c.m.g
01-04-2010, 08:49
mercoledì 31 marzo 2010
Sono invece le catastrofi naturali il pericolo maggiore per la sicurezza delle reti critiche
Roma - La reale minaccia alle infrastrutture telematiche internazionali non verrebbe da cyberattacchi o da una vera e propria cyberguerra: il pericolo maggiore sarebbe rappresentato (http://www.adnkronos.com/IGN/News/CyberNews/Internet-Enea-per-reti-critiche-fa-piu-paura-sisma-che-cyber-attack_183204011.html) da "un terremoto o un'alluvione". Le infrastrutture dedicate ai trasporti, all'energia elettrica, alle telecomunicazioni o al sistema economico-finanziario sono minacciate, negli scenari "più realistici", più da calamità naturali che da cyber attacchi premeditati.
A dirlo è Sandro Bologna, dell'Unità Calcolo e Modellistica dell'Enea (http://titano.sede.enea.it/Stampa/index.php) durante il convegno promosso a Roma dall'Aiic (http://www.enea.it/eventi/eventi2010/AIIC-ENEA29032010/AICC29032010.html) (Associazione italiana esperti infrastrutture critiche): "la protezione delle infrastrutture critiche è un problema che va affrontato anche tenendo conto che i maggiori rischi sono esterni alle strutture stesse e, per la maggior parte, sono rischi derivanti da catastrofi naturali piuttosto che da attacchi informatici".
Negli ultimi dieci anni, infatti, i maggiori black out sono stati determinati da eventi naturali o errori umani. Come esempio Bologna ricorda quanto accaduto il 2 gennaio del 2004, quando fu l'allagamento degli impianti di Tor Pagnotta a mandare in tilt i bancomat, i check-in dell'aeroporto di Fiumicino e le banche di Roma.
Mentre tuttavia il fronte della comunicazione è molto attento a sottolineare le minacce di una cyberguerra (http://punto-informatico.it/2610365/PI/News/ue-un-cybercop-rete.aspx), per cui i governi sono sempre più preoccupati (http://punto-informatico.it/2610365/PI/News/ue-un-cybercop-rete.aspx), nella realtà per condurre un cyberattacco ad una rete protetta, sottolinea ancora Bologna, occorrono "altissime competenze ingegneristiche" e sarebbe necessario "conoscere dall'interno i potenti sistemi di protezione informatica di queste infrastrutture sensibili".
Due fattori che non sono facilmente rintracciabili. E per la cui prevenzione si spendono fior di milioni: secondo un recente rapporto (http://www.corrierecomunicazioni.it/index.php?section=news&idNotizia=77410) ben 6,3 milioni di dollari al giorno.
Per prevenire o curare eventuali danni alle infrastrutture prodotti da alluvioni e terremoti le soluzioni sono varie: tra le strategie più accreditate, secondo Bologna, il cosiddetto self healing, che guarda al mondo biologico per cercare di sviluppare soluzioni in cui l'apparato è in grado di auto-curarsi da eventuali buchi di natura informatica. Si tratta della prospettiva più affascinante, ma che si andrebbe ad affiancare alla necessità di aumentare gli strumenti di prevenzione.
Claudio Tamburrino
Fonte: Punto Informatico (http://punto-informatico.it/2844715/PI/News/cyberwar-male-minore.aspx)
Sono invece le catastrofi naturali il pericolo maggiore per la sicurezza delle reti critiche
Roma - La reale minaccia alle infrastrutture telematiche internazionali non verrebbe da cyberattacchi o da una vera e propria cyberguerra: il pericolo maggiore sarebbe rappresentato (http://www.adnkronos.com/IGN/News/CyberNews/Internet-Enea-per-reti-critiche-fa-piu-paura-sisma-che-cyber-attack_183204011.html) da "un terremoto o un'alluvione". Le infrastrutture dedicate ai trasporti, all'energia elettrica, alle telecomunicazioni o al sistema economico-finanziario sono minacciate, negli scenari "più realistici", più da calamità naturali che da cyber attacchi premeditati.
A dirlo è Sandro Bologna, dell'Unità Calcolo e Modellistica dell'Enea (http://titano.sede.enea.it/Stampa/index.php) durante il convegno promosso a Roma dall'Aiic (http://www.enea.it/eventi/eventi2010/AIIC-ENEA29032010/AICC29032010.html) (Associazione italiana esperti infrastrutture critiche): "la protezione delle infrastrutture critiche è un problema che va affrontato anche tenendo conto che i maggiori rischi sono esterni alle strutture stesse e, per la maggior parte, sono rischi derivanti da catastrofi naturali piuttosto che da attacchi informatici".
Negli ultimi dieci anni, infatti, i maggiori black out sono stati determinati da eventi naturali o errori umani. Come esempio Bologna ricorda quanto accaduto il 2 gennaio del 2004, quando fu l'allagamento degli impianti di Tor Pagnotta a mandare in tilt i bancomat, i check-in dell'aeroporto di Fiumicino e le banche di Roma.
Mentre tuttavia il fronte della comunicazione è molto attento a sottolineare le minacce di una cyberguerra (http://punto-informatico.it/2610365/PI/News/ue-un-cybercop-rete.aspx), per cui i governi sono sempre più preoccupati (http://punto-informatico.it/2610365/PI/News/ue-un-cybercop-rete.aspx), nella realtà per condurre un cyberattacco ad una rete protetta, sottolinea ancora Bologna, occorrono "altissime competenze ingegneristiche" e sarebbe necessario "conoscere dall'interno i potenti sistemi di protezione informatica di queste infrastrutture sensibili".
Due fattori che non sono facilmente rintracciabili. E per la cui prevenzione si spendono fior di milioni: secondo un recente rapporto (http://www.corrierecomunicazioni.it/index.php?section=news&idNotizia=77410) ben 6,3 milioni di dollari al giorno.
Per prevenire o curare eventuali danni alle infrastrutture prodotti da alluvioni e terremoti le soluzioni sono varie: tra le strategie più accreditate, secondo Bologna, il cosiddetto self healing, che guarda al mondo biologico per cercare di sviluppare soluzioni in cui l'apparato è in grado di auto-curarsi da eventuali buchi di natura informatica. Si tratta della prospettiva più affascinante, ma che si andrebbe ad affiancare alla necessità di aumentare gli strumenti di prevenzione.
Claudio Tamburrino
Fonte: Punto Informatico (http://punto-informatico.it/2844715/PI/News/cyberwar-male-minore.aspx)