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View Full Version : Stragi di mafia: caccia ad uno 007 sfregiato


LUVІ
17-07-2009, 06:51
http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/cronaca/mafia-8/inchieste-riaperte/inchieste-riaperte.html

Ripartono le indagini sulle stragi di mafia. Sullo sfondo dell'intrigo
gli 007: uno di loro era presente in parecchi luoghi dove esplosero le bombe
Falcone e Borsellino, inchieste riaperte
caccia ad un agente segreto sfregiato
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI

Falcone e Borsellino, inchieste riaperte caccia ad un agente segreto sfregiato

CALTANISSETTA - Nessuno conosce il suo nome. Tutti dicono però che ha "una faccia da mostro". è un agente dei servizi di sicurezza. Lo cercano per scoprire cosa c'entra lui e cosa c'entrano altri uomini degli apparati dello Stato nelle stragi e nei delitti eccellenti di Palermo.

Diciassette anni dopo si sta riscrivendo la storia degli attentati mafiosi che hanno fatto tremare l'Italia. Ci sono testimoni che parlano di altri mandanti, ci sono indizi che portano alla ragionevole convinzione che non sia stata solo la mafia a uccidere Falcone e Borsellino o a mettere bombe. É stata ufficialmente riaperta l'inchiesta su via Mariano D'Amelio. É stata ufficialmente riaperta l'inchiesta su Capaci. É stata ufficialmente riaperta anche l'inchiesta sull'Addaura, su quei cinquantotto candelotti di dinamite piazzati nel giugno dell'89 nella scogliera davanti alla casa di Giovanni Falcone. Una trama. Una sorta di "strategia della tensione" - questa l'ipotesi dei procuratori di Caltanissetta titolari delle inchieste sulle stragi palermitane - che parte dagli anni precedenti all'estate del 1992 e finisce con i morti dei Georgofili a Firenze e quegli altri di via Palestro a Milano.

Gli elementi raccolti in questi ultimi mesi fanno prendere forma a una vicenda che non è circoscritta solo e soltanto a Totò Riina e ai suoi Corleonesi, tutti condannati all'ergastolo come esecutori e mandanti di quelle stragi. C'è qualcosa di molto più contorto e di oscuro, ci sono ricorrenti "presenze" - indagine dopo indagine - di agenti segreti sempre a contatto con i boss palermitani. Tutti a scambiarsi di volta in volta informazioni e favori, tutti insieme sui luoghi di una strage o di un omicidio, tutti a proteggersi gli uni con gli altri come in un patto di sangue.

I procuratori di Caltanissetta - sono cinque che indagano, il capo Sergio Lari, gli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, i sostituti Nicolò Marino e Stefano Luciani - hanno già ascoltato Vincenzo Scotti (ministro degli Interni fra il 1990 e il 1992) e l'allora presidente del Consiglio (dal giugno 1992 all'aprile 1993) Giuliano Amato per avere anche informazioni che nessuno aveva mai cercato. Su alcuni 007. Primo fra tutti quell'agente con la "faccia da mostro".

É uno dei protagonisti dell'intrigo. Un'ombra, una figura sempre vicino e intorno a tanti episodi di sangue. Il suo nome è ancora sconosciuto, di lui sa soltanto che ha un viso deformato. In tanti ne hanno parlato, ma nonostante quella malformazione - segno evidente per un facile riconoscimento - nessuno l'ha mai identificato. Chi è? Gli stanno dando la caccia. Sembra l'uomo chiave di molti misteri palermitani.

Il primo: l'attentato del 21 giugno del 1989 all'Addaura. C'è la testimonianza di una donna che ha visto quell'uomo "con quella faccia così brutta" vicino alla villa del giudice Falcone, poco prima che qualcuno piazzasse una borsa sugli scogli con dentro la dinamite. Qualcuno? Sull'Addaura c'è a verbale anche il racconto di Angelo Fontana, un pentito della "famiglia" dell'Acquasanta, cioè quella che comanda in quel territorio. Fontana rivela in sostanza che i mafiosi dell'Acquasanta quel giorno si limitarono a "sorvegliare" la zona mentre su un gommone - e a bordo non c'erano i mafiosi dell'Acquasanta - stavano portando i cinquantotto candelotti sugli scogli di fronte alla casa di Falcone.

Un piccolo "malacarne" della borgata - tale Francesco Paolo Gaeta - assistette casualmente alle "operazioni". Fu ucciso a colpi di pistola qualche tempo dopo: il caso fu archiviato come un regolamento di conti fra spacciatori. Dopo il fallito attentato, a Palermo fecero circolare le solite voci infami: "É stato Falcone a mettersi da solo l'esplosivo". Il giudice, molto turbato, disse soltanto: "Sono state menti raffinatissime". Già allora, lo stesso Falcone aveva il sospetto che qualcuno, dentro gli apparati, volesse ucciderlo.
Ma l'uomo con "la faccia da mostro" fu avvistato anche in un altro angolo di Palermo, un paio di mesi dopo. Un'altra testimonianza. Confidò il mafioso Luigi Ilardo al colonnello dei carabinieri Michele Riccio: "Noi sapevamo che c'era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino".

Nino Agostino, ufficialmente agente del commissariato San Lorenzo ma in realtà "cacciatore" di latitanti, fu ammazzato insieme alla moglie Ida Castellucci il 5 agosto del 1989. Mai scoperti i suoi assassini. Come non scoprirono mai come un amico di Agostino, il collaboratore del Sisde Emanuele Piazza (anche lui cacciatore di latitanti) fu strangolato dai boss di San Lorenzo. Una soffiata, probabilmente. Il confidente Ilardo ha parlato anche di lui. E poi ha raccontato: "Io non so per quale ragione i servizi segreti partecipavano a queste azioni... forse per coprire determinati uomini politici che avevano interesse a coprire determinati fatti che erano successi, mettendo fuori gioco magistrati o altri uomini politici che volevano far scoprire tutte queste magagne". Un'altra testimonianza ancora viene da Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto ucciso: "Poco prima dell'omicidio di mio figlio vennero a casa mia a Villagrazia di Carini due uomini che si presentarono come colleghi di Nino, uno aveva un viso orribile...".

L'ultimo a parlare dell'agente segreto con "la faccia da mostro" è stato Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, sindaco mafioso di Palermo negli anni '70. Ai procuratori siciliani ha spiegato che quell'uomo era in contatto con suo padre da anni. Fino alla famosa "trattativa", fino a quell'accordo che Totò Riina voleva raggiungere con lo Stato italiano per "fermare le stragi". Un baratto. Basta bombe se aboliscono il carcere duro e cancellano la legge sui pentiti, basta bombe se salvano patrimoni mafiosi e magari decidono la revisione del maxi processo.

Ma Massimo Ciancimino non ha rivelato solo gli incontri di suo padre con l'agente dal viso sfigurato. Ha parlato anche di un certo "signor Franco" e di un certo "Carlo". Forse non sono due uomini ma uno solo: un altro agente dei servizi. Uno con il quale il vecchio don Vito aveva un'intensità di rapporti lontana nel tempo. "Fu lui - sono parole di Ciancimino jr - a garantire mio padre, rassicurandolo che dietro le trattattive, inizialmente avviate dal colonnello dei carabinieri Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno, c'era un personaggio politico". Di questo "signor Franco" o "Carlo", Massimo Ciancimino ha fornito ai procuratori indicazioni precise. E anche un'agenda del padre con i loro riferimenti telefonici.

Un ultimo capitolo di questi intrecci fra mafia e apparati è affiorato dalle ultime indagini sull'uccisione di Paolo Borsellino. Un pentito (Gaspare Spatuzza) ha smentito il pentito (Vincenzo Scarantino) che 17 anni fa si era autoaccusato di avere portato in via D'Amelio l'autobomba che ha ucciso il procuratore e cinque poliziotti della sua scorta. "Sono stato io, non lui", ha spiegato Spatuzza, confermando comunque in ogni dettaglio la dinamica dei fatti e svelando che Falcone - prima di Capaci - sarebbe dovuto morire a Roma in un agguato. Le armi, fucili e pistole, a Roma le aveva portate lui stesso. Dopo un anno di indagini i magistrati di Caltanissetta hanno accertato che Gaspare Spatuzza ha detto il vero e Vincenzo Scarantino aveva mentito. Si era inventato tutto. Qualcuno lo aveva "imbeccato". Chi? "Qualcuno gli ha messo in bocca quelle cose per allontanare sospetti su altri mandanti non mafiosi", risponde oggi chi indaga sulla strage.

Un depistaggio con frammenti di verità. Agenti segreti e scorrerie in Sicilia. Poliziotti caduti, omicidi di inspiegabile matrice. Boss e spie che camminano a braccetto. Attentati, uno dopo l'altro: prima Falcone e cinquantaquattro giorni dopo Borsellino. Una cosa fuori da ogni logica mafiosa. La tragedia di Palermo non sembra più solo il romanzo nero di Totò Riina e dei suoi Corleonesi.

(17 luglio 2009)

Ser21
17-07-2009, 07:29
Ce la stiamo facendo ? Sta davvero uscendo la verità ?
Lo sapevo che non sarebbero riusciti a tenere tutto nascosto per sempre...troppo dispersiva l'azione dello stato-parallelo in quei 20 anni...
Qualcuno parlerà,ciancimino gia lo sta facendo,altri lo faranno....

Certo che inchieste del genere,in un paese normale,porterebbero alla caduta totale di tutto il sistema politico.
Staremo a vedere,speriamo si riesca a far luce sul meccansimo su cui si basa la seconda repubblica...

luxorl
17-07-2009, 07:49
Ce la stiamo facendo ? Sta davvero uscendo la verità ?
Lo sapevo che non sarebbero riusciti a tenere tutto nascosto per sempre...troppo dispersiva l'azione dello stato-parallelo in quei 20 anni...
Qualcuno parlerà,ciancimino gia lo sta facendo,altri lo faranno....

Certo che inchieste del genere,in un paese normale,porterebbero alla caduta totale di tutto il sistema politico.
Staremo a vedere,speriamo si riesca a far luce sul meccansimo su cui si basa la seconda repubblica...

Lo spero veramente. Anche se ormai ho poca fiducia nell'Italia... davvero la magistratura riuscirà ad arrivare alla verità? E se questa verità toccasse qualche potente non si userà la potenza mediatica come nel caso prostitute per mantenere il consenso popolare?

In ogni caso questo articolo mette una rabbia. Ci sono alcuni passaggi davvero forti... come fa un italiano ad infischiarsene?

C'è qualcosa di molto più contorto e di oscuro, ci sono ricorrenti "presenze" - indagine dopo indagine - di agenti segreti sempre a contatto con i boss palermitani. Tutti a scambiarsi di volta in volta informazioni e favori, tutti insieme sui luoghi di una strage o di un omicidio, tutti a proteggersi gli uni con gli altri come in un patto di sangue.

Sull'Addaura c'è a verbale anche il racconto di Angelo Fontana, un pentito della "famiglia" dell'Acquasanta, cioè quella che comanda in quel territorio. Fontana rivela in sostanza che i mafiosi dell'Acquasanta quel giorno si limitarono a "sorvegliare" la zona mentre su un gommone - e a bordo non c'erano i mafiosi dell'Acquasanta - stavano portando i cinquantotto candelotti sugli scogli di fronte alla casa di Falcone.

Una soffiata, probabilmente. Il confidente Ilardo ha parlato anche di lui. E poi ha raccontato: "Io non so per quale ragione i servizi segreti partecipavano a queste azioni... forse per coprire determinati uomini politici che avevano interesse a coprire determinati fatti che erano successi, mettendo fuori gioco magistrati o altri uomini politici che volevano far scoprire tutte queste magagne".

Ser21
17-07-2009, 07:53
Lo spero veramente. Anche se ormai ho poca fiducia nell'Italia... davvero la magistratura riuscirà ad arrivare alla verità? E se questa verità toccasse qualche potente non si userà la potenza mediatica come nel caso prostitute per mantenere il consenso popolare?

In ogni caso questo articolo mette una rabbia. Ci sono alcuni passaggi davvero forti... come fa un italiano ad infischiarsene?

No,io voglio sapere.
Sono consapevole che in italia non cambierebbe niente,il mio intento è diverso: voglio che si arrivi ad una verità processuale.
Da qui poi si vedrà cosa potrà succedere,io però,intanto,voglio che qualcuno confermi quello che sta diventando sempre più una verità indiscutibile...

LUVІ
17-07-2009, 09:07
Anche io voglio sapere.

markk0
17-07-2009, 11:42
mettetevi comodi, allora, perchè ci sarà da aspettare un pochino...

dantes76
17-07-2009, 12:14
mettetevi comodi, allora, perchè ci sarà da aspettare un pochino...

Dici che prima dobbiamo vedere saltare per aria una decina di autobombe, nella citta del nord.. crocevia degli affari fra cosa nostra,ndrangheta e camorra??

ornette
17-07-2009, 12:20
Strano che non si senta più parlare di quel "delinquente" di Genchi...:cool:

Genchi, i Servizi Segreti, Cosa Nostra e le stragi per uccidere Falcone e Borsellino.
14 febbraio, 2009 ( Dal Settimanale LEFT )

I volti senza nome di via D’Amelio.
Massimo Ciancimino e Gaspare Spatuzza ricostruiscono nuovi scenari sulla strage. Quando incominciò la trattativa fra lo Stato e Cosa nostra? Prima di quanto ipotizzato finora

di Pietro Orsatti

Via D’Amelio, luogo della strage del 19 luglio 1992 dove persero la vita Paolo Borsellino e i componenti della sua scorta, da Castel Utveggio si vede proprio bene. È ormai “verità” processuale (riportata nelle sentenze del processo Borsellino bis) che il Sisde vi avesse impiantato da tempo una sede sotto copertura. E il 19 luglio 1992, una classica domenica estiva palermitana, Castel Utveggio, da quello che è emerso dalle indagini successive, è in piena attività. Pochi secondi dopo la strage, proprio da qui parte una telefonata che raggiunge Bruno Contrada, al tempo capo del Sisde a Palermo. La chiamata arriva dal telefono intestato a Paolo Borsellino. Si tratta, evidentemente, di un’utenza clonata. Da chi? Mistero.

E ancora. Di solito il castello è deserto la domenica, figuriamoci a luglio. Ufficialmente era solo la sede di una scuola di formazione per manager aziendali. Quella domenica, però, nel castello c’è “movimento”. Tanto movimento. Troppo. E andiamo avanti. Lorenzo Narracci, al tempo funzionario del Sisde a Palermo, riceve una telefonata da Contrada 80 secondi dopo l’esplosione dell’autobomba. Per intenderci, poco più di un minuto dopo l’esplosione il Sisde è già pienamente operativo, mentre la polizia ancora arranca per capire cosa sia successo e persino dove. Narracci non è sconosciuto agli investigatori che stanno seguendo l’inchiesta sulla strage di Capaci, e risulta infatti titolare di un numero di cellulare annotato su un biglietto rinvenuto proprio sul luogo dove gli assassini di Falcone azionarono il telecomando che innescò il tritolo lungo l’autostrada fra Punta Raisi e Palermo. Su come sia finito il numero di telefono di un funzionario dei servizi italiani proprio nella casupola utilizzata da Cosa nostra per dare via all’attentato di Capaci c’è un altro funzionario della Polizia che, sempre dagli atti processuali, racconta di essersi perso lui, durante il sopralluogo, il biglietto con il numero. Comunque una vicenda che allarma, se non altro per la leggerezza con cui un’utenza di un agente circolasse con tale facilità e mancanza di riservatezza.

A seguire questa pista è Gioacchino Genchi, all’epoca dirigente della Polizia di Stato a Palermo con l’incarico di direttore della zona telecomunicazioni del ministero dell’Interno per la Sicilia occidentale. Genchi, per chi si occupa di inchieste giudiziarie, non è uno sconosciuto. Lo scorso anno, per esempio, è salito alle cronache come l’uomo chiave dell’inchiesta “Why not” condotta dal pm Luigi De Magistris a Catanzaro. Insomma, quantomeno uno che di telefoni ne capisce. Il giorno stesso della strage di via D’Amelio, Genchi compie un sopralluogo sul monte Pellegrino presso il castello Utveggio insieme al capo della Mobile La Barbera. La sentenza del processo Borsellino bis riporta, testualmente: «Il dr. Genchi ha chiarito che l’ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utevggio era stata formulata come ipotesi di lavoro investigativo che il suo gruppo considerava assai utile per ulteriori sviluppi; essa tuttavia era stata lasciata cadere da chi conduceva le indagini al tempo». Elementi, quelli accolti dalla Corte e presentati dall’investigatore, davvero inquietanti. Utenze clonate, rete di comunicazioni lungo il percorso per via D’Amelio operativa da giorni, intrecci fra pezzi di Stato e “altro”. «Nel castello aveva sede un ente regionale il C.e.r.i.s.d.i., dietro il quale avrebbe trovato copertura un organo del Sisde - si legge nella sentenza -. La circostanza era stata negata dal Sisde che aveva così esposto ancor più gli uomini del gruppo investigativo costituito per indagare sulla strage». Genchi punta la sua attenzione sul castello per una ragione specifica. Trascrizione letterale della sua deposizione alla Corte di Caltanissetta: «Rilevo che il cellulare di Scaduto, un boss di Bagheria condannato all’ergastolo fra l’altro per l’omicidio di Ignazio Salvo che aveva tutta una serie di strani contatti con una serie di utenze del gruppo La Barbera. Cioè, del gruppo degli altofontesi, di cui parlavo anche in relazione a quei contatti con esponenti dei servizi segreti, rilevo che questa utenza aveva pure contatti con il C.e.r.i.s.d.i. Quindi, questo C.e.r.i.s.d.i. mi ritorna un po’ come punto di triangolazione». Genchi prosegue raccontando di una strana telefonata che arriva al castello nei giorni che precedono la strage. «C’è pure una telefonata, se ricordo bene, mi pare… di Scotto al C.e.r.i.s.d.i. Ovviamente, non so, avrà fatto un corso di eccellenza, perché là preparano manager, non so, avrà avuto le sue ragioni per telefonare». Scotto chi è? C’è un certo Pietro Scotto, dipendente della società di servizi telefonici Elte, che ha un fratello, Gaetano, sospetto mafioso appartenente alla famiglia di Cosa nostra del rione Acquasanta di Palermo. è proprio Gaetano a mettersi in contatto con utenze del C.e.r.i.s.d.i. nei mesi precedenti l’attentato. Una coincidenza? E chi ha messo in atto l’intercettazione dei telefoni dei familiari di Paolo Borsellino residenti in via D’Amelio? Comunque, nonostante Genchi individui da subito tutte queste connessioni, viene trasferito a indagini ancora in corso, e con lui anche La Barbera.

Andiamo ai giorni che precedono l’attentato. Si segnala nella sentenza del processo «la testimonianza di un agente Dia che si era trovato a fare da autista a Borsellino subito dopo l’interrogatorio di Mutolo, lo aveva trovato sconvolto e gli aveva sentito pronunciare nel corso di una conversazione telefonica la frase “Adesso noi abbiamo finito. Adesso la palla passa a voi”. Le telefonate erano dirette verosimilmente al procuratore Vigna e al procuratore Tinebra (procuratore di Caltanissetta, ndr) che aveva appena iniziato a indagare su Capaci». È il primo luglio. Di quella giornata c’è traccia autografa di Paolo Borsellino. Una pagina di un’agenda, grigia. Non parliamo di quella rossa, dalla quale il giudice non si separava mai, e scomparsa sul luogo dell’attentato (nell’agenda rossa Borsellino aveva iniziato a scrivere tutto ciò che accadeva dal giorno di Capaci. Come ha affermato Genchi «qualcuno si è fatto un’assicurazione»). Torniamo all’altra agenda, quella grigia, fortunatamente ancora in mano ai familiari. Vi è riportato l’incontro fra il magistrato e il ministro degli Interni. Il primo luglio è il giorno di insediamento di Nicola Mancino, che però nega di aver avuto un incontro con il magistrato. Tuttavia proprio nei giorni scorsi, l’attuale vicepresidente del Csm ha affermato: «Quel giorno ho stretto tante mani. Non ricordo Borsellino, ma non escludo di poterlo aver incontrato».

Un nuovo spiraglio lo ha aperto Massimo Ciancimino. Racconta che la trattativa, quella che portò poi al famoso “papello” di Totò Riina con le richieste allo Stato da parte di Cosa nostra, non iniziò mesi dopo la strage di via D’Amelio, ma nei primi di giugno, ovvero nel periodo in cui il pm stava scavando sui mandanti ed esecutori dell’omicidio del suo amico e collega Giovanni Falcone avvenuto a maggio. Sempre secondo Ciancimino, protagonisti di questa trattativa sarebbero stati il capo dei Ros dei carabinieri Mario Mori, Vito Ciancimino (e lo stesso Massimo che è colui, per sua stessa ammissione, che ha il primo contatto con l’Arma), Totò Riina dal suo covo da latitante e il medico della mafia, il boss Antonino Cinà. Non solo, Ciancimino racconta che i contatti iniziali con i vertici di Cosa nostra avvenivano attraverso Cinà ma che il “papello”, ovvero le proposte di Riina allo Stato, non fu consegnato a Vito Ciancimino dal medico della mafia, ma da “una persona distinta” il cui nome per ora è coperto da omissis. Un altro colletto bianco? O un soggetto terzo?

Questo elemento crea il sospetto che una delle motivazioni alla base dell’accelerazione dei preparativi (se non della decisione) dell’omicidio Borsellino, sia da cercare nel probabile rifiuto da parte del giudice di accettare la trattativa. Quasi a fare da “sponda” e a mettere in discussione le poche verità emerse dai vari processi sul 19 luglio 1992, è apparso non un nuovo pentito ma un soggetto dichiarante. Che si autoaccusa di essere colui che ha rubato per la mafia la 126 utilizzata poi come autobomba a via d’Amelio. Si tratta di Gaspare Spatuzza, uno dei killer di padre Puglisi, che con le sue dichiarazioni ha rimesso in discussione alcuni dei fondamenti del processo, aprendo di conseguenza la possibilità di una revisione. Anche nelle sue dichiarazioni emerge un “uomo senza nome”. Consegna, infatti, la 126 ad alcuni mafiosi di sua conoscenza ma alla presenza di un altro uomo, sconosciuto, che lui ritiene “estraneo”. Un altro volto invisibile, senza nome, da sommare a quella che comincia a sembrare una folla di anonimi onnipresenti, amnesie, documenti scomparsi, trasferimenti affrettati di investigatori a indagini aperte, archiviazioni, funzionari infedeli, telefoni clonati. Spettatori, protagonisti, comparse, componenti che si sono dati appuntamento alle 16,58 e 20 secondi del 19 luglio 1992.

23 GENNAIO 2009

sander4
17-07-2009, 12:40
Spero si portino a termine queste nuove indagini e si riesca ad accertare finalmente la verità sul coinvolgimento delle istituzioni e sui mandanti politici, anche se qualcuno farà di tutto usando i suoi mezzi per evitarlo e screditare giudici e collaboratori in caso le indagini diventassero "scottanti".

MARCA
17-07-2009, 14:11
CALTANISSETTA - Nessuno conosce il suo nome. Tutti dicono però che ha "una faccia da mostro". è un agente dei servizi di sicurezza. Lo cercano per scoprire cosa c'entra lui e cosa c'entrano altri uomini degli apparati dello Stato nelle stragi e nei delitti eccellenti di Palermo....
Una trama. Una sorta di "strategia della tensione" - questa l'ipotesi dei procuratori di Caltanissetta titolari delle inchieste sulle stragi palermitane - che parte dagli anni precedenti all'estate del 1992 e finisce con i morti dei Georgofili a Firenze e quegli altri di via Palestro a Milano.



insieme al capo della Mobile La Barbera. La sentenza del processo Borsellino bis riporta, testualmente: «Il dr. Genchi ha chiarito che l’ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utevggio era stata formulata come ipotesi di lavoro investigativo che il suo gruppo considerava assai utile per ulteriori sviluppi; essa tuttavia era stata lasciata cadere da chi conduceva le indagini al tempo». ...
Andiamo ai giorni che precedono l’attentato. Si segnala nella sentenza del processo «la testimonianza di un agente Dia che si era trovato a fare da autista a Borsellino subito dopo l’interrogatorio di Mutolo, lo aveva trovato sconvolto e gli aveva sentito pronunciare nel corso di una conversazione telefonica la frase “Adesso noi abbiamo finito. Adesso la palla passa a voi”. Le telefonate erano dirette verosimilmente al procuratore Vigna e al procuratore Tinebra (procuratore di Caltanissetta, ndr) che aveva appena iniziato a indagare su Capaci».


Quindi la procura di Caltanissetta tornerà a indagare sulle indagini che la stessa procura(procuratori differenti)aveva fatto?
Speriamo bene...anche se nutro forti dubbi.

lukeskywalker
18-07-2009, 12:06
e lo sfregiato faccia da mostro? casso, quelli dei servizi mandano uno così riconoscibile? o era mascherato?
come mai esce fuori dopo vent'anni? si sarà plastificato la faccia nel frattempo no?
come al solito tutto tranquillo, nessuno si scompone più di tanto: chi doveva investigare, chi certamente sapeva e non ha parlato, chi sicuramente ha coperto; ministri, giudici, giornalisti, investigatori, politici e personaggi vari: tutti tranquilli eh?
cosa ci si deve aspettare ora da questo stato?

ConteZero
18-07-2009, 12:23
A mano a mano che chi con quelle stragi c'ha avuto a che fare va in pensione, perde potere o muore il "muro" diventa sempre meno spesso.
Alla fine si saprà tutto, ma per allora saranno tutti morti.
E'normale, fra trent'anni sapremo tutti i retroscena e ci faranno anche un film con, fra i titoli di coda, le immagini di repertorio degli ultimi responsabili presi ancora vivi, a novant'anni, condannati da un tribunale (un po'come Priebke).

E'solo un altro segno di come i poteri che hanno retto l'Italia negli anni passati si stanno dissolvendo, in parallelo al disfacimento dell'Italia stessa.

anonimizzato
18-07-2009, 12:25
Ce la stiamo facendo ? Sta davvero uscendo la verità ?

No, temo di no.

Ennesimo fuoco di paglia o tentativo di lasciar trapelare una mezza verità di comodo ed indolore.

Ormai sono pessimista inside per questo paese.

Tensai
18-07-2009, 13:14
Alzi la mano chi pensa che verrà trovato qualcuno.

Ser21
18-07-2009, 15:46
Trovato qualcuno o condannato qualcun'altro no.
Io spero in una verità come il caso moro in cui i 3-4 libri del Sen.Flamigni spiegano alla perfezione chi come quando dove e perchè dell'affair moro...
Se poi uno non vuole crederci,peggio per lui,io intanto so e questo mi basta.