Ser21
29-07-2009, 08:25
L’inchiesta Dopo le rivelazioni del boss Spatuzza cresce la lista degli accusati anche per l’omicidio Borsellino
Poliziotti indagati per depistaggio
sulla strage di via D’Amelio
Un pentito che ha ritrattato: mi hanno costretto
a confessare
http://www.corriere.it/cronache/09_luglio_29/Poliziotti_indagati_per_depistaggio_sulla_strage_di_via_D_Amelio_giovanni_bianconi_2d234a74-7c03-11de-bec1-00144f02aabc.shtml
CALTANISSETTA — C’è l’inchie*sta sulla strage e c’è l’inchiesta sul*le indagini svolte 17 anni fa, per la stessa strage. A questo sdoppia*mento è giunto il lavoro dei magi*strati di Caltanissetta intorno all’ec*cidio del 19 luglio 1992, nel quale morirono Paolo Borsellino e cin*que agenti della sua scorta. Strage mafiosa ma non solo, come quasi tutti ormai pensano; strage con eventuali «mandanti occulti» non individuati; strage con alcuni col*pevoli condannati da sentenze defi*nitive, ma forse non tutti davvero colpevoli. Ecco perché le inchieste sono ancora aperte.
Da un lato si cercano i responsa*bili rimasti impuniti, di tutte le ca*tegorie. Tra gli «uomini d’onore» rimasti fuori dalle precedenti inda*gini, le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza - boss del quar*tiere palermitano di Brancaccio, che riempie verbali su verbali da un anno, dopo averne trascorsi 11 a regime di «carcere duro» - hanno portato ad almeno un nuovo inda*gato; su di lui sono in corso accerta*menti e riscontri alle accuse del nuovo collaboratore di giustizia. Oltre la mafia, nel campo di ipotiz*zate collusioni e del ruolo di possi*bili «apparati deviati dello Stato», compresi esponenti dei servizi se*greti, la situazione è più comples*sa; si continua a scavare su coinci*denze, parentele, contatti telefoni*ci sospetti emersi nei processi già celebrati, per tentare di arrivare a conclusioni più concrete.
Dall’altro lato gli inquirenti gui*dati dal procuratore Sergio Lari hanno riaperto il capitolo delle in*chieste avviate nel ’92, subito dopo la strage. Quelle che hanno portato a tre diversi processi e alle senten*ze confermate dalla Cassazione. Ora una parte di quella verità giudi*ziaria potrebbe essere riscritta, pro*prio a partire dalle dichiarazioni di Spatuzza, dai riscontri effettuati e dalle conseguenti ritrattazioni di al*meno un altro pentito, vero o pre*sunto che sia.
Il neo-collaboratore — autore tra gli altri delitti dell’omicidio di padre Pino Puglisi, il parroco anti*mafia di Brancaccio ucciso nel 1993 — ha svelato di essere l’auto*re del furto della Fiat 126 utilizzata per fabbricare l’auto-bomba esplo*sa in via D’Amelio. Offrendo indica*zioni precise, puntualmente verifi*cate. Del furto s’era accusato, nel 1992, tale Salvatore Candura, mez*zo balordo e mezzo mafioso che og*gi, di fronte alle rivelazioni di Spa*tuzza, confessa di essersi inventato tutto. O meglio, di aver ripetuto ciò che alcuni investigatori lo ave*vano costretto a riferire ai magi*strati. Di qui la nuova indagine aperta dalla Procura di Caltanisset*ta a carico di quegli investigatori: i nomi di due o tre poliziotti che fa*cevano parte del Gruppo investiga*tivo Falcone-Borsellino, creato al*l’indomani delle stragi, sono già fi*niti sul registro degli indagati. Ipo*tesi di reato, calunnia.
Di fatto si ipotizza un possibile depistaggio messo in atto con le fal*se dichiarazioni di Candura, che hanno portato alle confessioni del*l’altro «pentito» Vincenzo Scaranti*no, su cui sono fondate parte delle condanne confermate in Cassazio*ne; confessioni false, se sono vere quelle di Spatuzza e ora di Candu*ra. Indotte dagli investigatori, se*condo la nuova ricostruzione di quest’ultimo. I magistrati nisseni hanno riassunto la situazione nel parere col quale hanno aderito alla proposta di protezione per Spatuz*za; lì scrivono che uno dei riscontri alle dichiarazioni del neo-pentito consiste proprio nella ritrattazione di Candura. Il quale «ha formulato pesanti accuse nei confronti di al*cuni esponenti della Polizia di Sta*to, a suo dire responsabili di averlo indotto a dichiarare il falso».
Ipotesi grave e inquietante. Per*ché il depistaggio, qualora fosse re*almente stato organizzato come fa credere Candura, dovrebbe avere un movente. Dev’essere il frutto di una decisione presa a tavolino nel*le settimane immediatamente suc*cessive all’eliminazione di Paolo Borsellino (e due mesi dopo la mor*te di Falcone nella strage di Capa*ci), per indirizzare le indagini su una falsa verità consacrata fino al verdetto della Cassazione. Per qua*le motivo? Per coprire quale realtà alternativa? E con l’avallo, o su mandato, di chi? A quale livello po*litico o investigativo?
Sono tutte domande alle quali dovrebbe rispondere l’inchiesta, se dovesse accertare che Candura, ora, non mente più. Ma resta aper*ta anche l’altra ipotesi, e cioè che lui allora si sia autoaccusato per sua libera scelta, tirando in ballo un personaggio come Scarantino (sulla cui attendibilità molti hanno nutrito dubbi, a cominciare dal pubblico ministero Ilda Boccassini che li mise nero su bianco nel 1994, al momento di lasciare Calta*nissetta) senza chiamare in causa mafiosi di ben altro profilo. Anche Candura è indagato nel nuovo pro*cedimento (l’ipotesi di reato è auto*calunnia), in attesa che gli accerta*menti portino a fare un po’ di chia*rezza sull’intricata vicenda. E con lui, Scarantino, che anche di fronte alla nuova verità di Spatuzza ha in*vece confermato quanto dichiarato nelle indagini e nei processi prece*denti. Lo ha fatto negli interrogato*ri e durante il confronto con il neo-pentito, seppure dopo qual*che minuto di riflessione.
Nell’ambito dell’indagine sui po*liziotti accusati di aver «imbocca*to » Candura sono già stati ascoltati come testimoni alcuni magistrati che fra il ’92 e il ’94 si occuparono delle indagini sulla strage di via d’Amelio, tra i quali la stessa Boc*cassini, Carmelo Petralia e Paolo Giordano. Gli accertamenti prose*guono per tentare di venire a capo, a 17 anni dai fatti, del presunto de*pistaggio sulla più misteriosa delle stragi di mafia del ’92-’93; oppure, se le accuse si rivelassero false, del depistaggio messo in atto oggi,
Giovanni Bianconi
29 luglio 2009
Poliziotti indagati per depistaggio
sulla strage di via D’Amelio
Un pentito che ha ritrattato: mi hanno costretto
a confessare
http://www.corriere.it/cronache/09_luglio_29/Poliziotti_indagati_per_depistaggio_sulla_strage_di_via_D_Amelio_giovanni_bianconi_2d234a74-7c03-11de-bec1-00144f02aabc.shtml
CALTANISSETTA — C’è l’inchie*sta sulla strage e c’è l’inchiesta sul*le indagini svolte 17 anni fa, per la stessa strage. A questo sdoppia*mento è giunto il lavoro dei magi*strati di Caltanissetta intorno all’ec*cidio del 19 luglio 1992, nel quale morirono Paolo Borsellino e cin*que agenti della sua scorta. Strage mafiosa ma non solo, come quasi tutti ormai pensano; strage con eventuali «mandanti occulti» non individuati; strage con alcuni col*pevoli condannati da sentenze defi*nitive, ma forse non tutti davvero colpevoli. Ecco perché le inchieste sono ancora aperte.
Da un lato si cercano i responsa*bili rimasti impuniti, di tutte le ca*tegorie. Tra gli «uomini d’onore» rimasti fuori dalle precedenti inda*gini, le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza - boss del quar*tiere palermitano di Brancaccio, che riempie verbali su verbali da un anno, dopo averne trascorsi 11 a regime di «carcere duro» - hanno portato ad almeno un nuovo inda*gato; su di lui sono in corso accerta*menti e riscontri alle accuse del nuovo collaboratore di giustizia. Oltre la mafia, nel campo di ipotiz*zate collusioni e del ruolo di possi*bili «apparati deviati dello Stato», compresi esponenti dei servizi se*greti, la situazione è più comples*sa; si continua a scavare su coinci*denze, parentele, contatti telefoni*ci sospetti emersi nei processi già celebrati, per tentare di arrivare a conclusioni più concrete.
Dall’altro lato gli inquirenti gui*dati dal procuratore Sergio Lari hanno riaperto il capitolo delle in*chieste avviate nel ’92, subito dopo la strage. Quelle che hanno portato a tre diversi processi e alle senten*ze confermate dalla Cassazione. Ora una parte di quella verità giudi*ziaria potrebbe essere riscritta, pro*prio a partire dalle dichiarazioni di Spatuzza, dai riscontri effettuati e dalle conseguenti ritrattazioni di al*meno un altro pentito, vero o pre*sunto che sia.
Il neo-collaboratore — autore tra gli altri delitti dell’omicidio di padre Pino Puglisi, il parroco anti*mafia di Brancaccio ucciso nel 1993 — ha svelato di essere l’auto*re del furto della Fiat 126 utilizzata per fabbricare l’auto-bomba esplo*sa in via D’Amelio. Offrendo indica*zioni precise, puntualmente verifi*cate. Del furto s’era accusato, nel 1992, tale Salvatore Candura, mez*zo balordo e mezzo mafioso che og*gi, di fronte alle rivelazioni di Spa*tuzza, confessa di essersi inventato tutto. O meglio, di aver ripetuto ciò che alcuni investigatori lo ave*vano costretto a riferire ai magi*strati. Di qui la nuova indagine aperta dalla Procura di Caltanisset*ta a carico di quegli investigatori: i nomi di due o tre poliziotti che fa*cevano parte del Gruppo investiga*tivo Falcone-Borsellino, creato al*l’indomani delle stragi, sono già fi*niti sul registro degli indagati. Ipo*tesi di reato, calunnia.
Di fatto si ipotizza un possibile depistaggio messo in atto con le fal*se dichiarazioni di Candura, che hanno portato alle confessioni del*l’altro «pentito» Vincenzo Scaranti*no, su cui sono fondate parte delle condanne confermate in Cassazio*ne; confessioni false, se sono vere quelle di Spatuzza e ora di Candu*ra. Indotte dagli investigatori, se*condo la nuova ricostruzione di quest’ultimo. I magistrati nisseni hanno riassunto la situazione nel parere col quale hanno aderito alla proposta di protezione per Spatuz*za; lì scrivono che uno dei riscontri alle dichiarazioni del neo-pentito consiste proprio nella ritrattazione di Candura. Il quale «ha formulato pesanti accuse nei confronti di al*cuni esponenti della Polizia di Sta*to, a suo dire responsabili di averlo indotto a dichiarare il falso».
Ipotesi grave e inquietante. Per*ché il depistaggio, qualora fosse re*almente stato organizzato come fa credere Candura, dovrebbe avere un movente. Dev’essere il frutto di una decisione presa a tavolino nel*le settimane immediatamente suc*cessive all’eliminazione di Paolo Borsellino (e due mesi dopo la mor*te di Falcone nella strage di Capa*ci), per indirizzare le indagini su una falsa verità consacrata fino al verdetto della Cassazione. Per qua*le motivo? Per coprire quale realtà alternativa? E con l’avallo, o su mandato, di chi? A quale livello po*litico o investigativo?
Sono tutte domande alle quali dovrebbe rispondere l’inchiesta, se dovesse accertare che Candura, ora, non mente più. Ma resta aper*ta anche l’altra ipotesi, e cioè che lui allora si sia autoaccusato per sua libera scelta, tirando in ballo un personaggio come Scarantino (sulla cui attendibilità molti hanno nutrito dubbi, a cominciare dal pubblico ministero Ilda Boccassini che li mise nero su bianco nel 1994, al momento di lasciare Calta*nissetta) senza chiamare in causa mafiosi di ben altro profilo. Anche Candura è indagato nel nuovo pro*cedimento (l’ipotesi di reato è auto*calunnia), in attesa che gli accerta*menti portino a fare un po’ di chia*rezza sull’intricata vicenda. E con lui, Scarantino, che anche di fronte alla nuova verità di Spatuzza ha in*vece confermato quanto dichiarato nelle indagini e nei processi prece*denti. Lo ha fatto negli interrogato*ri e durante il confronto con il neo-pentito, seppure dopo qual*che minuto di riflessione.
Nell’ambito dell’indagine sui po*liziotti accusati di aver «imbocca*to » Candura sono già stati ascoltati come testimoni alcuni magistrati che fra il ’92 e il ’94 si occuparono delle indagini sulla strage di via d’Amelio, tra i quali la stessa Boc*cassini, Carmelo Petralia e Paolo Giordano. Gli accertamenti prose*guono per tentare di venire a capo, a 17 anni dai fatti, del presunto de*pistaggio sulla più misteriosa delle stragi di mafia del ’92-’93; oppure, se le accuse si rivelassero false, del depistaggio messo in atto oggi,
Giovanni Bianconi
29 luglio 2009