Dream_River
17-06-2010, 18:08
Good morning Mrs Thatcher
Se nel 1847 lo spettro che si aggirava per l'Europa era quello del comunismo, come recita l'arcinoto esordio del Manifesto di Marx e Engels, oggi è quello di Margaret Thatcher che ispira i capi di Stato riuniti a Bruxelles, la Commissione Ue e la Banca centrale di Francoforte. Non ingannino le dichiarazioni populiste sulla tassazione delle banche e su quella delle transazioni finanziarie (che difficilmente, peraltro, vedrà la luce). Si tratta di operazioni gattopardesche, anzi peggio, perché se il principe di Salina affermava "Bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'è", i leader europei vogliono invece che tutto cambi in senso fortemente conservatore.
Che significato può avere, mentre i paesi dell'eurozona varano manovre restrittive che valgono complessivamente 300 miliardi di euro, continuare a ripetere che "gli aggiustamenti di bilancio non devono andare a scapito della crescita"? Sembra un ossimoro, quella figura retorica che unisce due termini in forte antitesi tra loro. Come "nano gigante", per esempio, o "triste felicità", che è forse quello che meglio si attaglia a questo caso. Purtroppo invece non è un gioco di parole, ma una dichiarazione programmatica. Come dice - anzi ripete - il Bollettino della Bce, "le contrattazioni salariali dovrebbero consentire un opportuno aggiustamento dei salari alle condizioni di competitività e di disoccupazione". Non dice soltanto questo, naturalmente, ma se si dovesse scegliere
una frase-chiave per simboleggiare la filosofia di quello che i leader europei chiamano "risanamento", ebbene, questa frase appare particolarmente adatta. Perché spiega che il conto della crisi deve essere pagato riportando indietro l'orologio della storia, riducendo i diritti dei lavoratori e il sostegno dello Stato sociale. La crescita, dicono i Potenti europei, deve essere salvaguardata grazie alle "riforme strutturali", e la maggior parte di queste riforme va a colpire la parte più debole della società. Resta da capire a cosa mai possa servire la crescita, se comporta un peggioramento delle condizioni della maggior parte dei cittadini.
E' una strada obbligata, dicono ancora i leader europei. Se non si fa così il Mercato, quello con la "mano invisibile che non sbaglia mai", attaccherà i paesi indebitati e li costringerà alla resa uno per uno. Meglio qualche sacrificio che il disastro.
Ma come mai gli Stati sono vicini alla bancarotta e il Mercato dispone di mezzi illimitati per attaccarli? Chi gli fornisce questi mezzi? Semplice: glieli forniscono gli Stati stessi, con le loro Banche centrali che mantengono i tassi d'interesse addirittura negativi (cioè, si guadagna a indebitarsi!) e finanziano le banche - e per questa via i grandi operatori finanziari ad esse collegati - senza alcun limite quantitativo. Una misura inevitabile, si dice, per evitare la paralisi di tutta l'economia. Vero. Ma che c'entra l'economia reale, quella delle imprese e dei consumatori, con le grandi speculazioni finanziarie?
Il modo per dividere le due cose ci sarebbe ed è noto a tutti. Bisogna tornare a una separazione tra l'attività bancaria in senso proprio e l'attività di chi vuole fare soldi investendo sui mercati finanziari (non c'è neanche bisogno di usare il termine "speculatori", che spesso ha assunto un significato moralistico). E' quello che in America ha proposto Paul Volcker, il "grande vecchio" ex presidente della Federal Reserve prima delle follie della deregulation. La Volcker rule è presente nella legge di riforma della finanza, ma solo in uno dei due diversi testi approvati da Camera e Senato. Ora, com'è noto, è in corso il processo per unificare i due testi. Passerà la Volcker rule? Michele Boldrin, economista che insegna a St. Louis, si dichiara pessimista. "Temo proprio di no. E' troppo forte l'infuenza delle grandi banche sull'amministrazione Obama, in particolare su Larry Summers e il segretario al Tesoro Tim Geithner". Boldrin aggiunge una nota abbastanza sorprendente: "A sostenere questa misura sono quasi soltanto i presidenti delle Fed regionali più liberisti: Minneapolis, St. Louis, Philadelphia, Richmond...". Evidentemente anche i liberisti seri sono d'accordo sul fatto che questa commistione di attività è deleteria.
In America, almeno, si discute del problema. In Europa invece una ipotesi del genere è del tutto assente dal dibattito. Ci si gingilla con la tassa sulle banche, uno sciocchezza che farebbe comunque recuperare solo in minima parte i soldi impegnati a carico della collettività, cioè di quegli stessi cittadini a cui si chiedono pesanti sacrifici.
Una ricetta, dunque, di chiara impronta neo-conservatrice. Ce ne sono di alternative? Alcune le hanno proposte proprio in questi giorni cento economisti in una lettera-manifesto che denuncia come queste scelte siano sbagliate, anche ai fini del rilancio dell'economia. Non li ascolteranno. Ci aspettano anni molto duri.
http://www.repubblica.it/economia/2010/06/17/news/good_morning_mrs_thatcher-4917618/?ref=HREC1-2
Se nel 1847 lo spettro che si aggirava per l'Europa era quello del comunismo, come recita l'arcinoto esordio del Manifesto di Marx e Engels, oggi è quello di Margaret Thatcher che ispira i capi di Stato riuniti a Bruxelles, la Commissione Ue e la Banca centrale di Francoforte. Non ingannino le dichiarazioni populiste sulla tassazione delle banche e su quella delle transazioni finanziarie (che difficilmente, peraltro, vedrà la luce). Si tratta di operazioni gattopardesche, anzi peggio, perché se il principe di Salina affermava "Bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'è", i leader europei vogliono invece che tutto cambi in senso fortemente conservatore.
Che significato può avere, mentre i paesi dell'eurozona varano manovre restrittive che valgono complessivamente 300 miliardi di euro, continuare a ripetere che "gli aggiustamenti di bilancio non devono andare a scapito della crescita"? Sembra un ossimoro, quella figura retorica che unisce due termini in forte antitesi tra loro. Come "nano gigante", per esempio, o "triste felicità", che è forse quello che meglio si attaglia a questo caso. Purtroppo invece non è un gioco di parole, ma una dichiarazione programmatica. Come dice - anzi ripete - il Bollettino della Bce, "le contrattazioni salariali dovrebbero consentire un opportuno aggiustamento dei salari alle condizioni di competitività e di disoccupazione". Non dice soltanto questo, naturalmente, ma se si dovesse scegliere
una frase-chiave per simboleggiare la filosofia di quello che i leader europei chiamano "risanamento", ebbene, questa frase appare particolarmente adatta. Perché spiega che il conto della crisi deve essere pagato riportando indietro l'orologio della storia, riducendo i diritti dei lavoratori e il sostegno dello Stato sociale. La crescita, dicono i Potenti europei, deve essere salvaguardata grazie alle "riforme strutturali", e la maggior parte di queste riforme va a colpire la parte più debole della società. Resta da capire a cosa mai possa servire la crescita, se comporta un peggioramento delle condizioni della maggior parte dei cittadini.
E' una strada obbligata, dicono ancora i leader europei. Se non si fa così il Mercato, quello con la "mano invisibile che non sbaglia mai", attaccherà i paesi indebitati e li costringerà alla resa uno per uno. Meglio qualche sacrificio che il disastro.
Ma come mai gli Stati sono vicini alla bancarotta e il Mercato dispone di mezzi illimitati per attaccarli? Chi gli fornisce questi mezzi? Semplice: glieli forniscono gli Stati stessi, con le loro Banche centrali che mantengono i tassi d'interesse addirittura negativi (cioè, si guadagna a indebitarsi!) e finanziano le banche - e per questa via i grandi operatori finanziari ad esse collegati - senza alcun limite quantitativo. Una misura inevitabile, si dice, per evitare la paralisi di tutta l'economia. Vero. Ma che c'entra l'economia reale, quella delle imprese e dei consumatori, con le grandi speculazioni finanziarie?
Il modo per dividere le due cose ci sarebbe ed è noto a tutti. Bisogna tornare a una separazione tra l'attività bancaria in senso proprio e l'attività di chi vuole fare soldi investendo sui mercati finanziari (non c'è neanche bisogno di usare il termine "speculatori", che spesso ha assunto un significato moralistico). E' quello che in America ha proposto Paul Volcker, il "grande vecchio" ex presidente della Federal Reserve prima delle follie della deregulation. La Volcker rule è presente nella legge di riforma della finanza, ma solo in uno dei due diversi testi approvati da Camera e Senato. Ora, com'è noto, è in corso il processo per unificare i due testi. Passerà la Volcker rule? Michele Boldrin, economista che insegna a St. Louis, si dichiara pessimista. "Temo proprio di no. E' troppo forte l'infuenza delle grandi banche sull'amministrazione Obama, in particolare su Larry Summers e il segretario al Tesoro Tim Geithner". Boldrin aggiunge una nota abbastanza sorprendente: "A sostenere questa misura sono quasi soltanto i presidenti delle Fed regionali più liberisti: Minneapolis, St. Louis, Philadelphia, Richmond...". Evidentemente anche i liberisti seri sono d'accordo sul fatto che questa commistione di attività è deleteria.
In America, almeno, si discute del problema. In Europa invece una ipotesi del genere è del tutto assente dal dibattito. Ci si gingilla con la tassa sulle banche, uno sciocchezza che farebbe comunque recuperare solo in minima parte i soldi impegnati a carico della collettività, cioè di quegli stessi cittadini a cui si chiedono pesanti sacrifici.
Una ricetta, dunque, di chiara impronta neo-conservatrice. Ce ne sono di alternative? Alcune le hanno proposte proprio in questi giorni cento economisti in una lettera-manifesto che denuncia come queste scelte siano sbagliate, anche ai fini del rilancio dell'economia. Non li ascolteranno. Ci aspettano anni molto duri.
http://www.repubblica.it/economia/2010/06/17/news/good_morning_mrs_thatcher-4917618/?ref=HREC1-2