marcello1854
28-05-2009, 14:29
Da "Abbasso i tuareg" di Antonio Pascale
Infine, come la mettiamo nome? Per cambiare il nostro paese, per passare
dalla cura alla manutenzione, per parlare costantemente con i presidi che gestiscono
il futuro dei nostri figli e assicurare a loro una buona sezione, per i
contadini nostrani e quelli indiani, per tutto questo e altro ancora, come la
mettiamo nome?
Sei uno scrittore, no? Dacci un po’ di luce, non limitarti solo a prevedere la
data della prossima apocalisse.
Io proporrei di affidarci alla metodologia scientifica. Insomma un patto sinergico
(non nel senso di agricoltura) tra le due culture, per il bene dell’Italia, e
per costruire il futuro, potremmo scambiarci saperi e metodi.
L’epistemologia infatti si basa su un costante secondo atto.
Compagni, amici, fratelli, italiani, è quello di cui abbiamo bisogno.
Mi rendo conto, il metodo scientifico non è di moda. La moda è dire che la
scienza è venduta al potere. Questo lo dicono in tanti. Trattasi, infatti, di un fenomeno
(tristemente) noto.
Se affrontate un argomento scientifico, ora di moda, ma con declinazioni diverse:
Ogm, nucleare, staminali eccetera, con persone che militano in associazioni
varie, ambientaliste, politiche di sinistra, dovunque vi capita di affrontare l’argomento
– angolo di strada, radio, televisione – potrete ascoltare la seguente affermazione:
nella nostra associazione (ambientalista, politica) militano scienziati
indipendenti che svolgono ricerche indipendenti. È la questione del nostro orto
scissionista che è più bello del vostro. Oppure, siccome voi siete corrotti noi dobbiamo
difenderci dalla corruzione cercando un protettore.
Siccome sono uno scrittore, posso spingermi a dire che dichiarazioni siffatte
vanno catalogate sotto la voce: affermazione retorica o ricattatoria.
Il tuo interlocutore, cioè, vuole estorcerti un’emozione. Non intende guadagnarsi
la tua attenzione con l’analisi ma, al contrario, ti spinge subito in un angolo
dichiarando che (lui) sta dalla parte giusta del mondo perché (i suoi) scienziati
sono, appunto, indipendenti.
Capite bene che un’affermazione siffatta contiene un sottotesto nemmeno
tanto velato: siccome le risorse sono limitate, se noi deteniamo gli scienziati indipendenti,
voi vi beccate gli scienziati non indipendenti.
Dunque, tanto per chiarire (ancora un sottotesto), vi beccate quegli scienziati
che sono al servizio delle multinazionali, finanziati con soldi sporchi che mascherano
la verità eccetera. In teatro o in narrativa quelli che vi ricattano emotivamente
sono considerati o mestieranti o persone (artisticamente) disoneste.
Agli angoli delle strade, in televisione o in radio, però, espressioni ricattatorie
come quella di sopra sono una costante: fidatevi di noi, votateci, finanziateci,
perché la nostra ricerca è indipendente.
Quello che preoccupa non è tanto il singolo ricatto emotivo ma che queste affermazioni,
ripetute sui media e ripetute in un paese come l’Italia, storicamente
sensibile al fascismo e quindi alle affermazioni totalitarie (e false), queste affermazioni,
dicevo, formano un immaginario poi difficile da smontare.
Ogni volta bisogna, con pazienza certosina, spiegare al tuo interlocutore che
il metodo scientifico ha il dovere di scartare le dichiarazioni retoriche ad effetto.
Ma mentre spieghi l’abc epistemologico, il tuo interlocutore è già avanti pronto
a ricattarti con un’altra affermazione retorica. Non si finisce mai.
In realtà le discipline scientifiche si basano su un ottimo metodo. Questo metodo
si fonda su tre importanti step: il lavoro viene pubblicato su una prestigiosa
e accreditata rivista; viene poi discusso, cioè esaminato punto per punto e pubblicamente
da gruppi di scienziati che impegnano tutte le loro energie e il loro
sapere per trovare eventuali punti deboli e dunque scartare il lavoro o decidere
di proseguire; vengono eseguiti esperimenti in vari laboratori e questi esperimenti
per essere considerati validi devono per forza riprodurre i risultati ottenuti dalla
teoria di partenza.
Questo metodo dunque valida una teoria solo dopo un travagliato esame e
un’accurata ricerca della prova. È un metodo democratico, nel senso più umile
del termine, per riuscire nel suo intento gli scienziati devono redigere un inventario,
quello che regge all’onere della prova e quello che invece non funziona.
Insomma, nella comunità scientifica io non posso dire: siccome sono indipendente
ho visto l’unicorno, fidatevi e finanziatemi. Devo non solo dimostrare la
presenza dell’unicorno, ma affidare i miei dati a una comunità di esaminatori, i
quali, a prescindere dalle mie nobili dichiarazioni di indipendenza, li dovranno
analizzare punto per punto, e poi, attraverso esperimenti ripetuti in vari laboratori,
riprodurre il mio unicorno.
Il grande pubblico generalista a digiuno di metodo scientifico e, a ragione,
annoiato dalle procedure di validazione, spesso finisce per accontentarsi della
prima notizia, specie se è sostenuta da un forte tasso di retorica.
Il più delle volte le notizie che finiscono sui media e che tanto allarmano o indignano
riguardano lavori che sono ancora nella fase preliminare. In sostanza,
ci si può spingere ad affermare che la scienza è contro le singoli opinioni, ossia
chiede con insistenza la verifica (pubblica e democratica) di quanto affermato
Si capisce che in un regime d’opinioni diffuse e perdipiù sostenute con escamotage
ricattatori, dove vince chi la dice più grossa (accusando gli altri di malafede)
il metodo scientifico dovrebbe non solo diffondersi a partire dalle scuole elementari
(così si può ancora migliorare), non solo dovrebbe indagare sulle teorie
che i piccoli orti diffondono, ma fungere da bussola orientativa, soprattutto in un
paese come l’Italia, sempre così in bilico tra interesse privato e pubblica credulità.
Sogno a occhi aperti
Sogno anche io. Romanticamente. Sogno che il tempo migliori e la mia meteopatia
si spenga, che Mercalli parli solo delle previsioni del tempo e lasci perdere
il nucleare, che i napoletani, i casertani, comincino a fare a botte con quelli che
gli dicono: sembri proprio un tuareg, che Fazio e Dandini invitino in trasmissione
un genetista di fama o il direttore dell’Ifpri, che il Grande Fratello diventi ancora
più importante perché in fondo è una trasmissione utile a selezionare quelli
che sanno fare qualcosa da quelli che non sanno fare niente, questi ultimi infatti
scelgono il Grande Fratello ed è un bene. Se facessero gli avvocati, gli architetti, i
medici lo farebbero male e a me non va di dover combattere con la preside per
iscrivere mio figlio in una buona sezione e poi scoprire che il professore ha chiesto
l’aspettativa per soddisfare la sua giusta esigenza di creatività. Quindi è meglio
che lo si sappia subito. Uno, dieci, cento Grandi Fratelli.
Sogno però che la ricerca pubblica sia finanziata, che nessun politico dica:
quando sento la parola cultura metto mano alla pistola, così che agronomi, genetisti,
biologi, astronomi, ingegneri nucleari, insomma tutti quelli che hanno rinunciato
al Grande Fratello, possano avere tempo e modo di sperimentare tutto
ciò che il futuro annuncia come possibile, basandosi esclusivamente sulle loro
passioni. E sono sicuro che, spronati a dovere, inventeranno nuove molecole chimiche
o reattori nucleari di quarta generazione capaci di distruggere gli insetti e
di fornirci energia senza contaminare l’ambiente – perché il mondo lo si salva
anche attraverso il buon uso della chimica e dell’energia – o vaglieranno la capacità
di alcune piante di produrre seme in assenza di polline (apomittica), così da
sganciare i contadini, e non solo quelli indiani, dall’industria sementiera e nello
stesso tempo migliorare la produzione. E sogno che un politico dichiari coraggiosamente:
qui le chiacchiere stanno a zero, valgono più i dettagliati bilanci
costi/benefici. E ancora, sogno un paese che sappia affrontare il suo secondo atto
ogni volta con coraggio e per farlo faccia uso di tutta la cultura disponibile, senza
steccati, senza limiti parrocchiali da difendere. E alla fine questo paese giunga,
stremato, ma non importa, al terzo atto, proponendoci a sorpresa una dichiarazione
di limite e non di potenza.
Un paese che abbia il coraggio di dire: era una buona idea ma siamo stati
troppo arroganti nel proporla o forse siamo diventati troppo vecchi per portarla
avanti, abbiamo fatto degli sbagli ma non sappiamo quali, allora, un paese così
di sicuro vedrà arrivare al suo cospetto nuove menti, chimici, agronomi, ingegneri,
letterati, artisti, pronti a prendere il testimone della buona idea e a lavorare affinché
non finisca in cattive mani o venga risucchiato nel buco nero del passato.
Infine, come la mettiamo nome? Per cambiare il nostro paese, per passare
dalla cura alla manutenzione, per parlare costantemente con i presidi che gestiscono
il futuro dei nostri figli e assicurare a loro una buona sezione, per i
contadini nostrani e quelli indiani, per tutto questo e altro ancora, come la
mettiamo nome?
Sei uno scrittore, no? Dacci un po’ di luce, non limitarti solo a prevedere la
data della prossima apocalisse.
Io proporrei di affidarci alla metodologia scientifica. Insomma un patto sinergico
(non nel senso di agricoltura) tra le due culture, per il bene dell’Italia, e
per costruire il futuro, potremmo scambiarci saperi e metodi.
L’epistemologia infatti si basa su un costante secondo atto.
Compagni, amici, fratelli, italiani, è quello di cui abbiamo bisogno.
Mi rendo conto, il metodo scientifico non è di moda. La moda è dire che la
scienza è venduta al potere. Questo lo dicono in tanti. Trattasi, infatti, di un fenomeno
(tristemente) noto.
Se affrontate un argomento scientifico, ora di moda, ma con declinazioni diverse:
Ogm, nucleare, staminali eccetera, con persone che militano in associazioni
varie, ambientaliste, politiche di sinistra, dovunque vi capita di affrontare l’argomento
– angolo di strada, radio, televisione – potrete ascoltare la seguente affermazione:
nella nostra associazione (ambientalista, politica) militano scienziati
indipendenti che svolgono ricerche indipendenti. È la questione del nostro orto
scissionista che è più bello del vostro. Oppure, siccome voi siete corrotti noi dobbiamo
difenderci dalla corruzione cercando un protettore.
Siccome sono uno scrittore, posso spingermi a dire che dichiarazioni siffatte
vanno catalogate sotto la voce: affermazione retorica o ricattatoria.
Il tuo interlocutore, cioè, vuole estorcerti un’emozione. Non intende guadagnarsi
la tua attenzione con l’analisi ma, al contrario, ti spinge subito in un angolo
dichiarando che (lui) sta dalla parte giusta del mondo perché (i suoi) scienziati
sono, appunto, indipendenti.
Capite bene che un’affermazione siffatta contiene un sottotesto nemmeno
tanto velato: siccome le risorse sono limitate, se noi deteniamo gli scienziati indipendenti,
voi vi beccate gli scienziati non indipendenti.
Dunque, tanto per chiarire (ancora un sottotesto), vi beccate quegli scienziati
che sono al servizio delle multinazionali, finanziati con soldi sporchi che mascherano
la verità eccetera. In teatro o in narrativa quelli che vi ricattano emotivamente
sono considerati o mestieranti o persone (artisticamente) disoneste.
Agli angoli delle strade, in televisione o in radio, però, espressioni ricattatorie
come quella di sopra sono una costante: fidatevi di noi, votateci, finanziateci,
perché la nostra ricerca è indipendente.
Quello che preoccupa non è tanto il singolo ricatto emotivo ma che queste affermazioni,
ripetute sui media e ripetute in un paese come l’Italia, storicamente
sensibile al fascismo e quindi alle affermazioni totalitarie (e false), queste affermazioni,
dicevo, formano un immaginario poi difficile da smontare.
Ogni volta bisogna, con pazienza certosina, spiegare al tuo interlocutore che
il metodo scientifico ha il dovere di scartare le dichiarazioni retoriche ad effetto.
Ma mentre spieghi l’abc epistemologico, il tuo interlocutore è già avanti pronto
a ricattarti con un’altra affermazione retorica. Non si finisce mai.
In realtà le discipline scientifiche si basano su un ottimo metodo. Questo metodo
si fonda su tre importanti step: il lavoro viene pubblicato su una prestigiosa
e accreditata rivista; viene poi discusso, cioè esaminato punto per punto e pubblicamente
da gruppi di scienziati che impegnano tutte le loro energie e il loro
sapere per trovare eventuali punti deboli e dunque scartare il lavoro o decidere
di proseguire; vengono eseguiti esperimenti in vari laboratori e questi esperimenti
per essere considerati validi devono per forza riprodurre i risultati ottenuti dalla
teoria di partenza.
Questo metodo dunque valida una teoria solo dopo un travagliato esame e
un’accurata ricerca della prova. È un metodo democratico, nel senso più umile
del termine, per riuscire nel suo intento gli scienziati devono redigere un inventario,
quello che regge all’onere della prova e quello che invece non funziona.
Insomma, nella comunità scientifica io non posso dire: siccome sono indipendente
ho visto l’unicorno, fidatevi e finanziatemi. Devo non solo dimostrare la
presenza dell’unicorno, ma affidare i miei dati a una comunità di esaminatori, i
quali, a prescindere dalle mie nobili dichiarazioni di indipendenza, li dovranno
analizzare punto per punto, e poi, attraverso esperimenti ripetuti in vari laboratori,
riprodurre il mio unicorno.
Il grande pubblico generalista a digiuno di metodo scientifico e, a ragione,
annoiato dalle procedure di validazione, spesso finisce per accontentarsi della
prima notizia, specie se è sostenuta da un forte tasso di retorica.
Il più delle volte le notizie che finiscono sui media e che tanto allarmano o indignano
riguardano lavori che sono ancora nella fase preliminare. In sostanza,
ci si può spingere ad affermare che la scienza è contro le singoli opinioni, ossia
chiede con insistenza la verifica (pubblica e democratica) di quanto affermato
Si capisce che in un regime d’opinioni diffuse e perdipiù sostenute con escamotage
ricattatori, dove vince chi la dice più grossa (accusando gli altri di malafede)
il metodo scientifico dovrebbe non solo diffondersi a partire dalle scuole elementari
(così si può ancora migliorare), non solo dovrebbe indagare sulle teorie
che i piccoli orti diffondono, ma fungere da bussola orientativa, soprattutto in un
paese come l’Italia, sempre così in bilico tra interesse privato e pubblica credulità.
Sogno a occhi aperti
Sogno anche io. Romanticamente. Sogno che il tempo migliori e la mia meteopatia
si spenga, che Mercalli parli solo delle previsioni del tempo e lasci perdere
il nucleare, che i napoletani, i casertani, comincino a fare a botte con quelli che
gli dicono: sembri proprio un tuareg, che Fazio e Dandini invitino in trasmissione
un genetista di fama o il direttore dell’Ifpri, che il Grande Fratello diventi ancora
più importante perché in fondo è una trasmissione utile a selezionare quelli
che sanno fare qualcosa da quelli che non sanno fare niente, questi ultimi infatti
scelgono il Grande Fratello ed è un bene. Se facessero gli avvocati, gli architetti, i
medici lo farebbero male e a me non va di dover combattere con la preside per
iscrivere mio figlio in una buona sezione e poi scoprire che il professore ha chiesto
l’aspettativa per soddisfare la sua giusta esigenza di creatività. Quindi è meglio
che lo si sappia subito. Uno, dieci, cento Grandi Fratelli.
Sogno però che la ricerca pubblica sia finanziata, che nessun politico dica:
quando sento la parola cultura metto mano alla pistola, così che agronomi, genetisti,
biologi, astronomi, ingegneri nucleari, insomma tutti quelli che hanno rinunciato
al Grande Fratello, possano avere tempo e modo di sperimentare tutto
ciò che il futuro annuncia come possibile, basandosi esclusivamente sulle loro
passioni. E sono sicuro che, spronati a dovere, inventeranno nuove molecole chimiche
o reattori nucleari di quarta generazione capaci di distruggere gli insetti e
di fornirci energia senza contaminare l’ambiente – perché il mondo lo si salva
anche attraverso il buon uso della chimica e dell’energia – o vaglieranno la capacità
di alcune piante di produrre seme in assenza di polline (apomittica), così da
sganciare i contadini, e non solo quelli indiani, dall’industria sementiera e nello
stesso tempo migliorare la produzione. E sogno che un politico dichiari coraggiosamente:
qui le chiacchiere stanno a zero, valgono più i dettagliati bilanci
costi/benefici. E ancora, sogno un paese che sappia affrontare il suo secondo atto
ogni volta con coraggio e per farlo faccia uso di tutta la cultura disponibile, senza
steccati, senza limiti parrocchiali da difendere. E alla fine questo paese giunga,
stremato, ma non importa, al terzo atto, proponendoci a sorpresa una dichiarazione
di limite e non di potenza.
Un paese che abbia il coraggio di dire: era una buona idea ma siamo stati
troppo arroganti nel proporla o forse siamo diventati troppo vecchi per portarla
avanti, abbiamo fatto degli sbagli ma non sappiamo quali, allora, un paese così
di sicuro vedrà arrivare al suo cospetto nuove menti, chimici, agronomi, ingegneri,
letterati, artisti, pronti a prendere il testimone della buona idea e a lavorare affinché
non finisca in cattive mani o venga risucchiato nel buco nero del passato.