View Full Version : Paura per la Spagna. Banche europee esposte per 600 miliardi.
frankytop
14-06-2010, 14:41
Prima la Grecia, poi la Spagna. Dopo il maxi-piano di salvataggio per salvare l'economia ellenica e per stabilizzare l'Eurozona, l'Unione europea potrebbe varare in settimana un nuovo piano finanziario. Questa volta per soccorrere i conti del paese iberico. L'allarme – di cui si vocifera da giorni anche se a Bruxelles smentiscono – è ufficialmente scattato questa mattina sulla prima pagina del "Frankfurter Allgemeine Zeitung" (Faz) che titola "Paura per la Spagna". Il quotidiano indica di aver appreso da fonti governative tedesche che la situazione delle finanze spagnole «si è così aggravata che gli Stati dell'Ue non possono aspettare il vertice europeo di giovedì prossimo».
Ad aggravare il quadro sarebbe lo stato di salute delle banche spagnole, che potrebbe essere compressa da crediti deteriorati al settore immobiliare.
Trichet. Secondo il quotidiano tedesco «il presidente della Commissione europea, Barroso, ed il presidente della Bce, Trichet, sono preoccupati per la situazione delle banche spagnole e sono favorevoli ad un aiuto dei partner europei».
Le banche più esposte. L'esposizione del settore bancario dell'Eurozona in Spagna è di 602 miliardi di euro, mentre quello in Grecia, Portogallo e Irlanda assieme ammonta a 705 miliardi: lo riferisce l'ultimo rapporto della Banca dei regolamenti internazionali (Bri) citato da El Pais, dal quale emerge che l'esposizione delle banche italiane nei confronti della Spagna è inferiore ai 50 miliardi di dollari. Nei 602 miliardi rientrano i prestiti concessi dalle banche della zona euro al settore pubblico e quello privato imprenditoriale e finanziario. Tra le banche con più esposizione in Spagna vi sono quelle francesi (206 miliardi) seguite dalle tedesche (167 miliardi) e - a differenza di quel che succede in Grecia, Portogallo e Irlanda - anche quelle Usa, con crediti per 140 miliardi, maggiori di quelli concessi dal settore bancario britannico (115 miliardi ). In totale, l'esposizione ai quattro paesi più colpiti alla pressione dei mercati - Grecia Portogallo, Irlanda e Spagna - si concentra per un 61% nei paesi dell'eurozona, in che rende più probabili le possibilità di contagio in caso di default di uno dei quattro.
L'impatto sull'economia europea. La Faz scrive che «una crisi della Spagna sarebbe più difficile da superare per l'Europa rispetto a quella greca, poichè questa contribuisce solo con il 2,5% al totale del Pil europeo, mentre la percentuale della Spagna è di quasi il 12 per cento».
Le smentite. La Spagna ha però smentito. Il vice ministro delle Finanze spagnolo, Carlos Ocana, ha affermanto che la Spagna non sta chiedendo alcun tipo di finanziamento all'Unione europea aggiungendo che Madrid «non ha assolutamente alcun problema» a ripagare il proprio debito. Anche la Commissione europea smentisce le indiscrezioni pubblicate dalla Faz definendole «pure speculazioni». Secondo il portavoce del commissario Ue agli Affari Economici e Monetari Olli Rehn «non esiste alcuna richiesta di assistenza finanziaria da parte di alcun paese. Pochi giorni fa - ha aggiunto il portavoce - è stato messo a punto un meccanismo che in caso di necessità garantirà la stabilità finanziaria della zona euro. Ma finora nessun governo ha chiesto di ricorrervi. Dunque - ha concluso - non c'è nessun preparativo per nessuno Stato».
Record per i depositi overnight. La tensione sui debiti sovrani dell'Ue emerge anche dall'andamento dei depositi "overnight" delle banche dell'eurozona presso lo sportello della Bce che hanno toccato il nuovo massimo storico. Secondo il rapporto della Bce i depositi hanno raggiunto oggi la cifra di 384,26 miliardi (365,90 miliardi tra giovedì e venerdì) di euro. Nel frattempo sono crollati i prestiti, a 367 milioni da 735 milioni. Gli acquisti di covered bond sono rimasti sostanzialmente stabili (56,71 miliardi).
Il Sole 24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2010-06-14/spagna-paura-pronta-secondo-101400.shtml?uuid=AYiSiRyB)
Bene.:rolleyes:
Qui un giorno o l'altro crolla tutto.
ConteZero
14-06-2010, 14:53
Un giornale dice...
...ha appreso da una fonte governativa anonima...
...gravi da non poter aspettare il vertice...
...forza, chi è che vuole comprarsi il SUV ?
MadJackal
14-06-2010, 14:53
E' il capitalismo, bellezza. :D
frankytop
14-06-2010, 15:06
E' il capitalismo, bellezza. :D
E' il capitalismo non sufficientemente e opportunamente regolamentato in alcuni settori e soprattutto c'è una spesa sociale che non ci possiamo permettere vista l'entità dei debiti sovrani.
Puoi sempre andare a Cuba nella Korea del Nord se ti aggrada di restare qua,io non ti trattengo...:D
MadJackal
14-06-2010, 15:19
E' il capitalismo non sufficientemente e opportunamente regolamentato in alcuni settori e soprattutto c'è una spesa sociale che non ci possiamo permettere vista l'entità dei debiti sovrani.
Puoi sempre andare a Cuba nella Korea del Nord se ti aggrada di restare qua,io non ti trattengo...:D
Ma il nostro non è capitalismo come lo vogliono i capitalisti (si legga, come fanno negli USA). Ed il problema, guarda caso, sono proprio quei settori poco regolamentati. Che roba strana, eh? :D
La Spagna soffre da tempo di una bolla speculativa immobiliare che prima o poi deve venire a galla, tutti quegli invenduti che non portano alcun ritorno di cassa nelle banche non si possono nascondere sotto il tappeto!
Quanto all'euro non mi da molta fiducia........è la sola moneta al mondo a non avere dietro uno stato cioè una amministrazione economico-finanziaria unica ma tanti statarelli variegati con interessi contrapposti, finché l'economia mondiale era forte e tirava anche l'euro andava e andava tanto bene che gli stati arabi avevano proposto di sostituirlo al $.
Alla prima crisi seria l'euro ha retto male non avendo alcuno strumento per reagire con tempestività né lo avrà a breve e cosa possa ancora succedere non ci è dato di sapere............tutti 'sti maghi della finanza e dell'economia mi pare brancolino nel buio e navighino a vista :(
ConteZero
14-06-2010, 16:34
E' il capitalismo non sufficientemente e opportunamente regolamentato in alcuni settori e soprattutto c'è una spesa sociale che non ci possiamo permettere vista l'entità dei debiti sovrani.
Puoi sempre andare a Cuba nella Korea del Nord se ti aggrada di restare qua,io non ti trattengo...:D
SOCIALISTA!
MadJackal
14-06-2010, 18:35
SOCIALISTA!
Eddaie, ed io che volevo farcelo arrivare da solo :asd:
frankytop
14-06-2010, 18:51
SOCIALISTA!
Ma socialista di che...:asd:
Eddaie, ed io che volevo farcelo arrivare da solo :asd:
Ma arrivare dove....:asd:
Ma va la.:ciapet:
Dream_River
14-06-2010, 19:01
E' il capitalismo non sufficientemente e opportunamente regolamentato
Se fosse regolamentato non sarebbe capitalismo, prova ad andare a dire a qualche capitalista "Sai, la tua costante ricerca di un accumulo spasmodico di capitale sta rovinando il mio paese ambientalmente, socialmente ed economicamente. Che ne dici quindi se ti impongo di rispettare alcuni regoline?"
Se sei fortunato ti darà qualche "suggerimento" su come capitalizzare i tuoi orifizi:O
SOCIALISTA!
*
Questo comunque la dice lunga come anche da noi lo "spauracchio socialismo" abbia attecchito
frankytop
14-06-2010, 19:10
Se fosse regolamentato non sarebbe capitalismo, prova ad andare a dire a qualche capitalista "Sai, la tua costante ricerca di un accumulo spasmodico di capitale sta rovinando il mio paese ambientalmente, socialmente ed economicamente. Che ne dici quindi se ti impongo di rispettare alcuni regoline?"
Se sei fortunato ti darà qualche "suggerimento" su come capitalizzare i tuoi orifizi:O
*
Questo comunque la dice lunga come anche da noi lo "spauracchio socialismo" abbia attecchito
Il capitalismo è un giardino curato fatto di regole e vincoli,non è una selva oscura(dove nel mezzo del cammin non c'entra un tubo..:asd:) in cui il predatore più forte può fare terra bruciata aspirando ad un regime di monopolio.
Non confondiamo il capitalismo con l'assenza di regole e di una buona gestione;inoltre il costo dello stato è un altro capitolo che attiene alla buona gestione delle risorse,che non c'entra niente con il discorso dei vincoli del capitalismo.
Paura... allarme, emergenza !!!
.
scorpionkkk
14-06-2010, 19:31
Il capitalismo è un giardino curato fatto di regole e vincoli,non è una selva oscura(dove nel mezzo del cammin non c'entra un tubo..:asd:) in cui il predatore più forte può fare terra bruciata aspirando ad un regime di monopolio.
.
Ah no? allora non dovrebbe farci paura il fatto che una semplice notizia , tra l'altro neanche confermata, contribuisca a spostare capitali e a creare thread allarmistici. (Cose prettamente sintomatiche di un capitalismo malato che fa capitale senza produzione ma solo finanziariamente)
Non :mc: please
superanima
14-06-2010, 22:39
Cose prettamente sintomatiche di un capitalismo malato che fa capitale senza produzione ma solo finanziariamente
Non :mc: please
E tu ritieni sbagliato che molti pensionati possano trarre guadagno dai loro risparmi investiti in titoli o in azioni? Meglio, credi, che si arrangino a campare solo con la pensione?
^TiGeRShArK^
14-06-2010, 22:43
E' il capitalismo non sufficientemente e opportunamente regolamentato in alcuni settori e soprattutto c'è una spesa sociale che non ci possiamo permettere vista l'entità dei debiti sovrani.
Puoi sempre andare a Cuba nella Korea del Nord se ti aggrada di restare qua,io non ti trattengo...:D
ci sono anche paesi più seri e più vicini che valorizzano l'operato degli impiegati. :)
Io guadagno decisamente di + di quanto guadagnavo in italia, e, se tutto va secondo i piani, l'anno prossimo compro casa. :)
Dream_River
14-06-2010, 22:57
Il capitalismo è un giardino curato fatto di regole e vincoli,non è una selva oscura(dove nel mezzo del cammin non c'entra un tubo..:asd:) in cui il predatore più forte può fare terra bruciata aspirando ad un regime di monopolio.
Non confondiamo il capitalismo con l'assenza di regole e di una buona gestione
Il capitalismo di per se non è altro che sostenere che il migliore mezzo produttivo sia l'accumulo di capitale stesso, e non è un caso che i capitalisti nella quasi totalità sostengano il pensiero neo-liberista che vuole ridurre il più possibile (se non a zero, nel caso del pensiero oggettivista) l'interferenza dello stato nell'economia
Che lo stato debba intervenire nell'economia è una convinzione tipicamente socialista e marxista (pensieri divisi principalmente dal "modus operandi" che lo stato dovrebbe seguire nei confronti dell'economia)
A discapito delle tua allergia a tutto ciò che sia di sinistra, sostenere che il capitalismo vada "tenuto in ordine" da un sistema di regole che lo sfruttino come motore del progresso prima di tutto sociale e il marxismo
inoltre il costo dello stato è un altro capitolo che attiene alla buona gestione delle risorse,che non c'entra niente con il discorso dei vincoli del capitalismo.
Questo sicuramente, infatti sarei curioso di vedere la tua reazione di fronte ad un vero economista di destra che ti viene a dire "No ma guarda, se i cinesi primeggiano sul tuo mercato è perché loro hanno uno stato molto migliore a far evolvere l'industria, quindi è ovvio che voi che siete i meno adatti ad affrontare la sfida del mercato o vi adeguate al loro standard lavorativi o periate":asd:
marcolinuz
15-06-2010, 08:23
E' il capitalismo, bellezza. :D
Quando ci sono banche tanto grandi che si dice non possono fallire, quando tali banche hanno più potere degli Stati, quando manca una vera concorrenza non si può parlare di capitalismo.
MadJackal
15-06-2010, 10:46
Il capitalismo è un giardino curato fatto di regole e vincoli,non è una selva oscura(dove nel mezzo del cammin non c'entra un tubo..:asd:) in cui il predatore più forte può fare terra bruciata aspirando ad un regime di monopolio.
Non confondiamo il capitalismo con l'assenza di regole e di una buona gestione;inoltre il costo dello stato è un altro capitolo che attiene alla buona gestione delle risorse,che non c'entra niente con il discorso dei vincoli del capitalismo.
Regole e vincoli imposte da chi? Dagli stati? Da organismi sovranazionali controllati politicamente?
Se la risposta è sì, sei proprio un socialista - se non lo sapevi, ora lo sai :D
La spiegazione approfondita te l'ha già fornita Dream, ma io ribadisco, eh! :D
frankytop
15-06-2010, 11:00
Regole e vincoli imposte da chi? Dagli stati? Da organismi sovranazionali controllati politicamente?
Se la risposta è sì, sei proprio un socialista - se non lo sapevi, ora lo sai :D
La spiegazione approfondita te l'ha già fornita Dream, ma io ribadisco, eh! :D
Ehm....fatti una ricerchina sulla distinzione tra capitalismo e modelli liberali,sai il welfare,la tassazione,i criteri di ridistribuzione del reddito non intaccano minimamente la struttura su cui si basa il capitalismo ma determina in generale quanta ricchezza prodotta rimene per te e quali servizi lo stato offre.
Il neoliberismo è solo una dottrina che rivendica dei principi su questi punti,il socialismo fa altrettanto,tuttavia se uno non è un ultraliberista o un neoliberista non vuol dire che sia per esclusione un socialista. :)
Il mondo reale non è implementato su una logica booleana. :cool:
El Macho
15-06-2010, 11:08
E' il capitalismo, bellezza. :D
Ah beh... :nera: :nera: :nera:
frankytop ma come fai a resistere? :cry:
MadJackal
15-06-2010, 11:10
Ehm....fatti una ricerchina sulla distinzione tra capitalismo e modelli liberali,sai il welfare,la tassazione,i criteri di ridistribuzione del reddito non intaccano minimamente la struttura su cui si basa il capitalismo ma determina in generale quanta ricchezza prodotta rimene per te e quali servizi lo stato offre.
Il neoliberismo è solo una dottrina che rivendica dei principi su questi punti,il socialismo fa altrettanto,tuttavia se uno non è un ultraliberista o un neoliberista non vuol dire che sia per esclusione un socialista. :)
Il mondo reale non è implementato su una logica booleana. :cool:
Io non sto parlando di welfare, tassazione, criteri di ridistribuzione del reddito, franky. :D
Quello di cui parlo io sono le regole ed i vincoli del giardino curato. C'è chi non li vuole e c'è chi li vuole - e tu li vuoi, mi pare di capire, giusto? Pensa un pò, l'evoluzione massima delle regole nella creazione di capitale è stata applicata in diverse dittature dette Komuniste e che tu sembri odiare tanto: si chiama economia pianificata.
MadJackal
15-06-2010, 11:17
Ah beh... :nera: :nera: :nera:
frankytop ma come fai a resistere? :cry:
Che ne so, magari si diverte come mi diverto io :D
frankytop
15-06-2010, 11:19
Io non sto parlando di welfare, tassazione, criteri di ridistribuzione del reddito, franky. :D
Quello di cui parlo io sono le regole ed i vincoli del giardino curato. C'è chi non li vuole e c'è chi li vuole - e tu li vuoi, mi pare di capire, giusto?
Mi spiace,ma non puoi identificare come sistema socialista un mercato che preveda delle regole per il suo funzionamento.
Se credi a coloro che ti insegnano che ogni devianza dal neoliberismo è qualificabile come socialismo ebbene,credo proprio che ti sbagli. :D
frankytop
15-06-2010, 11:21
Ah beh... :nera: :nera: :nera:
frankytop ma come fai a resistere? :cry:
In effetti ogni volta mi riprometto di non scrivere più in questo forum...poi vedo dei thread e delle argomentazioni che sono delle boiate pazzesche e allora non resisto...:rotfl:
Comunque più resistente di me c'è Proteus,lui è un Dio! :asd:
tdi150cv
15-06-2010, 11:25
E' il capitalismo, bellezza. :D
se il capitalismo prevede il vorrei ma non posso allora si in caso contrario direi che sei fuori strada ...
MadJackal
15-06-2010, 11:34
Se credi a coloro che ti insegnano che ogni devianza dal neoliberismo è qualificabile come socialismo ebbene,credo proprio che ti sbagli. :D
Ogni devianza dal neoliberismo è un passettino in più verso sinistra, Franky.
Non è un caso che nelle dittature di sinistra esista l'economia pianificata ed in quelle di destra no. :D
frankytop
15-06-2010, 12:34
Ogni devianza dal neoliberismo è un passettino in più verso sinistra, Franky.
Ma sei pregato di dare del socialista a qualche tuo parente,non al sottoscritto. :asd::asd::asd:
Non è un caso che nelle dittature di sinistra esista l'economia pianificata ed in quelle di destra no. :D
Nelle dittature di destra non avranno l'appellatvo di "economia pianificata" ma una pianificazione per obiettivi aggettivata come par loro esiste eccome. :D
E' il capitalismo non sufficientemente e opportunamente regolamentato in alcuni settori e soprattutto c'è una spesa sociale che non ci possiamo permettere vista l'entità dei debiti sovrani.
Puoi sempre andare a Cuba nella Korea del Nord se ti aggrada di restare qua,io non ti trattengo...:D
Spesa sociale? Puttanate secondo me. E' la finanza la causa.
Dream_River
15-06-2010, 16:19
se il capitalismo prevede il vorrei ma non posso allora si in caso contrario direi che sei fuori strada ...
Il capitalismo il prevede il "lo voglio e lo avrò a tutti i costi, e se non me lo lasci fare sei contro l'individuo!":read:
Ehm....fatti una ricerchina sulla distinzione tra capitalismo e modelli liberali,sai il welfare,la tassazione,i criteri di ridistribuzione del reddito non intaccano minimamente la struttura su cui si basa il capitalismo ma determina in generale quanta ricchezza prodotta rimene per te e quali servizi lo stato offre.
Franky, l'unico stato che può "produrre ricchezza" è lo stato che si appropria dei mezzi di produzione, altrimenti è unicamente un amministratore che può solo ridistribuire la ricchezza, non produrla
Quindi se vuoi uno stato che ti tuteli la tua ricchezza o sostieni uno stato che intervenga nell'economia (socialismo) magari attraverso il possesso diretto dei mezzi di produzione (marxismo) oppure una stato dittatoriale che ridistribuisca la ricchezza in maniera arbitraria (comunismo "alla Lenin")
Infatti il pensiero economico di destra sostiene che lo stato debba starsene fuori dall'economia perchè l'individuo può meglio di lui tutelare la propria ricchezza e il proprio benessere
Poi il mondo di certo non è fatto un bianco e nero, tanto che ci sono benissimo le correnti di pensiero più moderate (come anche gli estremi assoluti, l'anarco-capitalismo e l'anarchismo, il primo propone la distruzione dello stato, il secondo del mercato, a grandi linee), ciò non toglie che ogni spazio riservato allo stato nell'economia è un passo più in là verso il socialismo
Ah, qualche anno fa andava di gran moda parlare anche di "terza via" se non ti piace essere chiuso fra due estremi, ma mi dispiace deluderti, alcuni dei sostenitori di tale via sono stati Zapatero e Blair:D
superanima
15-06-2010, 17:35
Non è un caso che nelle dittature di sinistra esista l'economia pianificata ed in quelle di destra no. :D
:mbe: :mbe:
superanima
15-06-2010, 17:39
Infatti il pensiero economico di destra sostiene che lo stato debba starsene fuori dall'economia perchè l'individuo può meglio di lui tutelare la propria ricchezza e il proprio benessere
credo che con "pensiero economico di destra" intendessi il "pensiero economico liberale", visto che quello "di destra" comunemente inteso trae origine dal socialismo.
E comunque il pensiero liberale sostiene che allo stato spetti il compito di stabiilire le regole del mercato, e di farle osservare. Un mercato libero non significa mercato fuori da ogni controllo. Ad esempio la concorrenza sleale non è ammessa nel libero mercato.
Ah, qualche anno fa andava di gran moda parlare anche di "terza via" se non ti piace essere chiuso fra due estremi, ma mi dispiace deluderti, alcuni dei sostenitori di tale via sono stati Zapatero e Blair:D
Vabbé, inglesi e spagnoli non hanno mai capito di che si trattasse, sarebbe bastato chiedere ai nostri vecchi Dc :D
frankytop
15-06-2010, 18:10
Franky, l'unico stato che può "produrre ricchezza" è lo stato che si appropria dei mezzi di produzione, altrimenti è unicamente un amministratore che può solo ridistribuire la ricchezza, non produrla
Quindi se vuoi uno stato che ti tuteli la tua ricchezza o sostieni uno stato che intervenga nell'economia (socialismo) magari attraverso il possesso diretto dei mezzi di produzione (marxismo) oppure una stato dittatoriale che ridistribuisca la ricchezza in maniera arbitraria (comunismo "alla Lenin")
A dire il vero io mi accontento di regole diverse per i mercati finanziari (e che è oggetto di studio ora),ci mancherebbe solo che aspirassi ad uno stato dirigista che intervenga nella produzione e sancisca il prezzo dei prodotti (e questo dirigismo si rifà al New Deal,non c'è bisogno nemmeno di scomodare il marxismo)
Infatti il pensiero economico di destra sostiene che lo stato debba starsene fuori dall'economia perchè l'individuo può meglio di lui tutelare la propria ricchezza e il proprio benessere.
Non è affatto così,la destra in generale,(non quella del liberismo estremo) non aspira ad un sistema privo di regole altrimenti come si giustificherebbe la creazione di un regolatore dei mercati (SEC) americana che è stata introdotta per la prima volta negli anni 30' in seguito alla grande depressione.
Poi il mondo di certo non è fatto un bianco e nero, tanto che ci sono benissimo le correnti di pensiero più moderate (come anche gli estremi assoluti, l'anarco-capitalismo e l'anarchismo, il primo propone la distruzione dello stato, il secondo del mercato, a grandi linee), ciò non toglie che ogni spazio riservato allo stato nell'economia è un passo più in là verso il socialismo
Lasciamo perderee gli "anarchismi" vari che sono dei nichilisti,la verità è che il modello socialista si è dimostrato ampiamente fallimentare,dove per modello socialista in un sistema ancora capitalista si intende un forte intervento dello stato nell'economia,perchè volendo imporre salari,prezzi al consumo,soffocare la concorrenza promuovendo la nascita di grandi monopoli e infine praticare politiche economiche di stampo keynesiano,l'economia involve su se stessa e crolla (è quello che ha fatto Roosvelt).
Ah, qualche anno fa andava di gran moda parlare anche di "terza via" se non ti piace essere chiuso fra due estremi, ma mi dispiace deluderti, alcuni dei sostenitori di tale via sono stati Zapatero e Blair:D
Eh la terza via...ciò che lor signori hanno fatto furbescamente e opportunisticamente è stato quello di appropriarsi indebitamente di un modello economico preesistente e appioppargli l'etichetta a loro più confacente.
Ma lo hanno fatto tutti i partiti di ispirazione socialista: essendo un modello fallimentare si sono spostati a destra,sempre più a destra,(vedi evoluzione del partito socialista italiano che negli anni 70' nel suo stemma riportava ancora il simbolo falce e martello,poi vedi l'evoluzione del PDS ) portando con se la "dote" del movimento socialista e accogliendo un modello capitalista che storicamente non gli apparteneva.
Il modello era già preesistente,non si è mosso di una virgola,sono loro che sono emigrati sicchè...et voilà i nuovi "socialisti" ti vengono a dire che tutto ciò che si discosta dal neoliberismo è lecito chiamarlo socialismo.Bello,soprattutto molto comodo. :asd:
berserkdan78
15-06-2010, 19:30
Mi spiace,ma non puoi identificare come sistema socialista un mercato che preveda delle regole per il suo funzionamento.
Se credi a coloro che ti insegnano che ogni devianza dal neoliberismo è qualificabile come socialismo ebbene,credo proprio che ti sbagli. :D
ma la lega economicamente dove si colloca? che ideologia economica ha? la sinistra la so, la destra la so, ma la lega? essendo un movimento per le autonomie, dove e' collocata? io ho l'impressione che non abbia una politica economica fissa, proprio perchè all'interno della lega la gente e' accomunata non da idee economiche, ma dall'autonomia dall'italia.
mi sbaglio?
berserkdan78
15-06-2010, 19:31
Ogni devianza dal neoliberismo è un passettino in più verso sinistra, Franky.
Non è un caso che nelle dittature di sinistra esista l'economia pianificata ed in quelle di destra no. :D
anche in quelle di destra c'è un controllo dell'economia, controllo mascherato per favorire chi comanda, la "cricca".
naitsirhC
15-06-2010, 19:52
La Spagna soffre da tempo di una bolla speculativa immobiliare che prima o poi deve venire a galla, tutti quegli invenduti che non portano alcun ritorno di cassa nelle banche non si possono nascondere sotto il tappeto!
Quanto all'euro non mi da molta fiducia........è la sola moneta al mondo a non avere dietro uno stato cioè una amministrazione economico-finanziaria unica ma tanti statarelli variegati con interessi contrapposti, finché l'economia mondiale era forte e tirava anche l'euro andava e andava tanto bene che gli stati arabi avevano proposto di sostituirlo al $.
Alla prima crisi seria l'euro ha retto male non avendo alcuno strumento per reagire con tempestività né lo avrà a breve e cosa possa ancora succedere non ci è dato di sapere............tutti 'sti maghi della finanza e dell'economia mi pare brancolino nel buio e navighino a vista :(
Guardati un po' bene in giro... e ti accorgerai che tale bolla c'è anche in Italia.
ConteZero
15-06-2010, 20:09
Ma quale capitalismo... ma quale socialismo...
...qui leggo il vero CERCHIOBOTTISMO d'annata.
C'è da guadagnarci ? CAPITALISMO! CAPITALISMO PIU'PIU'! TURBOCAPITALISMO! TURBOCAPITALISMO CARPIATO CON AVVITAMENTO A DESTRA!
C'è da perderci ? Regole! Controlli! Stato che vigili! (in parole povere l'essenza del socialismo)
Come tira il vento oggi ?
---
Scusate lo sfogo, fa sempre piacere leggere gente che ha idee di economia e politica riassumibili in "francia o spagna, purché se magna".
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PS: La SEC? La SEC ?!? Quella che s'è fatta passare sotto l'Enron, le bolle, i derivati e quant'altro sotto il naso ? :asd:
Freeskis
15-06-2010, 20:41
ma come mai di questi tempi tutti sti grandi capitalisti che fino ad un anno fa si riempivano bocca e culo ( che a volte coincidono) con il nome di smith adesso stringono le chiappe ? :fagiano:
Sciarese
16-06-2010, 06:37
ma come mai di questi tempi tutti sti grandi capitalisti che fino ad un anno fa si riempivano bocca e culo ( che a volte coincidono) con il nome di smith adesso stringono le chiappe ? :fagiano:
Quando ci sono utili da spartire sono liberisti, quando ci sono megaperdite da smaltire comunisti. :D
Nemici storici del liberismo sono i monopoli che si formano col capitalismo o con lo stato.
generals
16-06-2010, 09:34
http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-06-15/lettera-economisti-contro-manovra-183000.shtml?uuid=AYSLvsyB
www.letteradeglieconomisti.it
LETTERA DEGLI ECONOMISTI
LA POLITICA RESTRITTIVA AGGRAVA LA CRISI, ALIMENTA LA SPECULAZIONE E PUO' CONDURRE ALLA DEFLAGRAZIONE DELLA ZONA EURO. SERVE UNA SVOLTA DI POLITICA ECONOMICA PER SCONGIURARE UNA CADUTA ULTERIORE DEI REDDITI E DELL'OCCUPAZIONE
Ai membri del Governo e del Parlamento
Ai rappresentanti italiani presso le Istituzioni dell'Unione europea e del SEBC
Ai rappresentanti delle forze politiche e delle parti sociali
E per opportuna conoscenza al Presidente della Repubblica
La gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non si risolveranno attraverso tagli ai salari, alle pensioni, allo Stato sociale, all'istruzione, alla ricerca, alla cultura e ai servizi pubblici essenziali, né attraverso un aumento diretto o indiretto dei carichi fiscali sul lavoro e sulle fasce sociali più deboli.
Piuttosto, si corre il serio pericolo che l'attuazione in Italia e in Europa delle cosiddette "politiche dei sacrifici" accentui ulteriormente il profilo della crisi, determinando una maggior velocità di crescita della disoccupazione, delle insolvenze e della mortalità delle imprese, e possa a un certo punto costringere alcuni Paesi membri a uscire dalla Unione monetaria europea.
Il punto fondamentale da comprendere è che l'attuale instabilità della Unione monetaria non rappresenta il mero frutto di trucchi contabili o di spese facili. Essa in realtà costituisce l'esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall'insostenibile profilo liberista del Trattato dell'Unione e dall'orientamento di politica economica restrittiva dei Paesi membri caratterizzati da un sistematico avanzo con l'estero.
La crisi mondiale esplosa nel 2007-2008 è tuttora in corso. Non essendo intervenuti sulle sue cause strutturali, da essa non siamo di fatto mai usciti. Come è stato riconosciuto da più parti, questa crisi vede tra le sue principali spiegazioni un allargamento del divario mondiale tra una crescente produttività del lavoro e una stagnante o addirittura declinante capacità di consumo degli stessi lavoratori. Per lungo tempo questo divario è stato compensato da una eccezionale crescita speculativa dei valori finanziari e dell'indebitamento privato che, partendo dagli Stati Uniti, ha agito da stimolo per la domanda globale.
Vi è chi oggi confida in un rilancio della crescita mondiale basato su un nuovo boom della finanza statunitense. Scaricando sui bilanci pubblici un enorme cumulo di debiti privati inesigibili si spera di dare nuovo impulso alla finanza e al connesso meccanismo di accumulazione. Noi riteniamo che su queste basi una credibile ripresa mondiale sia molto difficilmente realizzabile, e in ogni caso essa risulterebbe fragile e di corto respiro. Al tempo stesso consideriamo illusorio auspicare che in assenza di una profonda riforma del sistema monetario internazionale la Cina si disponga a trainare la domanda globale, rinunciando ai suoi attivi commerciali e all'accumulo di riserve valutarie.
Siamo insomma di fronte alla drammatica realtà di un sistema economico mondiale senza una fonte primaria di domanda, senza una "spugna" in grado di assorbire la produzione.
L'irrisolta crisi globale è particolarmente avvertita nella Unione monetaria europea. La manifesta fragilità della zona euro deriva da profondi squilibri strutturali interni, la cui causa principale risiede nell'impianto di politica economica liberista del Trattato di Maastricht, nella pretesa di affidare ai soli meccanismi di mercato i riequilibri tra le varie aree dell'Unione, e nella politica economica restrittiva e deflazionista dei paesi in sistematico avanzo commerciale. Tra questi assume particolare rilievo la Germania, da tempo orientata al contenimento dei salari in rapporto alla produttività, della domanda e delle importazioni, e alla penetrazione nei mercati esteri al fine di accrescere le quote di mercato delle imprese tedesche in Europa. Attraverso tali politiche i paesi in sistematico avanzo non contribuiscono allo sviluppo dell'area euro ma paradossalmente si muovono al traino dei paesi più deboli. La Germania, in particolare, accumula consistenti avanzi commerciali verso l'estero, mentre la Grecia, il Portogallo, la Spagna e la stessa Francia tendono a indebitarsi. Persino l'Italia, nonostante una crescita modestissima del reddito nazionale, si ritrova ad acquistare dalla Germania più di quanto vende, accumulando per questa via debiti crescenti.
La piena mobilità dei capitali nell'area euro ha favorito enormemente il formarsi degli squilibri nei rapporti di credito e debito tra paesi. Per lungo tempo, sulla base della ipotesi di efficienza dei mercati, si è ritenuto che la crescita dei rapporti di indebitamento tra i paesi membri dovesse esser considerata il riflesso positivo di una maggiore integrazione finanziaria dell'area euro. Ma oggi è del tutto evidente che la presunta efficienza dei mercati finanziari non trova riscontro nei fatti e che gli squilibri accumulati risultano insostenibili.
Sono queste le ragioni di fondo per cui gli operatori sui mercati finanziari stanno scommettendo sulla deflagrazione della zona euro. Essi prevedono che per il prolungarsi della crisi le entrate fiscali degli Stati declineranno e i ricavi di moltissime imprese e banche si ridurranno ulteriormente. Per questa via, risulterà sempre più difficile garantire il rimborso dei debiti, sia pubblici che privati. Diversi paesi potrebbero quindi esser progressivamente sospinti al di fuori della zona euro, o potrebbero decidere di sganciarsi da essa per cercare di sottrarsi alla spirale deflazionista. Il rischio di insolvenza generalizzata e di riconversione in valuta nazionale dei debiti rappresenta pertanto la vera scommessa che muove l'azione degli speculatori. L'agitazione dei mercati finanziari verte dunque su una serie di contraddizioni reali. Tuttavia, è altrettanto vero che le aspettative degli speculatori alimentano ulteriormente la sfiducia e tendono quindi ad auto-realizzarsi. Infatti, le operazioni ribassiste sui mercati spingono verso l'alto il differenziale tra i tassi d'interesse e i tassi di crescita dei redditi, e possono rendere improvvisamente insolventi dei debitori che precedentemente risultavano in grado di rimborsare i prestiti. Gli operatori finanziari, che spesso agiscono in condizioni non concorrenziali e tutt'altro che simmetriche sul piano della informazione e del potere di mercato, riescono quindi non solo a prevedere il futuro ma contribuiscono a determinarlo, secondo uno schema che nulla ha a che vedere con i cosiddetti "fondamentali" della teoria economica ortodossa e i presunti criteri di efficienza descritti dalle sue versioni elementari.
In un simile scenario riteniamo sia vano sperare di contrastare la speculazione tramite meri accordi di prestito in cambio dell'approvazione di politiche restrittive da parte dei paesi indebitati. I prestiti infatti si limitano a rinviare i problemi senza risolverli. E le politiche di "austerità" abbattono ulteriormente la domanda, deprimono i redditi e quindi deteriorano ulteriormente la capacità di rimborso dei prestiti da parte dei debitori, pubblici e privati. La stessa, pur significativa svolta di politica monetaria della BCE, che si dichiara pronta ad acquistare titoli pubblici sul mercato secondario, appare ridimensionata dall'annuncio di voler "sterilizzare" tali operazioni attraverso manovre di segno contrario sulle valute o all'interno del sistema bancario.
Gli errori commessi sono indubbiamente ascrivibili alle ricette liberiste e recessive suggerite da economisti legati a schemi di analisi in voga in anni passati, ma che non sembrano affatto in grado di cogliere gli aspetti salienti del funzionamento del capitalismo contemporaneo.
E' bene tuttavia chiarire che l'ostinazione con la quale si perseguono le politiche depressive non è semplicemente il frutto di fraintendimenti generati da modelli economici la cui coerenza logica e rilevanza empirica è stata messa ormai fortemente in discussione nell'ambito della stessa comunità accademica. La preferenza per la cosiddetta "austerità" rappresenta anche e soprattutto l'espressione di interessi sociali consolidati. Vi è infatti chi vede nell'attuale crisi una occasione per accelerare i processi di smantellamento dello stato sociale, di frammentazione del lavoro e di ristrutturazione e centralizzazione dei capitali in Europa. L'idea di fondo è che i capitali che usciranno vincenti dalla crisi potranno rilanciare l'accumulazione sfruttando tra l'altro una minor concorrenza sui mercati e un ulteriore indebolimento del lavoro.
Occorre comprendere che se si insiste nell'assecondare questi interessi non soltanto si agisce contro i lavoratori, ma si creano anche i presupposti per una incontrollata centralizzazione dei capitali, per una desertificazione produttiva del Mezzogiorno e di intere macroregioni europee, per processi migratori sempre più difficili da gestire, e in ultima istanza per una gigantesca deflazione da debiti, paragonabile a quella degli anni Trenta.
Il Governo italiano ha finora attuato una politica tesa ad agevolare questo pericoloso avvitamento deflazionistico. E le annunciate, ulteriori strette di bilancio, associate alla insistente tendenza alla riduzione delle tutele del lavoro, non potranno che provocare altre cadute del reddito, dopo quella pesantissima già fatta registrare dall'Italia nel 2009. Si tenga ben presente che sono altamente discutibili i presupposti scientifici in base ai quali si ritiene che attraverso simili politiche si migliora la situazione economica e di bilancio e quindi ci si salvaguarda da un attacco speculativo. Piuttosto, per questa via si rischia di alimentare la crisi, le insolvenze e quindi la speculazione.
Nemmeno si può dire che dalle opposizioni sia finora emerso un chiaro programma di politica economica alternativa. Una maggior consapevolezza della gravità della crisi e degli errori del passato va diffondendosi, ma si sono levate voci da alcuni settori dell'opposizione che suggeriscono prese di posizione contraddittorie e persino deteriori, come è il caso delle proposte tese a introdurre ulteriori contratti di lavoro precari o ad attuare massicci programmi di privatizzazione dei servizi pubblici. Gli stessi, frequenti richiami alle cosiddette "riforme strutturali" risultano controproducenti laddove, anziché caratterizzarsi per misure tese effettivamente a contrastare gli sprechi e i privilegi di pochi, si traducono in ulteriori proposte di ridimensionamento dei diritti sociali e del lavoro.
Quale monito per il futuro, è opportuno ricordare che nel 1992 l'Italia fu sottoposta a un attacco speculativo simile a quelli attualmente in corso in Europa. All'epoca, i lavoratori italiani accettarono un gravoso programma di "austerità", fondato soprattutto sulla compressione del costo del lavoro e della spesa previdenziale. All'epoca, come oggi, si disse che i sacrifici erano necessari per difendere la lira e l'economia nazionale dalla speculazione. Tuttavia, poco tempo dopo l'accettazione di quel programma, i titoli denominati in valuta nazionale subirono nuovi attacchi. Alla fine l'Italia uscì comunque dal Sistema Monetario Europeo e la lira subì una pesante svalutazione. I lavoratori e gran parte della collettività pagarono così due volte: a causa della politica di "austerità" e a causa dell'aumento del costo delle merci importate.
Va anche ricordato che, con la prevalente giustificazione di abbattere il debito pubblico in rapporto al Pil, negli anni passati è stato attuato nel nostro paese un massiccio programma di privatizzazioni. Ebbene, i peraltro modesti effetti sul debito pubblico di quel programma sono in larghissima misura svaniti a seguito della crisi, e le implicazioni in termini di posizionamento del Paese nella divisione internazionale del lavoro, di sviluppo economico e di benessere sociale sono oggi considerati dalla più autorevole letteratura scientifica altamente discutibili.
Noi riteniamo dunque che le linee di indirizzo finora poste in essere debbano essere abbandonate, prima che sia troppo tardi.
Occorre prendere in considerazione l'eventualità che per lungo tempo non sussisterà una locomotiva in grado di assicurare una ripresa forte e stabile del commercio e dello sviluppo mondiale. Per evitare un aggravamento della crisi e per scongiurare la fine del progetto di unificazione europea è allora necessaria una nuova visione e una svolta negli indirizzi generali di politica economica. Occorre cioè che l'Europa intraprenda un autonomo sentiero di sviluppo delle forze produttive, di crescita del benessere, di salvaguardia dell'ambiente e del territorio, di equità sociale.
Affinché una svolta di tale portata possa concretamente svilupparsi, è necessario in primo luogo dare respiro al processo democratico, è necessario cioè disporre di tempo. Ecco perché in via preliminare proponiamo di introdurre immediatamente un argine alla speculazione. A questo scopo sono in corso iniziative sia nazionali che coordinate a livello europeo, ma i provvedimenti che si stanno ponendo in essere appaiono ancora deboli e insufficienti. Fermare la speculazione è senz'altro possibile, ma occorre sgombrare il campo dalle incertezze e dalle ambiguità politiche. Bisogna quindi che la BCE si impegni pienamente ad acquistare i titoli sotto attacco, rinunciando a "sterilizzare" i suoi interventi. Occorre anche istituire adeguate imposte finalizzate a disincentivare le transazioni finanziarie a breve termine ed efficaci controlli amministrativi sui movimenti di capitale. Se non vi fossero le condizioni per operare in concerto, sarà molto meglio intervenire subito in questa direzione a livello nazionale, con gli strumenti disponibili, piuttosto che muoversi in ritardo o non agire affatto.
L'esperienza storica insegna che per contrastare efficacemente la deflazione bisogna imporre un pavimento al tracollo del monte salari, tramite un rafforzamento dei contratti nazionali, minimi salariali, vincoli ai licenziamenti e nuove norme generali a tutela del lavoro e dei processi di sindacalizzazione. Soprattutto nella fase attuale, pensare di affidare il processo di distruzione e di creazione dei posti di lavoro alle sole forze del mercato è analiticamente privo di senso, oltre che politicamente irresponsabile.
In coordinamento con la politica monetaria, occorre sollecitare i Paesi in avanzo commerciale, in particolare la Germania, ad attuare opportune manovre di espansione della domanda al fine di avviare un processo di riequilibrio virtuoso e non deflazionistico dei conti con l'estero dei Paesi membri dell'Unione monetaria europea. I principali Paesi in avanzo commerciale hanno una enorme responsabilità, al riguardo. Il salvataggio o la distruzione della Unione dipenderà in larga misura dalle loro decisioni.
Bisogna istituire un sistema di fiscalità progressiva coordinato a livello europeo, che contribuisca a invertire la tendenza alla sperequazione sociale e territoriale che ha contribuito a scatenare la crisi. Occorre uno spostamento dei carichi fiscali dal lavoro ai guadagni di capitale e alle rendite, dai redditi ai patrimoni, dai contribuenti con ritenuta alla fonte agli evasori, dalle aree povere alle aree ricche dell'Unione.
Bisogna ampliare significativamente il bilancio federale dell'Unione e rendere possibile la emissione di titoli pubblici europei. Si deve puntare a coordinare la politica fiscale e la politica monetaria europea al fine di predisporre un piano di sviluppo finalizzato alla piena occupazione e al riequilibrio territoriale non solo delle capacità di spesa, ma anche delle capacità produttive in Europa. Il piano deve seguire una logica diversa da quella, spesso inefficiente e assistenziale, che ha governato i fondi europei di sviluppo. Esso deve fondarsi in primo luogo sulla produzione pubblica di beni collettivi, dal finanziamento delle infrastrutture pubbliche di ricerca per contrastare i monopoli della proprietà intellettuale, alla salvaguardia dell'ambiente, alla pianificazione del territorio, alla mobilità sostenibile, alla cura delle persone. Sono beni, questi, che inesorabilmente generano fallimenti del mercato, sfuggono alla logica ristretta della impresa capitalistica privata, ma al contempo risultano indispensabili per lo sviluppo delle forze produttive, per l'equità sociale, per il progresso civile.
Si deve disciplinare e restringere l'accesso del piccolo risparmio e delle risorse previdenziali dei lavoratori al mercato finanziario. Si deve ripristinare il principio di separazione tra banche di credito ordinario, che prestano a breve, e società finanziarie che operano sul medio-lungo termine.
Contro eventuali strategie di dumping e di "esportazione della recessione" da parte di paesi extra-Ume, bisogna contemplare un sistema di apertura condizionata dei mercati, dei capitali e delle merci. L'apertura può essere piena solo se si attuano politiche convergenti di miglioramento degli standard del lavoro e dei salari, e politiche di sviluppo coordinate.
Siamo ben consapevoli della distanza che sussiste tra le nostre indicazioni e l'attuale, tremenda involuzione del quadro di politica economica europea.
Siamo tuttavia del parere che gli odierni indirizzi di politica economica potrebbero rivelarsi presto insostenibili.
Se non vi saranno le condizioni politiche per l'attuazione di un piano di sviluppo fondato sugli obiettivi delineati, il rischio che si scateni una deflazione da debiti e una conseguente deflagrazione della zona euro sarà altissimo. Il motivo è che diversi Paesi potrebbero cadere in una spirale perversa, fatta di miopi politiche nazionali di "austerità" e di conseguenti pressioni speculative. A un certo punto tali Paesi potrebbero esser forzatamente sospinti al di fuori della Unione monetaria o potrebbero scegliere deliberatamente di sganciarsi da essa per cercare di realizzare autonome politiche economiche di difesa dei mercati interni, dei redditi e dell'occupazione. Se così davvero andasse, è bene chiarire che non necessariamente su di essi ricadrebbero le colpe principali del tracollo della unità europea.
Simili eventualità ci fanno ritenere che non vi siano più le condizioni per rivitalizzare lo spirito europeo richiamandosi ai soli valori ideali comuni. La verità è che è in atto il più violento e decisivo attacco all'Europa come soggetto politico e agli ultimi bastioni dello Stato sociale in Europa. Ora più che mai, dunque, l'europeismo per sopravvivere e rilanciarsi dovrebbe caricarsi di senso, di concrete opportunità di sviluppo coordinato, economico, sociale e civile.
Per questo, occorre immediatamente aprire un ampio e franco dibattito sulle motivazioni e sulle responsabilità dei gravissimi errori di politica economica che si stanno compiendo, sui conseguenti rischi di un aggravamento della crisi e di una deflagrazione della zona euro e sulla urgenza di una svolta di politica economica europea.
Qualora le opportune pressioni che il Governo e i rappresentanti italiani delle istituzioni dovranno esercitare in Europa non sortissero effetti, la crisi della zona euro tenderà a intensificarsi e le forze politiche e le autorità del nostro Paese potrebbero esser chiamate a compiere scelte di politica economica tali da restituire all'Italia un'autonoma prospettiva di sostegno dei mercati interni, dei redditi e dell'occupazione.
L'iniziativa è stata promossa da Bruno Bosco (Università di Milano Bicocca), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Roberto Ciccone (Università Roma Tre), Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), Antonella Stirati (Università Roma Tre).
Paura... allarme, emergenza !!!
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Dream_River
16-06-2010, 11:54
Penso che quella lettera sia una delle migliori cose scritte in questi ultimi tempi
Finalmente si stanno alzando voci unite per dare una svolta all'economia, e questo a me personalmente mi rida molta fiducia
http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-06-15/lettera-economisti-contro-manovra-183000.shtml?uuid=AYSLvsyB
www.letteradeglieconomisti.it
LETTERA DEGLI ECONOMISTI
LA POLITICA RESTRITTIVA AGGRAVA LA CRISI, ALIMENTA LA SPECULAZIONE E PUO' CONDURRE ALLA DEFLAGRAZIONE DELLA ZONA EURO. SERVE UNA SVOLTA DI POLITICA ECONOMICA PER SCONGIURARE UNA CADUTA ULTERIORE DEI REDDITI E DELL'OCCUPAZIONE
fatemi capire, la stessa gente che ha fatto collassare il mondo coi loro giochetti magna magna, adesso si mettono a fare i predicatori e a impartire lezioni di cosa è giusto e cosa è sbagliato?
perchè non hanno scritto una lettera simile anni fa, quando magnavano tutti come caimani, per fare la predica a banche, agenzie, speculatori ed economisti collusi?
ma pensano di potere prendere per il culo la gente per sempre?
la politica ora deve risolvere i casini che hanno fatto.
almeno abbiano la decenza di TACERE.
girodiwino
16-06-2010, 12:15
fatemi capire, la stessa gente che ha fatto collassare il mondo coi loro giochetti magna magna, adesso si mettono a fare i predicatori e a impartire lezioni di cosa è giusto e cosa è sbagliato?
perchè non hanno scritto una lettera simile anni fa, quando magnavano tutti come caimani, per fare la predica a banche, agenzie, speculatori ed economisti collusi?
ma pensano di potere prendere per il culo la gente per sempre?
la politica ora deve risolvere i casini che hanno fatto.
almeno abbiano la decenza di TACERE.
Non ti sembra di generalizzare un po' troppo? in ogni gruppo si possono identificare i "buoni" e i "cattivi"...
e certo, se ho una frattura vado dal direttore sanitario, mica dall'ortopedico:)
Dream_River
16-06-2010, 12:27
fatemi capire, la stessa gente che ha fatto collassare il mondo coi loro giochetti magna magna, adesso si mettono a fare i predicatori e a impartire lezioni di cosa è giusto e cosa è sbagliato?
perchè non hanno scritto una lettera simile anni fa, quando magnavano tutti come caimani, per fare la predica a banche, agenzie, speculatori ed economisti collusi?
ma pensano di potere prendere per il culo la gente per sempre?
la politica ora deve risolvere i casini che hanno fatto.
almeno abbiano la decenza di TACERE.
Guarda che questa è gente che studia economia, non chi ha costruito il sistema economico che ci ha portati a questa situazione, ne degli squali delle finanza:read:
...
Bene.:rolleyes:
Qui un giorno o l'altro crolla tutto.
L'altro, l'altro...
Da quando hai postato, purtroppo niente crolli, anzi i mercati sono pure saliti.
Ma prima o poi, crolla tutto, per fortuna.
Anzi, meglio, moriremo tutti...
:)
trallallero
16-06-2010, 13:08
L'altro, l'altro...
Da quando hai postato, purtroppo niente crolli, anzi i mercati sono pure saliti.
Ma prima o poi, crolla tutto, per fortuna.
Anzi, meglio, moriremo tutti...
:)
Si ma ci avvisino prima, c'ho 3000 cose da fare.
frankytop
16-06-2010, 14:31
http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-06-15/lettera-economisti-contro-manovra-183000.shtml?uuid=AYSLvsyB
www.letteradeglieconomisti.it
LETTERA DEGLI ECONOMISTI
LA POLITICA RESTRITTIVA AGGRAVA LA CRISI, ALIMENTA LA SPECULAZIONE E PUO' CONDURRE ALLA DEFLAGRAZIONE DELLA ZONA EURO. SERVE UNA SVOLTA DI POLITICA ECONOMICA PER SCONGIURARE UNA CADUTA ULTERIORE DEI REDDITI E DELL'OCCUPAZIONE
Ai membri del Governo e del Parlamento
Ai rappresentanti italiani presso le Istituzioni dell'Unione europea e del SEBC
Ai rappresentanti delle forze politiche e delle parti sociali
E per opportuna conoscenza al Presidente della Repubblica
La gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non si risolveranno attraverso tagli ai salari, alle pensioni, allo Stato sociale, all'istruzione, alla ricerca, alla cultura e ai servizi pubblici essenziali, né attraverso un aumento diretto o indiretto dei carichi fiscali sul lavoro e sulle fasce sociali più deboli.
Piuttosto, si corre il serio pericolo che l'attuazione in Italia e in Europa delle cosiddette "politiche dei sacrifici" accentui ulteriormente il profilo della crisi, determinando una maggior velocità di crescita della disoccupazione, delle insolvenze e della mortalità delle imprese, e possa a un certo punto costringere alcuni Paesi membri a uscire dalla Unione monetaria europea.
Il punto fondamentale da comprendere è che l'attuale instabilità della Unione monetaria non rappresenta il mero frutto di trucchi contabili o di spese facili. Essa in realtà costituisce l'esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall'insostenibile profilo liberista del Trattato dell'Unione e dall'orientamento di politica economica restrittiva dei Paesi membri caratterizzati da un sistematico avanzo con l'estero.
La crisi mondiale esplosa nel 2007-2008 è tuttora in corso. Non essendo intervenuti sulle sue cause strutturali, da essa non siamo di fatto mai usciti. Come è stato riconosciuto da più parti, questa crisi vede tra le sue principali spiegazioni un allargamento del divario mondiale tra una crescente produttività del lavoro e una stagnante o addirittura declinante capacità di consumo degli stessi lavoratori. Per lungo tempo questo divario è stato compensato da una eccezionale crescita speculativa dei valori finanziari e dell'indebitamento privato che, partendo dagli Stati Uniti, ha agito da stimolo per la domanda globale.
Vi è chi oggi confida in un rilancio della crescita mondiale basato su un nuovo boom della finanza statunitense. Scaricando sui bilanci pubblici un enorme cumulo di debiti privati inesigibili si spera di dare nuovo impulso alla finanza e al connesso meccanismo di accumulazione. Noi riteniamo che su queste basi una credibile ripresa mondiale sia molto difficilmente realizzabile, e in ogni caso essa risulterebbe fragile e di corto respiro. Al tempo stesso consideriamo illusorio auspicare che in assenza di una profonda riforma del sistema monetario internazionale la Cina si disponga a trainare la domanda globale, rinunciando ai suoi attivi commerciali e all'accumulo di riserve valutarie.
Siamo insomma di fronte alla drammatica realtà di un sistema economico mondiale senza una fonte primaria di domanda, senza una "spugna" in grado di assorbire la produzione.
L'irrisolta crisi globale è particolarmente avvertita nella Unione monetaria europea. La manifesta fragilità della zona euro deriva da profondi squilibri strutturali interni, la cui causa principale risiede nell'impianto di politica economica liberista del Trattato di Maastricht, nella pretesa di affidare ai soli meccanismi di mercato i riequilibri tra le varie aree dell'Unione, e nella politica economica restrittiva e deflazionista dei paesi in sistematico avanzo commerciale. Tra questi assume particolare rilievo la Germania, da tempo orientata al contenimento dei salari in rapporto alla produttività, della domanda e delle importazioni, e alla penetrazione nei mercati esteri al fine di accrescere le quote di mercato delle imprese tedesche in Europa. Attraverso tali politiche i paesi in sistematico avanzo non contribuiscono allo sviluppo dell'area euro ma paradossalmente si muovono al traino dei paesi più deboli. La Germania, in particolare, accumula consistenti avanzi commerciali verso l'estero, mentre la Grecia, il Portogallo, la Spagna e la stessa Francia tendono a indebitarsi. Persino l'Italia, nonostante una crescita modestissima del reddito nazionale, si ritrova ad acquistare dalla Germania più di quanto vende, accumulando per questa via debiti crescenti.
La piena mobilità dei capitali nell'area euro ha favorito enormemente il formarsi degli squilibri nei rapporti di credito e debito tra paesi. Per lungo tempo, sulla base della ipotesi di efficienza dei mercati, si è ritenuto che la crescita dei rapporti di indebitamento tra i paesi membri dovesse esser considerata il riflesso positivo di una maggiore integrazione finanziaria dell'area euro. Ma oggi è del tutto evidente che la presunta efficienza dei mercati finanziari non trova riscontro nei fatti e che gli squilibri accumulati risultano insostenibili.
Sono queste le ragioni di fondo per cui gli operatori sui mercati finanziari stanno scommettendo sulla deflagrazione della zona euro. Essi prevedono che per il prolungarsi della crisi le entrate fiscali degli Stati declineranno e i ricavi di moltissime imprese e banche si ridurranno ulteriormente. Per questa via, risulterà sempre più difficile garantire il rimborso dei debiti, sia pubblici che privati. Diversi paesi potrebbero quindi esser progressivamente sospinti al di fuori della zona euro, o potrebbero decidere di sganciarsi da essa per cercare di sottrarsi alla spirale deflazionista. Il rischio di insolvenza generalizzata e di riconversione in valuta nazionale dei debiti rappresenta pertanto la vera scommessa che muove l'azione degli speculatori. L'agitazione dei mercati finanziari verte dunque su una serie di contraddizioni reali. Tuttavia, è altrettanto vero che le aspettative degli speculatori alimentano ulteriormente la sfiducia e tendono quindi ad auto-realizzarsi. Infatti, le operazioni ribassiste sui mercati spingono verso l'alto il differenziale tra i tassi d'interesse e i tassi di crescita dei redditi, e possono rendere improvvisamente insolventi dei debitori che precedentemente risultavano in grado di rimborsare i prestiti. Gli operatori finanziari, che spesso agiscono in condizioni non concorrenziali e tutt'altro che simmetriche sul piano della informazione e del potere di mercato, riescono quindi non solo a prevedere il futuro ma contribuiscono a determinarlo, secondo uno schema che nulla ha a che vedere con i cosiddetti "fondamentali" della teoria economica ortodossa e i presunti criteri di efficienza descritti dalle sue versioni elementari.
In un simile scenario riteniamo sia vano sperare di contrastare la speculazione tramite meri accordi di prestito in cambio dell'approvazione di politiche restrittive da parte dei paesi indebitati. I prestiti infatti si limitano a rinviare i problemi senza risolverli. E le politiche di "austerità" abbattono ulteriormente la domanda, deprimono i redditi e quindi deteriorano ulteriormente la capacità di rimborso dei prestiti da parte dei debitori, pubblici e privati. La stessa, pur significativa svolta di politica monetaria della BCE, che si dichiara pronta ad acquistare titoli pubblici sul mercato secondario, appare ridimensionata dall'annuncio di voler "sterilizzare" tali operazioni attraverso manovre di segno contrario sulle valute o all'interno del sistema bancario.
Gli errori commessi sono indubbiamente ascrivibili alle ricette liberiste e recessive suggerite da economisti legati a schemi di analisi in voga in anni passati, ma che non sembrano affatto in grado di cogliere gli aspetti salienti del funzionamento del capitalismo contemporaneo.
E' bene tuttavia chiarire che l'ostinazione con la quale si perseguono le politiche depressive non è semplicemente il frutto di fraintendimenti generati da modelli economici la cui coerenza logica e rilevanza empirica è stata messa ormai fortemente in discussione nell'ambito della stessa comunità accademica. La preferenza per la cosiddetta "austerità" rappresenta anche e soprattutto l'espressione di interessi sociali consolidati. Vi è infatti chi vede nell'attuale crisi una occasione per accelerare i processi di smantellamento dello stato sociale, di frammentazione del lavoro e di ristrutturazione e centralizzazione dei capitali in Europa. L'idea di fondo è che i capitali che usciranno vincenti dalla crisi potranno rilanciare l'accumulazione sfruttando tra l'altro una minor concorrenza sui mercati e un ulteriore indebolimento del lavoro.
Occorre comprendere che se si insiste nell'assecondare questi interessi non soltanto si agisce contro i lavoratori, ma si creano anche i presupposti per una incontrollata centralizzazione dei capitali, per una desertificazione produttiva del Mezzogiorno e di intere macroregioni europee, per processi migratori sempre più difficili da gestire, e in ultima istanza per una gigantesca deflazione da debiti, paragonabile a quella degli anni Trenta.
Il Governo italiano ha finora attuato una politica tesa ad agevolare questo pericoloso avvitamento deflazionistico. E le annunciate, ulteriori strette di bilancio, associate alla insistente tendenza alla riduzione delle tutele del lavoro, non potranno che provocare altre cadute del reddito, dopo quella pesantissima già fatta registrare dall'Italia nel 2009. Si tenga ben presente che sono altamente discutibili i presupposti scientifici in base ai quali si ritiene che attraverso simili politiche si migliora la situazione economica e di bilancio e quindi ci si salvaguarda da un attacco speculativo. Piuttosto, per questa via si rischia di alimentare la crisi, le insolvenze e quindi la speculazione.
Nemmeno si può dire che dalle opposizioni sia finora emerso un chiaro programma di politica economica alternativa. Una maggior consapevolezza della gravità della crisi e degli errori del passato va diffondendosi, ma si sono levate voci da alcuni settori dell'opposizione che suggeriscono prese di posizione contraddittorie e persino deteriori, come è il caso delle proposte tese a introdurre ulteriori contratti di lavoro precari o ad attuare massicci programmi di privatizzazione dei servizi pubblici. Gli stessi, frequenti richiami alle cosiddette "riforme strutturali" risultano controproducenti laddove, anziché caratterizzarsi per misure tese effettivamente a contrastare gli sprechi e i privilegi di pochi, si traducono in ulteriori proposte di ridimensionamento dei diritti sociali e del lavoro.
Quale monito per il futuro, è opportuno ricordare che nel 1992 l'Italia fu sottoposta a un attacco speculativo simile a quelli attualmente in corso in Europa. All'epoca, i lavoratori italiani accettarono un gravoso programma di "austerità", fondato soprattutto sulla compressione del costo del lavoro e della spesa previdenziale. All'epoca, come oggi, si disse che i sacrifici erano necessari per difendere la lira e l'economia nazionale dalla speculazione. Tuttavia, poco tempo dopo l'accettazione di quel programma, i titoli denominati in valuta nazionale subirono nuovi attacchi. Alla fine l'Italia uscì comunque dal Sistema Monetario Europeo e la lira subì una pesante svalutazione. I lavoratori e gran parte della collettività pagarono così due volte: a causa della politica di "austerità" e a causa dell'aumento del costo delle merci importate.
Va anche ricordato che, con la prevalente giustificazione di abbattere il debito pubblico in rapporto al Pil, negli anni passati è stato attuato nel nostro paese un massiccio programma di privatizzazioni. Ebbene, i peraltro modesti effetti sul debito pubblico di quel programma sono in larghissima misura svaniti a seguito della crisi, e le implicazioni in termini di posizionamento del Paese nella divisione internazionale del lavoro, di sviluppo economico e di benessere sociale sono oggi considerati dalla più autorevole letteratura scientifica altamente discutibili.
Noi riteniamo dunque che le linee di indirizzo finora poste in essere debbano essere abbandonate, prima che sia troppo tardi.
Occorre prendere in considerazione l'eventualità che per lungo tempo non sussisterà una locomotiva in grado di assicurare una ripresa forte e stabile del commercio e dello sviluppo mondiale. Per evitare un aggravamento della crisi e per scongiurare la fine del progetto di unificazione europea è allora necessaria una nuova visione e una svolta negli indirizzi generali di politica economica. Occorre cioè che l'Europa intraprenda un autonomo sentiero di sviluppo delle forze produttive, di crescita del benessere, di salvaguardia dell'ambiente e del territorio, di equità sociale.
Affinché una svolta di tale portata possa concretamente svilupparsi, è necessario in primo luogo dare respiro al processo democratico, è necessario cioè disporre di tempo. Ecco perché in via preliminare proponiamo di introdurre immediatamente un argine alla speculazione. A questo scopo sono in corso iniziative sia nazionali che coordinate a livello europeo, ma i provvedimenti che si stanno ponendo in essere appaiono ancora deboli e insufficienti. Fermare la speculazione è senz'altro possibile, ma occorre sgombrare il campo dalle incertezze e dalle ambiguità politiche. Bisogna quindi che la BCE si impegni pienamente ad acquistare i titoli sotto attacco, rinunciando a "sterilizzare" i suoi interventi. Occorre anche istituire adeguate imposte finalizzate a disincentivare le transazioni finanziarie a breve termine ed efficaci controlli amministrativi sui movimenti di capitale. Se non vi fossero le condizioni per operare in concerto, sarà molto meglio intervenire subito in questa direzione a livello nazionale, con gli strumenti disponibili, piuttosto che muoversi in ritardo o non agire affatto.
L'esperienza storica insegna che per contrastare efficacemente la deflazione bisogna imporre un pavimento al tracollo del monte salari, tramite un rafforzamento dei contratti nazionali, minimi salariali, vincoli ai licenziamenti e nuove norme generali a tutela del lavoro e dei processi di sindacalizzazione. Soprattutto nella fase attuale, pensare di affidare il processo di distruzione e di creazione dei posti di lavoro alle sole forze del mercato è analiticamente privo di senso, oltre che politicamente irresponsabile.
In coordinamento con la politica monetaria, occorre sollecitare i Paesi in avanzo commerciale, in particolare la Germania, ad attuare opportune manovre di espansione della domanda al fine di avviare un processo di riequilibrio virtuoso e non deflazionistico dei conti con l'estero dei Paesi membri dell'Unione monetaria europea. I principali Paesi in avanzo commerciale hanno una enorme responsabilità, al riguardo. Il salvataggio o la distruzione della Unione dipenderà in larga misura dalle loro decisioni.
Bisogna istituire un sistema di fiscalità progressiva coordinato a livello europeo, che contribuisca a invertire la tendenza alla sperequazione sociale e territoriale che ha contribuito a scatenare la crisi. Occorre uno spostamento dei carichi fiscali dal lavoro ai guadagni di capitale e alle rendite, dai redditi ai patrimoni, dai contribuenti con ritenuta alla fonte agli evasori, dalle aree povere alle aree ricche dell'Unione.
Bisogna ampliare significativamente il bilancio federale dell'Unione e rendere possibile la emissione di titoli pubblici europei. Si deve puntare a coordinare la politica fiscale e la politica monetaria europea al fine di predisporre un piano di sviluppo finalizzato alla piena occupazione e al riequilibrio territoriale non solo delle capacità di spesa, ma anche delle capacità produttive in Europa. Il piano deve seguire una logica diversa da quella, spesso inefficiente e assistenziale, che ha governato i fondi europei di sviluppo. Esso deve fondarsi in primo luogo sulla produzione pubblica di beni collettivi, dal finanziamento delle infrastrutture pubbliche di ricerca per contrastare i monopoli della proprietà intellettuale, alla salvaguardia dell'ambiente, alla pianificazione del territorio, alla mobilità sostenibile, alla cura delle persone. Sono beni, questi, che inesorabilmente generano fallimenti del mercato, sfuggono alla logica ristretta della impresa capitalistica privata, ma al contempo risultano indispensabili per lo sviluppo delle forze produttive, per l'equità sociale, per il progresso civile.
Si deve disciplinare e restringere l'accesso del piccolo risparmio e delle risorse previdenziali dei lavoratori al mercato finanziario. Si deve ripristinare il principio di separazione tra banche di credito ordinario, che prestano a breve, e società finanziarie che operano sul medio-lungo termine.
Contro eventuali strategie di dumping e di "esportazione della recessione" da parte di paesi extra-Ume, bisogna contemplare un sistema di apertura condizionata dei mercati, dei capitali e delle merci. L'apertura può essere piena solo se si attuano politiche convergenti di miglioramento degli standard del lavoro e dei salari, e politiche di sviluppo coordinate.
Siamo ben consapevoli della distanza che sussiste tra le nostre indicazioni e l'attuale, tremenda involuzione del quadro di politica economica europea.
Siamo tuttavia del parere che gli odierni indirizzi di politica economica potrebbero rivelarsi presto insostenibili.
Se non vi saranno le condizioni politiche per l'attuazione di un piano di sviluppo fondato sugli obiettivi delineati, il rischio che si scateni una deflazione da debiti e una conseguente deflagrazione della zona euro sarà altissimo. Il motivo è che diversi Paesi potrebbero cadere in una spirale perversa, fatta di miopi politiche nazionali di "austerità" e di conseguenti pressioni speculative. A un certo punto tali Paesi potrebbero esser forzatamente sospinti al di fuori della Unione monetaria o potrebbero scegliere deliberatamente di sganciarsi da essa per cercare di realizzare autonome politiche economiche di difesa dei mercati interni, dei redditi e dell'occupazione. Se così davvero andasse, è bene chiarire che non necessariamente su di essi ricadrebbero le colpe principali del tracollo della unità europea.
Simili eventualità ci fanno ritenere che non vi siano più le condizioni per rivitalizzare lo spirito europeo richiamandosi ai soli valori ideali comuni. La verità è che è in atto il più violento e decisivo attacco all'Europa come soggetto politico e agli ultimi bastioni dello Stato sociale in Europa. Ora più che mai, dunque, l'europeismo per sopravvivere e rilanciarsi dovrebbe caricarsi di senso, di concrete opportunità di sviluppo coordinato, economico, sociale e civile.
Per questo, occorre immediatamente aprire un ampio e franco dibattito sulle motivazioni e sulle responsabilità dei gravissimi errori di politica economica che si stanno compiendo, sui conseguenti rischi di un aggravamento della crisi e di una deflagrazione della zona euro e sulla urgenza di una svolta di politica economica europea.
Qualora le opportune pressioni che il Governo e i rappresentanti italiani delle istituzioni dovranno esercitare in Europa non sortissero effetti, la crisi della zona euro tenderà a intensificarsi e le forze politiche e le autorità del nostro Paese potrebbero esser chiamate a compiere scelte di politica economica tali da restituire all'Italia un'autonoma prospettiva di sostegno dei mercati interni, dei redditi e dell'occupazione.
L'iniziativa è stata promossa da Bruno Bosco (Università di Milano Bicocca), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Roberto Ciccone (Università Roma Tre), Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), Antonella Stirati (Università Roma Tre).
Ma questo articolo è stato scritto dal Sole 24 Ore o dal Manifesto? :D
Vabè che è solo una corrente di pensiero come un'altra perchè ci sono economisti che sono per una politica economica opposta a quella presentata nell'articolo.
Guardati un po' bene in giro... e ti accorgerai che tale bolla c'è anche in Italia.
Quella immobiliare è sotto controllo perché le banche sono state sempre molto caute nel concedere mutui, qualcosa c'è, e sono i derivati nelle casse comunali...............
sabato scorso ero in un centro commerciale a fare spesa, in mezzo ad auto c'era uno stand con due tipe in minigonna, ben carrozzate, scollatura generosa... che distribuivano volantini e sorrisi ai clienti.... anche io piglio il volantino oltre a fare la radiografia integrale alle tipe :D ... e cosa leggo... era una finanziaria locale che pubblicizzava un finanziamento ! finoa 50k€ entro 48 ore !
poi vado in auto per tornare a casa, accendo la radio e sento il jingle di una nota banca italiana che pubblicizza la... raccolta del denaro !
qualcosa non torna...
Hai controllato anche i tassi di interesse oltre a fare radiografie? :D
Che qualcosa non vada non ci sono dubbi........specie quando leggo i cartelloni sulle fiancate degli autobus che concedono prestiti ai pensionati anche se 8oenni :confused: o peggio ancora quando vado in banca e ci sono pacchi di depliant sulla "convenienza" delle revolving card :eek:
In questi tempi di crisi che specula sulla mancanza di liquido per molte famiglie credo che la distinzione fra il lecito e la truffa sia molto labile..................
Quanto alle banche sono a caccia di depositi perché con i tassi interbancari all'1% non c'è nessuna attrattiva a portarli in banca e infatti offrono un 2.50% lordo ma solo per due mesi..........
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