frankytop
17-10-2009, 19:27
Diplomatici arrestati con valigette zeppe di banconote destinate ai talebani, fiumi di soldi pagati ai comandanti degli insorti e paghe ai capi tribù vicini ai ribelli sono i sistemi usati dagli inglesi per ridurre i danni nell’ostica provincia afghana di Helmand. Dove nei mesi scorsi moriva un soldato britannico al giorno. Per non parlare dei tre milioni di dollari spesi nel 2007 a favore di un fallimentare programma di disarmo. Con i soldi inglesi venivano comprate le armi dei talebani sperando che la facessero finita con la guerra santa.
Il Times di Londra conosce bene queste storie, ma preferisce cercare la pagliuzza nell’occhio degli alleati, piuttosto che la trave in quello dei servizi segreti britannici. Alla fine del 2007 Mervyn Patterson, un diplomatico britannico ufficialmente dipendente delle Nazioni Unite e Michael Semple, irlandese della missione dell’Unione europea a Kabul, ma amico dei servizi di Londra, trattavano segretamente con i talebani. Il loro obiettivo, all’insaputa delle autorità afghane, era convincere Mansoor Dadullah, uno dei comandanti più in vista di Helmand almeno ad un cessate il fuoco. Stiamo parlando del fratello di mullah Dadullah, che rapì l’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo e poi venne scarcerato in cambio della liberazione del giornalista italiano. Il 27 dicembre 2007 i servizi afghani hanno beccato i due «diplomatici» nella provincia di Helmand, con le mani nella marmellata. Ovvero con 150mila dollari in contanti dentro una valigetta e un computer portatile dove sono stati trovati i dati sui pagamenti già versati a Dadullah. Poco dopo la simpatica coppia è stata espulsa su ordine del presidente afghano Hamid Karzai. Gli afghani lo chiamano “Helmand gate”.
Non solo: la stampa inglese ha tirato fuori la storia di numerosi incontri delle spie dell’MI6 britannico con i comandanti talebani. A Musa Qala, una delle spine nel fianco dei soldati di Sua Maestà, gli inglesi si sono comprati l’ex comandante talebano mullah Abdul Salaam Alizai insediandolo come capo del distretto. Nel 2008 gli inglesi hanno finanziato un programma che garantiva una specie di paga ai capi tribù filo talebani. In cambio di 800 sterline (oltre 1000 euro), una cifra considerevole in Afghanistan, dovevano partecipare a due riunioni al mese per cercare di convincere gli insorti a far la pace. L’ex generale dei corpi speciali inglesi, Sir Graeme Lamb, è stato preso come consigliere dal comandante della Nato in Afghanistan, Stanley McChrystal. L’alto ufficiale britannico, in una recente intervista alla Bbc, si è detto convinto che bisognerebbe comprare i talebani per abbandonare le armi. Anche sugli altri contingenti grava il sospetto di pagare gli insorti. I tedeschi si terrebbero buoni almeno un comandante vicino all’Hezb i Islami di Gulbuddin Hekmatyar a Kunduz, nel nord del Paese. I canadesi ci avrebbero provato attorno a Kandahar.
Il Times di ieri ha continuato ad accusare gli italiani con un secondo articolo in cui citano il fantomatico Mohammed Ishmayel. Un comandante talebano, che conferma la storia delle mazzette. I militari italiani che sono stati impegnati nella sua area non l’hanno mai sentito nominare. Invece non è una bufala la storia di un colonna di inglesi, con gente in borghese dell’intelligence, che una notte si è presentata in una delle valli di Surobi a sud est di Kabul. In cambio di soldi erano pronti a comprarsi un arsenale nascosto, ha raccontato il malek Shah Mohammad, capo villaggio locale. Peccato che gli italiani avevano già trovato le armi grazie agli aiuti ed i buoni rapporti con la popolazione, senza nessuna valigetta con i contanti.
Il Giornale (http://www.ilgiornale.it/esteri/afghanistan_talebani__a_libro_paga_inglesi/17-10-2009/articolo-id=391513-page=0-comments=1)
Dagli 007 inglesi e americani un avvertimento al Cav e all’Italia.
Sul Giornale di oggi analizzo il retroscena dell’ultimo scoop del Times di Murdoch, quello secondo cui l’Italia avrebbe pagato i talebani per scongiurare attentati contro i nostri soldati. La Russa, come noto, ha smentito nettamente, annunciando querela. Ma al di là delle schermaglie, l’episodio rappresenta un salto di qualità nella campagna che i giornali britannici ( e in particolare proprio il Times) conducono da maggio contro Berlusconi per le sue vicende private.
Le accuse sui pagamenti ai talebani portano le stigmate dei servizi segreti, britannici o forse americani, che non fanno mai uscire a caso certe dritte. Perseguono uno scopo preciso e siccome è inverosimile che si propongano di indebolire l’alleato italiano sul terreno in Afghanistan, danneggiando tutta la Nato, le ragioni vanno cercate altrove.
Dove? Qualcuno pensa che si tratti di una vendetta di Rupert Murdoch, furioso con Berlusconi per l’aumento dell’Iva dal 10 al 20% sugli abbonamenti Sky e la creazione di un nuovo pacchetto satellitare con Rai e Mediaset. L’ipotesi è plausibile, ma forse riduttiva. Sembra esserci altro.
Passata la paura del grande crash finanziario, stiamo entrando in una fase di rinnovamento degli assetti internazionali. A Washington comanda Obama; tra poco entrerà in vigore il Trattato di Lisbona, che darà una nuova fisionomia all’Unione europea, il G8 è morto ed è stato sostituito dal G20, mentre bisogna ancora definire le regole della finanza internazionale e di un mondo sempre più multipolare.
In questo contesto l’Italia appare un’anomalia. Un certo mondo anglosassone, che sembrava essere stato affossato dalla crisi di un anno fa e che invece è risorto più forte di prima, non ama Berlusconi; è come se avesse deciso di escluderlo da certi giri e il fatto che il cavaliere abbia deciso di chiedere una consulenza ai servizi segreti di una potenza amica ma non alleati (molto probabilente russi) per sapere se esista o meno un complotto ai suoi danni rafforza questa impressione e certifica un clima di sospetto tra alleati.
Quel mondo non tollera più che l’Italia giochi su più tavoli, amica degli Usa ma anche della Russia, di Israele ma anche del mondo arabo. Non apprezza la sua ostinazione nel far sentire la propria voce nelle sedi internazionali. E non ama nemmeno Tremonti.
Il nostro ministro del Tesoro pretende la presidenza dell’Eurogruppo. Male, perché la sua nomina impedirebbe la candidatura del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi (ex partner di Goldman Sachs) alla testa della Banca Centrale europea, graditissima a New York e alla City londinese e lanciata da un giornale americano, il Wall Street Journal, che, guarda un po’, è controllato proprio da Rupert Murdoch. Coincidenze, che si intrecciano con la corsa di Blair alla presidenza dell’Unione europea, e altre vicende, manovrate chissà da chi e chissà dove, ma con un obiettivo ormai evidente: ridimensionare l’Italia o perlomeno questa Italia.
Sbaglio?
Blog di Marcello Foa (http://blog.ilgiornale.it/foa/2009/10/16/dagli-007-inglesi-e-americani-un-avvertimento-al-cav-e-allitalia/)
Il Times di Londra conosce bene queste storie, ma preferisce cercare la pagliuzza nell’occhio degli alleati, piuttosto che la trave in quello dei servizi segreti britannici. Alla fine del 2007 Mervyn Patterson, un diplomatico britannico ufficialmente dipendente delle Nazioni Unite e Michael Semple, irlandese della missione dell’Unione europea a Kabul, ma amico dei servizi di Londra, trattavano segretamente con i talebani. Il loro obiettivo, all’insaputa delle autorità afghane, era convincere Mansoor Dadullah, uno dei comandanti più in vista di Helmand almeno ad un cessate il fuoco. Stiamo parlando del fratello di mullah Dadullah, che rapì l’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo e poi venne scarcerato in cambio della liberazione del giornalista italiano. Il 27 dicembre 2007 i servizi afghani hanno beccato i due «diplomatici» nella provincia di Helmand, con le mani nella marmellata. Ovvero con 150mila dollari in contanti dentro una valigetta e un computer portatile dove sono stati trovati i dati sui pagamenti già versati a Dadullah. Poco dopo la simpatica coppia è stata espulsa su ordine del presidente afghano Hamid Karzai. Gli afghani lo chiamano “Helmand gate”.
Non solo: la stampa inglese ha tirato fuori la storia di numerosi incontri delle spie dell’MI6 britannico con i comandanti talebani. A Musa Qala, una delle spine nel fianco dei soldati di Sua Maestà, gli inglesi si sono comprati l’ex comandante talebano mullah Abdul Salaam Alizai insediandolo come capo del distretto. Nel 2008 gli inglesi hanno finanziato un programma che garantiva una specie di paga ai capi tribù filo talebani. In cambio di 800 sterline (oltre 1000 euro), una cifra considerevole in Afghanistan, dovevano partecipare a due riunioni al mese per cercare di convincere gli insorti a far la pace. L’ex generale dei corpi speciali inglesi, Sir Graeme Lamb, è stato preso come consigliere dal comandante della Nato in Afghanistan, Stanley McChrystal. L’alto ufficiale britannico, in una recente intervista alla Bbc, si è detto convinto che bisognerebbe comprare i talebani per abbandonare le armi. Anche sugli altri contingenti grava il sospetto di pagare gli insorti. I tedeschi si terrebbero buoni almeno un comandante vicino all’Hezb i Islami di Gulbuddin Hekmatyar a Kunduz, nel nord del Paese. I canadesi ci avrebbero provato attorno a Kandahar.
Il Times di ieri ha continuato ad accusare gli italiani con un secondo articolo in cui citano il fantomatico Mohammed Ishmayel. Un comandante talebano, che conferma la storia delle mazzette. I militari italiani che sono stati impegnati nella sua area non l’hanno mai sentito nominare. Invece non è una bufala la storia di un colonna di inglesi, con gente in borghese dell’intelligence, che una notte si è presentata in una delle valli di Surobi a sud est di Kabul. In cambio di soldi erano pronti a comprarsi un arsenale nascosto, ha raccontato il malek Shah Mohammad, capo villaggio locale. Peccato che gli italiani avevano già trovato le armi grazie agli aiuti ed i buoni rapporti con la popolazione, senza nessuna valigetta con i contanti.
Il Giornale (http://www.ilgiornale.it/esteri/afghanistan_talebani__a_libro_paga_inglesi/17-10-2009/articolo-id=391513-page=0-comments=1)
Dagli 007 inglesi e americani un avvertimento al Cav e all’Italia.
Sul Giornale di oggi analizzo il retroscena dell’ultimo scoop del Times di Murdoch, quello secondo cui l’Italia avrebbe pagato i talebani per scongiurare attentati contro i nostri soldati. La Russa, come noto, ha smentito nettamente, annunciando querela. Ma al di là delle schermaglie, l’episodio rappresenta un salto di qualità nella campagna che i giornali britannici ( e in particolare proprio il Times) conducono da maggio contro Berlusconi per le sue vicende private.
Le accuse sui pagamenti ai talebani portano le stigmate dei servizi segreti, britannici o forse americani, che non fanno mai uscire a caso certe dritte. Perseguono uno scopo preciso e siccome è inverosimile che si propongano di indebolire l’alleato italiano sul terreno in Afghanistan, danneggiando tutta la Nato, le ragioni vanno cercate altrove.
Dove? Qualcuno pensa che si tratti di una vendetta di Rupert Murdoch, furioso con Berlusconi per l’aumento dell’Iva dal 10 al 20% sugli abbonamenti Sky e la creazione di un nuovo pacchetto satellitare con Rai e Mediaset. L’ipotesi è plausibile, ma forse riduttiva. Sembra esserci altro.
Passata la paura del grande crash finanziario, stiamo entrando in una fase di rinnovamento degli assetti internazionali. A Washington comanda Obama; tra poco entrerà in vigore il Trattato di Lisbona, che darà una nuova fisionomia all’Unione europea, il G8 è morto ed è stato sostituito dal G20, mentre bisogna ancora definire le regole della finanza internazionale e di un mondo sempre più multipolare.
In questo contesto l’Italia appare un’anomalia. Un certo mondo anglosassone, che sembrava essere stato affossato dalla crisi di un anno fa e che invece è risorto più forte di prima, non ama Berlusconi; è come se avesse deciso di escluderlo da certi giri e il fatto che il cavaliere abbia deciso di chiedere una consulenza ai servizi segreti di una potenza amica ma non alleati (molto probabilente russi) per sapere se esista o meno un complotto ai suoi danni rafforza questa impressione e certifica un clima di sospetto tra alleati.
Quel mondo non tollera più che l’Italia giochi su più tavoli, amica degli Usa ma anche della Russia, di Israele ma anche del mondo arabo. Non apprezza la sua ostinazione nel far sentire la propria voce nelle sedi internazionali. E non ama nemmeno Tremonti.
Il nostro ministro del Tesoro pretende la presidenza dell’Eurogruppo. Male, perché la sua nomina impedirebbe la candidatura del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi (ex partner di Goldman Sachs) alla testa della Banca Centrale europea, graditissima a New York e alla City londinese e lanciata da un giornale americano, il Wall Street Journal, che, guarda un po’, è controllato proprio da Rupert Murdoch. Coincidenze, che si intrecciano con la corsa di Blair alla presidenza dell’Unione europea, e altre vicende, manovrate chissà da chi e chissà dove, ma con un obiettivo ormai evidente: ridimensionare l’Italia o perlomeno questa Italia.
Sbaglio?
Blog di Marcello Foa (http://blog.ilgiornale.it/foa/2009/10/16/dagli-007-inglesi-e-americani-un-avvertimento-al-cav-e-allitalia/)