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View Full Version : Incredibile, emorgono nuovi rapporti tra Schifani e la mafia, ma nessuno ne parla


luxorl
21-11-2009, 09:54
Schifani e il palazzo abitato dai boss

di Marco Lillo



C’è un palazzo a Palermo, vicino allo stadio della Favorita, che spiega meglio di un trattato la mafia e l'antimafia. I suoi nove piani sono un monumento alla prevaricazione dei forti sui deboli, dei corrotti sugli onesti. Sono stati costruiti in spregio a ogni norma con la complicità della politica, calpestando con la ruspa i diritti di due donne inermi.

Ogni muro, ogni mattone, profuma di mafia. Chi ha eseguito i lavori e chi li ha diretti, chi ha fornito il calcestruzzo e chi ha fatto gli scavi, chi ha guadagnato vendendo gli appartamenti e talvolta anche chi li ha comprati, è legato da vincoli di sangue o di cosca con i padrini più blasonati di Palermo: Madonia, Bontate, Pullarà, Guastella, Lo Piccolo. Il capo dei lavori, Salvatore Savoca, è stato strangolato perché non voleva dividere il boccone di cemento con un clan più forte del suo: i Madonia. L'assessore che ha dato la licenza è stato condannato per le mazzette ricevute in cambio della concessione. Il costruttore Pietro Lo Sicco è stato condannato per mafia e corruzione ed è in galera. Il palazzo è stato confiscato e le vittime, Rosa e Savina Pilliu, hanno ricevuto in affitto dallo Stato l'appartamento nel quale dormiva Giovanni Brusca, l'uomo che ha schiacciato il telecomando della strage di Capaci.

Sembrerebbe una storia semplice nella quale è persino troppo facile scegliere da che parte stare. E invece la storia di Piazza Leoni dimostra che la vita è fatta di scelte, mai scontate. Questo palazzo incrocia il destino di due uomini famosi e distanti tra loro: Renato Schifani e Paolo Borsellino. Il primo (prima che le procure e i tribunali accertassero le responsabilità del costruttore corruttore e mafioso) ha messo a disposizione la sua scienza per sostenere il torto del più forte. Il secondo, nei giorni più duri della sua vita, ha trovato il tempo per ascoltare le ragioni dei deboli. Quel palazzo è ancora in piedi grazie anche ai consigli legali, ai ricorsi e alle richieste di sanatoria dello studio legale Schifani-Pinelli del quale il presidente del senato è stato partner con l'amico Nunzio Pinelli negli anni chiave di questa vicenda, prima di lasciare il posto al figlio Roberto. Mentre Schifani combatteva in Tribunale per Lo Sicco, il giudice Paolo Borsellino, trascorreva le ore più preziose della sua vita per ascoltare le signorine Pilliu.

Incroci del destino

E c’è una coincidenza che fa venire i brividi perché proprio da Piazza Leoni, dove allora sorgeva lo scheletro del palazzo abusivo, sarebbe partita al’alba del 19 luglio del 1992 la Fiat 126 imbottita con 90 chilogrammi di tritolo che ha ucciso il giudice istruttore. Le signorine Pilliu non lo sapevano ma quelli che si nascondevano dietro il costruttore che le minacciava stavano preparando le stragi. Chissà se Borsellino aveva intuito qualcosa di strano dietro quel palazzo. Una cosa è certa, se sei giorni prima di morire, 50 giorni dopo la morte di Falcone, un uomo come lui perdeva tempo a parlare con queste signorine doveva esserci una ragione.

Forse allora, 17 anni dopo, vale la pena di riascoltare il racconto di Savina e Maria Rosa Pilliu.

Sorelle-coraggio

Queste due signorine di origine sarda possedevano due casupole all’interno di un filarino di ex fabbriche riadattate ad abitazione. Il padre era morto giovane ma le sorelle e la mamma, a costo di mille sacrifici, erano riuscite ad andare avanti grazie a un negozio di generi alimentari a due passi da piazza Leoni. Tutto scorreva liscio finché la mafia non mise gli occhi sul terreno accanto alle casette. “All’inizio si fece avanti Rosario Spatola”, raccontarono le sorelle quel giorno a Paolo Borsellino. Al giudice si accesero gli occhi. Spatola è stato uno degli uomini più ricchi della Sicilia, il costruttore della vecchia mafia di don Stefano Bontate, sterminata da Riina negli anni ottanta, l’amico del banchiere Michele Sindona, che aveva ospitato nella sua villa fuori Palermo. Nel settembre del 1979, Spatola si presenta nel negozio della famiglia Pilliu in via del Bersagliere e fa la sua proposta per comprare le casette. Ovviamente non voleva tenerle ma distruggerle. Per costruire un palazzo più grande sul suolo di fronte, eliminando le case e il problema delle distanze. L’idea era buona ma due settimane dopo, proprio per l’inchiesta nata dai contatti tra Sindona e la mafia, Spatola finisce in galera. Il terreno passa dopo un paio di giri a Gianni Lapis, consulente di Vito Ciancimino, per finire nel 1984 a un costruttore ignoto: Pietro Lo Sicco, un benzinaio legato al boss della mafia perdente, Stefano Bontate.

Più andavano avanti nel loro racconto, più snocciolavano nomi e date con il loro eloquio antico, e più il giudice Borsellino si interessava alla loro vicenda. Spatola, Ciancimino, Lo Sicco. Anche il nome del costruttore probabilmente diceva qualcosa a Borsellino. Era stato arrestato da Giovanni Falcone, ma poi prosciolto. Lo Sicco era legatissimo a Stefano Bontate però quando il vecchio boss viene ucciso passa con i vincenti. Quando rileva il terreno cerca subito di comprare le casette di fronte per ampliare lo spazio e la cubatura. Con le buone o le cattive convince tutti a vendere. Nessuno osa dirgli di no. Tranne le sorelle Pilliu che non vogliono svendere. A questo punto succede l’incredibile: Lo Sicco dichiara al comune di avere anche le particelle catastali della mamma delle sorelle Pilliu. Ovviamente sotto c’è una mazzetta all’assessore all’urbanistica che frutta una licenza che prevede due cose connesse: la possibilità di costruire un palazzo con tre scale e sette piani (che poi diverranno nove) a condizione però che prima la società di Lo Sicco, Lopedil, abbatta le casette che però, piccolo particolare, non sono della Lopedil. Il 3 marzo del 1990 la società ottiene la concessione edilizia. Le Pilliu denunciano alla Prefettura e al Comune l’abuso ma non si muove nulla. Anzi si muovono le ruspe. La Lopedil tira su il palazzo e butta giù le casette. Le ruspe demoliscono quelle accanto e i piani superiori del fabbricato. Gli appartamenti delle Pilliu (che per fortuna dormono altrove) si ritrovano senza tetto: c’è solo il pavimento del piano superiore a difenderli dalle intemperie. Le sorelle chiamano i vigili urbani, la Polizia e i Carabinieri ma nessuno interviene. Il comandante dei vigil arriva sul luogo e sembra possa essere il salvatore delle sorelle ma dopo aver controllato le carte dice: “sono in regola e io posso fermare un automobilista senza patente non uno con una patente falsa”.

La minaccia

Le signorine cercano di opporsi fisicamente ma Lo Sicco le minaccia e le offende dicendo a Rosa Pilliu: “Vattene da qui perchè se no ti dò un timpuruni. Senti a me, vai a vendere i tuoi pacchi di pasta al negozio che tra un po’ non potrai vendere più nemmeno quelli”. È in questa fase che le sorelle, disperate, chiedono aiuto a Borsellino. Si vedono l’ultima volta il 13 luglio, il magistrato le rinvia a due giorni dopo. Ma è il giorno di Santa Rosalia, le Pilliu non vogliono perdersi la festa alla “Santuzza” e chiedono di fissare un appuntamento più in là. Borsellino si impegna a richiamarle. Sei giorni dopo morirà in via D’Amelio.

Tritolo

Il giudice non poteva sapere che proprio gli uomini interessati a quel palazzo stavano preparando la sua uccisione e le stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Giovanni Brusca, il boss che ha spinto il pulsante del telecomando della strage di Capaci, l’uomo che ha ordinato ed eseguito un centinaio di omicidi, tra i quali quello del bambino Santino Di Matteo, colpevole solo di essere figlio di un pentito, ha raccontato: “Gli scavi a Piazza Leoni li ha fatti Pino Guastella (arrestato come capo mandamento Palermo centro nel 1998 Ndr). Poi io mi sono comprato un appartamento, tramite Santi Pullarà, che mi ha fatto fare un buon trattamento. Ci ho dormito pochi giorni però. Lo avevo fatto intestare a Gaspare Romano. Costui poi nel '95 fu scoperto dalla DIA che lo pedinava e mi sono fatto ridare i soldi indietro, perché a quel punto a me l'appartamento non serviva più. Siamo andati a vederlo con Leoluca Bagarella (il cognato di Riina che ha guidato la mafia durante la stagione delle stragi del 1993), io con una macchina e lui con un'altra, di sera. Più che altro per scegliere i piani e vedere gli appartamenti come erano combinati, perché ancora erano grezzi, in costruzione. Cioè dovevamo riuscire a capire come funzionavano, se c'era l’ascensore, se c'erano scale. Una cosa che io avevo chiesto, di particolare, se era possibile poter fare l'ascensore come come quello che avevo visto nella casa di Ignazio Salvo (uno dei cugini esattori di Salemi, legati alla Dc andreottiana e arrestati da Falcone) che io ho frequentato molto. Lui quando arrivava con la sua macchina, prendeva l'ascensore e con una chiavetta saliva fino all'attico. E quindi era un suo privilegio, e io chiesi questa cosa ma non era realizzabile perché il garage era per tutti, non solo ed esclusivamente per me”. Poi però i boss capirono che due latitanti per un palazzo era troppo. “Bagarella era interessato pure ed è venuto a vederlo con l'intenzione di comprare. Quella sera ci sono andato con Gioacchino La Barbera (altro autore della strage di Capaci, ndr). Lo abbiamo scelto sia io che Bagarella perché era un posto di élite a Palermo. Cioè Piazza Leoni, era un investimento. Poi io pensavo successivamente di farci la latitanza, ma questo era un problema mio”. Anche Gioacchino La Barbera, pentito dopo aver partecipato alla strage di Capaci conferma e aggiunge particolari: “Ho accompagnato varie volte sia Leoluca Bagarella che Giovanni Brusca a piazza Leoni. Brusca sul posto con una persona responsabile del cantiere stava cercando di fare modificare un appartamento per essere comunicante. Perché stava studiando un'intercapedine per trascorrere la latitanza e in caso di un sopralluogo delle forze dell'ordine riuscire a nascondere o a scappare”.

L’arsenale e gli inquilini

Nel palazzo c’era anche un appartamento con un muro finto dietro il quale si nascondevano le armi del clan Madonia. Insomma le riunioni di condominio in quello stabile non devono essere una passeggiata. Nei piani alti abitano la figlia di Stefano Bontate, e hanno abitato entrambe le figlie del costruttore mafioso Pietro Lo Sicco. Nell’attico più grande e bello c’è una famiglia legata al defunto boss Stefano Bontate (detto il principe di Villagrazia) i Marsalone, il cui patriarca Giuseppe è morto ammazzato a fine anni ottanta. Tra quelli che ci hanno abitato, non mancano però anche i professionisti della “Palermo bene”. Al quinto piano c’è l’avvocato Antonino Garofalo, socio di Renato Schifani in una società fondata nel 1992 e mai attivata, la Gms. La casa è affitatta e se ne cura l’avvocato ma è intestata alla sua compagna russa. L’appartamento accanto a quello che fu di Brusca era occupato dallo studio di Salvatore Aragona, il medico amico di Totò Cuffaro e già condannato per avere fornito al boss di San Giuseppe Iato un alibi. Molte di queste persone, avevano stipulato con Pietro Lo Sicco un contratto preliminare di compravendita. Quando il 17 settembre del 1993 il Comune annulla la concessione edilizia e blocca tutto.

Cavilli e millimetri

A questo punto entra in scena l’avvocato Renato Schifani. Insieme al suo collega di studio, Nunzio Pinelli, presenta ricorso al Tar. Pinelli va addirittura in tv con Lo Sicco a difendere il palazzo contro una coraggiosa giornalista, Valentina Errante, che aveva scoperto l’abuso. Schifani partecipa anche a un sopralluogo nel 1993 nel quale si accerta che “il distacco non deve essere inferiore a metri 12,75 e in effetti risulta pari a metri 7,75”. Ciononostante lo studio Schifani-Pinelli verga uno splendido ricorso alato. La tesi sostenuta è che la demolizione delle casette da parte di Lo Sicco “avrebbe solo anticipato gli esiti di un intervento di pubblica utilità, cui istituzionalmente era ed è tenuta l’Amministrazione Comunale”. In sostanza Lo Sicco è un benemerito che si è sostituito alle ruspe del comune. Se ha finto di essere proprietario ed è passato come un rullo sulle case altrui non lo ha fatto certo per vendere a clienti facoltosi e amici mafiosi bensì per ridare decoro alla zona. Meriterebbe quasi un premio. Incredibilmente il Tar il 23 gennaio del 1995 accoglie le tesi di Schifani e Pinelli e annulla la revoca della concessione, che così rivive. Le Pilliu sono distrutte. Lo Sicco esulta. Il Consiglio di Giustizia Aministrativa della Regione Sicilia, il Cga, però accoglie l’appello e, nonostante l’opposizione dell’avvocato Renato Schifani, annulla la concessioine. Per sempre. O almeno così dovrebbe essere.

La provvidenza di B.

Perché il condono Berlusconi del 1994 prevedeva in un comma nascosto che, in caso di annullamento della concessione, si poteva presentare domanda di sanatoria anche dopo la scadenza dei termini. Non solo: per questa sanatoria straordinaria non c’era nemmeno il limite di cubatura abusiva di 750 metri. Una pacchia. La società Lopedil fa subito domanda di sanatoria. Succede però un imprevisto: il nipote di Pietro Lo Sicco, Innocenzo, pur non essendo stato mai nemmeno indagato, trova il coraggio di dividere la sua strada da quella della famiglia e racconta ai magistrati la storia dello zio e del palazzo di piazza Leoni. Innocenzo Lo Sicco, che oggi è un dirigente di un’associazione antiracket, lancia un paio di frecciate a Schifani durante un’udienza del processo nel 2000. Sulla concessione di piazza Leoni la sua deposizione è netta: “l’impresa di mio zio, la Lopedil, non era in possesso di tutti i titoli di proprietà del terreno ma comunque è riuscito ad ottenere la concessione grazie ai buoni uffici che mio zio intratteneva con personale dell’edilizia privata. Il progetto è stato approvato dalla commissione presieduta dall’onorevole Michele Raimondo, in assenza del titolo di proprietà. L’accordo di cui io ero a conoscenza era che l’assessore Raimondo faceva approvare il progetto e, al rilascio dell’autorizzazione il signor Lo Sicco avrebbe pagato una, non so se definirla una tangente o un riconoscimento all’assessore di 20-25 milioni di lire”. Grazie a queste dichiarazioni Pietro Lo Sicco è stato condannato per truffa e corruzione. Poi il nipote continua il suo racconto confermando quello delle Pilliu: “dopo che il signor Pietro Lo Sicco aveva la concessione ha cominciato i lavori di sbancamento e demolizione e ci furono reazioni da parte dei proprietari. Principalmente da parte delle signorine Pilliu e di un certo Onorato che, addirittura, mi ha quasi menato. Le reazioni ci sono state: intervento della forza pubblica, Carabinieri, 113, Polizia giudiziara, tutto c’è stato in quel periodo. Era un viavai di forza pubblica con i proprietari che facevano le loro giuste lamentele e che volevano bloccare la concesione e che si ritrovavano in questa situazione che non riuscivano a bloccare”. Come è finita? Chiedono i giudici a Innocenzo. “Io so quello che mi ha detto Renato Schifani. L'avvocato mi disse come è stato salvato l'edificio facendolo entrare in sanatoria. Schifani era il mio avvocato. Pietro Lo Sicco si rivolse a lui per la pratica del palazzo di Piazza Leoni perché sapeva dei buoni uffici che intratteneva Schifani con l'allora assessore Michele Raimondo e con l'allora dirigente Vicari. Schifani era una persona di massima competenza nelle pratiche edili, (....) aveva una conoscenza sia in termini professionali, sia in termini diretti personali con i personaggi dell'edilizia privata per il papà che ha lavorato tutta la vita all'interno dell'edilizia privata. Quindi è la persona adatta”. Schifani entra in politica a livello locale in Forza Italia e sarà senatore solo dal 1996. Ma Lo sicco spiega che l’opera di lobby dell’attuale presidente del senato avrebbe avuto un effetto “sulla concessione edilizia ottenuta l’avvocato Schifani ebbe a dire a me, suo cliente, che aveva fatto tantissimo ed era riuscito a salvare il palazzo di Piazza Leoni facendolo entrare in sanatoria durante il Governo Berlusconi perché fecero una sanatoria e lui è riuscito a farla pennellare in quello che era l'esigenza di questi edifici di Piazza Leoni. Quindi era soddisfattissimo e me lo diceva con orgoglio di essere riuscito a salvare questa vicenda. Perché lo diceva a me? Perché io avevo messo a conoscenza l'avvocato Schifani quando era iniziato il rapporto col signor Lo Sicco di qual era l'iter di quale era stata la prassi, di qual era la situazione di come si era venuta a creare il rilascio della concessione”.

L’inchiesta

Il pm di Palermo Domenico Gozzo ha aperto un fascicolo generico, senza indagare Schifani, per le accuse di Lo Sicco. Ma ha ritenuto che non ci fosse nulla di rilevante. Nel procedimento penale non sono state considerate penalmente rilevanti nemmeno le parole di Innocenzo Lo Sicco sui costruttori Antonino Seidita e Giuseppe Cosenza. Questi due imprenditori, entrambi amici di Lo Sicco, entrambi considerati legati ai fratelli Graviano ed entrambi clienti dello studio Schifani-Pinelli, seconco Innocenzo Lo Sicco svolsero un ruolo nella vicenda. Cosenza sarebbe stato incaricato dall’assessore di chiedere a Seidita di chiedere a sua volta un rialzo della mazzetta: da 20 milioni di lire a un attico. Ma Pietro Lo Sicco non accettò e si fermò al versamento previsto nella prima offerta. Pietro Lo Sicco è stato condannato per la vicenda amministrativa a due anni e due mesi per corruzione, e truffa. Mentre per i suoi legami con la mafia è stato condannato a sette anni. Entrambe le sentenze sono passate in giudicato. Anche sul fronte amministrativo la vittoria delle sorelle Pilliu è definitiva. Nel novembre del 2002 anche il Tribunale civile di Palermo ha statuito che il palazzo non rispetta le distanze dalle casupole delle signorine e deve essere abbattuto. Per l’esattezza dovrebbero essere “tagliati” dalla costruzione otto metri e sei centimetri al piano terra e cinque metri e 81 centimetri ai piani superiori.

Ad personam

Si attende l’Appello ma nella finanziaria del 2000 un emendamento del senatore Michele Centaro di Forza Italia ha introdotto una norma che sembra fatta su misura per sanare la situazione di piazza Leoni: l’amministratore giudiziario può chiedere la sanatoria del palazzo confiscato per mafia e vendere ai terzi che hanno comprato. “Ricordo che era un problema sentito anche dai magistrati”, dice Centaro. Sarà. Comunque la figlia di Bontate, come gli altri, potrebbe comprare. I terzi acquirenti sono difesi dall’avvocato Pinelli ma resta il problema delle distanze. Almeno per ora. Nel gennaio del 2005 sono crollate le casette delle Pilliu. Senza tetto, con l’acqua che entrava da tutte le parti, hanno ceduto. Un giudice ha pensato bene di aprire un processo. Non contro Lo Sicco. Ma contro le sorelle Pilliu, per crollo colposo.

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2384496&yy=2009&mm=11&dd=20&title=storia_di_un_palazzo_abitato_d

luxorl
21-11-2009, 09:57
Il senatore di Corleone


Una straordinaria inchiesta del nostro Marco Lillo comincia a rimettere le cose al loro posto. Renato Schifani, il presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, prima di entrare in politica e almeno sino a otto anni fa, aveva tra la clientela del suo studio legale palermitano molti personaggi processati e spesso condannati per fatti di mafia. Non è un reato, ma è un fatto su cui sarebbe utile aprire una riflessione. Schifani, che due boss di Cosa Nostra di alto livello come Nino Mandalà e Simone Castello definivano in una loro celebre conversazione come "il senatore di Corleone" (quello era infatti il suo collegio elettorale), assisteva come civilista mafio-imprenditori nella stesura di contratti, nelle controversie al Tar e, qualche volta, nei rapporti con la pubblica amministrazione. Trovare tracce documentali del suo curriculum non è però semplice.

Il Fatto Quotidiano ha cominciato a lavorarci e le sorprese non sono mancate. Oggi abbiamo pubblicato un primo lungo articolo che ci racconta come Schifani, nelle sue vesti professionali, abbia fatto di tutto per consentire la costruzione di un grande palazzo abusivo edificato con il contributo di molti tra i maggiori capomafia palermitani: dai Bontade, a Pino Guastella, dai Lo Piccolo fino ai Madonia e i Pullarà. La storia di quei nove piani di cemento diventa così esemplare per capire la mafia e l'antimafia.

Anche perché intorno al palazzo, come scrive Lillo, il destino di Schifani s'incrocia con quello di Paolo Borsellino: “Il primo (prima che le procure e i tribunali accertassero le responsabilità del costruttore corruttore e mafioso) ha messo a disposizione la sua scienza per sostenere il torto del più forte. Il secondo, nei giorni più duri della sua vita, ha trovato il tempo per ascoltare le ragioni dei deboli. Quel palazzo è infatti ancora in piedi anche grazie anche ai consigli legali, ai ricorsi e alle richieste di sanatoria dello studio legale Schifani-Pinelli del quale il presidente del senato è stato partner con l'amico Nunzio Pinelli negli anni chiave di questa vicenda, prima di lasciare il posto al figlio Roberto. Mentre Schifani combatteva in Tribunale per Lo Sicco (il costruttore ndr), il giudice Paolo Borsellino trascorreva le ore più preziose della sua vita per ascoltare le signorine Pilliu: due sorelle che tentavano di opporsi allo scempio edilizio”. L'inchiesta di Lillo è dunque una fotografia precisa dell'Italia dei nostri tempi. Purtroppo.

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578

luxorl
21-11-2009, 10:00
AVVOCATO DEI BOSS Per la politica è tutto normale ma altri dicono: si dimetta Reputazione
Schifani e la mafia, il palazzo tace

di Furio Colombo

Parliamo del presidente del Senato Renato Schifani. Del suo passato professionale si è occupato ieri questo giornale con l’incontrovertibile narrazione di Marco Lillo: storia di un legame professionale dell’avvocato siciliano con personaggi mafiosi che risale a quindici anni fa. Quella narrazione – che dovrebbe provocare scandalo – incontra però due serie obiezioni. La prima. Schifani è un avvocato. Tipico di un avvocato è difendere chi chiede difesa. La seconda. Quindici anni sono tanti. In quel lungo periodo di tempo l’avvocato Schifani è cresciuto in un modo, i suo vecchi clienti in un altro. Lui è diventato la seconda carica dello Stato. Loro, i difesi di allora, la prima fila della mafia.
Propongo a mia volta una obiezione alle obiezioni. Renato Schifani non è oggi in discussione come avvocato. Di lui si può dire, per esempio, che è un lottatore deciso a tutto nel suo lavoro e a favore dei clienti. L’articolo di Marco Lillo racconta in modo accurato e preciso, lo stile forte con cui il combattivo legale palermitano ha condotto il suo impegno professionale a favore di un gruppo deciso a conquistare un terreno e costruire un palazzo nella piena (e purtroppo frequente) illegalità italiana. Va bene , direte, non tutti i professionisti, specialmente se bravi (Schifani vince) devono essere giudicati in base agli scrupoli. Ci sono però un paio di fatti da considerare. Uno è che tutti i protagonisti del folto gruppo che conta sull’avv. Schifani sono mafiosi. Non lo si sapeva a Milano. Ma a Palermo, vigili urbani, prefettura, polizia, già a quel tempo si tenevano alla larga dal cantiere controverso del palazzo che ospiterà Giovanni Brusca, già noto fra altri destinati a diventare celebri un po’ più avanti, ai tempi di Falcone, Borsellino e del bambino Di Matteo dissolto nell’acido.
E poi il punto più difficilmente eliminabile dalla discussione. Renato Schifani oggi è la seconda carica dello Stato. Così influente, sul destino di questo Stato, da suscitare sorpresa quando minaccia di sua iniziativa, elezioni anticipate, impossessandosi di una prerogativa che spetta solo al capo dello Stato. Dunque un uomo importante.
Un esempio fuori dall’Italia. Il celebre costruttore di New York Donald Trump non ha mai potuto candidarsi a sindaco perché, da giovane costruttore rampante, aveva minacciato un’anziana signora che non voleva cedere la sua casetta (61esima strada angolo Lexington) dove Trump voleva un grattacielo. La civiltà di New York è rappresentata da quell’evento. La casetta c’è ancora. E Trump non può entrare in politica nonostante i miliardi. In altri paesi (tutti quelli che noi chiamiamo democrazie) la reputazione ha un valore altissimo e il passato un peso che non si scioglie nell’acido del giornalismo compiacente e dell’opposizione conciliante.


IFQ di oggi

Scalor
21-11-2009, 10:01
politica e criminalità..... hanno sempre collaborato !
il problema è vedere se è la criminalità che comanda la politica o la politica che si serve della criminalità per creare problemi ad altre organizzazioni cirminali piu pericolose !

luxorl
21-11-2009, 10:01
Piazza Leone, Palermo: ecco il “palazzo mafia” difeso da Schifani

Storia di un palazzo. Storia di un condominio di Palermo in piazza Leoni in odore di mafia. Anzi, edificato, appaltato, acquistato e abitato da uomini legati a Cosa Nostra come Giovanni Brusca, Pietro Lo Sicco, la famiglia e gli uomini di Stefano Bontate e poi anche Leoluca Bagarella. Con due particolari di non poco conto: il palazzo è stato costruito falsificando le carte e appropriandosi dei suoli e delle case di due sorelle indifese, Savina e Rosa Pilliu. Il costruttore sarà condannato definitivamente per corruzione dell’assessore che rilasciò la licenza e per concorso in associazione mafiosa. Prima dell’avvio delle indagini, il legale che difese a spada tratta il costruttore era Renato Schifani, ora presidente del Senato. La struttura, lo ha stabilito la giustizia amministrativa, era ed è abusiva. Ed è ancora in piedi anche grazie ai consigli legali, ai ricorsi e alle richieste di sanatoria dello studio Schifani-Pinelli. Secondo quello che è stato raccontato ai giudici dai mafiosi pentiti, c’era anche un appartamento con un muro finto dietro il quale si nascondevano le armi del clan Madonia.

IFQ di oggi

luxorl
21-11-2009, 10:13
“Se le notizie che mi arrivano dall’Italia sono vere, se la storia di quest’uomo è davvero così, allora è sicuramente improprio per Renato Schifani restare presidente del Senato”, parla Francis Ford Coppola, regista del “Padrino”, il film sulla cupola siciliana che ha cambiato l’immagine della mafia in America.

IFQ di oggi

luxorl
21-11-2009, 10:14
Tra gli artisti italiani si registrano posizioni anche più dure: “Schifani deve dimettersi. Aver lavorato per dei mafiosi è indegno, soprattutto per portare avanti spregiudicate operazioni edilizie”, dice Franca Rame, già senatrice dell’Italia dei valori e moglie del premio Nobel Dario Fo, dopo aver letto sul Fatto l’inchiesta che ricostruisce gli anni in cui il presidente del Senato era l’avvocato di un esponente di Cosa Nostra.

IFQ di oggi

luxorl
21-11-2009, 10:20
“Spero che ora che la notizia è uscita, la gente cominci a interrogarsi – dice Daniele Luttazzi , autore satirico e teatrale – perché non bisogna dimenticare che gli avvocati possono rifiutarsi di difendere qualcuno. Si chiama deontologia, è una scelta. I fatti sono due: o Schifani non sapeva, e allora si sarebbe dovuto informare meglio, oppure sapeva. Se io fossi in lui (e per fortuna non lo sono) renderei conto, oggi, di quella storia”

IFQ di oggi

luxorl
21-11-2009, 10:23
Siamo lontani dall’America di Barack Obama, dove del governo non si fa parte anche solo se nel proprio passato ci sono state amicizie imbarazzanti. S’indigna il grande vecchio del cinema italiano, Mario Monicelli: “La cosa anormale è che Schifani abbia potuto diventare la seconda carica dello Stato. Già questo è al di là di ogni considerazione. Fosse per me, nemmeno deputato, con la sua storia. Ci rendiamo conto che se Napolitano si ammalasse, Schifani prenderebbe il suo posto alla presidenza della Repubblica? Questo è diventato il paese dell’illegalità e della sopraffazione”. Duro anche il filosofo Gianni Vattimo: “Sono così arrabbiato che ormai non me ne importa più niente. Io non sono affatto stupito da questa notizia, è nel normale ordine delle cose. Devo stupirmi se nella maggioranza di Berlusconi c’è l’ex avvocato di altri mafiosi?”

IFQ di oggi

Il Pirata
21-11-2009, 11:15
:Puke:

elect
21-11-2009, 13:15
Che tristezza, se uno ci pensa alla lotta stato-mafia, eravamo messi meglio in passato.

Oggi tutta la politica ne è piena

The Pein
21-11-2009, 13:24
Sempre la stessa storia di Dantes: quando le hai sentite qui le cose, cosa cambia di fuori? Niente di niente!!!
SE non fai ragionare la gente fuori non serve a na mazza..... :)

dantes76
21-11-2009, 13:36
Sempre la stessa storia di Dantes: quando le hai sentite qui le cose, cosa cambia di fuori? Niente di niente!!!
SE non fai ragionare la gente fuori non serve a na mazza..... :)

di dove sei?

dantes ti ha risposto sul ragionare fuori... e se vuoi ti rida una rinfrescata..

ai siciliani piace questo...

sander4
21-11-2009, 13:55
ottima inchiesta...

schifani, così come cosentino, dovrebbe semplicemente DIMETTERSI, così come succederebbe in qualsiasi altro paese :Puke:

ma tanto passerà tutto nel silenzio e insieme a cosentino (quello che distribuisce miliardi alla presidenza del CIPE mentre se non fosse un politico sarebbe in carcere ora) resteranno al loro posto ai VERTICI delle istituzioni

D'altronde non ci scordiamo quali sono gli eroi del PDC, infatti non c'è da stupirsi MINIMAMENTE se ha messo ai vertici gente di questo tipo.

dantes76
21-11-2009, 13:57
ottima inchiesta...

schifani, così come cosentino, dovrebbe semplicemente DIMETTERSI, così come succederebbe in qualsiasi altro paese :Puke:

ma tanto passerà tutto nel silenzio e insieme a cosentino (quello che distribuisce miliardi alla presidenza del CIPE mentre se non fosse un politico sarebbe in carcere ora) resteranno al loro posto ai VERTICI delle istituzioni

D'altronde non ci scordiamo quali sono gli eroi di berlusconi e dell'utri, un pres. del senato così mi sembra adeguato a chi ha certi eroi.

si ma schifani fa parte della casta siciliana del governo.. cosentino e' campano...

sander4
21-11-2009, 13:58
si ma schifani fa parte della casta siciliana del governo.. cosentino e' campano...

Vero essendo siciliano è nella parte che comanda al governo, i siciliani (come macciello) non si toccano. :O

dantes76
21-11-2009, 13:59
Vero essendo siciliano è nella parte che comanda al governo, i siciliani (come macciello) non si toccano. :O

pensa a dellutri.. in paese normale dovrebbe stare nei campi,,, in italia, viene votato in massa a milano...
come dice quel detto??
morto un campano se ne fa un altro!!
morto uno stalliere.. no.

claudioborghi
21-11-2009, 14:53
ottima inchiesta...

schifani, così come cosentino, dovrebbe semplicemente DIMETTERSI

Ho letto velocemente... anche nel caso che schifani come avvocato abbia avuto come clienti dei mafiosi, qualcuno mi spiega la differenza con l'uomo scelto da Di Pietro come sottosegretario alla giustizia, il senatore Li Gotti dell'IDV, avvocato di gente come Giovanni Brusca, l'assassino di Falcone?

http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/cronaca/bruscafuori/avuti/avuti.html

Ero rimasto (parlando di li gotti) che era normale che un avvocato potesse difendere dei criminali... adesso e' cambiato qualcosa?

dantes76
21-11-2009, 14:56
Ero rimasto (parlando di li gotti) che era normale che un avvocato potesse difendere dei criminali... adesso e' cambiato qualcosa?

schifani e' siciliano!! come dell'utri...

gugoXX
21-11-2009, 15:04
Che si faccia una legge, nero su bianco, che un avvocato che ha difeso anche per una sola volta una persona che poi e' risutata condannata per mafia, non potra' accedere ad alcuna carica pubblica.


Chissa' quanti avvocati troveranno i presunti condannabili per Mafia.
Che bello stato.

dantes76
21-11-2009, 15:18
schifani e' siciliano!! come dell'utri...

anzi emigranti...

dantes76
21-11-2009, 15:18
Che si faccia una legge, nero su bianco, che un avvocato che ha difeso anche per una sola volta una persona che poi e' risutata condannata per mafia, non potra' accedere ad alcuna carica pubblica.


Chissa' quanti avvocati troveranno i presunti condannabili per Mafia.
Che bello stato.

ma non erano migranti...

Steinoff
21-11-2009, 15:19
Ho letto velocemente... anche nel caso che schifani come avvocato abbia avuto come clienti dei mafiosi, qualcuno mi spiega la differenza con l'uomo scelto da Di Pietro come sottosegretario alla giustizia, il senatore Li Gotti dell'IDV, avvocato di gente come Giovanni Brusca, l'assassino di Falcone?

http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/cronaca/bruscafuori/avuti/avuti.html

Ero rimasto (parlando di li gotti) che era normale che un avvocato potesse difendere dei criminali... adesso e' cambiato qualcosa?

Oddio, tra Li Gotti e schifani esistono delle differenze che definire macroscopiche e' poco.

Per chi ha voglia e tempo di leggere, eccovi un breve profilo di entrambi, tratto da wikipedia. Ognuno e' libero di trarre le proprie conclusioni ma non credo serva altro per rispondere a claudioborghi.

Luigi Li Gotti (Mesoraca, 23 maggio 1947) è un avvocato e politico italiano, conosciuto per essere stato difensore di noti pentiti quali Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno e Giovanni Brusca.

Laureato in giurisprudenza, Luigi Li Gotti è stato avvocato di parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, ha rappresentato i familiari del maresciallo Oreste Leonardi nel processo Aldo Moro, ha tutelato la famiglia del commissario Luigi Calabresi in un lungo iter processuale. Attualmente Li Gotti vive e lavora a Roma, con la sua famiglia.

A Crotone ha cominciato a fare politica alla fine degli anni Sessanta nelle organizzazioni giovanili del Movimento Sociale Italiano, partito del quale è diventato successivamente segretario di federazione e che ha rappresentato in Consiglio comunale dal 1972 al 1977. Dopo una militanza a destra più che trentennale, nel 2003 esce da Alleanza Nazionale e passa all'Italia dei Valori, assumendo l'incarico di Responsabile del Dipartimento Giustizia.

Dal 18 maggio del 2006 fa parte del secondo governo Prodi in qualità di sottosegretario alla Giustizia. Con decreto ministeriale del 31 maggio dello stesso anno è stato delegato alla trattazione degli affari di competenza del Dipartimento per gli Affari di giustizia, relativamente alla Direzione generale della giustizia penale, e alla trattazione degli affari di competenza del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, relativamente alla Direzione generale del personale e della formazione.

Molte sono le iniziative di legge per le quali è stato demandato, come membro dell'"Esecutivo", a seguire i lavori in Parlamento. Tra le tante,

* il disegno di legge (ddl) in materia di violenza sessuale e omofoba;
* il ddl sulla disciplina processuale del prelievo del profilo genetico;
* il ddl sulla istituzione e regolamentazione processuale delle squadre investigative internazionali;
* il ddl contenenete le norme acceleratorie del processo penale, di modifica della prescrizione e della recidiva;
* il provvedimento sulla repressione del reato di traffico di esseri umani;
* il ddl sulla disciplina processuale delle intercettazioni telefoniche ed ambientali;
* il ddl sulla materia dei delitti contro l'ambiente;
* il ddl sui crimini informatici;
* il ddl sulla corte penale internazionale;
* il ddl sulla prevenzione e repressione dei reati in occasione delle competizioni sportive;
* il progetto di legge sull'istituzione dell'ufficio per il processo e la riqualificazione del personale amministrativo della giustizia.

Alle ultime elezioni politiche del 2008 è stato eletto senatore nelle file dell'Italia dei Valori in Emilia-Romagna.



Schifani, figlio di impiegati[1], si laureò in giurisprudenza con 110 e lode. Nel 1979, praticante legale nello studio del deputato Giuseppe La Loggia, fu inserito da quest'ultimo nella società di brokeraggio assicurativo Sicula Brokers, di cui facevano parte Enrico La Loggia, figlio di Giuseppe e futuro politico di spicco di Forza Italia, ed alcuni soci che negli anni 1990 furono incriminati per associazione mafiosa o concorso esterno in associazione mafiosa[2] [3]; Schifani lasciò la società nel 1980[4], riprendendo l'attività di avvocato. Nel 1992 fondò, assieme a due soci tra cui Antonino Garofalo, rinviato a giudizio nel 1997 per usura ed estorsione, la società di recupero crediti GSM[3]; a causa di tale attività fu successivamente definito in una battuta del ministro della giustizia Filippo Mancuso il "principe del recupero crediti"[1].

Schifani, già iscritto alla Democrazia Cristiana, aderì a Forza Italia nel febbraio 1995 e, dopo un incarico da consigliere comunale a Palermo, fu eletto al Senato della Repubblica alle elezioni politiche italiane del 1996 nel collegio palermitano di Altofonte-Corleone, in rappresentanza della coalizione di centrodestra. Nella sua prima legislatura è stato capogruppo di Forza Italia nella commissione Affari costituzionali ed ha fatto parte della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, la cosiddetta "Bicamerale".

Intanto negli anni 1990 Schifani, già attivo come avvocato cassazionista, si affermò come avvocato urbanista, ricevendo numerosi incarichi in amministrazioni comunali siciliane[4]. In uno di questi fu consulente per l'urbanistica e il piano regolatore del comune di Villabate, il cui sindaco Giuseppe Navetta era il nipote di Nino Mandalà, capocosca della cittadina[5] ed ex socio di Schifani nella Sicula Brokers; secondo il pentito Francesco Campanella tale incarico fu concesso, tramite Enrico La Loggia, nell'ambito di un patto tra mafia e politica per la realizzazione di un megastore[6], progetto poi abortito a causa delle indagini[7].

Rieletto nelle elezioni del 2001, nel corso della XIV Legislatura Schifani è stato tra i fautori della stabilizzazione dell'articolo 41 bis, che ha reso definitivo il cosiddetto «carcere duro», previsto espressamente per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, istituto fino a quel momento di natura provvisoria[8][9].

Porta il suo nome il «Lodo Schifani» una legge approvata il 20 giugno 2003, che sospendeva i processi in corso contro le «cinque più alte cariche dello Stato» oggetto di numerose polemiche perché sospendeva di fatto il processo SME per il presidente del Consiglio Berlusconi fintanto che questi fosse rimasto in carica. In seguito la legge fu dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale il 13 gennaio 2004[10].

Schifani nelle elezioni politiche italiane del 2006 viene rieletto senatore per la terza volta, per Forza Italia, nella circoscrizione Sicilia e nel corso della XV Legislatura è stato membro della Commissione Territorio e Ambiente.
Stretta di mano con il Presidente della Repubblica Napolitano

In qualità di capogruppo di Forza Italia nella XIV e XV Legislatura dal 2001 al 2008 Schifani è stato protagonista dei dibattiti parlamentari del Senato[11].

Alle elezioni politiche del 2008 è stato eletto per la quarta volta, sempre in Sicilia, per il Popolo della Libertà.

Nel corso della prima seduta della XVI Legislatura, il 29 aprile 2008 è stato eletto Presidente del Senato della Repubblica al primo scrutinio, riportando 178 voti, (162 richiesti dal quorum), 4 in più della coalizione formata da PdL, Lega Nord e MpA[12].

dave4mame
21-11-2009, 15:23
la differenza è che li gotti è un ex fascista :D

claudioborghi
21-11-2009, 15:27
Che si faccia una legge, nero su bianco, che un avvocato che ha difeso anche per una sola volta una persona che poi e' risutata condannata per mafia, non potra' accedere ad alcuna carica pubblica.


Beh, Bossi la voterebbe di sicuro...

Ma gia' che ci siamo possiamo dire che e' meglio non fare mai alcun affare ne rivolgere la parola ad un siciliano perche' potrebbe in futuro rivelarsi mafioso... :rolleyes:

Che ne pensano i siciliani del forum?

dantes76
21-11-2009, 15:29
Beh, Bossi la voterebbe di sicuro...

Ma gia' che ci siamo possiamo dire che e' meglio non fare mai alcun affare ne rivolgere la parola ad un siciliano perche' potrebbe in futuro rivelarsi mafioso... :rolleyes:

Che ne pensano i siciliani del forum?

se avete i coglioni fra le gambe fatelo non ditelo solamente.

lombardi..milanesi che difendono siciliani come se fossero loro dei...
il fatto non e' quello di poter conoscere mafiosi.. ma una volta saputo che lo sono..difenderli e non prenderli calci in culo...

lo chieda ai milanesi..non ai siciliani

Steinoff
21-11-2009, 15:31
la differenza è che li gotti è un ex fascista :D

intendi come Fini, Gasparri, Alemanno, Tremaglia, Matteoli, La Russa....

Non e' stato mai nascosto che IdV sia l'unico vero partito di destra europea presente in Italia.
E comunque, c'e' solo quella di differenza tra schifani e Li Gotti? Sicuro sicuro?

dave4mame
21-11-2009, 15:37
si! fascista come iddi!
una quinta colonna! ecco spiegato u ribaltuni!

FabioGreggio
21-11-2009, 15:42
Ho letto velocemente... anche nel caso che schifani come avvocato abbia avuto come clienti dei mafiosi, qualcuno mi spiega la differenza con l'uomo scelto da Di Pietro come sottosegretario alla giustizia, il senatore Li Gotti dell'IDV, avvocato di gente come Giovanni Brusca, l'assassino di Falcone?

http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/cronaca/bruscafuori/avuti/avuti.html

Ero rimasto (parlando di li gotti) che era normale che un avvocato potesse difendere dei criminali... adesso e' cambiato qualcosa?

Nei primi governi Berlusconi, l'avvocato Taormina, difensore di capi mafiosi, fu messo alla commissione antimafia.

Schifani che ha difeso mafiosi è presidente istituzionale.

Di la verità: se fosse vivo Pacciani, un posto a Presidente della Repubblica non glielo levava nessuno.

fg

dantes76
21-11-2009, 15:45
Nei primi governi Berlusconi, l'avvocato Taormina, difensore di capi mafiosi, fu messo alla commissione antimafia.

Schifani che ha difeso mafiosi è presidente istituzionale.

Di la verità: se fosse vivo Pacciani, un posto a Presidente della Repubblica non glielo levava nessuno.

fg

pacciani non era siciliano... loro si mettono a 90° solo con i siciliani e con chi difende gli interessi dei siciliani...

FabioGreggio
21-11-2009, 15:48
pacciani non era siciliano... loro si mettono a 90° solo con i siciliani e con chi difende gli interessi dei siciliani...

Quindi per Reiina ci sono probabilità istituzionali?
anche solo perchè un galoppino di Idv ha creato un precedente, come Borghi sottolinea...
Perchè la cosa importante non è indignarsi.


Ma fare peggio.

fg

dantes76
21-11-2009, 15:53
Quindi per Reiina ci sono probabilità istituzionali?
anche solo perchè un galoppino di Idv ha creato un precedente, come Borghi sottolinea...
Perchè la cosa importante non è indignarsi.


Ma fare peggio.

fg

tu credi che se il figlio di riina volesse candidarsi nel pdl, qualcuno gli direbbe no? chi? borghi? feltri??

Onisem
21-11-2009, 16:05
politica e criminalità..... hanno sempre collaborato !
il problema è vedere se è la criminalità che comanda la politica o la politica che si serve della criminalità per creare problemi ad altre organizzazioni cirminali piu pericolose !

:mbe: Non fa una piega...

Ja]{|e
21-11-2009, 16:07
schifani e' siciliano!! come dell'utri...

Come Cuffaro che continua a blaterare di politica (e a vigiliare sulla RAI... infatti...) nonostante una "sentenza di primo grado che lo condanna a cinque anni di reclusione nonché all'interdizione perpetua dai pubblici uffici", nonostante "un nuovo avviso di conclusione delle indagini per concorso esterno in associazione mafiosa, fatto che presuppone un nuovo rinvio a giudizio" e nonostante la magistratura che "presume che Cuffaro sia stato sostenuto elettoralmente dalla mafia sin dall'inizio degli anni '90 e che perciò sia a disposizione delle cosche" (vedi: Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Cuffaro))...

Vincenzo1968
21-11-2009, 16:11
Quindi per Reiina ci sono probabilità istituzionali?

fg

Certamente ci sono, come si suol dire, "ampie convergenze di vedute". Per esempio, sui giudici comunisti:

http://www.youtube.com/watch?v=RQ_FwDgcklo

Ja]{|e
21-11-2009, 16:37
Quindi per Reiina ci sono probabilità istituzionali?
anche solo perchè un galoppino di Idv ha creato un precedente, come Borghi sottolinea...
Perchè la cosa importante non è indignarsi.


Ma fare peggio.

fg

Subranni non è Riina anche se dal mio personalissimo punto di vista morale, se davvero le cose sono andate come si dice, per me sono sullo stesso livello.
La figlia è il capo addetto stampa del guardagingilli, il figlio fa parte del reclutamento operativo centrale dei nostri servizi segreti....

SalvoDS(2)
21-11-2009, 16:52
certo che dopo quella di marrazzo con la coca e questa la mia reputazione di chi governa questo paese è sempre peggiore...

dovrebbero metterla tutti al muro e fucilarli sta gente di merda....

FabioGreggio
21-11-2009, 17:00
tu credi che se il figlio di riina volesse candidarsi nel pdl, qualcuno gli direbbe no? chi? borghi? feltri??


Ma bravo, diamo anche i suggerimenti....:p

fg

FabioGreggio
21-11-2009, 17:02
certo che dopo quella di marrazzo con la coca e questa la mia reputazione di chi governa questo paese è sempre peggiore...

dovrebbero metterla tutti al muro e fucilarli sta gente di merda....

C'è differenza.

Marazzo si faceva comunque i "cazzi" suoi.

Altra cosa è un presidente istituzionale che collaborò con la mafia.

a questo punto un trans con coca è grasso che cola.

fg

Ja]{|e
21-11-2009, 17:08
certo che dopo quella di marrazzo con la coca e questa la mia reputazione di chi governa questo paese è sempre peggiore...

dovrebbero metterla tutti al muro e fucilarli sta gente di merda....

Ah, perché quando sapevi di quella di Silvio con Mangano, quella di Cosentino e i rifiuti tossici, quella di Maroni e il comune di Fondi (ma anche Paterò, perché no...), quella di Cuffaro e i festegiamenti con cannoli per i suoi cinque anni in primo grado, quella di Dell'Utri e la sua condanna in primo grado per concorso esterno in associazione di tipo mafioso e in Cassazione per frode fiscale.... avevi una buona reputazione?

SalvoDS(2)
21-11-2009, 18:36
{|e;29778993']Ah, perché quando sapevi di quella di Silvio con Mangano, quella di Cosentino e i rifiuti tossici, quella di Maroni e il comune di Fondi (ma anche Paterò, perché no...), quella di Cuffaro e i festegiamenti con cannoli per i suoi cinque anni in primo grado, quella di Dell'Utri e la sua condanna in primo grado per concorso esterno in associazione di tipo mafioso e in Cassazione per frode fiscale.... avevi una buona reputazione?

:sbavvv: mi vergogno di essere italiano :incazzed:

claudioborghi
21-11-2009, 20:44
Oddio, tra Li Gotti e schifani esistono delle differenze che definire macroscopiche e' poco.

E' proprio vero, altra caratura... uno trattava con Brusca... invece Schifani (leggo dal tuo post) "nel 1992 fondò, assieme a due soci tra cui Antonino Garofalo, rinviato a giudizio nel 1997 una societa'..."

Scelgo questa perche' e' straordinaria... si rimprovera a quest'uomo di aver fondato una societa' con un incensurato perche' doveva sapere che cinque anni dopo sarebbe stato RINVIATO A GIUDIZIO. :doh:
Quindi si presume che quel briccone di Schifani doveva avere una palla di cristallo tarata su cinque anni nel futuro, ma non troppo piu' in la', perche' altrimenti avrebbe potuto vedere che costui sarebbe stato assolto e quindi andava tutto bene :rolleyes:

:nono: ma tu pensa, bisogna evitare pure i contatti con quelli che saranno processati (e chissenefrega se verranno assolti, per l'estensore dell'articolo e' dettaglio da nulla). Prevedo anni d'oro per i chiromanti...

LUVІ
21-11-2009, 21:01
Pensa quelli che accettano una carica a consigliere di una banca commissariata al centro di n vicende, compreso riciclaggio di capitali di provenienza dubbia :sofico: e lo sanno benissimo! :D

Jarni
21-11-2009, 21:15
si rimprovera a quest'uomo di aver fondato una societa' con un incensurato perche' doveva sapere che cinque anni dopo sarebbe stato RINVIATO A GIUDIZIO. :doh:
Quindi si presume che quel briccone di Schifani doveva avere una palla di cristallo tarata su cinque anni nel futuro, ma non troppo piu' in la', perche' altrimenti avrebbe potuto vedere che costui sarebbe stato assolto e quindi andava tutto bene :rolleyes:

:nono: ma tu pensa, bisogna evitare pure i contatti con quelli che saranno processati (e chissenefrega se verranno assolti, per l'estensore dell'articolo e' dettaglio da nulla). Prevedo anni d'oro per i chiromanti...

Nessuno rimprovera a Schifani di aver fondato una società con un incensurato, questa è una tua conclusione di comodo.

La questione è se il socio condannato fosse mafioso al tempo del sodalizio con Schifani(notoriamente prima si è mafiosi, e poi si viene condannati per questo) e se lo era, Schifani lo sapeva? Che tipo di rapporti d'affari ha intrapreso? Ecc...

Non ti fare queste domande, mi raccomando...

luxorl
21-11-2009, 22:13
Ho letto velocemente... anche nel caso che schifani come avvocato abbia avuto come clienti dei mafiosi, qualcuno mi spiega la differenza con l'uomo scelto da Di Pietro come sottosegretario alla giustizia, il senatore Li Gotti dell'IDV, avvocato di gente come Giovanni Brusca, l'assassino di Falcone?

http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/cronaca/bruscafuori/avuti/avuti.html

Ero rimasto (parlando di li gotti) che era normale che un avvocato potesse difendere dei criminali... adesso e' cambiato qualcosa?

Ma perché devi andare OT?!? :mad: :mad: :mad:
ADP ti ha rubato la donnina che te lo sogni anche la notte? :stordita:
Pesante è dir poco...

luxorl
21-11-2009, 22:17
:nono: ma tu pensa, bisogna evitare pure i contatti con quelli che saranno processati (e chissenefrega se verranno assolti, per l'estensore dell'articolo e' dettaglio da nulla). Prevedo anni d'oro per i chiromanti...

Perché uno mafioso ci diventa da un giorno all'altro... :rolleyes:

luxorl
21-11-2009, 22:18
Non ti fare queste domande, mi raccomando...

Lui queste domande se le fa e come... anche amplificate 1000 volte... ma solo se di mezzo c'è ADP... se ci sono gli amiconi del partito è tutto un gomblotto :O

DonaldDuck
22-11-2009, 08:49
Perché uno mafioso ci diventa da un giorno all'altro... :rolleyes:

Io mi domando...quando voi sostenitori IDV parlate di mafia e vi permettete insinuazioni da codice penale...le ricordate stè cose, vero?

http://www.repubblica.it/online/politica/falcone/falcone/falcone.html

Leoluca Orlando Cascio, nel 1990, sostenne e non fu il solo, soprattutto nella sinistra - che "dentro i cassetti della procura di Palermo ce n'è abbastanza per fare giustizia sui delitti politici". Quei cassetti, dove si insabbiava la verità sulla morte di Mattarella, La Torre, Insalaco, Bonsignore, erano di Falcone. Ritorna l'accusa di Amatucci e Viglietta: Falcone è un "venduto". Delle due l'una, allora. O quelle accuse erano fondate e allora non si beatifichi come eroe un magistrato che ha fatto commercio della sua indipendenza o quelle accuse erano, come sono, calunnie e gli artefici avvertano la necessità di fare pubblica ammenda. In dieci anni, non ho ancora ascoltato una sola autocritica nella magistratura e nella politica.



http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/09/07/depistaggi-per-macchiare-la-memoria-di.html

' DEPISTAGGI PER MACCHIARE LA MEMORIA DI FALCONE'
Repubblica — 07 settembre 1993 pagina 4

Alla commemorazione di Falcone, il 25 maggio, Ilda Boccassini aveva parlato per un quarto d'ora gelando l'aula. Aveva raccontato dell' amarezza di Falcone che si era visto arrivare richieste di rogatorie monche da parte dei colleghi di Mani pulite. "Non si fidano di me", aveva confidato alla Boccassini che subito dopo la strage non aveva esitato a puntare il dito contro coloro che secondo lei, erano responsabili dell' isolamento in cui si era venuto a trovare Falcone dopo la nomina di Claudio Martelli a ministro. Scontri e battaglie del resto non hanno mai impaurito Ilda Boccassini. Napoletana, sulla soglia dei quarant' anni, ha condotto a Milano alcune delle più importanti inchieste su droga, criminalità organizzata e riciclaggio.


http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/01/boccassini-fuori-lui-io.shtml?uuid=7ae9bfd2-eb7a-11dd-804c-e23a7a132034


E Boccassini disse: «Fuori lui o fuori io»

Non tutti i Pubblici ministeri si fanno teleguidare da consulenti alla Genchi, per quanto bravi e preparati possano essere. Nel 1993, Gioacchino Genchi era un dipendente della Polizia di Stato molto abile nell'analisi delle telecomunicazioni. Ma il sostituto procuratore di Milano Ilda Boccassini, fattasi applicare a Caltanissetta per condurre le indagini sulle stragi di Capaci e via d'Amelio fece estromettere Genchi dal gruppo d'indagine Falcone e Borsellino. Perché? «Perché già allora – conferma oggi il Pm milanese – dalle proposte che Genchi avanzava a noi magistrati, ebbi la sgradevole impressione che non stesse lavorando per l'inchiesta ma seguendo sue personali curiosità». E, vedendo che nessuno prendeva decisioni, Boccassini pose il suo aut aut al Procuratore di Caltanissetta: «Fuori lui o me ne vado io», ottenendo che venissero revocati gli incarichi di consulenza affidati al poliziotto di Castelbuono all'inizio dell'indagine sulle stragi del 1992.





http://blog.panorama.it/italia/2009/02/01/caso-genchi-nella-rete-di-interceptor/


Da Castelbuono alla Rete
Genchi Gioacchino da Castelbuono (Palermo) non è un investigatore di paese. Vicequestore in aspettativa sindacale alla questura di Palermo, 49 anni, uomo di grande sicurezza ed ego smisurato, è probabilmente il più abile e intelligente detective informatico d’Italia. Il suo pensiero è sofisticato, la sua conoscenza del software e dell’hardware sorprendente. Il suo talento micidiale ha cominciato a rivelarsi fin dagli anni Ottanta, quando “smanettava” sui primi pc in commercio. Nel 1985 entra in polizia e già dopo tre anni il capo della Polizia di Stato, Vincenzo Parisi, lo mette alla testa della direzione telecomunicazioni del ministero dell’Interno per la Sicilia occidentale. Carriera fulminante.
Nel 1996 diventa consulente tecnico dell’autorità giudiziaria. Su incarico del Csm tiene corsi di formazione e aggiornamento per magistrati e uditori giudiziari. In breve, Genchi diventa un punto di riferimento: “I risultati del mio lavoro sono consacrati in centinaia di ordinanze, di sentenze e di pronunce alla Corte di cassazione” si vanta sul suo sito web. È vero, ma la sua attività vista in controluce ha più di una zona oscura. Tanto che già nel 1993 Ilda Boccassini, allora sostituto procuratore di Caltanissetta, drizza le antenne e si scontra con Genchi, che all’epoca è il tecnico del pool investigativo sulla strage di Capaci e vuole allargare l’indagine ai contatti telefonici privati e alle carte di credito di Giovanni Falcone. O me o lui, dice “Ilda la rossa”. E la spunta.


http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/politica/giustizia-8/tabulati-genchi/tabulati-genchi.html



Nel 1993, Ilda Boccassini, quando indagava sulla strage di Capaci, non gradì che quel tecnico del pool investigativo si attardasse intorno ai contatti telefonici privati di Giovanni Falcone, che nulla avevano a che fare con l'inchiesta. E quando nel febbraio di quell'anno se lo trovò davanti che proponeva di "trattare" le carte di credito del magistrato ucciso, se ne liberò senza stare troppo a pensarci su. "O me o lui", disse.

"Il fatto è - racconta ancora un altro pubblico ministero - che Genchi arriva da te con un elenco di numeri di telefono che sono entrati in contatto con il cellulare o il telefono fisso del suo indagato. Ti chiede una delega per verificarli. E tu che diavolo ne puoi sapere se tra quei centinaia di numeri ce n'è uno che non ha nulla a che fare con il tuo "caso" e molto con le curiosità di Genchi? Questo è il motivo per cui preferisco non lavorare con lui, che è certamente il solo in Italia a sapere fare quelle analisi dei dati".



La testimonianza di questo PM è talmente credibile che è possibile trovare riscontro in questo scarica-barile tra Genchi e De Magistris.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/01/31/genchi-interrogato-ore-dal-copasir-anche-de.html


Genchi interrogato 7 ore dal Copasir anche De Magistris prende le distanze

Repubblica — 31 gennaio 2009 pagina 9 sezione: POLITICA INTERNA

ROMA - Il pm Luigi De Magistris scarica il suo consulente Gioacchino Genchi e viceversa. L' audizione fiume di ieri al Copasir (l' organismo parlamentare di controllo sui servizi segreti), non ha chiarito affatto il dubbio principale per il quale i due protagonisti dell' inchiesat Why not sono stati convocati. E cioè capire perché sono stati controllati i tabulati telefonici dell' ex capo dell' intelligence militare, Nicolò Pollari, dell' ex capo dell' antiterrorismo degli 007 Marco Mancini e di altri tre agenti segreti. Secondo De Magistris, non sarebbe stato lui ad autorizzare quegli accertamenti delicatissimi. Secondo Genchi, invece, quei tabulati telefonici sarebbero stati acquisiti con una regolare delega e sarebbero frutto di «un' attività trasparente e cristallina». Proprio su questo punto, il 20 febbraio prossimo De Magistris sarà giudicato dalla sezione disciplinare del Csm per aver firmato un' «abnorme delega di indagini» al suo fidato consulente tecnico.



Qualcuno per cortesia mi spiega con precisione cosa intendeva dire Buscetta? Fu Berlusconi a far avverare la profezia?

http://www.repubblica.it/online/politica/falconedue/queigiornidue/queigiornidue.html


Il boss, prima di essere interrogato e rivelare i segreti di Cosa Nostra
lo aveva avvertito: "Ti distruggeranno professionalmente e poi..."

La profezia del pentito Buscetta

Tre anni fa il primo tentativo di ammazzare Giovanni Falcone
di GIUSEPPE D'AVANZO

ROMA - Se c'era una parola, un'accusa che lo feriva era quella parola e quell'accusa che ha dovuto leggere sui giornali, che è risuonata nei convegni, che gli rotolava alle spalle - alle spalle, mai sulla faccia - di essere ormai "andato", di essersi "piegato", di essere ormai - né più né meno - un "reggicoda" del potere politico che voleva - né più né meno - strozzare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, che voleva - né più né meno - impedire allo Stato di recidere il legame doppio tra mafia e politica.

Erano parole, era un'accusa che aveva dovuto leggere e sentire - alle spalle, mai sulla faccia - dal 13 marzo 1991 quando aveva accettato di diventare direttore degli Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia. Gli avevano impedito di essere consigliere istruttore (gli avevano preferito per "anzianità" Antonino Meli), avevano distrutto il pool (era diventato un "centro di potere", avevano detto), avevano smembrato l'inchiesta-collettore su Cosa Nostra ("è un'organizzazione che non ha struttura priramidale", avevano sentenziato). Lo avevano costretto in un ruolo subalterno alla Procura della Repubblica. Aggiunto procuratore, appunto.

Aveva detto di sì a Roma, allora. Lo aveva detto con la disperazione impotente che hanno i meridionali che sono costretti a partire, a emigrare, a lasciare ciò che si ama, i luoghi della memoria, le "radici antropologiche" diceva lui, per ricominciare altrove il discorso che era stato interrotto e che andava completato.

Giovanni Falcone quando parlava della sua Sicilia, della sua Palermo sceglieva un verso: "Nec tecum nec sine te vivere possum". E spiegava quella frase con le parole di Leonardo Sciascia, un altro grande siciliano che non sempre gli fu amico: "Amare una terra e una gente al tempo stesso che si detesta, sentirsi somiglianti e diversi, volere e disvolere, bisogna riconoscere che è un bel guaio. In questo guaio viviamo tutti noi siciliani e un guaio non è mai bello. E' certo più difficile essere siciliani che milanesi. E' forse per questo faccio il lavoro che faccio. Perchè la mafia non è la Sicilia e il siciliano non è un mafioso".

Era questa fiducia in se stesso e nella sua terra e nei siciliani che quelle parole, quell'accusa schiacciava. Giovanni Falcone ne era offeso, umiliato, ma non era uomo (era un siciliano, no?) da darlo a vedere più di tanto. Buttava giù il boccone amaro, prendeva tempo (si versava da bere, si guardava intorno), strizzava gli occhi, sorrideva a labbra strette, alzava le spalle con un gesto nervoso e significativo, più eloquente di qualsiasi parola. Se lo conoscevi bene, potevi notare che c'era una piega amara all'angolo della bocca e una luce triste in quegli occhi che, al contrario, erano sempre vivi e luccicanti di ironia, di passione, di eccitazione "perché c'è tanto da fare e bisogna farlo presto e bene".

Giovanni Falcone, 54 anni, padre funzionario della provincia, madre molto religiosa (della fede sentirà sempre "una nostalgia rispettosa") si era assegnato un compito. Se l'era assegnato molto tempo fa quando, tra le possibili frasi che sceglie ogni ragazzo per orientare (impregnare) la sua vita, lui aveva scelto una - "un po'retorica" ammetteva - di Giuseppe Mazzini. Era questa. Più o meno. Falcone la ricordava così: "La vita è missione e il suo dovere è la legge suprema". La missione che s'era scelto era sconfiggere la mafia, annientare Cosa Nostra. "Fin da bambino - ha raccontato a Marcelle Padovani in un libro (Cose di Cosa Nostra) che è ora, tragicamente, il suo testamento spirituale - avevo respirato giorno dopo giorno aria di mafia, violenza, estorsioni, assassini. C'erano stati poi i grandi processi che si erano conclusi regolarmente con un nulla di fatto. La mia cultura progressista mi faceva inorridire di fronte alla brutalità, agli attentati, alle aggressioni: guardavo a Cosa Nostra, come all'idra dalle sette teste: qualcosa di magmatico, di onnipresente e invincibile, responsabile di tutti i mali del mondo. Nell'atmosfera di quel tempo respiravo anche una cultura 'istituzionale'che negava l'esistenza della mafia e respingeva quanto vi faceva riferimento. Cercare di dare un nome al malessere sociale siciliano equivaleva ad arrendersi agli 'attacchi del Nord'!".

Invece Cosa Nostra si poteva sconfiggere. Giovanni Falcone lo ripeteva da anni. Ogni volta che era possibile e anche, in anni e in luoghi, dove non era possibile. "Chi ha voglia di capire e ha voglia di lavorare - diceva - può farcela. Ho sempre saputo che per dare battaglia bisogna lavorare a più non posso...". Mise da parte l'intenzione di iscriversi a medicina, accantonò l'idea di diventare ufficiale di Marina e, laureato in giurisprudenza, a venticinque anni fece il concorso in magistratura. Giovanni Falcone cominciò a farsi le ossa, come diceva, a Trapani.

"La mafia entrò subito nel raggio dei miei interessi professionali - raccontava - Dieci assassini e la mafia di Marsala dietro le sbarre. Mi indicarono un armadio pieno di pratiche, dicendomi: 'Leggile tutte'. Era il novembre del 1967 e puntuali come un orologio svizzero cominciarono ad arrivarmi cartoline con disegni di bare e di croci. E' una cosa che tocca gli esordienti e non ne rimasi colpito più di tanto". Non era facile da Trapani o da Marsala "avere una visione unitaria del fenomeno mafioso".

Nel 1978 torna a Palermo. Chiese di essere assegnato all'Ufficio istruzione. Lo spediscono al Tribunale fallimentare. Ci resta un anno. Impara a leggere un bilancio, a inseguire i sentieri di un assegno, la discreta presenza di un conto bancario. Impara a orientarsi nei canali finanziari utilizzati da Cosa Nostra per riciclare le ricchezze del narcotraffico. Quando arriva nel pool del consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici, Falcone sa quel che c'è da fare, sa come farlo. E' in buona compagnia. "Quando Tommaso Buscetta, nel luglio del 1984, ci capita davanti - ricordava - avevamo già quattro anni di lavoro duro alle spalle. Conoscevamo Cosa Nostra nelle sue grandi linee. Ero in grado di capire Buscetta e, quindi, pronto ad interrogarlo". Prima di Masino Buscetta, lo Stato italiano aveva una conoscenza superficiale del fenomeno mafioso. "Con Buscetta abbiamo avuto finalmente una visione globale del fenomeno, delle sue strutture, delle sue tecniche di reclutamento, delle sue funzioni, del suo linguaggio, del suo codice".

Fu Buscetta a dirglielo: "L'avverto, signor giudice. Dopo quest'interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. E' sempre del parere di interrogarmi?".

Quando Falcone raccontava le lunghe ore dell'interrogatorio con Buscetta i suoi occhi si illuminavano come devono essersi illuminati in quel benedetto, maledetto giorno in cui finalmente "si avvicinò sull'orlo del precipizio", quando gettò uno sguardo oltre l'omertà, oltre quel muro insuperabile che sempre ha protetto Cosa Nostra. Quasi ridevano quegli occhi. Tornavano ad essere entusiasti. Quasi dicevano (e qualche volta arrivava anche a dirlo): "Ormai ho la chiave per capire, sì ho capito, devo avere ora soltanto gli strumenti per avvicinarmi a quella porta, senza fare passi falsi". Il "passo falso" era la sua ossessione. "Occuparsi di indagini di mafia - diceva - significa procedere su un terreno minato: mai fare un passo prima di essere sicuri di non andare a posare il piede su una mina antiuomo".

Lo diceva ma non si era accorto che già si era incamminato lungo quel sentiero. Come gli aveva anticipato Buscetta, avevano cominciato ad attaccarlo professionalmente. Doveva essere il successore di Rocco Chinnici (ucciso dal tritolo), il Csm gli preferisce burocraticamente Antonino Meli. Negano il suo intero lavoro istruttorio con disprezzo definito il "teorema Buscetta", meglio il "teorema Falcone". Un Corvo lo accusa di aver consegnato licenza d'uccidere al "pentito" Salvatore Contorno. La mafia sistema 50 chili di tritolo sotto la sua casa all'Addaura e nessuno crede all'attentato. C'è chi dice (a Palermo, a Roma): se l'è preparato da solo. Lo accusano di aver "insabbiato" le indagini sui delitti politici. "Corre" per il Csm, lo impallinano i suoi stessi compagni di corrente. Ripiega a Roma, al ministero. Gli dicono che si è inginocchiato al Palazzo.

E' candidato alla Superprocura. Il Csm lo boccia. Sono gli anni amari di Giovanni Falcone. Aveva gli occhi tristi quando ne parlava. Con orgoglio concludeva: "Alla fine, vedrete, la ragione prevarrà". Il terreno, invece, era pronto per l'ultimo atto. La mafia doveva solo presentare il conto. Lo ha presentato ieri. Come aveva previsto Buscetta. Come molti, troppi non hanno voluto prevedere.

(24 maggio 1992)




http://archiviostorico.corriere.it/1996/settembre/01/Gotti_avvocato_che_umanizza_ferocia_co_8_9609013761.shtml



Li Gotti, l' avvocato che " umanizza " la ferocia

1 settembre 1996

Non chiedete a un avvocato cosa pensa della giustizia, Luigi Li Gotti per esempio e' convinto che se si processa un uomo adulto, qualunque uomo adulto, fosse pure il migliore del mondo, quell' uomo alla fine risulterebbe comunque colpevole, e sempre di qualcosa di grave. Percio' gli piace parlare con Buscetta e con Mannoia, "con Buscetta soprattutto, che e' una specie di filosofo, mentre Mannoia e' preciso come un orologio", Brusca invece lo commuove mentre Mutolo lo fa ridere, "perche' e' dissacrante, spiritoso". Come quando si mise a raccontare di quella volta che si fingeva pazzo, e girava per il manicomio con la faccia feroce recitando in siciliano certi appropriati versi della Gerusalemme Liberata: "E' duci ' ncazzarisi, prima d' ammazzari, e dolce e' l' ira in aspettar vendetta". Poi si avvicinava e si presentava: "Tasso Torquato, poeta sorrentino, baciamo le mani".

DonaldDuck
22-11-2009, 08:50
Non ci sono parole...

luxorl
22-11-2009, 09:14
Io mi domando...quando voi sostenitori IDV parlate di mafia e vi permettete insinuazioni da codice penale...le ricordate stè cose, vero?

http://www.repubblica.it/online/politica/falcone/falcone/falcone.html



http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/09/07/depistaggi-per-macchiare-la-memoria-di.html

Siete i signori supremi dell'OT :asd:
Un giorno mi spieghi cosa c'entra.... :help: :help:

In ogni caso, insinuazioni da codice penale? Io ho detto che se uno viene condannato per mafia difficilmente non era mafioso/delinquente già da molto tempo, e sono sicuro che questo in fondo in fondo lo sai bene anche tu, solo che qui non ti conviene fare il puntiglioso perché non c'è di mezzo IDV/ADP.

DonaldDuck
22-11-2009, 10:04
Mah!

dantes76
22-11-2009, 11:14
...e contano i picciuli *.

*fixed

StefAno Giammarco
23-11-2009, 00:20
Pensa quelli che accettano una carica a consigliere di una banca commissariata al centro di n vicende, compreso riciclaggio di capitali di provenienza dubbia :sofico: e lo sanno benissimo! :D

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Vediamo se con una sospensione di una settimana questa storia finisce

StefAno Giammarco
23-11-2009, 00:29
Io mi domando...quando voi sostenitori IDV parlate di mafia e vi permettete insinuazioni da codice penale...le ricordate stè cose, vero?

http://www.repubblica.it/online/politica/falcone/falcone/falcone.html



http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/09/07/depistaggi-per-macchiare-la-memoria-di.html

http://blog.panorama.it/italia/2009/02/01/caso-genchi-nella-rete-di-interceptor/

DonaldDuck ma davvero questi OT cosa ci entrnao con la materia del contendere? Ti "invito" calorosamente a non ripeterti.