, dai contribuenti con ritenuta alla fonte agli evasori, dalle aree povere alle aree ricche dell’Unione.

Bisogna ampliare significativamente il bilancio federale dell’Unione e rendere possibile la emissione di titoli pubblici europei. Si deve puntare a coordinare la politica fiscale e la politica monetaria europea al fine di predisporre un piano di sviluppo finalizzato alla piena occupazione e al riequilibrio territoriale non solo delle capacità di spesa, ma anche delle capacità produttive in Europa. Il piano deve seguire una logica diversa da quella, spesso inefficiente e assistenziale, che ha governato i fondi europei di sviluppo. Esso deve fondarsi in primo luogo sulla produzione pubblica di beni collettivi, dal finanziamento delle infrastrutture pubbliche di ricerca per contrastare i monopoli della proprietà intellettuale, alla salvaguardia dell’ambiente, alla pianificazione del territorio, alla mobilità sostenibile, alla cura delle persone. Sono beni, questi, che inesorabilmente generano fallimenti del mercato, sfuggono alla logica ristretta della impresa capitalistica privata, ma al contempo risultano indispensabili per lo sviluppo delle forze produttive, per l’equità sociale, per il progresso civile.

Si deve disciplinare e restringere l’accesso del piccolo risparmio e delle risorse previdenziali dei lavoratori al mercato finanziario. Si deve ripristinare il principio di separazione tra banche di credito ordinario, che prestano a breve, e società finanziarie che operano sul medio-lungo termine.

Contro eventuali strategie di dumping e di “esportazione della recessione” da parte di paesi extra-Ume, bisogna contemplare un sistema di apertura condizionata dei mercati, dei capitali e delle merci. L’apertura può essere piena solo se si attuano politiche convergenti di miglioramento degli standard del lavoro e dei salari, e politiche di sviluppo coordinate.

***

Siamo ben consapevoli della distanza che sussiste tra le nostre indicazioni e l’attuale, tremenda involuzione del quadro di politica economica europea.
Siamo tuttavia del parere che gli odierni indirizzi di politica economica potrebbero rivelarsi presto insostenibili.

Se non vi saranno le condizioni politiche per l’attuazione di un piano di sviluppo fondato sugli obiettivi delineati, il rischio che si scateni una deflazione da debiti e una conseguente deflagrazione della zona euro sarà altissimo. Il motivo è che diversi Paesi potrebbero cadere in una spirale perversa, fatta di miopi politiche nazionali di ”austerità” e di conseguenti pressioni speculative. A un certo punto tali Paesi potrebbero esser forzatamente sospinti al di fuori della Unione monetaria o potrebbero scegliere deliberatamente di sganciarsi da essa per cercare di realizzare autonome politiche economiche di difesa dei mercati interni, dei redditi e dell’occupazione. Se così davvero andasse, è bene chiarire che non necessariamente su di essi ricadrebbero le colpe principali del tracollo della unità europea.

***

Simili eventualità ci fanno ritenere che non vi siano più le condizioni per rivitalizzare lo spirito europeo richiamandosi ai soli valori ideali comuni. La verità è che è in atto il più violento e decisivo attacco all’Europa come soggetto politico e agli ultimi bastioni dello Stato sociale in Europa. Ora più che mai, dunque, l’europeismo per sopravvivere e rilanciarsi dovrebbe caricarsi di senso, di concrete opportunità di sviluppo coordinato, economico, sociale e civile.

Per questo, occorre immediatamente aprire un ampio e franco dibattito sulle motivazioni e sulle responsabilità dei gravissimi errori di politica economica che si stanno compiendo, sui conseguenti rischi di un aggravamento della crisi e di una deflagrazione della zona euro e sulla urgenza di una svolta di politica economica europea.

Qualora le opportune pressioni che il Governo e i rappresentanti italiani delle istituzioni dovranno esercitare in Europa non sortissero effetti, la crisi della zona euro tenderà a intensificarsi e le forze politiche e le autorità del nostro Paese potrebbero esser chiamate a compiere scelte di politica economica tali da restituire all’Italia un’autonoma prospettiva di sostegno dei mercati interni, dei redditi e dell’occupazione.



Promotori dell’iniziativa sono Bruno Bosco (Università di Milano Bicocca), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Roberto Ciccone (Università Roma Tre), Riccardo Realfonzo (Università del Sannio) e Antonella Stirati (Università Roma Tre).

Adesioni: Nicola Acocella (Università di Roma ‘La Sapienza’), Roberto Artoni (Università Bocconi), Aldo Barba (Università di Napoli ‘Federico II’), Enrico Bellino (Università Cattolica di Milano), Sergio Beraldo (Università di Napoli ‘Federico II’), Paola Bertolini (Università di Modena e Reggio Emilia), Mario Biagioli (Università di Parma), Salvatore Biasco (Università di Roma ‘La Sapienza’), Adriano Birolo (Università di Padova), Giovanni Bonifati (Università di Modena e Reggio Emilia), Bruno Bosco (Università di Milano Bicocca), Paolo Bosi (Università di Modena e Reggio Emilia), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Katia Caldari (Università di Padova), Rosaria Rita Canale (Università Parthenope di Napoli), Francesco Carlucci (Università di Roma ‘La Sapienza’), Maurizio Caserta (Università di Catania), Duccio Cavalieri (Università di Firenze), Sergio Cesaratto (Università di Siena), Laura Chies (Università di Trieste), Guglielmo Chiodi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Roberto Ciccone (Università Roma Tre), Giorgio Colacchio (Università del Salento), Lilia Costabile (Università di Napoli ‘Federico II’), Francesco Crespi (Università Roma Tre), Carlo Devillanova (Università Bocconi), Carmela D’Apice (Università Roma Tre), Marcello De Cecco (Scuola Normale Superiore di Pisa), Pasquale De Muro (Università Roma Tre), Elina De Simone (Università Orientale di Napoli), Giancarlo De Vivo (Università di Napoli ‘Federico II’), Davide Di Laurea (ISTAT), Amedeo Di Maio (Università Orientale di Napoli), Antonio Di Majo (Università Roma Tre), Fernando Di Nicola (ISAE), Giuseppe Di Vita (Università di Catania), Leonardo Ditta (Università di Perugia), Sebastiano Fadda (Università Roma Tre), Riccardo Faucci (Università di Pisa), Alberto Feduzi (Università Roma Tre), Stefano Figuera (Università di Catania), Massimo Florio (Università di Milano), Giuseppe Fontana (Università del Sannio), Guglielmo Forges Davanzati (Università del Salento), Saverio Fratini (Università Roma Tre), Lia Fubini (Università di Torino), Stefania Gabriele (ISAE), Pierangelo Garegnani (Università Roma Tre), Adriano Giannola (Università di Napoli ‘Federico II’), Andrea Ginzburg (Università di Modena e Reggio Emilia), Enrico Giovannetti (Università di Modena e Reggio Emilia), Claudio Gnesutta (Università di Roma ‘La Sapienza’), Augusto Graziani (Università di Roma ‘La Sapienza’), Andrea Imperia (Università di Roma ‘La Sapienza’), Bruno Jossa (Università di Napoli ‘Federico II’), Paolo Leon (Università Roma Tre), Sergio Levrero (Università Roma Tre), Paolo Liberati (Università Roma Tre), Stefano Lucarelli (Università di Bergamo), Giorgio Lunghini (Università di Pavia), Vincenzo Maffeo (Università di Roma ‘La Sapienza’), Ugo Marani (Università di Napoli ‘Federico II’), Maria Cristina Marcuzzo (Università di Roma ‘La Sapienza’), Ferruccio Marzano (Università di Roma ‘La Sapienza’), Fabio Masini (Università Roma Tre), Giovanni Mazzetti (Università della Calabria), Luca Michelini (Università LUM), Salvatore Monni (Università Roma Tre), Mario Morroni (Università di Pisa), Marco Musella (Università di Napoli ‘Federico II’), Oreste Napolitano (Università di Napoli ‘Parthenope’), Sebastiano Nerozzi (Università Cattolica di Milano), Mario Nuti (Università di Roma ‘La Sapienza’), Guido Ortona (Università del Piemonte Orientale), Ugo Pagano (Università di Siena), Daniela Palma (ENEA), Antonella Palumbo (Università Roma Tre), Sergio Parrinello (Università di Roma ‘La Sapienza’), Marco Passarella (Università di Bergamo), Rosario Patalano (Università di Napoli ‘Federico II’), Stefano Perri (Università di Macerata), Cosimo Perrotta (Università del Salento), Fabio Petri (Università di Siena), Antonella Picchio (Università di Modena e Reggio Emilia), Marco Piccioni (Università di Napoli ‘Federico II’), Federico Pirro (Università di Bari), Massimo Pivetti (Università di Roma ‘La Sapienza’), Felice Roberto Pizzuti (Università di Roma ‘La Sapienza’), Elena Podrecca (Università di Trieste), Paolo Ramazzotti (Università di Macerata), Fabio Ravagnani (Università di Roma ‘La Sapienza’), Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), Angelo Reati (ISEG), Sergio Rossi (Università di Friburgo), Francesco Scacciati (Università di Torino), Giovanni Scarano (Università Roma Tre), Roberto Schiattarella (Università di Camerino), Ernesto Screpanti (Università di Siena), Annamaria Simonazzi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Riccardo Soliani (Università di Genova), Luca Spinesi (Università di Macerata), Antonella Stirati (Università Roma Tre), Francesca Stroffolini (Università di Napoli ‘Federico II’), Stefano Sylos Labini (ENEA), Valeria Termini (Università Roma Tre), Mario Tiberi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Guido Tortorella Esposito (Università del Sannio), Paolo Trabucchi (Università Roma Tre), Attilio Trezzini (Università Roma Tre), Pasquale Tridico (Università Roma Tre), Domenica Tropeano (Università di Macerata), Vittorio Valli (Università di Torino), Michelangelo Vasta (Università di Siena), Alessandro Vercelli (Università di Siena), Carmen Vita (Università del Sannio), Adelino Zanini (Politecnica delle Marche), Gennaro Zezza (Università di Cassino).

Fonte: Economia e politica (http://www.economiaepolitica.it/index.php/europa-e-mondo/lettera-degli-economisti/)

Tuls123
25-06-2010, 08:25
in guerra, se dopo un generale idiota arriva uno inteligente è la catastrofe :O
finiremo allo stesso modo. :O

Inugami
25-06-2010, 08:29
L’esperienza storica insegna che per contrastare efficacemente la deflazione bisogna imporre un pavimento al tracollo del monte salari, tramite un rafforzamento dei contratti nazionali, minimi salariali, vincoli ai licenziamenti e nuove norme generali a tutela del lavoro e dei processi di sindacalizzazione. Soprattutto nella fase attuale, pensare di affidare il processo di distruzione e di creazione dei posti di lavoro alle sole forze del mercato è analiticamente privo di senso, oltre che politicamente irresponsabile.

-comunisti
-le aziende non fanno beneficenza
-eeehh ma la competitività dove la mettiamo?
-sindacalisti catto-comunisti
-la pacchia è finita
-se non sei disposto al sacrificio per tenerti il lavoro cazzi tuoi ti meriti di finire in mezzo alla strada
-l'era dei privilegi è finita
-lavorate fannulloni
-sbattete i bamboccioni fuori di casa

;)

Ci faremo delle grasse risate quando i soldi delle famiglie finiranno e il reggimento dell'economia passerà in mano alla mia generazione con i suoi contratti a progetto bene che vada.
Delle grassissime risate quando cinesi e mussulmani(chiamiamoli così almeno i leghisti si spaventano pure di più) vari si compreranno l'italia a prezzo stracciato e cominceranno davvero ad imporci le loro volontà.

Oh almeno i bastardi senza morale come me rideranno,voi altri non so.:asd:

gbhu
25-06-2010, 08:41
Mi sembra quasi tutta gente che campa in gran parte sulle tasse dei cittadini. Mi pare ovvio che non vedano di buon occhio dei tagli della spesa pubblica che potrebbero andare a ridurre i loro lauti stipendi.

Per me si può anche non fare tagli, basta che:
1) Non vengano aumentate le tasse.
2) Non aumenti il debito pubblico (almeno il nostro in quanto è già abnorme, altri paese possono anche permettersi un aumento del debito).
3) Non aumenti il deficit restando il più possibile nei parametri previsti per la stabilità.
4) Non ci si avvicini ad un pericolo di default stile Grecia che rischi di devastare i risparmi di una vita di lavoro.

Se poi uno riesce a soddisfare tali requisiti anche raddoppiando i dipendenti pubblici e i loro stipendi, le sovvenzioni varie ai teatri e altre cose culturali o emene, etc... ben venga e faccia pure.

Ci sono altri economisti che invece giudicano favorevolmente le politiche restrittive e di risanamento che stanno cercando di realizzare alcuni paesi europei, quali Germania, Inghilterra e Italia, per dirne alcuni.
Anzi se altri, tipo Grecia o Irlanda, avessero intrapreso una politica saggia e di contenimento della spesa già 3 o 4 anni fa, adesso staremmo tutti meglio e più tranquilli.

iuccio
25-06-2010, 09:23
Diciamo che questi seguono molto l'idea Keynesiana dello Stato come generatore di domanda (per compensare la diminuzione di quella dei cittadini) nelle fasi di calo. Teoria che ha spesso fallito, creando appunto quei debiti mostruosi che ora appesantiscono i bilanci nazionali.
Tagliare quindi, secondo quest'ottica, genererebbe un effetto depressivo.
Siccome è anche probabile che abbiano ragione, credo che la soluzione sia non "tagliare" ma "eliminare gli sprechi" e poi investire i soldi risparmiati in attività che invece possano produrre benefici.

Per citare un esempio attualissimo, se usassero i soldi con cui mantengono le varie sedi delle Regioni all'Estero per dare invece dei servizi al turismo, si potrebbe sperare di avere più turisti, per più tempo e che spendano di più...
Si spenderebbero in entrambi i casi mettiamo 100 milioni di euro, ma nel secondo ne tornerebbero indietro 200 (e in più se ne sarebbero spesi 100, mantenendo elevata la domanda interna)

frankytop
25-06-2010, 09:28
:old:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-06-11/lettera-economisti-contro-politiche-182800.shtml?uuid=AYScO7xB&fromSearch

blamecanada
25-06-2010, 11:23
:old:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-06-11/lettera-economisti-contro-politiche-182800.shtml?uuid=AYScO7xB&fromSearch

Nessuno l'aveva pubblicato, e poi io l'ho letto solo oggi.

Inoltre non è mica una notizia di cronaca, non è che perché è di dieci giorni fa allora sia vecchio.

mixkey
25-06-2010, 11:32
Nessuno l'aveva pubblicato, e poi io l'ho letto solo oggi.

Inoltre non è mica una notizia di cronaca, non è che perché è di dieci giorni fa allora sia vecchio.

Un diplomato di 24 anni e' vecchio per il lavoro. Tutto invecchia facilmente oggi giorno.

blamecanada
25-06-2010, 11:33
Diciamo che questi seguono molto l'idea Keynesiana dello Stato come generatore di domanda (per compensare la diminuzione di quella dei cittadini) nelle fasi di calo.
L'impostazione di Realfonzo (uno dei promotori) è sicuramente keynesiana, probabilmente vale anche per gli altri.

Comunque sicuramente ci sono diversi sprechi che si potrebbero eliminare, dalle auto blu (21 miliardi di euro stimati), all'acquisto di 135 caccia bombardieri (15 miliardi di euro), etc.


Sui tagli io farei un discorso molto banale.

Se l'obiettivo è abbassare il debito, e si fanno dei tagli per 10, e questi tagli comportano una spirale depressiva che toglie entrate fiscali per 10 o piú, allora l'obiettivo non viene raggiunto. Quindi, non è una questione politica, ma semplicemente tecnica: i mezzi sono inadeguati allo scopo.

I soldi non si possono prendere dalle fasce deboli, perché sono quelle che hanno la maggior propensione al consumo, e quindi se hanno meno soldi consumano meno.
Al contrario le persone benestanti, se hanno meno soldi, si limitano a risparmiare di meno, lasciando tendenzialmente invariati i consumi.

Pertanto i soldi si possono prendere solo dai secondi, per un motivo strettamente tecnico, anche perché se si prendono i soldi ai primi, i secondi perderanno comunque soldi a causa della depressione.

Io credo che la tassazione delle rendite finanziarie, ed altre forme di fiscalità che limitino alcuni movimenti finanziari, oltre ad essere utile per le entrate, diminuirebbe la speculazione, con beneficio di tutti i comuni cittadini.

dave4mame
25-06-2010, 11:43
se se ne vuole discutere seriamente (per quanto si possa fare con le nostre conoscenze, che penso di poter dire a nome di tutti non sono sconfinate) si potrebbe anche cominciare a evitare di tirare fuori per l'ennesima volta la bufala delle auto blu...

iuccio
25-06-2010, 13:24
Beh, nella lettera parlano anche di spostare la tassazione dal lavoro ai capitali e dai redditi ai patrimoni.
Inoltre si dice anche di creare dei meccanismi che disincentivino gli investimenti finanziari a breve.

Posso dirlo? Propositi forse un po' di sinistra ma che personalmente condivido, almeno in parte. Come sempre, in medio stat virtus. Nel 1° caso, non vorrei che venisse disincentivato l'accumulo di capitale... rischieremmo di trovarci senza imprenditori :asd:

Il 2° invece mi trova più d'accordo, visto che spesso si tratta di manovre speculative... specialmente contando che il mercato degli strumenti finanziari era nato in origine per consentire alle imprese un più facile (e meno costoso) accesso al credito...

P.S. Forse sposterei questa discussione in Economia e Finanza

zerothehero
25-06-2010, 13:31
quoto.
Diamine..extraprofitti e salari fermi.
La ricetta per la deflagrazione.

lowenz
25-06-2010, 14:52
quando i soldi delle famiglie finiranno e il reggimento dell'economia passerà in mano alla mia generazione con i suoi contratti a progetto bene che vada.
Ci saranno molte persone arrabbiate e che non guarderanno più in faccia a niente e nessuno :D

gbhu
25-06-2010, 15:42
Diciamo che questi seguono molto l'idea Keynesiana dello Stato come generatore di domanda...
Sì certo.
Magari un pò funziona, ma non certo quando la maggior parte dei paesi si trova ad avere un debito pubblico enorme e sproporzionato rispetto alla ricchezza prodotta.
Altrimenti bastava dire alla Grecia di seguire l'idea keynesiana... anzi forse lo stavano già facendo anche troppo.

iuccio
25-06-2010, 15:57
Sì certo.
Magari un pò funziona, ma non certo quando la maggior parte dei paesi si trova ad avere un debito pubblico enorme e sproporzionato rispetto alla ricchezza prodotta.
Altrimenti bastava dire alla Grecia di seguire l'idea keynesiana... anzi forse lo stavano già facendo anche troppo.

Ma non potevi quotare anche il resto della mia frase, dove dicevo appunto quello che hai scritto? :mbe:

blamecanada
25-06-2010, 16:38
La Grecia non stava seguendo strategie keynesiane.

Non è che Keynes diceva di aumentare il debito pubblico a caso.


Il debito è ovvio sia un male, ma la depressione può essere un male peggiore del debito. È peggio pagare 10 di debito avendo 100, o dover pagare 9, ma avendo 80?
Quello che conta è il rapporto tra debito e PIL, ed una manovra di tagli può farlo aumentare, invece che diminuire, perché pur riducendosi il debito, si riduce pure il PIL.

In ogni caso, anche se il debito è un male, esistono modi e modi di gestirlo.
Ad esempio il Giappone, pur essendo piú indebitato della Grecia, non ha problemi di attacchi speculativi. La cosa è spiegata bene qui (http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Maggio-2010/pagina.php?cosa=1005lm04.01.html).

MesserWolf
25-06-2010, 17:01
1) la questione non è semplice e NESSUNO ha la ricetta in tasca
2) Le politiche keynesiane sono state pensate in altri tempi, in particolare quando non c'erano debiti sovrani della attuale entità (mostruosa). E inoltre è ragionevole credere che ormai i nostri tassi di crescita possano essere molto limitati. I paesi in via di sviluppo possono indebitarsi un po', noi temo di no ....
3) In europa la popolazione invecchia e diminuisce tendenzialmente , ergo ipotecare il futuro e caricarlo di debiti non funzionerebbe così bene (anche perchè ha già qualche dozzina di ipoteche visti i debiti attuali)
4) Una correzione del livello di indebitamente e della spese, vista l'entità e il momento economico a mio avviso è non solo necessario , ma auspicabile
5)Gli americani stanno sostenendo la spesa, ma loro hanno già uno stato più snello e efficiente del nostro.
6) aumentare il debito può causare un "effetto a catena" per cui veniamo degradati, il costo del debito sale, paghiamo più interessi e dobbiamo fare una manovra ancora più pesante, o peggio falliamo


Poi vabbè nell'ideale si tagliano gli sprechi e si mantengono gli investimenti per il futuro .... eh facile a dirsi meno a farsi, specie se c'è corruzione.

Ovviamente stringere troppo il rubinetto, quello si danneggerebbe ancora di più la crescita.

Cmq nel dibattito internazionale attuale onestamente ho sentito pochi (/nessuno) dire che i PIIGS non dovessero ridurre le spese. Discorso diverso per la Germania . La germania ha stretto i conti anche se non ne aveva bisogno, lei dice per eliminare sprechi che appesantivano la crescita e per mantenere il suo ruolo di "ancora" dell'europa, tuttavia, sono in molti a credere che lei, che se lo poteva permettere, doveva consumare di più aiutando così l'intera europa.


Secondo me Tremonti nella gestione della crisi ha operato generalmente bene, quello che però bisogna fare ora sono le RIFORME, le LIBERALIZZAZIONI, se non si fanno ora quando si faranno ?

Il federalismo fiscale se verrà fatto bene sarà già un passo avanti, ma in ogni caso ci sono mille cose da fare e da migliorare.

MesserWolf
25-06-2010, 17:08
L'impostazione di Realfonzo (uno dei promotori) è sicuramente keynesiana, probabilmente vale anche per gli altri.

Comunque sicuramente ci sono diversi sprechi che si potrebbero eliminare, dalle auto blu (21 miliardi di euro stimati), all'acquisto di 135 caccia bombardieri (15 miliardi di euro), etc.


Sui tagli io farei un discorso molto banale.

Se l'obiettivo è abbassare il debito, e si fanno dei tagli per 10, e questi tagli comportano una spirale depressiva che toglie entrate fiscali per 10 o piú, allora l'obiettivo non viene raggiunto. Quindi, non è una questione politica, ma semplicemente tecnica: i mezzi sono inadeguati allo scopo.

I soldi non si possono prendere dalle fasce deboli, perché sono quelle che hanno la maggior propensione al consumo, e quindi se hanno meno soldi consumano meno.
Al contrario le persone benestanti, se hanno meno soldi, si limitano a risparmiare di meno, lasciando tendenzialmente invariati i consumi.

Pertanto i soldi si possono prendere solo dai secondi, per un motivo strettamente tecnico, anche perché se si prendono i soldi ai primi, i secondi perderanno comunque soldi a causa della depressione.

Io credo che la tassazione delle rendite finanziarie, ed altre forme di fiscalità che limitino alcuni movimenti finanziari, oltre ad essere utile per le entrate, diminuirebbe la speculazione, con beneficio di tutti i comuni cittadini.

La tassazione per le persone benestanti è già a livello insostenibile , ed è una delle ragioni per cui si evade anche così tanto.
Tu vorresti addirittura aumentarla ?
Se uccidi il ceto medio , il paese muore.

le rendite finanziarie sono soldi su cui io ho già pagato le tasse nel momento del reddito, ci pago le tasse sul risparmio e se voglio investire in capitale di RISCHIO, promuovendo così l'economia (sai non è solo la domanda che promuove l'economia, anche gli investimenti ) devo essere tassato di nuovo ??

Per ridurre le speculazioni si possono regolamentare diversamente operazioni come il short selling e alcuni prodotti derivati, non occorre tassare i soliti

Мир
25-06-2010, 17:40
La tassazione per le persone benestanti è già a livello insostenibile , ed è una delle ragioni per cui si evade anche così tanto.
Tu vorresti addirittura aumentarla ?
Se uccidi il ceto medio , il paese muore.

le rendite finanziarie sono soldi su cui io ho già pagato le tasse nel momento del reddito, ci pago le tasse sul risparmio e se voglio investire in capitale di RISCHIO, promuovendo così l'economia (sai non è solo la domanda che promuove l'economia, anche gli investimenti ) devo essere tassato di nuovo ??

Per ridurre le speculazioni si possono regolamentare diversamente operazioni come il short selling e alcuni prodotti derivati, non occorre tassare i soliti

Sono abbastanza d'accordo, tranne sul fato che certe rendite finanziarie, rientrate con lo scudo fiscale (per es.), non hanno pagato le tasse.
Quanto all'evasione dovrebbe essere, comunque e a prescindere, combattuta. Mi dà enormemente fastidio vedere gente che va in giro con il BMW X6 o la Porsche Cayenne ed allo stesso tempo non paga il ticket sanitario...

blamecanada
25-06-2010, 17:49
La tassazione per le persone benestanti è già a livello insostenibile , ed è una delle ragioni per cui si evade anche così tanto.
Tu vorresti addirittura aumentarla ?
Se uccidi il ceto medio , il paese muore.
Servono dei soldi, da qualche parte vanno presi.
Fermo restando che la priorità va agli sprechi ed alle spese inutili o poco utili, bisogna prenderli alle fasce deboli o a quelle benestanti.
Se si prendono alle fasce deboli, però, si deprimono i consumi.
Non resta che prenderli alle fasce benestanti.

Fermo restando che se soltanto si facesse una seria lotta all'evasione fiscale (come si vede in un'altra discussione: gioiellieri che guadagnano 14000 euro l'anno, gestori di discoteche che ne guadagnano 5.800, etc.), il problema non ci sarebbe.

iuccio
25-06-2010, 18:04
La tassazione per le persone benestanti è già a livello insostenibile , ed è una delle ragioni per cui si evade anche così tanto.
Tu vorresti addirittura aumentarla ?
Se uccidi il ceto medio , il paese muore.

le rendite finanziarie sono soldi su cui io ho già pagato le tasse nel momento del reddito, ci pago le tasse sul risparmio e se voglio investire in capitale di RISCHIO, promuovendo così l'economia (sai non è solo la domanda che promuove l'economia, anche gli investimenti ) devo essere tassato di nuovo ??

Per ridurre le speculazioni si possono regolamentare diversamente operazioni come il short selling e alcuni prodotti derivati, non occorre tassare i soliti

Ti faccio notare che lì si parlava non di tassare ANCHE i patrimoni (oltre ai redditi), ma di SPOSTARE la tassazione dai redditi ai patrimoni (ovvio, non al 100%). In questo modo si preserverebbe il principio di una sola tassa.

Per quanto riguarda gli investimenti in capitale di rischio, puoi sempre puntare sulle attività produttive... neanche un pazzo farebbe una legge sui patrimoni che non preservasse gli investimenti in attività che producono valore...

superanima
25-06-2010, 19:30
Bello venire qua a giocare al Bravo economista, e poi quando si tratta di accettare un accordo come quello per Pomigliano, rispondere "no grazie".
E accusare Fiat per sovvenzioni pubbliche di 10 anni fa, che servivano proprio a finanziare lo sviluppo industriale in quelle famose aree depresse descritte sopra.

superanima
25-06-2010, 20:15
in guerra, se dopo un generale idiota arriva uno inteligente è la catastrofe :O
finiremo allo stesso modo. :O

:confused:

dave4mame
25-06-2010, 20:27
[LIST]
2) Le politiche keynesiane sono state pensate in altri tempi, in particolare quando non c'erano debiti sovrani della attuale entità (mostruosa).

occhio, perchè su questa affermazione ho fatto di recente una figura barbina...

MesserWolf
25-06-2010, 20:52
occhio, perchè su questa affermazione ho fatto di recente una figura barbina...

erano elevati come adesso ? davo per scontato di no . beh però rimane valido che c'era un potenziale di crescita maggiore, ora tale potenziale appartiene alla cina.

dave4mame
25-06-2010, 21:05
erano elevati come adesso ? davo per scontato di no . beh però rimane valido che c'era un potenziale di crescita maggiore, ora tale potenziale appartiene alla cina.

a logica lo davo per scontato anch'io; ma, almeno post '29, sbagliavo....