jack.o.matic
06-08-2009, 14:57
Lo studio: la natalità aumenta nei Paesi che raggiungono livelli elevati di sviluppo. Inversione di tendenza anche in Italia
«Il miglior contraccettivo? Il benessere». Lo slogan co*niato negli anni Settanta è ormai superato. Quando un Paese raggiunge livelli di sviluppo molto elevati, la natalità riprende a cresce*re. E non soltanto grazie alla mag*gior propensione a far figli degli im*migrati. Questa l’evidenza di uno studio che sarà pubblicato sul prossimo numero di Nature , ma già sul sito della prestigiosa rivista (www.na*ture. com). Gli autori — Francesco Billari dell’università Bocconi, Hans Peter Kohler e Mikko Myr*skylä (entrambi della University of Pennsylvania) — dimostrano co*me alcuni Paesi sviluppati abbiano già da alcuni anni invertito la ten*denza alla riduzione della popola*zione. Tanto da avvicinare l’obietti*vo dei due figli per donna e la con*seguente sostenibilità demografi*ca. Un gol, questo, che finora è a portata di sale parto solo in tre Pae*si sviluppati dell’occidente: Stati Uniti, Francia, e Islanda.
Ricchezza e salute. Per 179 nazioni i tre demografi hanno messo in relazione il tasso di fertilità con un «l’indice di svi*luppo umano». Quest’ultimo è un’indicatore creato negli anni ’80 (utilizzato anche dal Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo) che considera sì la ricchezza di un Paese (in particolare il reddito me*dio procapite) ma anche la speran*za media di vita e la diffusione del*l’istruzione. «Questi ultimi due parametri so*no importanti perché, come ha spiegato bene il nobel Amartya Sen, la ricchezza da sola non basta a misurare il tasso di sviluppo di un Paese», precisa Francesco Billa*ri. In particolare, la speranza di vita media rende conto anche dell’effi*cienza del sistema sanitario e della presenza di disuguaglianze sociali («Più queste ultime sono alte, più sale il tasso di mortalità infantile abbassando, di conseguenza, an*che la vita media», spiega Billari). Secondo i tre demografi, quando l’indice di sviluppo umano supera quota 0,86, il tasso di fertilità rico*mincia a prendere quota. «La fertilità Usa è tornata a cre*scere nel 1976, quando l’indice ha toccato il valore di 0,881; in Norve*gia la svolta c’è stata nel 1983 a 0,892; in Israele la data pivot è il 1992 con un indice tarato a 0,880». Lo studio dice che nel 2008 qua*rantasei Paesi sui 179 considerati dallo studio avevano toccato il pun*to più basso della crescita demogra*fica e avevano ripreso a crescere.
Il caso Italia. E l’Italia? «Per noi l’anno della svolta è stato il 1994 quando abbia*mo raggiunto un indice di sviluppo umano pari a 0,892», spiega Billari. In quindici anni il nostro Paese è co*sì risalito dal tasso di (in)fertilità re*cord di 1,2 figli per donna all’1,35 attuale. L’Italia è al diciannovesimo posto nella classifica dell’indice di sviluppo umano presa in considera*zione dai tre demografi. Il margine di miglioramento è quindi notevo*le anche sul fronte della fertilità (nella classifica dei figli per donna siamo fermi al ventinovesimo po*sto). In particolare, a ogni incre*mento di 0,05 punti nell’indice di sviluppo umano corrisponderebbe un aumento di 0,2 del tasso di ferti*lità.
L’eccezione insegna. Come ogni regola, anche quella individuata da Billari e colleghi ha le sue eccezioni. «Nonostante l’alto tasso di sviluppo umano, in Giap*pone, Corea e Canada la crescita de*mografica non accenna a riprende*re. In Giappone, per esempio, l’indi*ce di sviluppo umano ha già supera*to quota 0,94 ma l’indice di fertilità resta fermo a 1,26 figli per donna». «Il nostro studio utilizza dati del 2005, rilevazioni più recenti ci fan*no pensare che in Canada la cresci*ta demografica stia riprendendo. L’eccezione, insomma, non sareb*be più tale», continua Billari.
Se manca la parità. Per quanto riguarda il Giappone e la Corea, invece, i tre demografi hanno un’ipotesi ben precisa: «En*trambi sono Paesi in cui le dispari*tà di genere sono ancora forti. La fa*miglia ha un ruolo importante, in cui gli uomini lavorano molto e le donne hanno il doppio carico del la*voro in famiglia e fuori casa». In*somma, l’indicatore dello sviluppo umano considerato dai tre demo*grafi dovrebbe in qualche modo te*nere conto anche di un terzo para*metro (oltre a ricchezza, vita media e istruzione): il grado di parità rea*le tra uomini e donne. E allora an*che le anomalie di Giappone e Co*rea potrebbero rientrare.
L’Italia divisa a metà. Le «eccezioni» rilevate nello stu*dio possono essere utili anche a leg*gere meglio il «caso Italia»: al Sud le donne fanno sempre meno figli e questo potrebbe essere spiegato dal fatto che l’indice di sviluppo umano nel Mezzogiorno non ha an*cora superato stabilmente quota 0,86. Ma non è escluso che — come in Giappone e in Corea — possano influire fattori legati alle dinami*che familiari. Si scoprirà nei prossi*mi anni. Per ora l’unica certezza è che la ripresa demografica è tutta trainata dalle regioni del Nord. A questo punto il dubbio sorge spontaneo: non sarà che la fertilità nella crème dei Paesi sviluppati ri*parte soltanto grazie al contributo degli immigrati? «Non direi pro*prio — risponde Billari —. Gli im*migrati danno un contributo ma bi*sogna tenere conto che una volta stabilizzati nel nuovo Paese anche loro cominciano a fare meno figli. E poi basta vedere l’esempio della Francia: Oltralpe l’immigrazione è in calo mentre il tasso di fertilità è in crescita, al punto da sfiorare or*mai i due figli per donna». Morale: «Un Paese con un alto indice di svi*luppo umano attrae di più gli immi*grati ma convince anche gli abitan*ti storici a fare figli». Lo studio targato Bocconi-uni*versità della Pennsylvania non si avventura nella valutazione delle politiche che incentivano le fami*glie ad allargarsi. «Paesi che hanno in comune tassi di fertilità elevati hanno raggiunto l’obiettivo attra*verso vie diverse», chiarisce Billari. «Negli Stati Uniti il reddito procapi*te molto elevato permette a ciascu*no di costruirsi un welfare familia*re su misura, fatto di tate e baby sit*ter. In altri Paesi si è puntato di più sui servizi pubblici», conclude il de*mografo. A ciascuno la responsabi*lità di individuare la propria ricet*ta.
http://www.corriere.it/cronache/09_agosto_06/focus_cresce_il_benessere_nascono_piu_bambini_d946a9b8-825c-11de-ace9-00144f02aabc.shtml
«Il miglior contraccettivo? Il benessere». Lo slogan co*niato negli anni Settanta è ormai superato. Quando un Paese raggiunge livelli di sviluppo molto elevati, la natalità riprende a cresce*re. E non soltanto grazie alla mag*gior propensione a far figli degli im*migrati. Questa l’evidenza di uno studio che sarà pubblicato sul prossimo numero di Nature , ma già sul sito della prestigiosa rivista (www.na*ture. com). Gli autori — Francesco Billari dell’università Bocconi, Hans Peter Kohler e Mikko Myr*skylä (entrambi della University of Pennsylvania) — dimostrano co*me alcuni Paesi sviluppati abbiano già da alcuni anni invertito la ten*denza alla riduzione della popola*zione. Tanto da avvicinare l’obietti*vo dei due figli per donna e la con*seguente sostenibilità demografi*ca. Un gol, questo, che finora è a portata di sale parto solo in tre Pae*si sviluppati dell’occidente: Stati Uniti, Francia, e Islanda.
Ricchezza e salute. Per 179 nazioni i tre demografi hanno messo in relazione il tasso di fertilità con un «l’indice di svi*luppo umano». Quest’ultimo è un’indicatore creato negli anni ’80 (utilizzato anche dal Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo) che considera sì la ricchezza di un Paese (in particolare il reddito me*dio procapite) ma anche la speran*za media di vita e la diffusione del*l’istruzione. «Questi ultimi due parametri so*no importanti perché, come ha spiegato bene il nobel Amartya Sen, la ricchezza da sola non basta a misurare il tasso di sviluppo di un Paese», precisa Francesco Billa*ri. In particolare, la speranza di vita media rende conto anche dell’effi*cienza del sistema sanitario e della presenza di disuguaglianze sociali («Più queste ultime sono alte, più sale il tasso di mortalità infantile abbassando, di conseguenza, an*che la vita media», spiega Billari). Secondo i tre demografi, quando l’indice di sviluppo umano supera quota 0,86, il tasso di fertilità rico*mincia a prendere quota. «La fertilità Usa è tornata a cre*scere nel 1976, quando l’indice ha toccato il valore di 0,881; in Norve*gia la svolta c’è stata nel 1983 a 0,892; in Israele la data pivot è il 1992 con un indice tarato a 0,880». Lo studio dice che nel 2008 qua*rantasei Paesi sui 179 considerati dallo studio avevano toccato il pun*to più basso della crescita demogra*fica e avevano ripreso a crescere.
Il caso Italia. E l’Italia? «Per noi l’anno della svolta è stato il 1994 quando abbia*mo raggiunto un indice di sviluppo umano pari a 0,892», spiega Billari. In quindici anni il nostro Paese è co*sì risalito dal tasso di (in)fertilità re*cord di 1,2 figli per donna all’1,35 attuale. L’Italia è al diciannovesimo posto nella classifica dell’indice di sviluppo umano presa in considera*zione dai tre demografi. Il margine di miglioramento è quindi notevo*le anche sul fronte della fertilità (nella classifica dei figli per donna siamo fermi al ventinovesimo po*sto). In particolare, a ogni incre*mento di 0,05 punti nell’indice di sviluppo umano corrisponderebbe un aumento di 0,2 del tasso di ferti*lità.
L’eccezione insegna. Come ogni regola, anche quella individuata da Billari e colleghi ha le sue eccezioni. «Nonostante l’alto tasso di sviluppo umano, in Giap*pone, Corea e Canada la crescita de*mografica non accenna a riprende*re. In Giappone, per esempio, l’indi*ce di sviluppo umano ha già supera*to quota 0,94 ma l’indice di fertilità resta fermo a 1,26 figli per donna». «Il nostro studio utilizza dati del 2005, rilevazioni più recenti ci fan*no pensare che in Canada la cresci*ta demografica stia riprendendo. L’eccezione, insomma, non sareb*be più tale», continua Billari.
Se manca la parità. Per quanto riguarda il Giappone e la Corea, invece, i tre demografi hanno un’ipotesi ben precisa: «En*trambi sono Paesi in cui le dispari*tà di genere sono ancora forti. La fa*miglia ha un ruolo importante, in cui gli uomini lavorano molto e le donne hanno il doppio carico del la*voro in famiglia e fuori casa». In*somma, l’indicatore dello sviluppo umano considerato dai tre demo*grafi dovrebbe in qualche modo te*nere conto anche di un terzo para*metro (oltre a ricchezza, vita media e istruzione): il grado di parità rea*le tra uomini e donne. E allora an*che le anomalie di Giappone e Co*rea potrebbero rientrare.
L’Italia divisa a metà. Le «eccezioni» rilevate nello stu*dio possono essere utili anche a leg*gere meglio il «caso Italia»: al Sud le donne fanno sempre meno figli e questo potrebbe essere spiegato dal fatto che l’indice di sviluppo umano nel Mezzogiorno non ha an*cora superato stabilmente quota 0,86. Ma non è escluso che — come in Giappone e in Corea — possano influire fattori legati alle dinami*che familiari. Si scoprirà nei prossi*mi anni. Per ora l’unica certezza è che la ripresa demografica è tutta trainata dalle regioni del Nord. A questo punto il dubbio sorge spontaneo: non sarà che la fertilità nella crème dei Paesi sviluppati ri*parte soltanto grazie al contributo degli immigrati? «Non direi pro*prio — risponde Billari —. Gli im*migrati danno un contributo ma bi*sogna tenere conto che una volta stabilizzati nel nuovo Paese anche loro cominciano a fare meno figli. E poi basta vedere l’esempio della Francia: Oltralpe l’immigrazione è in calo mentre il tasso di fertilità è in crescita, al punto da sfiorare or*mai i due figli per donna». Morale: «Un Paese con un alto indice di svi*luppo umano attrae di più gli immi*grati ma convince anche gli abitan*ti storici a fare figli». Lo studio targato Bocconi-uni*versità della Pennsylvania non si avventura nella valutazione delle politiche che incentivano le fami*glie ad allargarsi. «Paesi che hanno in comune tassi di fertilità elevati hanno raggiunto l’obiettivo attra*verso vie diverse», chiarisce Billari. «Negli Stati Uniti il reddito procapi*te molto elevato permette a ciascu*no di costruirsi un welfare familia*re su misura, fatto di tate e baby sit*ter. In altri Paesi si è puntato di più sui servizi pubblici», conclude il de*mografo. A ciascuno la responsabi*lità di individuare la propria ricet*ta.
http://www.corriere.it/cronache/09_agosto_06/focus_cresce_il_benessere_nascono_piu_bambini_d946a9b8-825c-11de-ace9-00144f02aabc.shtml