FabioGreggio
06-09-2009, 19:48
http://www.islamicnews.org.sa/en/data/upimages/MASSACRE_GAZA_NEW.jpg
A Gaza City incontriamo l’ormai famoso attivista dell’International solidarity movement (Ism), scampato a 22 giorni di guerra e unico testimone italiano della mattanza: Vittorio Arrigoni, il gazawi d’Italia.
Ci racconta delle giornate e delle nottate di bombordamenti israeliani, del suo lavoro di «scudo umano volontario» sulle ambulanze cariche di feriti, nel tentativo di impedire che i soldati israeliani le colpissero, come da documentata abitudine. Ci narra delle telefonate che l’esercito faceva alle famiglie, annunciando bombardamenti imminenti, e dei bambini morti d’infarto, per la paura, il primo giorno di guerra. Durante le settimane di attacchi continui, Vittorio è stato l’unico corrispondente occidentale: la sua eccezionale testmonianza è stata raccolta in “Gaza, restiamo umani”, edita dal Manifesto.
Domenica primo febbraio, alle 9, abbiamo appuntamento con il dott. Ashur, direttoredell’ospedale Shifa, il più grande della Striscia di Gaza. Nel cortile è allestita una tenda con foto delle vittime. Sui tavoli, al centro, sono disposti frammenti delle armi usate da Israele. L’odore è pesante: ci sono pezzi di bombe al fosforo e a frammentazione, e proiettili all’uranio impoverito.
I cittadini entrano, osservano ammutoliti, piangono. Mentre scattiamo foto e prendiamo appunti, ascoltiamo le testimonianze di chi ha perso tutto: figli, marito o moglie, genitori, parenti, casa.
Hanan, una signora sulla cinquantina, ci viene incontro e ci mostra la foto della sua abitazione demolita, sbriciolata dagli F16. Uno dei suoi figli è rimasto senza gambe.
Abita a Sudania, un quartiere di Gaza City. Zakya, un’anziana, ci indica la foto dei suoi cinque figli uccisi. È disperata, perché è vedova e senza più casa.
Entriamo nell’ospedale sovraffollato. Ci accoglie il dott. Ashur. «Dopo il cessate il fuoco - racconta -, annunciato il 19 gennaio, Israele ha ucciso almeno altri 13 civili. Nei giorni di bombardamento indiscriminato abbiamo ricoverato 1.926 feriti e ricevuto 658 cadaveri. Il primo giorno di guerra, il 27 dicembre, sono arrivate, in mezz’ora, ben 200 persone. Il totale delle vittime, su tutta la Striscia, è di 1.366, di cui 430 bambini e 111 donne, ovvero il40% dei morti. I feriti sono 5.360, di cui 1.870 bambini e 800 donne.
Anche qui, donne e bambini costituiscono il 50% del bilancio complessivo. Il resto sono civili maschi adulti, e una minima parte di combattenti.
Nonostante i tanti aiuti ricevuti da tutto il mondo, ci mancano molteattrezzature per la cura del cancro e diagnostiche, di cui Israele impedisce l’entrata nella Striscia».
Armi di distruzione di massa.
«Nel primo attacco contro i civili continua il dott. Ashur - sono state usate armi Dime. Tutti i feriti portati in ospedale presentavano arti amputati. Inoltre, molti avevano gravi ferite, una colorazione della pelle sospetta. Un altro elemento che dimostra l’uso di armi
non convenzionali è il fatto che gli alberi, intorno alle aree colpite, non sono stati distrutti. Le bombe non hanno avuto effetti sul pavimento, sul selciato, ma solo sui corpi, sulla massa corporea».
Usciamo dall’ospedale ash-Shifa, e, attraversata la strada piena di auto, ci troviamo di fronte alle macerie dell’omonima moschea, completamente distrutta.
I bombardamenti riprendono.
Nel pomeriggio, ci fermeremo qualche ora a scrivere nel bel giardino dell’Hotel Marna, nel centro di Gaza City. A lavorare, seduti ad altri tavoli, ci sono alcuni giornalisti stranieri. In giro per la città ci sono un reporter di Rai3 e una giornalista di un’agenzia stampa italiana. Per il resto, oltre a noi, sembra non ci siano altri cronisti italiani.
Sono le 16, quando Israele riprende a bombardare la Striscia. Il giardino dell’hotel è scosso da un sussulto. Pochi istanti dopo, sentiamo nel cielo il macabro sorvolo degli F16. Sarà l’inizio di una nuova serie di attacchi contro diverse aree della Striscia, sebbene, per il momento, non segni l’avvio di una nuova guerra.
Si chiudono le porte dell’inferno di Gaza.
Il nostro «permesso» di visita alla prigione di Gaza è scaduto. Lunedì 2 febbraio faremo ritorno in Egitto. Alle spalle ci lasciamo 1,5 milioni di persone intrappolate nella più grande prigione del mondo. All’interno, rimangono i nostri amici, i nostri colleghi, i nostri fratelli e sorelle, abbandonati dai governi del mondo civile e democratico.
NOTE
1 - «War crime », crimine di guerra, così un soldato di Tsahal definisce ciò che ha compiuto Israele in Gaza (cf: YouTube - Israeli Soldier Speaks on BBC ; www.youtube.com/watch?v=em2JB6eysQo;
Gaza war crimes accusations start to haunt Israel in: www.americantaskforce.org/in_media/mm/hussein_ibish/2009/03/26/1238040000;
Israel troops admit Gaza abuses in: news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/7952603.stm.
2 - Informazione errata: Hamas ha rispettato i sei mesi di tregua pattuita con Israele. Quest’ultimo, invece, l’ha violata quotidianamente, colpendo cittadini, pescatori e contadini della Striscia, e non solo i combattenti della resistenza. Ciò che ha fatto riprendere il lancio di razzi palestinesi è stato un attacco israeliano, il 4 novembre 2008, che ha provocato 6 morti tra i combattenti di Hamas. Così scrive su Le Monde Diplomatique del 21 marzo 2009, Richard Falk, osservatore Onu per i diritti umani nei territori palestinesi: «Questo modo di descrivere il ricorso israeliano alla forza ignora il problema fondamentale: gli attacchi, in termini legali, sono stati “difensivi”?». E continua: «Un’inchiesta sulle circostanze mostra un’assenza di ogni tipo di necessità difensiva: un cessate il fuoco temporaneo tra Israele e Hamas effettivo dal 19 luglio 2008 aveva ridotto virtualmente a zero le violenze ai confini; Hamas ha offerto di estendere il cessate il fuoco anche per un periodo di dieci anni; la rottura della tregua non è principalmente il risultato del lancio dei razzi da parte di Hamas, ma è conseguenza, soprattutto, dell’attacco aereo israeliano del 4 novembre, che ha ucciso sei combattenti di Hamas a Gaza».
Il dossier, pubblicato dalla rivista Missioni Consolata, luglio 2009, contiene anche i seguenti articoli: scheda sui problemi psichici infantili, a cura di Angela Lano; "Armi vecchie e nuove", di Roberto Topino; "Democraticamente castigati", intervista al ministro Ahmed Elkurd; "Il coraggio di dire 'no'", Refusenik: obiettori di coscienza israeliani, di Daniele Biella; bibliografia minima testi sulla Palestina; foto e didascalie.
http://www.infopal.it/leggi.php?id=11972
A Gaza City incontriamo l’ormai famoso attivista dell’International solidarity movement (Ism), scampato a 22 giorni di guerra e unico testimone italiano della mattanza: Vittorio Arrigoni, il gazawi d’Italia.
Ci racconta delle giornate e delle nottate di bombordamenti israeliani, del suo lavoro di «scudo umano volontario» sulle ambulanze cariche di feriti, nel tentativo di impedire che i soldati israeliani le colpissero, come da documentata abitudine. Ci narra delle telefonate che l’esercito faceva alle famiglie, annunciando bombardamenti imminenti, e dei bambini morti d’infarto, per la paura, il primo giorno di guerra. Durante le settimane di attacchi continui, Vittorio è stato l’unico corrispondente occidentale: la sua eccezionale testmonianza è stata raccolta in “Gaza, restiamo umani”, edita dal Manifesto.
Domenica primo febbraio, alle 9, abbiamo appuntamento con il dott. Ashur, direttoredell’ospedale Shifa, il più grande della Striscia di Gaza. Nel cortile è allestita una tenda con foto delle vittime. Sui tavoli, al centro, sono disposti frammenti delle armi usate da Israele. L’odore è pesante: ci sono pezzi di bombe al fosforo e a frammentazione, e proiettili all’uranio impoverito.
I cittadini entrano, osservano ammutoliti, piangono. Mentre scattiamo foto e prendiamo appunti, ascoltiamo le testimonianze di chi ha perso tutto: figli, marito o moglie, genitori, parenti, casa.
Hanan, una signora sulla cinquantina, ci viene incontro e ci mostra la foto della sua abitazione demolita, sbriciolata dagli F16. Uno dei suoi figli è rimasto senza gambe.
Abita a Sudania, un quartiere di Gaza City. Zakya, un’anziana, ci indica la foto dei suoi cinque figli uccisi. È disperata, perché è vedova e senza più casa.
Entriamo nell’ospedale sovraffollato. Ci accoglie il dott. Ashur. «Dopo il cessate il fuoco - racconta -, annunciato il 19 gennaio, Israele ha ucciso almeno altri 13 civili. Nei giorni di bombardamento indiscriminato abbiamo ricoverato 1.926 feriti e ricevuto 658 cadaveri. Il primo giorno di guerra, il 27 dicembre, sono arrivate, in mezz’ora, ben 200 persone. Il totale delle vittime, su tutta la Striscia, è di 1.366, di cui 430 bambini e 111 donne, ovvero il40% dei morti. I feriti sono 5.360, di cui 1.870 bambini e 800 donne.
Anche qui, donne e bambini costituiscono il 50% del bilancio complessivo. Il resto sono civili maschi adulti, e una minima parte di combattenti.
Nonostante i tanti aiuti ricevuti da tutto il mondo, ci mancano molteattrezzature per la cura del cancro e diagnostiche, di cui Israele impedisce l’entrata nella Striscia».
Armi di distruzione di massa.
«Nel primo attacco contro i civili continua il dott. Ashur - sono state usate armi Dime. Tutti i feriti portati in ospedale presentavano arti amputati. Inoltre, molti avevano gravi ferite, una colorazione della pelle sospetta. Un altro elemento che dimostra l’uso di armi
non convenzionali è il fatto che gli alberi, intorno alle aree colpite, non sono stati distrutti. Le bombe non hanno avuto effetti sul pavimento, sul selciato, ma solo sui corpi, sulla massa corporea».
Usciamo dall’ospedale ash-Shifa, e, attraversata la strada piena di auto, ci troviamo di fronte alle macerie dell’omonima moschea, completamente distrutta.
I bombardamenti riprendono.
Nel pomeriggio, ci fermeremo qualche ora a scrivere nel bel giardino dell’Hotel Marna, nel centro di Gaza City. A lavorare, seduti ad altri tavoli, ci sono alcuni giornalisti stranieri. In giro per la città ci sono un reporter di Rai3 e una giornalista di un’agenzia stampa italiana. Per il resto, oltre a noi, sembra non ci siano altri cronisti italiani.
Sono le 16, quando Israele riprende a bombardare la Striscia. Il giardino dell’hotel è scosso da un sussulto. Pochi istanti dopo, sentiamo nel cielo il macabro sorvolo degli F16. Sarà l’inizio di una nuova serie di attacchi contro diverse aree della Striscia, sebbene, per il momento, non segni l’avvio di una nuova guerra.
Si chiudono le porte dell’inferno di Gaza.
Il nostro «permesso» di visita alla prigione di Gaza è scaduto. Lunedì 2 febbraio faremo ritorno in Egitto. Alle spalle ci lasciamo 1,5 milioni di persone intrappolate nella più grande prigione del mondo. All’interno, rimangono i nostri amici, i nostri colleghi, i nostri fratelli e sorelle, abbandonati dai governi del mondo civile e democratico.
NOTE
1 - «War crime », crimine di guerra, così un soldato di Tsahal definisce ciò che ha compiuto Israele in Gaza (cf: YouTube - Israeli Soldier Speaks on BBC ; www.youtube.com/watch?v=em2JB6eysQo;
Gaza war crimes accusations start to haunt Israel in: www.americantaskforce.org/in_media/mm/hussein_ibish/2009/03/26/1238040000;
Israel troops admit Gaza abuses in: news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/7952603.stm.
2 - Informazione errata: Hamas ha rispettato i sei mesi di tregua pattuita con Israele. Quest’ultimo, invece, l’ha violata quotidianamente, colpendo cittadini, pescatori e contadini della Striscia, e non solo i combattenti della resistenza. Ciò che ha fatto riprendere il lancio di razzi palestinesi è stato un attacco israeliano, il 4 novembre 2008, che ha provocato 6 morti tra i combattenti di Hamas. Così scrive su Le Monde Diplomatique del 21 marzo 2009, Richard Falk, osservatore Onu per i diritti umani nei territori palestinesi: «Questo modo di descrivere il ricorso israeliano alla forza ignora il problema fondamentale: gli attacchi, in termini legali, sono stati “difensivi”?». E continua: «Un’inchiesta sulle circostanze mostra un’assenza di ogni tipo di necessità difensiva: un cessate il fuoco temporaneo tra Israele e Hamas effettivo dal 19 luglio 2008 aveva ridotto virtualmente a zero le violenze ai confini; Hamas ha offerto di estendere il cessate il fuoco anche per un periodo di dieci anni; la rottura della tregua non è principalmente il risultato del lancio dei razzi da parte di Hamas, ma è conseguenza, soprattutto, dell’attacco aereo israeliano del 4 novembre, che ha ucciso sei combattenti di Hamas a Gaza».
Il dossier, pubblicato dalla rivista Missioni Consolata, luglio 2009, contiene anche i seguenti articoli: scheda sui problemi psichici infantili, a cura di Angela Lano; "Armi vecchie e nuove", di Roberto Topino; "Democraticamente castigati", intervista al ministro Ahmed Elkurd; "Il coraggio di dire 'no'", Refusenik: obiettori di coscienza israeliani, di Daniele Biella; bibliografia minima testi sulla Palestina; foto e didascalie.
http://www.infopal.it/leggi.php?id=11972