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View Full Version : Il primo virus ereditabile


Johnn
10-03-2010, 18:12
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Il_primo_virus_ereditabile/1342427

Il fatto che il virus possa inserirsi nei cromosomi a livello dei telomeri, strutture cruciali della divisione cellulare, solleva molti questiti

L'herpesvirus umano 6 (HHV-6) – l'agente eziologico dell "sesta malattia", una patologia esantematica infantile solitamente benigna – infetta quasi il 100 per cento delle persone fin dalla prima infanzia, restando nell'organismo in modo permanente. Ora però un gruppo di ricercatori dell'Università della South Florida diretti da Peter Medveczky ha scoperto che in una piccola percentuale di persone riesce a integrare il proprio DNA nei cromosomi umani.

La scoperta è alquanto sorprendente dato che, per quanto diversi altri herpesvirus possano causare un'infezione permanente, il meccanismo è diverso: il loro DNA si chiude a cerchio e permane all'interno del nucleo cellulare in questa forma, senza inserirsi nei cromosomi.

Nel corso dello studio, descritto in un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, i ricercatori hanno anche confermato il sospetto, avanzato anni fa in seguito ad altre ricerche, che l'HHV-6 è in grado di infettare spermatozoi e cellule uovo. Di conseguenza, circa l'uno per cento della popolazione (la stima è stata condotta sulla popolazione statunitense) nasce con il DNA del virus presente in tutte le cellule del corpo. Di fatto HHV-6 è il primo virus che si è dimostrato in grado di trasmettersi in modo funzionale attraverso la linea germinale umana.

Dallo studio è risultato che il sito di inserzione del virus è all'interno dei telomeri, strutture alle estremità dei cromosomi che hanno un ruolo centrale nella regolazione della divisione cellulare e quindi dei processi di invecchiamento e dello sviluppo dei tumori.

Infine, i ricercatori hanno scoperto che il genoma virale integrato nei cromosomi può essere riattivato nella sua forma infettiva. Solitamente la riattivazione del virus - che può dare origine a encefaliti, epatiti, miocarditi e polmoniti, si verifica solo nelle persone gravemente immunodepresse, ma si sono riscontrati, sia pure molto raramente, anche casi in persone sane.

"Ora dobbiamo scoprire se la localizzazione dell'integrazione ha un impatto sulla patologia. E anche se vi sono farmaci che possono provocarne la riattivazione nel pazienti che sono portatori del virus in ogni loro cellula. In tal caso per questi pazienti sarebbe importante evitare quei farmaci", ha osservato Medveczky.

Ma il problema è ancora più vasto, osservano i ricercatori: le persona che hanno ereditato il virus sono più predisposte ad alcune malattie? In queste persone le proteine virali presenti dalla nascita sono riconosciute come estranee dal sistema immunitario del soggetto o no? E in caso di risposta negativa, si tratta di un vantaggio o uno svantaggio per la salute della persona? E ancora, dato che l'inserzione virale avviene a livello dei telomeri, ciò ha delle conseguenze sulla tendenza cellulare a invecchiare o a degenerare in forma tumorale?

Che ne dite? Chissà le risposte ai quesiti dell'ultima parte...

lowenz
10-03-2010, 18:30
Ti faccio presente che da quando è comparso l'Homo Sapiens gli innesti nel nostro genoma di virus ce ne sono stati taaaaaaaaaaanti tanti.

Quindi qui si parla del primo "dimostrato in laboratorio", non del primo.

Johnn
10-03-2010, 18:47
Ma una novità non è anche il fatto che il virus conservi una sua "identità"? Cioè i virus fossili che abbiamo nel DNA e forse in quelche organulo cellulare fanno ormai parte di noi stessi, non penso si possano chiamare neanche simbionti, parassiti o altro. Cioè un determinato pezzo di DNA umano non si è originato per mutazioni ma per un infezione virale (o anche batterica, penso) di un lontano passato: è servito più o meno a qualcosa, oppure ancora non è stato eliminato, e quindi ce lo siamo "tenuto", ma non si può parlare più di virus o batterio. Mentre in questo caso mi pare di sì, tanto che può di nuovo scatenare un'infezione. No?

lowenz
10-03-2010, 20:01
tanto che può di nuovo scatenare un'infezione. No?
Mi piacerebbe sapere come sanno che la fonte dell'infezione è proprio una parte di DNA che poi fa ricodificare ai ribosomi il virus e non il virus stesso ancora latente nell'organismo!
E' impossibile cacciare l'H.V. che io sappia, quindi come fanno ad essere sicuri del meccanismo?

Johnn
10-03-2010, 21:43
Se sono in grado di distinguere i virus, forse marcandoli o analizzando piccole differenze, basta confrontare il virus presente in una qualsiasi cellula magari dove il virus NON si annida con quello che ha determinato l'infezione. Se sono uguali l'ipotesi è confermata.

Comunque l'articolo è qui (ovviamente è accessibile solo l'abstract):

http://www.pnas.org/content/early/2010/03/01/0913586107.abstract?sid=2b21a44b-d046-4773-b44a-5ffa2c07ea83

Ma qui c'è un allegato pubblico:

http://www.pnas.org/content/suppl/2010/03/01/0913586107.DCSupplemental

Jarni
10-03-2010, 23:14
Ma una novità non è anche il fatto che il virus conservi una sua "identità"? Cioè i virus fossili che abbiamo nel DNA e forse in quelche organulo cellulare fanno ormai parte di noi stessi, non penso si possano chiamare neanche simbionti, parassiti o altro. Cioè un determinato pezzo di DNA umano non si è originato per mutazioni ma per un infezione virale (o anche batterica, penso) di un lontano passato: è servito più o meno a qualcosa, oppure ancora non è stato eliminato, e quindi ce lo siamo "tenuto", ma non si può parlare più di virus o batterio. Mentre in questo caso mi pare di sì, tanto che può di nuovo scatenare un'infezione. No?

Se scatenasse un'infezione sarebbe dannoso alla prosecuzione della specie, quindi alla fine non avremmo più un DNA "infetto" da quel virus.

Johnn
10-03-2010, 23:38
Ma non è letale ed addirittura siamo praticamente tutti infetti, come è scritto nel primo post. Perché dovrebbe essere "eliminato" dall'evoluzione?

Jarni
10-03-2010, 23:43
Ma non è letale ed addirittura siamo praticamente tutti infetti, come è scritto nel primo post. Perché dovrebbe essere "eliminato" dall'evoluzione?

Se scatena un'infezione allora è un selettore naturale della specie.:rolleyes:

frankytop
10-03-2010, 23:47
La scoperta è alquanto sorprendente dato che, per quanto diversi altri herpesvirus possano causare un'infezione permanente, il meccanismo è diverso: il loro DNA si chiude a cerchio e permane all'interno del nucleo cellulare in questa forma, senza inserirsi nei cromosomi

Un anello virale ricorda una clamidia che si può trovare anche nei batteri ed è simbionte con la cellula.

Comunque interessante,l'hanno scovato nei telomeri:evidentemente hanno avuto qualche indizio che si nascondesse li,quindi hanno separato quella porzione periferica di DNA.

frankytop
10-03-2010, 23:50
Ma non è letale ed addirittura siamo praticamente tutti infetti, come è scritto nel primo post. Perché dovrebbe essere "eliminato" dall'evoluzione?

Infatti,come tanta altra accozzaglia genetica che ci portiamo appresso nei geni da tempi immemorabili se non arreca svantaggi non viene eliminato,o meglio sono stati forse eliminati quei soggetti a cui portava svantaggi.

Jarni
10-03-2010, 23:53
Infatti,come tanta altra accozzaglia genetica che ci portiamo appresso nei geni da tempi immemorabili se non arreca svantaggi non viene eliminato,o meglio sono stati forse eliminati quei soggetti a cui portava svantaggi.

E' il concetto che volevo esprimere io: se sta nel DNA da tanto tempo, allora non fa male.:D

frankytop
11-03-2010, 00:02
E' il concetto che volevo esprimere io: se sta nel DNA da tanto tempo, allora non fa male.:D

Si tratta di semplice bigiotteria genetica.:D

Jarni
11-03-2010, 00:11
Si tratta di semplice bigiotteria genetica.:D

Il gusto del retrò...

lowenz
11-03-2010, 16:19
Si tratta di semplice bigiotteria genetica.:D
Questa è bella :D

lowenz
16-03-2010, 10:26
Notizia inerente!

http://www.molecularlab.it/news/view.asp?n=6755

La suscettibilità alle infezioni virali varia da individuo a individuo, con alcune persone che, benché esposte al virus per lunghi periodi di tempo, non ne vengono comunque infettati. Per quale motivo? Ricercatori italiani presso l'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Eugenio Medea (IRCCS), l'Università degli Studi di Milano e il Politecnico di Milano, hanno svelato il mistero, e il loro lavoro potrebbe condurre a nuove terapie per combattere le infezioni. I risultati del loro studio, finanziato in parte dall'Unione europea, sono stati pubblicati nella rivista Public Library of Science (PLoS) Genetics.

Tutti sanno che la genetica riveste un ruolo cruciale nella suscettibilità alle infezioni virali, ma le varianti specifiche di protezione individuate fino ad oggi riguardano solo una piccola parte della variazione genetica totale. Molto probabilmente saranno scoperte anche altre varianti genetiche. Decisi ad arrivare in fondo alla questione, i ricercatori hanno analizzato il genoma di 52 popolazioni di diverse parti del mondo, esposte ad una vasta gamma di virus.

Le loro scoperte fanno parte dei progetti EMPRO ("European microbicides project"), AVIP ("AIDS vaccine integrated project") e NGIN ("Next generation HIV-1 immunogens inducing broadly reactive neutralising antibodies"), finanziati dall'Unione europea. EMPRO e AVIP hanno ricevuto 11,8 milioni di euro e 10,3 milioni di euro rispettivamente attraverso l'area tematica "Scienze della vita, genomica e biotecnologie per la salute" del Sesto programma quadro (6° PQ).
Il progetto NGIN ha ricevuto un finanziamento di 7,53 milioni di euro attraverso il tema "Salute" del Settimo programma quadro (7° PQ).

Per secoli i virus sono rimasti in cima alla classifica - insieme alle guerre e alle carestie - delle sfide più importanti affrontate dal progresso e dalla sopravvivenza umana. Inoltre, gli studi hanno dimostrato che, appena infettano il codice chimico di cui è composto il materiale genetico, i virus si trovano nel nostro organismo contenendo elementi che vanno molto indietro nel tempo. Con il completamento della mappatura del genoma umano nel 2003, gli scienziati si sono trovati di fronte a un fatto sorprendente: il nostro organismo è cosparso di frammenti di cosiddetti retrovirus endogeni. Ma qual è stato il ruolo di questo DNA (acido desossiribonucleico) virale nella nostra evoluzione e come influisce sulla nostra fisiologia?

Per rispondere a queste domande, i ricercatori italiani hanno analizzato il genoma umano per scoprire le prove della selezione naturale - l'evoluzione delle mutazioni genetiche favorevoli - nel corso degli ultimi 200.000 anni dell'evoluzione umana. Il loro studio si è concentrato sulle mutazioni nei cromosomi chiamati "polimorfismi a singolo nucleotice" o SNP (pronunciato "snip").

Nel corso del tempo, i cromosomi si dividono e si ricombinano casualmente per creare nuove varianti del cromosoma. Se appare una mutazione favorevole, allora il numero di copie di quel cromosoma aumenterà rapidamente nella popolazione, perché i soggetti con quella mutazione avranno più probabilità di sopravvivere e riprodursi. I ricercatori si sono chiesti se l'elevata presenza di virus nei luoghi dove le condizioni climatiche sono favorevoli - come ad esempio le regioni calde e umide dell'Africa - corrispondono anche a un maggior numero di queste mutazioni genetiche.

Collegando il numero di mutazioni diverse con i virus, i ricercatori hanno scoperto che più di 400 differenti mutazioni in 139 geni aumentano fortemente il rischio delle persone di contrarre i virus. Come previsto, molti di questi geni erano stati selezionati e tra le popolazioni infettate da molti virus diversi si è diffuso un numero maggiore di mutazioni genetiche. Da questi risultati i ricercatori hanno dedotto che molti di questi geni ci rendono più o meno sensibili ai virus.

Benché i risultati di questo studio siano ben lungi dall'essere conclusivi, i ricercatori sono riusciti a far luce su una questione che ha impegnato le menti di molti scienziati nel corso degli anni. Tra le cose da fare nei prossimi anni, c'è quella di condurre studi di follow-up in gruppi più grandi di soggetti che dovrebbero fornire risposte più precise. Fino ad allora, la dottoressa Manuela Sironi dell'IRCCS e i suoi colleghi propongono che questo approccio combinato venga anche utilizzato per individuare i geni che favoriscono o riducono il rischio di infezioni causate da altri patogeni, come ad esempio i batteri.