=Liam Gallagher=
08-10-2009, 12:14
Il pentito Giuffrè: Provenzano sbirro,
fece arrestare Riina
La deposizione al processo sull’ex generale Mori: «Binnu ci disse di appoggiare Forza Italia»
ROMA — Bernardo Proven*zano «è uno sbirro», pensava*no i mafiosi che obbedivano ai suoi ordini nei primi anni Novanta. Un capo di Cosa no*stra che «vendeva» gli altri uomini d’onore per rimanere al vertice dell’organizzazione e traghettarla su nuove posi*zioni: non più l’attacco allo Stato con bombe e stragi, ma una «sommersione» che per*mettesse di riprendere a fare affari senza più guerre.
Così racconta il pentito Ni*no Giuffrè — un mafioso che per quasi un decennio (dal*l’inizio del ’93 fino all’arresto avvenuto nel 2002) ha vissu*to ai fianco del padrino di Cor*leone, ascoltando i suoi di*scorsi e quelli di altri boss che gli gravitavano intorno — nel processo palermitano a carico dell’ex generale Mario Mori, imputato di favoreggiamento per un presunto, mancato ar*resto dello stesso Provenzano nel 1995. Nel disegno dei pub*blici ministeri c’è un collega*mento diretto tra l’accusa in questo dibattimento, la cattu*ra di Riina nel gennaio ’93 con mancata perquisizione della casa in cui abitava (epi*sodio per il quale Mori è stato già assolto) e la «trattativa» tra Stato e mafia passata an*che per i colloqui tra Mori e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Tutti anelli di una stessa catena ricostruita ora dal pentito Giuffrè. «Tutti pensavamo che l’ar*resto di Riina fosse stato pilo*tato da Provenzano — ricor*da l’ex mafioso —. Era parte di una strategia portata avan*ti nell’interesse di Cosa no*stra. Lo stesso Provenzano di*ceva che Riina era diventato ingombrante, e noi ritenem*mo che la sua cattura fosse un 'sacrificio alle divinità', frutto di un accordo tra lui e altre parti che hanno avuto un ruolo in quella vicenda. Del resto per noi fu un arre*sto indolore; c’era il rischio che andando a guardare nella casa di Riina si trovassero let*tere o altri documenti com*promettenti, invece non suc*cesse niente». Ovvio che per i carabinieri le cose sono andate in tutt’al*tro modo, ma la «verità» del pentito Giuffrè è questa.
Cor*redata dagli altri rapporti pa*ra istituzionali del boss corleo*nese lanciato alla riconquista di Cosa nostra dopo l’uscita di scena del suo paesano «stragista»: «Uno dei contatti di Provenzano era Ciancimi*no, che è sempre stato nelle sue mani. Me ne parlava sem*pre, lo usava per i rapporti po*litici e per gli appalti, e si dice*va che avesse contatti coi ser*vizi segreti. Una volta, quan*do gli chiesi se erano vere le voci di sbirritudine sul conto di Ciancimino, Provenzano mi rispose: 'Ma no, lui è anda*to in missione nel nostro inte*resse' ». Sottinteso, presso uo*mini delle istituzioni. Tra la fine del ’92 e l’inizio del ’93 furono arrestati sia Ciancimino che Riina, Proven*zano riprese lentamente il controllo di Cosa nostra e di*segnò nuove relazioni politi*che. La Dc e il Psi (partito sul quale Riina aveva dirottato il voto mafioso nel 1987) scom*parvero e si cominciò a parla*re di un nuovo movimento politico. «Si trattava di Forza Italia — racconta Giuffrè — e Provenzano ci disse di appog*giarlo. La direttiva di votare questo nuovo partito, secon*do quello che mi disse, era col*legata alla trattativa per risol*vere i problemi che avevamo in quel momento, dai conti*nui arresti agli ergastoli, dal carcere duro al sequestro dei beni. Sosteneva che nel giro di qualche anno avremmo ri*solto tutto, e che con Forza Ita*lia eravamo in buone mani». Fece dei nomi in particolare? «Quelle persone che già era*no in contatto con Cosa no*stra, come Marcello Del**l’Utri ». C’erano rapporti diret*ti tra Ciancimino e Dell’Utri: «Mi pare di sì, se non ricordo male».
Giovanni Bianconi
fece arrestare Riina
La deposizione al processo sull’ex generale Mori: «Binnu ci disse di appoggiare Forza Italia»
ROMA — Bernardo Proven*zano «è uno sbirro», pensava*no i mafiosi che obbedivano ai suoi ordini nei primi anni Novanta. Un capo di Cosa no*stra che «vendeva» gli altri uomini d’onore per rimanere al vertice dell’organizzazione e traghettarla su nuove posi*zioni: non più l’attacco allo Stato con bombe e stragi, ma una «sommersione» che per*mettesse di riprendere a fare affari senza più guerre.
Così racconta il pentito Ni*no Giuffrè — un mafioso che per quasi un decennio (dal*l’inizio del ’93 fino all’arresto avvenuto nel 2002) ha vissu*to ai fianco del padrino di Cor*leone, ascoltando i suoi di*scorsi e quelli di altri boss che gli gravitavano intorno — nel processo palermitano a carico dell’ex generale Mario Mori, imputato di favoreggiamento per un presunto, mancato ar*resto dello stesso Provenzano nel 1995. Nel disegno dei pub*blici ministeri c’è un collega*mento diretto tra l’accusa in questo dibattimento, la cattu*ra di Riina nel gennaio ’93 con mancata perquisizione della casa in cui abitava (epi*sodio per il quale Mori è stato già assolto) e la «trattativa» tra Stato e mafia passata an*che per i colloqui tra Mori e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Tutti anelli di una stessa catena ricostruita ora dal pentito Giuffrè. «Tutti pensavamo che l’ar*resto di Riina fosse stato pilo*tato da Provenzano — ricor*da l’ex mafioso —. Era parte di una strategia portata avan*ti nell’interesse di Cosa no*stra. Lo stesso Provenzano di*ceva che Riina era diventato ingombrante, e noi ritenem*mo che la sua cattura fosse un 'sacrificio alle divinità', frutto di un accordo tra lui e altre parti che hanno avuto un ruolo in quella vicenda. Del resto per noi fu un arre*sto indolore; c’era il rischio che andando a guardare nella casa di Riina si trovassero let*tere o altri documenti com*promettenti, invece non suc*cesse niente». Ovvio che per i carabinieri le cose sono andate in tutt’al*tro modo, ma la «verità» del pentito Giuffrè è questa.
Cor*redata dagli altri rapporti pa*ra istituzionali del boss corleo*nese lanciato alla riconquista di Cosa nostra dopo l’uscita di scena del suo paesano «stragista»: «Uno dei contatti di Provenzano era Ciancimi*no, che è sempre stato nelle sue mani. Me ne parlava sem*pre, lo usava per i rapporti po*litici e per gli appalti, e si dice*va che avesse contatti coi ser*vizi segreti. Una volta, quan*do gli chiesi se erano vere le voci di sbirritudine sul conto di Ciancimino, Provenzano mi rispose: 'Ma no, lui è anda*to in missione nel nostro inte*resse' ». Sottinteso, presso uo*mini delle istituzioni. Tra la fine del ’92 e l’inizio del ’93 furono arrestati sia Ciancimino che Riina, Proven*zano riprese lentamente il controllo di Cosa nostra e di*segnò nuove relazioni politi*che. La Dc e il Psi (partito sul quale Riina aveva dirottato il voto mafioso nel 1987) scom*parvero e si cominciò a parla*re di un nuovo movimento politico. «Si trattava di Forza Italia — racconta Giuffrè — e Provenzano ci disse di appog*giarlo. La direttiva di votare questo nuovo partito, secon*do quello che mi disse, era col*legata alla trattativa per risol*vere i problemi che avevamo in quel momento, dai conti*nui arresti agli ergastoli, dal carcere duro al sequestro dei beni. Sosteneva che nel giro di qualche anno avremmo ri*solto tutto, e che con Forza Ita*lia eravamo in buone mani». Fece dei nomi in particolare? «Quelle persone che già era*no in contatto con Cosa no*stra, come Marcello Del**l’Utri ». C’erano rapporti diret*ti tra Ciancimino e Dell’Utri: «Mi pare di sì, se non ricordo male».
Giovanni Bianconi