blamecanada
12-12-2009, 22:55
Elezioni in Cile: Il “cambio” vuol dire un Berlusconi cileno?
Domenica si vota per le elezioni presidenziali in Cile, anche se con ogni probabilità sarà necessario un ballottaggio. Nel paese dove più appare funzionante il modello neoliberale, ma non per questo l’ingiustizia sociale è scomparsa, Michelle Bachelet esce di scena con altissimi livelli di popolarità. Quattro candidati competono per sostituirla in un paese post-politico e parzialmente alieno dal contesto integrazionista del Continente. Favorita è la destra-destra di Sebastián Piñera, imprenditore senza scrupoli nella televisione, nel calcio, nelle carte di credito, nella compagnia aerea LanChile e in chissà quant’altro. Charmant o volgarissimo a seconda del punto di vista, secondo molti sarebbe l’epigono australe più riuscito di Silvio Berlusconi.
Questo propugna il cambio anche rispetto alla pallida socialdemocrazia della Concertazione (l’alleanza tra Democrazia Cristiana e Partito Socialista), che governa da 20 anni e che ripresenta il bolso Eduardo Frei, il democristiano già presidente negli anni ’90. Senza speranze, se non di far bella figura, il candidato della sinistra Jorge Arrate. Da mesi la sorpresa si chiama Marco Enríquez-Ominami, figlio del leader del MIR Miguel, uscito dalla Concertazione per candidarsi. Si presenta come il nuovo che avanza, e il suo sogno è scalzare Frei dal ballottaggio e sfidare Piñera.
Su una cosa i sondaggisti sono concordi. Al primo posto, sicuro di arrivare almeno al ballottaggio, con un’aspettativa di voto compresa tra il 36 e il 42%, c’è il candidato della destra Sebastían Piñera. Questo si sente ad un passo dalla vittoria. Il bacino elettorale della destra tutta è stato nei vent’anni dalla fine della dittatura poco al di sotto del 50%, con le ultime due elezioni perse sul filo di lana. Stavolta la scelta oggettivamente con poco appeal di Eduardo Frei da parte della Concertazione, unita alla presenza di altri due candidati che partono come non marginali, Enríquez-Ominami e Arrate, rompono il rigido bipolarismo (ampiamente lottizzato) cileno e concorrono a far pensare che per il Berlusconi cileno sia la volta buona.
Mentre il buon Jorge Arrate, con una storia cristallina di militanza, è destinato a raggiungere il miglior risultato di sempre per la sinistra radicale, ma restando sempre tra il 5 e l’8% dei suffragi, tutta l’attenzione del primo turno va a se “Marco” riuscirà completare la sua rimonta su Frei e potrà nel ballottaggio rappresentare la sua come una candidatura di cambiamento contro la destra rispetto alla minestra riscaldata di Frei e con la Concertazione lontanissima dal rappresentare ormai la sua base sociale e popolare.
Dopo due presidenze democristiane (Patricio Aylwin e lo stesso Frei) la Concertazione è sopravvissuta a se stessa per altre due legislature con la retorica del “primo socialista” dopo Allende (Ricardo Lagos) e poi della “prima donna” alla Moneda. Adesso con la riproposizione di Frei è difficile mobilitare elettori e non presentarsi solo come la continuazione di un modello che ha già dato restituendo la vivibilità democratica al paese ma lasciando intoccato il modello thatcheriano imposto dalla dittatura.
È in questo contesto, quella della fuga di molti militanti di base, lavoratori, intellettuali, sindacalisti, che nasce la candidatura alternativa di “Marco”, giovane (36 anni) deputato della Concertazione stessa uscito da questa per non sottostare alla logica delle primarie.I favorevoli lo considerano brillante, critico, progressista, rappresentante di una sinistra non dogmatica ma che non dimentica il passato con la figura straordinaria del padre (massimo dirigente del MIR –Movimento Sinistra Rivoluzionaria- morto in combattimento) a fare da tramite con la storia gloriosa del movimento operaio cileno. Quelli che guardano criticamente alla sua candidatura lo considerano inconsistente, post-ideologico che guarda a destra come a sinistra, un demagogo capace di giocare con i nuovi media (in Internet è presentissimo) che forse rinnova l’immagine ma non la sostanza di una Concertazione ancorata al modello.
Se alcuni tratti della figura di Enríquez Ominami lasciano interdetti i militanti della sinistra tradizionale è pur vero che la lenta agonia della sinistra cilena stessa, tra la gestione del potere per il potere della Concertazione e la dignitosa testimonialità di candidature come quella di Arrate, non può non riconsegnare ai post-pinochetisti del Berlusconi cileno Piñera il paese.
Forse più di Enríquez Ominami è il lavoro di lungo periodo per arrivare ad un’Assemblea Costituente per superare la carta pinochetista quello che può cambiare il Cile. Salvador Allende ebbe la pazienza di quattro campagne elettorali prima di arrivare al 4 settembre del 1970. Oggi, alla fine del ventennio concertazionista un nuovo modello di Cile è necessario. Lo troveranno i cileni nelle urne di domenica?
Fonte: Giornalismo Partecipativo (http://www.gennarocarotenuto.it/11723-elezioni-in-cile-il-cambio-vuol-dire-un-berlusconi-cileno/)
Domenica si vota per le elezioni presidenziali in Cile, anche se con ogni probabilità sarà necessario un ballottaggio. Nel paese dove più appare funzionante il modello neoliberale, ma non per questo l’ingiustizia sociale è scomparsa, Michelle Bachelet esce di scena con altissimi livelli di popolarità. Quattro candidati competono per sostituirla in un paese post-politico e parzialmente alieno dal contesto integrazionista del Continente. Favorita è la destra-destra di Sebastián Piñera, imprenditore senza scrupoli nella televisione, nel calcio, nelle carte di credito, nella compagnia aerea LanChile e in chissà quant’altro. Charmant o volgarissimo a seconda del punto di vista, secondo molti sarebbe l’epigono australe più riuscito di Silvio Berlusconi.
Questo propugna il cambio anche rispetto alla pallida socialdemocrazia della Concertazione (l’alleanza tra Democrazia Cristiana e Partito Socialista), che governa da 20 anni e che ripresenta il bolso Eduardo Frei, il democristiano già presidente negli anni ’90. Senza speranze, se non di far bella figura, il candidato della sinistra Jorge Arrate. Da mesi la sorpresa si chiama Marco Enríquez-Ominami, figlio del leader del MIR Miguel, uscito dalla Concertazione per candidarsi. Si presenta come il nuovo che avanza, e il suo sogno è scalzare Frei dal ballottaggio e sfidare Piñera.
Su una cosa i sondaggisti sono concordi. Al primo posto, sicuro di arrivare almeno al ballottaggio, con un’aspettativa di voto compresa tra il 36 e il 42%, c’è il candidato della destra Sebastían Piñera. Questo si sente ad un passo dalla vittoria. Il bacino elettorale della destra tutta è stato nei vent’anni dalla fine della dittatura poco al di sotto del 50%, con le ultime due elezioni perse sul filo di lana. Stavolta la scelta oggettivamente con poco appeal di Eduardo Frei da parte della Concertazione, unita alla presenza di altri due candidati che partono come non marginali, Enríquez-Ominami e Arrate, rompono il rigido bipolarismo (ampiamente lottizzato) cileno e concorrono a far pensare che per il Berlusconi cileno sia la volta buona.
Mentre il buon Jorge Arrate, con una storia cristallina di militanza, è destinato a raggiungere il miglior risultato di sempre per la sinistra radicale, ma restando sempre tra il 5 e l’8% dei suffragi, tutta l’attenzione del primo turno va a se “Marco” riuscirà completare la sua rimonta su Frei e potrà nel ballottaggio rappresentare la sua come una candidatura di cambiamento contro la destra rispetto alla minestra riscaldata di Frei e con la Concertazione lontanissima dal rappresentare ormai la sua base sociale e popolare.
Dopo due presidenze democristiane (Patricio Aylwin e lo stesso Frei) la Concertazione è sopravvissuta a se stessa per altre due legislature con la retorica del “primo socialista” dopo Allende (Ricardo Lagos) e poi della “prima donna” alla Moneda. Adesso con la riproposizione di Frei è difficile mobilitare elettori e non presentarsi solo come la continuazione di un modello che ha già dato restituendo la vivibilità democratica al paese ma lasciando intoccato il modello thatcheriano imposto dalla dittatura.
È in questo contesto, quella della fuga di molti militanti di base, lavoratori, intellettuali, sindacalisti, che nasce la candidatura alternativa di “Marco”, giovane (36 anni) deputato della Concertazione stessa uscito da questa per non sottostare alla logica delle primarie.I favorevoli lo considerano brillante, critico, progressista, rappresentante di una sinistra non dogmatica ma che non dimentica il passato con la figura straordinaria del padre (massimo dirigente del MIR –Movimento Sinistra Rivoluzionaria- morto in combattimento) a fare da tramite con la storia gloriosa del movimento operaio cileno. Quelli che guardano criticamente alla sua candidatura lo considerano inconsistente, post-ideologico che guarda a destra come a sinistra, un demagogo capace di giocare con i nuovi media (in Internet è presentissimo) che forse rinnova l’immagine ma non la sostanza di una Concertazione ancorata al modello.
Se alcuni tratti della figura di Enríquez Ominami lasciano interdetti i militanti della sinistra tradizionale è pur vero che la lenta agonia della sinistra cilena stessa, tra la gestione del potere per il potere della Concertazione e la dignitosa testimonialità di candidature come quella di Arrate, non può non riconsegnare ai post-pinochetisti del Berlusconi cileno Piñera il paese.
Forse più di Enríquez Ominami è il lavoro di lungo periodo per arrivare ad un’Assemblea Costituente per superare la carta pinochetista quello che può cambiare il Cile. Salvador Allende ebbe la pazienza di quattro campagne elettorali prima di arrivare al 4 settembre del 1970. Oggi, alla fine del ventennio concertazionista un nuovo modello di Cile è necessario. Lo troveranno i cileni nelle urne di domenica?
Fonte: Giornalismo Partecipativo (http://www.gennarocarotenuto.it/11723-elezioni-in-cile-il-cambio-vuol-dire-un-berlusconi-cileno/)