easyand
16-11-2009, 00:51
Estrema sintesi, l'accordo da 4 miliardi di euro con i libici (per tutti i rasarcimenti bla bla bla)...praticamente viene pagato dalle casse dell' ENI, 4 miliardi nell' arco di 10 anni, gli amministratori sono incazzati neri
Nel contempo la libia si impegna a commesse alle industrie italiane (in primis impregilo, pirelli, ENI, finmeccanica, trevi...) di pari valore...oltre alla mega concessione ad ENI per il gas e petrolio di durata 25 anni (la più grossa mai sottoscritta dalla libia)
MILANO - I rapporti economici tra Italia e Libia cominciano a stringersi in base a quanto previsto dal Trattato di Amicizia diventato legge a fine 2008. Venerdi scorso Silvio Berlusconi ha ricevuto il primo ministro El Mahmoudi e durante il week end una delegazione di 25 associazioni imprenditoriali italiane è stata al seguito del viceministro Urso per una missione in Libia volta a definire le opere infrastrutturali oggetto dell' accordo. Chi deciderà quali opere costruire? Una commissione mista italo-libica. Chi gestirà i soldi? Gli italiani. Chi verserà i soldi, cioè i 5 miliardi di dollari in 20 anni previsti dal Trattato? L' Eni sul cui bilancio la legge ha previsto un prelievo chiamato "addizionale Ires", da quasi 250 milioni l' anno. La società petrolifera, per il 30% ancora posseduta dal Tesoro, è d' accordo? Non sembra, poiché il suo cda ha chiesto delucidazioni all' Agenzia delle entrate e s' è detta pronta a impugnare l' imposta. In pratica la legge voluta da Berlusconi prevede un trasferimento di risorse da 5 miliardi di dollari dall' Eni ad altre aziende italiane, via Libia, con una commissione mista che deciderà quali opere effettuare in Africa. «Con 5 miliardi di euro si costruisce ben altro che un' autostrada sulla costa libica», nota un addetto ai lavori. È un fiume di denaro che si sa da dove parte (l' Eni) ma non dove finisce.E il Tesoro con una mano sigla il Trattato, con l' altra è pronto a impugnarlo nel cda Eni, dov' è la prima forza. I soci istituzionali sono sul piede di guerra e chiedono chiarimenti a Scaroni che per ora allarga le braccia e aspetta la risposta dall' ufficio delle Entrate (controllato dal Tesoro). La missione in Libia, a ben vedere, richiederebbe un grado di trasparenza maggiore, per rispetto dei contribuenti italiani e degli azionisti Eni. Giovanni Pons
Nel contempo la libia si impegna a commesse alle industrie italiane (in primis impregilo, pirelli, ENI, finmeccanica, trevi...) di pari valore...oltre alla mega concessione ad ENI per il gas e petrolio di durata 25 anni (la più grossa mai sottoscritta dalla libia)
MILANO - I rapporti economici tra Italia e Libia cominciano a stringersi in base a quanto previsto dal Trattato di Amicizia diventato legge a fine 2008. Venerdi scorso Silvio Berlusconi ha ricevuto il primo ministro El Mahmoudi e durante il week end una delegazione di 25 associazioni imprenditoriali italiane è stata al seguito del viceministro Urso per una missione in Libia volta a definire le opere infrastrutturali oggetto dell' accordo. Chi deciderà quali opere costruire? Una commissione mista italo-libica. Chi gestirà i soldi? Gli italiani. Chi verserà i soldi, cioè i 5 miliardi di dollari in 20 anni previsti dal Trattato? L' Eni sul cui bilancio la legge ha previsto un prelievo chiamato "addizionale Ires", da quasi 250 milioni l' anno. La società petrolifera, per il 30% ancora posseduta dal Tesoro, è d' accordo? Non sembra, poiché il suo cda ha chiesto delucidazioni all' Agenzia delle entrate e s' è detta pronta a impugnare l' imposta. In pratica la legge voluta da Berlusconi prevede un trasferimento di risorse da 5 miliardi di dollari dall' Eni ad altre aziende italiane, via Libia, con una commissione mista che deciderà quali opere effettuare in Africa. «Con 5 miliardi di euro si costruisce ben altro che un' autostrada sulla costa libica», nota un addetto ai lavori. È un fiume di denaro che si sa da dove parte (l' Eni) ma non dove finisce.E il Tesoro con una mano sigla il Trattato, con l' altra è pronto a impugnarlo nel cda Eni, dov' è la prima forza. I soci istituzionali sono sul piede di guerra e chiedono chiarimenti a Scaroni che per ora allarga le braccia e aspetta la risposta dall' ufficio delle Entrate (controllato dal Tesoro). La missione in Libia, a ben vedere, richiederebbe un grado di trasparenza maggiore, per rispetto dei contribuenti italiani e degli azionisti Eni. Giovanni Pons