blamecanada
07-12-2009, 00:01
Bolivia, Morales rieletto presidente
L'attuale capo dello Stato ha ottenuto, secondo gli exit poll, più del 62% delle preferenze dei 5 milioni di elettori
MILANO - Evo Morales non ha disatteso le aspettative: con le urne chiuse da poco, gli exit poll danno il presidente nuovamente vincente con più del 62% delle preferenze dei 5 milioni di elettori.
Il presidente non ha mai fatto mistero di guardare con fiducia al futuro: magari anche per un terzo mandato dopo il 2014. A non escludere tale possibilità è stato lo stesso capo dello stato della Bolivia, subito dopo aver votato nelle presidenziali alle quali si è presentato in pole position, di fatto senza avversari di peso.
A essere chiamati alle urne, come detto, sono stati più di 5 milioni di boliviani per scegliere non solo il presidente e il suo vice, ma anche i 166 componenti dell'Assemblea Plurinazionale, il nuovo parlamento frutto della Costituzione promossa dal cinquantenne dell'etnia aymara Morales lo scorso gennaio, e approvato con un referendum.
06 dicembre 2009
Fonte: corriere.it (http://www.corriere.it/esteri/09_dicembre_06/bolivia-morales_63c8e14a-e2b2-11de-be1f-00144f02aabc.shtml)
Speciale Bolivia 1: appunti per un bilancio sul governo (riformista) dei movimenti sociali
Il primo quadriennio di Evo Morales al governo della Bolivia ha coniugato il massimo dell’utopia al massimo del pragmatismo. A smentire tutti i paradigmi neoliberali la nazionalizzazione del settore estrattivo ha sottratto alle multinazionali la parte iniqua dei guadagni ed è servito a mettere in moto un processo di perequazione sociale finora coniugato con le esigenze di un bilancio dello stato oggi molto più brillante che all’epoca dei Chicago boys.
Tutto ciò è stato fatto cambiando (o iniziando a cambiare) lo Stato con la nuova Costituzione plurinazionale che restituisce la piena cittadinanza alla maggioranza indigena e accrescendo sempre più un consenso che assume tratti egemonici. D’altra parte, e causa qualche preoccupazione, il MAS mostra segnali di trasformarsi in un “catch all party” che supera la propria base per strizzare l’occhio a frammenti non proprio presentabili dell’opposizione.
È difficile oggi per la destra imprenditoriale attaccare il Morales che ha mantenuto la Bolivia fuori dalle secche della crisi. Se fosse intellettualmente onesto forse quell’imprudente giornalista italiano, Oscar Giannino, che definì Evo “un narcoindio fuori di testa”, dovrebbe chiedere scusa. Il CEPAL, la Commissione dell’ONU per l’economia latinoamericana, traccia bilanci più che lusinghieri su tutto il mandato. Anche il 2009 si chiuderà con un +4% di PIL (6% nel 2008). Laddove in epoca neoliberale le casse erano vuote, oggi le riserve sono stratosferiche, 10 miliardi di dollari e il debito estero (con un importante aiuto venezuelano) è in costante calo.
Non solo: durante la prima legislatura di Evo il settore manifatturiero (che rappresenta quindi diversificazione reale dell’economia rispetto ai tradizionali settori agrario, agro-industriale ed estrattivo) è cresciuto a ritmi dell’8% l’anno. L’export, incentrato soprattutto nel settore estrattivo, è cresciuto addirittura del 45%. Le multinazionali, dopo le campagne di diffamazione dovute alle nazionalizzazioni, stanno tornando, Repsol in testa, a fare affari (meno iniqui) in Bolivia. Quindi, anche visto “da destra” il bicchiere è pieno.
Ciò però non significa che anche da sinistra il bilancio non mostri segnali indubitabili di progressione. Per la prima volta c’è una Costituzione che garantisce tutti i cittadini e non solo le élite. Mezzo milione di ettari di terra sono stati distribuiti a contadini poveri e i programmi di alfabetizzazione hanno coinvolto quasi mezzo milione di cittadini. Il salario minimo è stato costantemente ritoccato verso l’alto, le condizioni dei braccianti sono state migliorate, gli anziani hanno finalmente diritto alla pensione e per la prima volta la gravidanza è accompagnata dallo Stato con assegni mensili e una serie di controlli medici pre e post parto gratuiti.
Inoltre lo Stato non si è fatto strappare dai privati il controllo sull’estrazione del litio, materia prima della quale la Bolivia possiede le prime riserve al mondo e che sta rivoluzionando la produzione di batterie nel pianeta. Addirittura 350 milioni sono stati investiti nella realizzazione di uno degli impianti di raffinazione di questa materia più avanzati al mondo, una somma impensabile fino a ieri per uno Stato fallito come quello boliviano. Infine, la Bolivia ha accompagnato tutti i passi compiuti dall’America integrazionista in politica internazionale, contro le basi statunitensi in Colombia e contro il golpe in Honduras divenendo per la prima volta un attore (sia pur minore) in politica internazionale e un simbolo dell’unità latinoamericana, delle relazioni Sud-Sud e del dialogo pacifico tra i popoli.
Va detto, che piaccia o no, che è con la valuta pregiata incassata dal settore estrattivo che il governo boliviano riesce a tenere in piedi i più meritevoli dei suoi programmi sociali, quelli che stanno riportando i bambini a scuola o stanno ridando dignità agli anziani. Bisogna perciò prendere atto che è l’equilibrio tra pragmatismo e sogno emancipatore è la chiave del successo di Evo Morales (e di tutti i governi integrazionisti latinoamericani nell’ultimo decennio).
Dietro una certa retorica rivoluzionaria e parole d’ordine come il Movimento al Socialismo o il Socialismo del XXI secolo di Hugo Chávez, si nasconde quello che in pochi, da destra come da sinistra, dall’Europa e dall’America, hanno piacere di vedere. I governi integrazionisti latinoamericani hanno riscoperto e attualizzato il senso della parola “riformismo” così come l’intendevano i vecchi socialisti figli della seconda internazionale fino a prima del cataclisma neoliberale.
Riformismo dunque come percorso verso la perequazione e la giustizia sociale e non verso la deregulation da Chicago boys come s’intende ancora oggi nella sempre più arretrata Europa. “Riformismo” che vuol dire, qui ed ora, più diritti e più garanzie per i più deboli e non mani libere per i più forti come nell’accezione (travisamento) moderna del termine.
Da lunedì Evo Morales e Álvaro García Linares dovranno dimenticare il consenso. Avranno davanti altri cinque difficili anni e forse più sapendo di camminare su di un crinale nel quale l’uso dello sviluppo industrialista deve creare benessere (e consenso immediato) ma per cambiare davvero la storia del paese e della regione tale uso deve essere finalizzato davvero alla transizione verso un nuovo modello di sviluppo. Altrimenti, come è avvenuto più volte nella storia boliviana, la retorica rivoluzionaria resterà tale e l’esclusione sarà stata solo temporaneamente alleviata.
Fonte: Giornalismo Partecipativo (http://www.gennarocarotenuto.it/11646-speciale-bolivia-1-appunti-per-un-bilancio-sul-governo-riformista-dei-movimenti-sociali/)
Speciale Elezioni in Bolivia 2: Evo Morales, dal governo all’egemonia?
Domenica Evo Morales sarà rieletto trionfalmente presidente della Bolivia. Anche i sondaggi più striminziti lo danno al 55%, comunque al di sopra del 53.7% del 2005, mentre quelli amichevoli lo collocano addirittura alle soglie del 70%.
Dopo due secoli di instabilità politica, dittature e minoranze creole al governo la Bolivia così si avvia al secondo governo delle maggioranze, o dei movimenti sociali, come ama dire Evo. Sarà uno straordinario successo, Morales sarà il primo presidente della storia ad essere rieletto democraticamente, sul quale la grande stampa glisserà, o che irriderà e continuerà senza alcuna riflessione a demonizzare. Nella base militante intanto vi sono dubbi su una politica di alleanze considerata troppo spregiudicata. Sapremo domenica se per il partito del Presidente Morales, il MAS, il “Movimento al Socialismo”, sarà valsa la pena il sacrificare un po’ di coesione per riuscire a conseguire i due terzi dei seggi in parlamento.
Le destre comunque, dopo aver tentato la via dell’eversione, della secessione, del golpe e dello stragismo sono in rotta. Il candidato più forte, l’impresentabile parafascista e stretto collaboratore del dittatore García Meza, Manfred Reyes Villa (che candida come vice Leopoldo Fernández, in carcere come mandante della strage di El Porvenir), potrebbe non raggiungere il 20% dei suffragi. Ancor più dietro il liberale Samuel Doria Medina che non arriverebbe al 10%. Perfino nella provincia di Santa Cruz, dove le classi dirigenti hanno per anni soffiato sul fuoco della secessione, oggi si ammette (magari tramando nell’ombra) la legittimità piena della presidenza Morales e si preparano ad una continuità con la quale saranno costretti a convivere. Il MAS da parte sua, con qualche mugugno giustificato, sembra essere generoso nel fare salire sul carro del vincitore ex-nemici spesso non proprio presentabili.
La speranza (forse esagerata) di arrivare a due terzi di parlamentari si gioca infatti nell’Oriente del paese, ricco, creolo, di destra, già che nell’altipiano le percentuali del MAS sono su cifre che all’epoca della guerra fredda si sarebbero dette bulgare. In particolare a Santa Cruz l’incorporazione si spinge a settori della neofascista Unión Juvenil Cruceña. Questa, secondo molti, è un cavallo di troia che minerebbe dall’interno, meglio che dando battaglia da fuori, un governo che, spostandosi verso il centro politico lascia insoddisfatti alcuni settori del partito, soprattutto quelli che fino a ieri reggevano lo scontro, spesso violento, con i paramilitari della UJC. È questo uno dei pochi dubbi delle ultime settimane di campagna elettorale. Alcune giocate, tendenti a rafforzare il fianco destro per ottenere l’obbiettivo dei due terzi in parlamento, potrebbero causare rifiuto verso alcuni candidati e i settori radicali del partito e dei movimenti sociali potrebbero votare Evo ma non i candidati proposti nei collegi locali. Altre considerazioni propongono una realtà del cambiamento in atto in Bolivia ben più pragmatica di come piace a molti guardarla.
Se la Costituzione, approvata dopo un’asperrima battaglia, andava nella direzione del rafforzamento di un nuovo modello di sviluppo e dell’identità plurale dei boliviani, non solo il discorso elettorale sembra modificarsi in un nuovo desarrollismo che strizza l’occhio all’impresa, promette grandi opere (spesso a dire il vero ineludibili in un enorme paese tra i più arretrati al mondo come infrastrutture) e rivalorizza l’identità boliviana. Come ha scritto con chiarezza Pablo Stefanoni il discorso di Evo sembra scindersi in due. Da un lato, soprattutto nei consessi internazionali è quello ecologista e per un nuovo modello di sviluppo. Dall’altro vi è la riproposizione del modello desarrollista basato sull’estrazione di materie prime non rinnovabili in un contesto nel quale è difficile (ma non impossibile?) che l’uno non escluda l’altro.
Poco resta da dire su elezioni che saranno senza storia se non che si voterà con un nuovo sistema di identificazione biometrica degli elettori che rende virtualmente impossibili i brogli e fa emergere oltre un milione di cittadini prima mai registrati. L’opposizione non lo voleva ma già vari paesi vogliono adottare il sistema boliviano. Da lunedì la Bolivia entra nel secondo mandato di Evo Morales. Riuscirà a conciliare tutto?
Fonte: Giornalismo Partecipativo (http://www.gennarocarotenuto.it/11653-speciale-elezioni-in-bolivia-2-evo-morales-dal-governo-allegemonia/)
Gennaro Carotenuto intervista Evo Morales: “il movimento indigeno è la riserva morale dell’umanità”
Il primo governo indigeno nella storia della Bolivia, ha vissuto pericolosamente il suo primo anno e mezzo di vita. Tra difficoltà ed errori, soprattutto sul fronte di un’Assemblea Costituente oramai in fase di stallo, e successi come quello della nazionalizzazione del gas, incontriamo Evo Morales, primo presidente indigeno del paese.
Gennaro Carotenuto intervista Evo Morales
Evo, come tutti lo chiamano, non è stato cambiato per nulla dal potere e continua ad essere lontano dallo stereotipo del capo di stato. Nonostante il decoroso giubbino che sostituisce la tenuta presidenziale all’occidentale dei suoi predecessori, continua ad essere il sindacalista che per una vita ha difeso quegli indigeni che da 5.000 anni in Bolivia coltivano la pianta di coca, la base identitaria della cultura andina.
La sua cultura continua ad essere altra, antitetica a quella Occidentale. Ascolta attentamente, parla piano, senza iattanza, con modestia. Il suo parlare è semplice, diretto, privo di retorica o artifici. Tanto la cultura aymara, alla quale appartiene, come la tradizione sindacale, fanno del dialogo, della trattativa, delle decisioni condivise che maturano lentamente, la base di ogni processo democratico.
Lo incontriamo a Cochabamba, dove ha inaugurato il V Incontro mondiale di intellettuali e artisti in difesa dell’umanità, nel quale si è discusso per due giorni di media e diritto all’informazione. E’ un tema chiave anche in Bolivia dove, secondo uno studio dell’Università Cattolica, Evo Morales ha il 66% di appoggio popolare ma ha l’80% dei media contro. Morales mi corregge: “E’ il 66% nelle città, dove la gente ha il telefono e risponde ai sondaggi. Ma nelle campagne abbiamo l’80%. E’ importante discutere di democratizzazione dei media perché spesso, per mancanza di informazione, non si hanno i mezzi per cercare giustizia ed equilibrio nella società. Sono preoccupato dalla concentrazione mediatica, ma allo stesso tempo sono contento, perché nel mondo stanno crescendo fonti di comunicazione alternativa che si interessano alle necessità dell’essere umano”.
Per marcare la differenza, come primo atto del suo governo, Evo dimezzò il suo stipendio, portandolo a 1.500 € al mese. Altrettanto fece con ministri e parlamentari. Qualcuno lo considererà demagogico, ma il ragionamento è opposto a quello occidentale: “solo chi accetta di entrare in politica rinunciando ad un’ascensione di carriera, lo farà per spirito di servizio”.
Poi stabilì che se i boliviani avevano bisogno del visto per entrare negli Stati Uniti allora anche gli statunitensi avevano bisogno del visto per entrare in Bolivia. Qualcuno sorrise, ma i boliviani sentirono che per la prima volta non erano più cittadini di serie B. Ma, soprattutto, lo scorso anno Evo fece parlare di sé per la nazionalizzazione degli idrocarburi, creando uno scandalo internazionale. La settimana scorsa ha chiuso i conti, acquistando per 112 milioni di dollari le raffinerie di proprietà di Petrobras, dimostrando che contrasti col Brasile dell’amico Lula non ve n’erano.
Evo, sulla stampa italiana qualcuno ti definì un narcoindio fuori di testa. Sorride: “Il nostro impegno è quello di rifondare la Bolivia. Su basi etiche ma anche su basi economiche. Per farlo abbiamo nazionalizzato gli idrocarburi. Oggi perfino i mercati appaiono tranquilli, e pochi discutono che sia stato il tuo più grande successo: Pochi giorni fa ho visitato un municipio poverissimo nei dintorni di Potosí. Fino al 2005 aveva un bilancio di 840.000 bolivianos (la moneta locale, circa 85.000 €, ndr). Nel 2007 ha un bilancio di oltre 9 milioni di bolivianos (930.000 €).
Ed è così in tutto il paese e speriamo che questi soldi siano ben amministrati da sindaci e prefetti. Ti faccio un altro esempio: dal 1970 fino al 2005, ogni fine anno, fosse chi fosse il capo del governo, per poter pagare le tredicesime dovevano partire dei funzionari per gli Stati Uniti a farsi fare un prestito. Lo scorso anno per la prima volta ciò non è avvenuto. E ciò non è avvenuto perché abbiamo recuperato la sovranità sui nostri idrocarburi. Nel 2005 dagli idrocarburi allo Stato rimanevano solo 300 milioni di dollari. Adesso entrano 1.600 milioni di dollari, ridistribuiti tra le amministrazioni locali, le università e il tesoro. Il succo di questa esperienza è che le risorse naturali non devono mai essere privatizzate perché sono quelle che risolvono i problemi”.
Fin qui i successi. Ma ci sono anche le difficoltà, soprattutto con l’Assemblea Costituente, sulla quale il partito di maggioranza, il MAS (Movimento Al Socialismo), aveva puntato molto per cambiare lo Stato. Dopo la vittoria dell’opposizione, che ha imposto che ogni singolo articolo debba passare con una maggioranza dei due terzi, per molti osservatori è già una scommessa perduta. Ha ceduto sul regionalismo, che favorisce i ricchi e bianchi dell’Oriente, altre volte mantiene le posizioni con difficoltà. E’ il caso dell’abolizione del cattolicesimo come religione ufficiale, una misura che vuole terminare con sovvenzioni ed esenzioni fiscali. “Non nego che ci siano delle difficoltà su punti importanti e l’opposizione stia ritardando o bloccando il processo. E’ possibile che vengano allungati i tempi (i lavori per legge dovrebbero concludersi il 2 luglio, scadenza oramai saltata, n.d.r.) e che si ricorra a referendum popolari per dirimere le divergenze”.
Il problema del latifondo è tra questi: Gli allevatori pretendono che, per ogni capo di bestiame posseduto, ben cinque ettari di terra siano considerati produttivi e quindi esclusi dalla riforma agraria. Emergono continuamente due idee di paese; per Evo va conciliata la giustizia comunitaria indigena con quella tradizionale occidentale e abolita quella militare che tocca nodi come quello dell’impunità. Tuttavia il Presidente, come un nation builder del XIX secolo, è favorevole al servizio militare obbligatorio: “Per gli indigeni il servizio militare è stato una maniera di essere riconosciuti socialmente. I creoli riuscivano ad evitarlo con ogni pretesto e io sono il primo presidente civile- della storia ad aver fatto il servizio militare”.
La permanenza della leva si concilia con la rinuncia alla guerra voluta dal presidente nella nuova Costituzione: “Nessuna delle guerre della storia che hanno coinvolto il mio paese, sono state volute dal popolo. Dalle guerre i popoli perdono e le multinazionali guadagnano. Le multinazionali provocano conflitti per accumulare e concentrare capitali, e questo non è utile e non risolve alcun problema per i poveri del mondo. Quindi, nella nuova Costituzione, la Bolivia rinuncerà alla guerra. Perché se c’è guerra si devono costruire più armi e se si costruiscono più armi si producono meno alimenti e meno medicine per l’umanità. Evo, l’uomo del Sud del mondo, è deciso: bisogna pensare a modelli diversi di società rispetto al capitalismo. Non è accettabile che nel XXI secolo alcuni paesi e multinazionali continuino a provocare l’umanità e cerchino di conquistare l’egemonia sul pianeta. Sono arrivato alla conclusione che il capitalismo è il peggior nemico dell’umanità perché crea egoismo, individualismo, guerre mentre è interesse dell’umanità lottare per cambiare la situazione sociale ed ecologica del mondo”.
Che sfida culturale è stata quella del potere, per un uomo profondamente radicato nella cultura andina come te? “Avevo paura perché la nostra gente considerava il politico commediante, malfattore e ladro. Fare il sindacalista invece era difendere i diritti umani, la terra, la foglia di coca. E allora io non volevo lasciare il sindacato, nonostante mi avessero proposto di essere deputato e già nel 1997 rifiutai una prima candidatura alla Presidenza. Temevo che come politico mi avrebbero malvisto. Poi capii che la politica è la scienza di servire il popolo e che è possibile vivere per il popolo e non del popolo”.
La sfiducia per l’Occidente espressa da Morales resta grande: “Nella cultura occidentale, chi viene eletto pensa immediatamente a come guadagnare denaro. A quale impresa esigere il 10%, il 15%, in cambio del privatizzare questo o quello; sono quelle che chiamate tangenti. Ma se guardiamo alla nazione come una famiglia, e la famiglia per noi è molto importante, questo tipo di autorità non risponde alle esigenze della famiglia, di quella famiglia che è la Bolivia. La nostra cultura, le comunità indigene, si muovono su altre basi. I nostri principi si basano sull’ama sua, ama llulla, ama qh’ella‘, che in lingua aymara significa non rubare, non mentire e non battere la fiacca. Questi precetti, che ci vengono dalle nostre autorità originali, sono così importanti che ritengo che basandosi su questi si possa cambiare la società. Pertanto io affermo che il movimento indigeno è la riserva morale dell’umanità”.
Se sul fronte delle nazionalizzazioni il successo è evidente, dalla Corte suprema al Tribunale costituzionale il governo sembra trovare difficoltà crescenti, dimissioni, decisioni sfavorevoli: “L’opposizione continua a considerare la nazionalizzazione incostituzionale, così come continua a considerare incostituzionale ogni decreto contro la corruzione. Hai ragione; purtroppo non abbiamo una giustizia che faccia giustizia per la maggioranza, ma continuiamo ad avere un sistema giudiziario che pretende di amministrare giustizia per continuare a fare accumulare le ricchezze in poche mani”.
A giorni in Costituente comincerà un’altra battaglia, quella delle miniere, che oggi pagano un risibile 3% di imposte al fisco. E’ solo un altro dei conflitti aperti: “Siccome la situazione economica sta migliorando, tutti vogliono tutto. Più salario, ma anche settarismi, interessi, regionalismo. Abbiamo dimostrato che possiamo migliorare l’economia per tutti, ma ovviamente è ben più difficile recuperare il ritardo storico di 500 anni e gli anni del neoliberismo, delle privatizzazioni selvagge, della svendita dello stato, in pochi mesi o pochi anni. Le nostre politiche oggi sono orientate contro quel modello economico, a recuperare la dignità della Patria, a favorire l’uguaglianza tra i boliviani. E poi c’è un altro tema di fondo, quello della madre terra, della Pachamama. I popoli indigeni credono che dobbiamo vivere in armonia e difendere la madre terra. Risorse naturali come l’acqua, che il capitalismo considera una mercanzia, noi invece le consideriamo un diritto umano”.
Fonte: Giornalismo partecipativo (http://www.gennarocarotenuto.it/1180-gennaro-carotenuto-intervista-evo-morales-%E2%80%9Cil-movimento-indigeno-e-la-riserva-morale-dell%E2%80%99umanita%E2%80%9D/)
Sono soddisfatto di questa vittoria. Morales ha lavorato bene nonostante le molte difficoltà, vista la risicata maggioranza in parlamento.
L'attuale capo dello Stato ha ottenuto, secondo gli exit poll, più del 62% delle preferenze dei 5 milioni di elettori
MILANO - Evo Morales non ha disatteso le aspettative: con le urne chiuse da poco, gli exit poll danno il presidente nuovamente vincente con più del 62% delle preferenze dei 5 milioni di elettori.
Il presidente non ha mai fatto mistero di guardare con fiducia al futuro: magari anche per un terzo mandato dopo il 2014. A non escludere tale possibilità è stato lo stesso capo dello stato della Bolivia, subito dopo aver votato nelle presidenziali alle quali si è presentato in pole position, di fatto senza avversari di peso.
A essere chiamati alle urne, come detto, sono stati più di 5 milioni di boliviani per scegliere non solo il presidente e il suo vice, ma anche i 166 componenti dell'Assemblea Plurinazionale, il nuovo parlamento frutto della Costituzione promossa dal cinquantenne dell'etnia aymara Morales lo scorso gennaio, e approvato con un referendum.
06 dicembre 2009
Fonte: corriere.it (http://www.corriere.it/esteri/09_dicembre_06/bolivia-morales_63c8e14a-e2b2-11de-be1f-00144f02aabc.shtml)
Speciale Bolivia 1: appunti per un bilancio sul governo (riformista) dei movimenti sociali
Il primo quadriennio di Evo Morales al governo della Bolivia ha coniugato il massimo dell’utopia al massimo del pragmatismo. A smentire tutti i paradigmi neoliberali la nazionalizzazione del settore estrattivo ha sottratto alle multinazionali la parte iniqua dei guadagni ed è servito a mettere in moto un processo di perequazione sociale finora coniugato con le esigenze di un bilancio dello stato oggi molto più brillante che all’epoca dei Chicago boys.
Tutto ciò è stato fatto cambiando (o iniziando a cambiare) lo Stato con la nuova Costituzione plurinazionale che restituisce la piena cittadinanza alla maggioranza indigena e accrescendo sempre più un consenso che assume tratti egemonici. D’altra parte, e causa qualche preoccupazione, il MAS mostra segnali di trasformarsi in un “catch all party” che supera la propria base per strizzare l’occhio a frammenti non proprio presentabili dell’opposizione.
È difficile oggi per la destra imprenditoriale attaccare il Morales che ha mantenuto la Bolivia fuori dalle secche della crisi. Se fosse intellettualmente onesto forse quell’imprudente giornalista italiano, Oscar Giannino, che definì Evo “un narcoindio fuori di testa”, dovrebbe chiedere scusa. Il CEPAL, la Commissione dell’ONU per l’economia latinoamericana, traccia bilanci più che lusinghieri su tutto il mandato. Anche il 2009 si chiuderà con un +4% di PIL (6% nel 2008). Laddove in epoca neoliberale le casse erano vuote, oggi le riserve sono stratosferiche, 10 miliardi di dollari e il debito estero (con un importante aiuto venezuelano) è in costante calo.
Non solo: durante la prima legislatura di Evo il settore manifatturiero (che rappresenta quindi diversificazione reale dell’economia rispetto ai tradizionali settori agrario, agro-industriale ed estrattivo) è cresciuto a ritmi dell’8% l’anno. L’export, incentrato soprattutto nel settore estrattivo, è cresciuto addirittura del 45%. Le multinazionali, dopo le campagne di diffamazione dovute alle nazionalizzazioni, stanno tornando, Repsol in testa, a fare affari (meno iniqui) in Bolivia. Quindi, anche visto “da destra” il bicchiere è pieno.
Ciò però non significa che anche da sinistra il bilancio non mostri segnali indubitabili di progressione. Per la prima volta c’è una Costituzione che garantisce tutti i cittadini e non solo le élite. Mezzo milione di ettari di terra sono stati distribuiti a contadini poveri e i programmi di alfabetizzazione hanno coinvolto quasi mezzo milione di cittadini. Il salario minimo è stato costantemente ritoccato verso l’alto, le condizioni dei braccianti sono state migliorate, gli anziani hanno finalmente diritto alla pensione e per la prima volta la gravidanza è accompagnata dallo Stato con assegni mensili e una serie di controlli medici pre e post parto gratuiti.
Inoltre lo Stato non si è fatto strappare dai privati il controllo sull’estrazione del litio, materia prima della quale la Bolivia possiede le prime riserve al mondo e che sta rivoluzionando la produzione di batterie nel pianeta. Addirittura 350 milioni sono stati investiti nella realizzazione di uno degli impianti di raffinazione di questa materia più avanzati al mondo, una somma impensabile fino a ieri per uno Stato fallito come quello boliviano. Infine, la Bolivia ha accompagnato tutti i passi compiuti dall’America integrazionista in politica internazionale, contro le basi statunitensi in Colombia e contro il golpe in Honduras divenendo per la prima volta un attore (sia pur minore) in politica internazionale e un simbolo dell’unità latinoamericana, delle relazioni Sud-Sud e del dialogo pacifico tra i popoli.
Va detto, che piaccia o no, che è con la valuta pregiata incassata dal settore estrattivo che il governo boliviano riesce a tenere in piedi i più meritevoli dei suoi programmi sociali, quelli che stanno riportando i bambini a scuola o stanno ridando dignità agli anziani. Bisogna perciò prendere atto che è l’equilibrio tra pragmatismo e sogno emancipatore è la chiave del successo di Evo Morales (e di tutti i governi integrazionisti latinoamericani nell’ultimo decennio).
Dietro una certa retorica rivoluzionaria e parole d’ordine come il Movimento al Socialismo o il Socialismo del XXI secolo di Hugo Chávez, si nasconde quello che in pochi, da destra come da sinistra, dall’Europa e dall’America, hanno piacere di vedere. I governi integrazionisti latinoamericani hanno riscoperto e attualizzato il senso della parola “riformismo” così come l’intendevano i vecchi socialisti figli della seconda internazionale fino a prima del cataclisma neoliberale.
Riformismo dunque come percorso verso la perequazione e la giustizia sociale e non verso la deregulation da Chicago boys come s’intende ancora oggi nella sempre più arretrata Europa. “Riformismo” che vuol dire, qui ed ora, più diritti e più garanzie per i più deboli e non mani libere per i più forti come nell’accezione (travisamento) moderna del termine.
Da lunedì Evo Morales e Álvaro García Linares dovranno dimenticare il consenso. Avranno davanti altri cinque difficili anni e forse più sapendo di camminare su di un crinale nel quale l’uso dello sviluppo industrialista deve creare benessere (e consenso immediato) ma per cambiare davvero la storia del paese e della regione tale uso deve essere finalizzato davvero alla transizione verso un nuovo modello di sviluppo. Altrimenti, come è avvenuto più volte nella storia boliviana, la retorica rivoluzionaria resterà tale e l’esclusione sarà stata solo temporaneamente alleviata.
Fonte: Giornalismo Partecipativo (http://www.gennarocarotenuto.it/11646-speciale-bolivia-1-appunti-per-un-bilancio-sul-governo-riformista-dei-movimenti-sociali/)
Speciale Elezioni in Bolivia 2: Evo Morales, dal governo all’egemonia?
Domenica Evo Morales sarà rieletto trionfalmente presidente della Bolivia. Anche i sondaggi più striminziti lo danno al 55%, comunque al di sopra del 53.7% del 2005, mentre quelli amichevoli lo collocano addirittura alle soglie del 70%.
Dopo due secoli di instabilità politica, dittature e minoranze creole al governo la Bolivia così si avvia al secondo governo delle maggioranze, o dei movimenti sociali, come ama dire Evo. Sarà uno straordinario successo, Morales sarà il primo presidente della storia ad essere rieletto democraticamente, sul quale la grande stampa glisserà, o che irriderà e continuerà senza alcuna riflessione a demonizzare. Nella base militante intanto vi sono dubbi su una politica di alleanze considerata troppo spregiudicata. Sapremo domenica se per il partito del Presidente Morales, il MAS, il “Movimento al Socialismo”, sarà valsa la pena il sacrificare un po’ di coesione per riuscire a conseguire i due terzi dei seggi in parlamento.
Le destre comunque, dopo aver tentato la via dell’eversione, della secessione, del golpe e dello stragismo sono in rotta. Il candidato più forte, l’impresentabile parafascista e stretto collaboratore del dittatore García Meza, Manfred Reyes Villa (che candida come vice Leopoldo Fernández, in carcere come mandante della strage di El Porvenir), potrebbe non raggiungere il 20% dei suffragi. Ancor più dietro il liberale Samuel Doria Medina che non arriverebbe al 10%. Perfino nella provincia di Santa Cruz, dove le classi dirigenti hanno per anni soffiato sul fuoco della secessione, oggi si ammette (magari tramando nell’ombra) la legittimità piena della presidenza Morales e si preparano ad una continuità con la quale saranno costretti a convivere. Il MAS da parte sua, con qualche mugugno giustificato, sembra essere generoso nel fare salire sul carro del vincitore ex-nemici spesso non proprio presentabili.
La speranza (forse esagerata) di arrivare a due terzi di parlamentari si gioca infatti nell’Oriente del paese, ricco, creolo, di destra, già che nell’altipiano le percentuali del MAS sono su cifre che all’epoca della guerra fredda si sarebbero dette bulgare. In particolare a Santa Cruz l’incorporazione si spinge a settori della neofascista Unión Juvenil Cruceña. Questa, secondo molti, è un cavallo di troia che minerebbe dall’interno, meglio che dando battaglia da fuori, un governo che, spostandosi verso il centro politico lascia insoddisfatti alcuni settori del partito, soprattutto quelli che fino a ieri reggevano lo scontro, spesso violento, con i paramilitari della UJC. È questo uno dei pochi dubbi delle ultime settimane di campagna elettorale. Alcune giocate, tendenti a rafforzare il fianco destro per ottenere l’obbiettivo dei due terzi in parlamento, potrebbero causare rifiuto verso alcuni candidati e i settori radicali del partito e dei movimenti sociali potrebbero votare Evo ma non i candidati proposti nei collegi locali. Altre considerazioni propongono una realtà del cambiamento in atto in Bolivia ben più pragmatica di come piace a molti guardarla.
Se la Costituzione, approvata dopo un’asperrima battaglia, andava nella direzione del rafforzamento di un nuovo modello di sviluppo e dell’identità plurale dei boliviani, non solo il discorso elettorale sembra modificarsi in un nuovo desarrollismo che strizza l’occhio all’impresa, promette grandi opere (spesso a dire il vero ineludibili in un enorme paese tra i più arretrati al mondo come infrastrutture) e rivalorizza l’identità boliviana. Come ha scritto con chiarezza Pablo Stefanoni il discorso di Evo sembra scindersi in due. Da un lato, soprattutto nei consessi internazionali è quello ecologista e per un nuovo modello di sviluppo. Dall’altro vi è la riproposizione del modello desarrollista basato sull’estrazione di materie prime non rinnovabili in un contesto nel quale è difficile (ma non impossibile?) che l’uno non escluda l’altro.
Poco resta da dire su elezioni che saranno senza storia se non che si voterà con un nuovo sistema di identificazione biometrica degli elettori che rende virtualmente impossibili i brogli e fa emergere oltre un milione di cittadini prima mai registrati. L’opposizione non lo voleva ma già vari paesi vogliono adottare il sistema boliviano. Da lunedì la Bolivia entra nel secondo mandato di Evo Morales. Riuscirà a conciliare tutto?
Fonte: Giornalismo Partecipativo (http://www.gennarocarotenuto.it/11653-speciale-elezioni-in-bolivia-2-evo-morales-dal-governo-allegemonia/)
Gennaro Carotenuto intervista Evo Morales: “il movimento indigeno è la riserva morale dell’umanità”
Il primo governo indigeno nella storia della Bolivia, ha vissuto pericolosamente il suo primo anno e mezzo di vita. Tra difficoltà ed errori, soprattutto sul fronte di un’Assemblea Costituente oramai in fase di stallo, e successi come quello della nazionalizzazione del gas, incontriamo Evo Morales, primo presidente indigeno del paese.
Gennaro Carotenuto intervista Evo Morales
Evo, come tutti lo chiamano, non è stato cambiato per nulla dal potere e continua ad essere lontano dallo stereotipo del capo di stato. Nonostante il decoroso giubbino che sostituisce la tenuta presidenziale all’occidentale dei suoi predecessori, continua ad essere il sindacalista che per una vita ha difeso quegli indigeni che da 5.000 anni in Bolivia coltivano la pianta di coca, la base identitaria della cultura andina.
La sua cultura continua ad essere altra, antitetica a quella Occidentale. Ascolta attentamente, parla piano, senza iattanza, con modestia. Il suo parlare è semplice, diretto, privo di retorica o artifici. Tanto la cultura aymara, alla quale appartiene, come la tradizione sindacale, fanno del dialogo, della trattativa, delle decisioni condivise che maturano lentamente, la base di ogni processo democratico.
Lo incontriamo a Cochabamba, dove ha inaugurato il V Incontro mondiale di intellettuali e artisti in difesa dell’umanità, nel quale si è discusso per due giorni di media e diritto all’informazione. E’ un tema chiave anche in Bolivia dove, secondo uno studio dell’Università Cattolica, Evo Morales ha il 66% di appoggio popolare ma ha l’80% dei media contro. Morales mi corregge: “E’ il 66% nelle città, dove la gente ha il telefono e risponde ai sondaggi. Ma nelle campagne abbiamo l’80%. E’ importante discutere di democratizzazione dei media perché spesso, per mancanza di informazione, non si hanno i mezzi per cercare giustizia ed equilibrio nella società. Sono preoccupato dalla concentrazione mediatica, ma allo stesso tempo sono contento, perché nel mondo stanno crescendo fonti di comunicazione alternativa che si interessano alle necessità dell’essere umano”.
Per marcare la differenza, come primo atto del suo governo, Evo dimezzò il suo stipendio, portandolo a 1.500 € al mese. Altrettanto fece con ministri e parlamentari. Qualcuno lo considererà demagogico, ma il ragionamento è opposto a quello occidentale: “solo chi accetta di entrare in politica rinunciando ad un’ascensione di carriera, lo farà per spirito di servizio”.
Poi stabilì che se i boliviani avevano bisogno del visto per entrare negli Stati Uniti allora anche gli statunitensi avevano bisogno del visto per entrare in Bolivia. Qualcuno sorrise, ma i boliviani sentirono che per la prima volta non erano più cittadini di serie B. Ma, soprattutto, lo scorso anno Evo fece parlare di sé per la nazionalizzazione degli idrocarburi, creando uno scandalo internazionale. La settimana scorsa ha chiuso i conti, acquistando per 112 milioni di dollari le raffinerie di proprietà di Petrobras, dimostrando che contrasti col Brasile dell’amico Lula non ve n’erano.
Evo, sulla stampa italiana qualcuno ti definì un narcoindio fuori di testa. Sorride: “Il nostro impegno è quello di rifondare la Bolivia. Su basi etiche ma anche su basi economiche. Per farlo abbiamo nazionalizzato gli idrocarburi. Oggi perfino i mercati appaiono tranquilli, e pochi discutono che sia stato il tuo più grande successo: Pochi giorni fa ho visitato un municipio poverissimo nei dintorni di Potosí. Fino al 2005 aveva un bilancio di 840.000 bolivianos (la moneta locale, circa 85.000 €, ndr). Nel 2007 ha un bilancio di oltre 9 milioni di bolivianos (930.000 €).
Ed è così in tutto il paese e speriamo che questi soldi siano ben amministrati da sindaci e prefetti. Ti faccio un altro esempio: dal 1970 fino al 2005, ogni fine anno, fosse chi fosse il capo del governo, per poter pagare le tredicesime dovevano partire dei funzionari per gli Stati Uniti a farsi fare un prestito. Lo scorso anno per la prima volta ciò non è avvenuto. E ciò non è avvenuto perché abbiamo recuperato la sovranità sui nostri idrocarburi. Nel 2005 dagli idrocarburi allo Stato rimanevano solo 300 milioni di dollari. Adesso entrano 1.600 milioni di dollari, ridistribuiti tra le amministrazioni locali, le università e il tesoro. Il succo di questa esperienza è che le risorse naturali non devono mai essere privatizzate perché sono quelle che risolvono i problemi”.
Fin qui i successi. Ma ci sono anche le difficoltà, soprattutto con l’Assemblea Costituente, sulla quale il partito di maggioranza, il MAS (Movimento Al Socialismo), aveva puntato molto per cambiare lo Stato. Dopo la vittoria dell’opposizione, che ha imposto che ogni singolo articolo debba passare con una maggioranza dei due terzi, per molti osservatori è già una scommessa perduta. Ha ceduto sul regionalismo, che favorisce i ricchi e bianchi dell’Oriente, altre volte mantiene le posizioni con difficoltà. E’ il caso dell’abolizione del cattolicesimo come religione ufficiale, una misura che vuole terminare con sovvenzioni ed esenzioni fiscali. “Non nego che ci siano delle difficoltà su punti importanti e l’opposizione stia ritardando o bloccando il processo. E’ possibile che vengano allungati i tempi (i lavori per legge dovrebbero concludersi il 2 luglio, scadenza oramai saltata, n.d.r.) e che si ricorra a referendum popolari per dirimere le divergenze”.
Il problema del latifondo è tra questi: Gli allevatori pretendono che, per ogni capo di bestiame posseduto, ben cinque ettari di terra siano considerati produttivi e quindi esclusi dalla riforma agraria. Emergono continuamente due idee di paese; per Evo va conciliata la giustizia comunitaria indigena con quella tradizionale occidentale e abolita quella militare che tocca nodi come quello dell’impunità. Tuttavia il Presidente, come un nation builder del XIX secolo, è favorevole al servizio militare obbligatorio: “Per gli indigeni il servizio militare è stato una maniera di essere riconosciuti socialmente. I creoli riuscivano ad evitarlo con ogni pretesto e io sono il primo presidente civile- della storia ad aver fatto il servizio militare”.
La permanenza della leva si concilia con la rinuncia alla guerra voluta dal presidente nella nuova Costituzione: “Nessuna delle guerre della storia che hanno coinvolto il mio paese, sono state volute dal popolo. Dalle guerre i popoli perdono e le multinazionali guadagnano. Le multinazionali provocano conflitti per accumulare e concentrare capitali, e questo non è utile e non risolve alcun problema per i poveri del mondo. Quindi, nella nuova Costituzione, la Bolivia rinuncerà alla guerra. Perché se c’è guerra si devono costruire più armi e se si costruiscono più armi si producono meno alimenti e meno medicine per l’umanità. Evo, l’uomo del Sud del mondo, è deciso: bisogna pensare a modelli diversi di società rispetto al capitalismo. Non è accettabile che nel XXI secolo alcuni paesi e multinazionali continuino a provocare l’umanità e cerchino di conquistare l’egemonia sul pianeta. Sono arrivato alla conclusione che il capitalismo è il peggior nemico dell’umanità perché crea egoismo, individualismo, guerre mentre è interesse dell’umanità lottare per cambiare la situazione sociale ed ecologica del mondo”.
Che sfida culturale è stata quella del potere, per un uomo profondamente radicato nella cultura andina come te? “Avevo paura perché la nostra gente considerava il politico commediante, malfattore e ladro. Fare il sindacalista invece era difendere i diritti umani, la terra, la foglia di coca. E allora io non volevo lasciare il sindacato, nonostante mi avessero proposto di essere deputato e già nel 1997 rifiutai una prima candidatura alla Presidenza. Temevo che come politico mi avrebbero malvisto. Poi capii che la politica è la scienza di servire il popolo e che è possibile vivere per il popolo e non del popolo”.
La sfiducia per l’Occidente espressa da Morales resta grande: “Nella cultura occidentale, chi viene eletto pensa immediatamente a come guadagnare denaro. A quale impresa esigere il 10%, il 15%, in cambio del privatizzare questo o quello; sono quelle che chiamate tangenti. Ma se guardiamo alla nazione come una famiglia, e la famiglia per noi è molto importante, questo tipo di autorità non risponde alle esigenze della famiglia, di quella famiglia che è la Bolivia. La nostra cultura, le comunità indigene, si muovono su altre basi. I nostri principi si basano sull’ama sua, ama llulla, ama qh’ella‘, che in lingua aymara significa non rubare, non mentire e non battere la fiacca. Questi precetti, che ci vengono dalle nostre autorità originali, sono così importanti che ritengo che basandosi su questi si possa cambiare la società. Pertanto io affermo che il movimento indigeno è la riserva morale dell’umanità”.
Se sul fronte delle nazionalizzazioni il successo è evidente, dalla Corte suprema al Tribunale costituzionale il governo sembra trovare difficoltà crescenti, dimissioni, decisioni sfavorevoli: “L’opposizione continua a considerare la nazionalizzazione incostituzionale, così come continua a considerare incostituzionale ogni decreto contro la corruzione. Hai ragione; purtroppo non abbiamo una giustizia che faccia giustizia per la maggioranza, ma continuiamo ad avere un sistema giudiziario che pretende di amministrare giustizia per continuare a fare accumulare le ricchezze in poche mani”.
A giorni in Costituente comincerà un’altra battaglia, quella delle miniere, che oggi pagano un risibile 3% di imposte al fisco. E’ solo un altro dei conflitti aperti: “Siccome la situazione economica sta migliorando, tutti vogliono tutto. Più salario, ma anche settarismi, interessi, regionalismo. Abbiamo dimostrato che possiamo migliorare l’economia per tutti, ma ovviamente è ben più difficile recuperare il ritardo storico di 500 anni e gli anni del neoliberismo, delle privatizzazioni selvagge, della svendita dello stato, in pochi mesi o pochi anni. Le nostre politiche oggi sono orientate contro quel modello economico, a recuperare la dignità della Patria, a favorire l’uguaglianza tra i boliviani. E poi c’è un altro tema di fondo, quello della madre terra, della Pachamama. I popoli indigeni credono che dobbiamo vivere in armonia e difendere la madre terra. Risorse naturali come l’acqua, che il capitalismo considera una mercanzia, noi invece le consideriamo un diritto umano”.
Fonte: Giornalismo partecipativo (http://www.gennarocarotenuto.it/1180-gennaro-carotenuto-intervista-evo-morales-%E2%80%9Cil-movimento-indigeno-e-la-riserva-morale-dell%E2%80%99umanita%E2%80%9D/)
Sono soddisfatto di questa vittoria. Morales ha lavorato bene nonostante le molte difficoltà, vista la risicata maggioranza in parlamento.