indelebile
11-01-2009, 17:35
IL PROCESSO NASCOSTO
Da mesi a Palermo è in corso un processo esplosivo di cui nessuno parla. Uno degli imputati è il
generaleMori, ex capo del Ros, oggi responsabile della sicurezza a Roma, accusato di aver favorito
la fuga di Provenzano. Ma sullo sfondo c’è la morte del pentito che parlò di Dell’Utri e Cosa Nostra
Tutte le anomalie di cui sono stato
testimone mi hanno fatto capire
che Provenzanonon volevano
catturarlo perché aveva un
compito ben preciso». A parlare
è un ufficiale dei Carabinieri in
pensione, il colonnello Michele
Riccio. Il particolare è stato rivelato
ieri nel corso di un processo che dal luglio
scorso si svolge a Palermo: unprocesso importante
di cui poco o nulla è stato finora detto.Un «processo
nascosto». Proviamo a capire perché.
Sul banco degli imputati siedono due pezzi da
novanta delle forze dell'ordine: il generaleMario
Mori e il colonnelloMauroObinu. Il primo, ex-capo
del Ros dei carabinieri e del Sisde, oggi dirige
l'ufficio sicurezza del comune di Roma. Il secondo,
anche lui del Ros, è un ufficiale di grande
esperienza, molto noto negli ambienti dell'Arma.
La procura di Palermo li accusa di un reato infamante:
favoreggiamento dell'ex primula rossa di
Cosa Nostra Bernardo Provenzano. Secondo la
Procura, Mori eObinu avrebbero omesso di catturarlo
benché fossero stati informati dal colonnello
Riccio della sua presenza a un summit che si
tenne il 31 ottobre del 1995 in località Mezzojuso,
trenta chilometri a sud di Palermo.
La notizia era stata data al colonnello Riccio -
che è il principale testimone dell’accusa - da Luigi
Ilardo, un uomo d'onore della famiglia nissena
deiMadonia che all’inizio del 1994 aveva deciso
di collaborare con la giustizia ed era diventato un
infiltrato «sotto copertura». Agiva, cioè, per conto
dello Stato. Il colonnello aveva subito riferito
l'informazione aMori il quale - è questa una delle
più gravi accuse specifiche contro l'ex capo del
Ros - «non mi permise di usare un segnalatore da
mettere addosso a Ilardo in modo tale da scoprire
dove si teneva il summit e arrestare Provenzano
».
Questi i fatti di cui si discute nel «processo nascosto
». Fatti gravissimi che costituiscono un capitolo
della storia mai chiarita del cosiddetto «papello
», la trattativa tra Stato e Cosa Nostra. È infatti
a quella trattativa che Riccio allude quando
parla del «compito ben preciso» di Provenzano.
Ma i temi più scabrosi sono altri ancora. Ed è là
che probabilmente va cercata la causa dell’occultamento
mediatico di questo processo: i rapporti
tra Cosa Nostra e Marcello Dell’Utri, senatore di
Forza Italia, uno dei più stretti collaboratori del
presidente del Consiglio.
Ilardo ne parlò poco dopo l'avvio della sua collaborazione
- cominciata nel gennaio del 1994
sotto il nome di copertura “Oriente” -ma, sostiene
Riccio, questa categoria di confidenze fu subito
messa da parte. Accantonata. E fuMarioMori,
all’epoca colonnello, a chiederlo. Di certo, il 10
maggio del 1996, alla vigilia del suo ingresso nel
programma di protezione, Luigi Ilardo fu assassinato.
Un colpo micidiale per la lotta contro Cosa
Nostra. L’infiltrato aveva già dato ampia prova di
essere affidabile. I suoi racconti avevano tra l'altro
permesso la decapitazione dei vertici mafiosi
delle province di Catania, Caltanissetta e Agrigento.
Inoltre aveva fotografato in diretta l'organigramma
di Cosa nostra dopo l'arresto di Riina,
permettendo l'individuazione dei favoreggiatori
della latitanza di Provenzano. Aveva persino iniziato
a scambiare con lui alcune lettere, i famosi
pizzini. È stato infatti Ilardo il primo a
parlare dell'efficientemezzo di comunicazione
del padrino.Per il colonnello Riccio la morte
del "suo" infiltrato fu la conferma definitiva
che Cosa Nostra aveva la possibilità di conoscere
le mosse degli investigatori. Doveva
esserci stata una fuga di notizie dall'interno.
Solo una decina di persone sapevano di Ilardo.
Queste considerazioni si sommarono al
disappunto per il mancato arresto di Provenzano.
Riccio decise di informare la magistratura
Scrisse un rapporto che venne inviato alle procure
di Palermo, Catania,Caltanissetta eMessina.
Le indagini non furono sviluppate. Non accadde
nulla. Anzi qualcosa di importante successe.
Ma allo stesso colonnello Riccio.
Il 7 giugno 1997 fu arrestato assieme ai suoi
più stretti collaboratori per una brutta storia di
droga. La procura di Genova lo accusò di aver
gestito illegalmente alcune infiltrazioni nei cartelli
del narcotraffico. Una strana storia: per alcune
di quelle operazioni Riccio era stato insignito
della medaglia al valore dellaDEAamericana
e aveva ricevuto ben tre encomi.
Tornato in libertà, Riccio riprese, ancora con
maggior convinzione e rabbiadi prima, a segnalare
le confidenze ricevute da Ilardo. Nel 1998 i
giudici di Firenze lo sentirono a proposito delle
stragi del '93 e della trattativa intercorsa nel
1992 tra Vito Ciancimino e Mario Mori. Poco
dopo, la Procura di Catania mise nero su bianco
i suoi dubbi sul generaleMori e sull'operato
dei Ros. Quindi Riccio fu chiamato a testimoniare
al processo Dell'Utri. In quell'occasione,
per la prima volta parlò in pubblico di tentativi
volti a tenere fuori i politici dalle inchieste: «L'
avvocato Taormina mi chiese di affermare che
Ilardo non aveva mai fatto il nome di Dell'Utri
come persona vicina alla mafia». Respinse l’invitoma,
sostiene, ricevette altre pesanti pressioni.
Il 31 ottobre del 2001 ripetè i suoi racconti
alla procura di Palermo. Il generale Mori reagì
con una denuncia per calunnia. I giudici, però,
credettero alla versione del colonnello e il 14
aprile ottennero il rinvio a giudizio per Mori e
Obinu. Siamo a oggi. Al processo nascosto.❖
Il generaleMorimi disse di non citare nelmio
rapporto i nomi di tutti i politici, tra questi
c’era anche Marcello Dell'Utri: una persona
importante, molto vicina ai nostri ambienti.
Se lo metto, pensai, succede il finimondo». È
questa una delle dichiarazioni più pesanti fatte ieri
davanti al tribunale di Palermo dal colonnello
Michele Riccio, l'uomo che riuscì a infiltrare nel
cuore di Cosa Nostra il mafioso Luigi Ilardo.
Pur senza ancora nominare Dell’Utri, Riccio aveva
cominciato a rivelare le parti più scabrose delle
confidenze di Ilardo fin dal 1996. «Tutti gli appartenenti
alle varie organizzazioni mafiose nel territorio
nazionale - scrisse in un rapporto - avrebbero
dovuto votare Forza Italia. I vertici palermitani
avevano stabilito un contatto con un esponente
insospettabile di alto livello appartenente all'entourage
di Berlusconi. In cambio Cosa Nostra si
aspettava leggi a favore degli inquisiti e coperture
per gli interessi economici».
Chi era quel politico vicino a Berlusconi? Riccio
qualche sospetto lo ebbe subito. Infatti, ha spiegato,
chiese esplicitamente a Ilardo se si trattasse
di Dell’Utri. La risposta fu: «Ma se lei le cose le sa,
cheme le chiede a fare?». Non lomise per iscritto,
e non solo per le pressioni dei superiori. Glielo
chiese in modo esplicito l’infiltrato: «Ilardo - ha
spiegato in aula - voleva fare le sue dichiarazioni a
proposito dei politici direttamente ai giudici. Ufficialmente non era ancora un pentito e temeva
che, se avesse fatto qualche nome pesante, avrebbe
potuto rischiare la vita a causa di talpe istituzionali
». Cosa che puntualmente accadde: il 10maggio
1996, a Catania, due killer mai identificati lo
uccisero. Così, nel processo in corso, è stato a Riccio
a parlare delmondo politico. Estendendo il discorso
ai rapporti dello stesso suo ex superiore:
«In un'occasione - ha testimoniato - vidi un piatto
d'argento eMorimi disse che gli era stato regalato
da Cesare Previti«.
Ma, tra i fatti nuovi emersi nel processo, quello
forse più imbarazzante per il generaleMori è connesso
ai rapporti di suo fratello col gruppo Fininvest.
Una storia vecchia e complicata. Era emersa
per la prima volta nel corso delle indagini sui cosiddetti
"mandanti esterni" delle stragi mafiose, procedimento
poi archiviato nel quale erano indagati
Berlusconi eDell'Utri. In uno dei rapporti effettuati
nel corso delle indagini, laDirezione investigativa
antimafia parlava di un’azienda, la “CO.GE
Spa”, della quale erano titolari due imprenditori
coinvolti in affari di mafia,Filippo Salamone eGiovanni
Miccichè. La stessa azienda, sottolineava ancora
il rapporto della Dia, all’inizio degli anni Novanta
era controllata dalla “Paolo Berlusconi Finanziaria
Spa” e, tra i soci, c’era tale GiorgioMori.
Chi era costui?
Mori ha sempre smentito che fosse suo parente.
L’ha fatto sulla base di argomento in apparenza
inoppugnabile: suo fratello si chiama Alberto e
non Giorgio. Circostanza, questa, che sembrava
aver chiuso definitivamente la questione. Invece,
nel processo in corso, il colonnello Riccio l’ha clamorosamente
riaperta. Ha detto infatti di aver
saputo da una fonte autorevolissima (Giancarlo
Foscale, prima amministratore delegato della
Standa, poi vicepresidente della Fininvest) che il
fratello di MarioMori lavorava per l’azienda leader
del gruppo Berlusconi.Non più un problema
di nomi, dunque, ma un fatto sostanziale. Solo
ieri il generale Mori ha ammesso che in effetti
suo fratello Alberto, dunquequello vero, ha lavorato
per la Fininvest, anche se solo fino al 1991.
Sel’avesse dettospontaneamente, la questione
si sarebbe chiarita subito per quello che,
con tutta probabilità è: un errore materiale sul
nome. Il fatto è che il generaleMori vuole tenere
l’ambiente berlusconiano, e in particolare Dell’Utri,
il più lontano possibile dalla sua persona.
Era lui il capo del Sisde quando, nel 2002, il servizio
segreto civile diffuse un rapporto che, a sorpresa,
collocava dell’Utri e Previti tra le potenziali
vittime di Cosa Nostra: questo perché, «al di là
dell'effettivo coinvolgimento in affari di mafia» i
due eranopercepiticome“mascariati”, cioè compromessi,
e quindi nondifendibili presso l'opinione
pubblica.
Unatestimonianza pesantissima. La descrizione
dell’unico incontro tra Ilardo e il generaleMori
fa rabbrividire. Secondo il colonnello Riccio, il
mafioso infiltrato disse al capo delRos dei carabinieri
queste parole: «Certe cose che avvengono
in Sicilia non sono Cosa Nostra ma sono poste in
essere dalle istituzioni e voi lo sapete». Adesso
quella frase, che Mori smentisce di aver mai sentito,
è sotto la lente d'ingrandimento della magistratura.
Ilardo non può più spiegarla. Ma forse
aveva ragione Provenzano quando in un pizzino
scriveva «Ci sono uomini che fanno più danno da
morti che da vivi».❖
unità 10/01/09
Da mesi a Palermo è in corso un processo esplosivo di cui nessuno parla. Uno degli imputati è il
generaleMori, ex capo del Ros, oggi responsabile della sicurezza a Roma, accusato di aver favorito
la fuga di Provenzano. Ma sullo sfondo c’è la morte del pentito che parlò di Dell’Utri e Cosa Nostra
Tutte le anomalie di cui sono stato
testimone mi hanno fatto capire
che Provenzanonon volevano
catturarlo perché aveva un
compito ben preciso». A parlare
è un ufficiale dei Carabinieri in
pensione, il colonnello Michele
Riccio. Il particolare è stato rivelato
ieri nel corso di un processo che dal luglio
scorso si svolge a Palermo: unprocesso importante
di cui poco o nulla è stato finora detto.Un «processo
nascosto». Proviamo a capire perché.
Sul banco degli imputati siedono due pezzi da
novanta delle forze dell'ordine: il generaleMario
Mori e il colonnelloMauroObinu. Il primo, ex-capo
del Ros dei carabinieri e del Sisde, oggi dirige
l'ufficio sicurezza del comune di Roma. Il secondo,
anche lui del Ros, è un ufficiale di grande
esperienza, molto noto negli ambienti dell'Arma.
La procura di Palermo li accusa di un reato infamante:
favoreggiamento dell'ex primula rossa di
Cosa Nostra Bernardo Provenzano. Secondo la
Procura, Mori eObinu avrebbero omesso di catturarlo
benché fossero stati informati dal colonnello
Riccio della sua presenza a un summit che si
tenne il 31 ottobre del 1995 in località Mezzojuso,
trenta chilometri a sud di Palermo.
La notizia era stata data al colonnello Riccio -
che è il principale testimone dell’accusa - da Luigi
Ilardo, un uomo d'onore della famiglia nissena
deiMadonia che all’inizio del 1994 aveva deciso
di collaborare con la giustizia ed era diventato un
infiltrato «sotto copertura». Agiva, cioè, per conto
dello Stato. Il colonnello aveva subito riferito
l'informazione aMori il quale - è questa una delle
più gravi accuse specifiche contro l'ex capo del
Ros - «non mi permise di usare un segnalatore da
mettere addosso a Ilardo in modo tale da scoprire
dove si teneva il summit e arrestare Provenzano
».
Questi i fatti di cui si discute nel «processo nascosto
». Fatti gravissimi che costituiscono un capitolo
della storia mai chiarita del cosiddetto «papello
», la trattativa tra Stato e Cosa Nostra. È infatti
a quella trattativa che Riccio allude quando
parla del «compito ben preciso» di Provenzano.
Ma i temi più scabrosi sono altri ancora. Ed è là
che probabilmente va cercata la causa dell’occultamento
mediatico di questo processo: i rapporti
tra Cosa Nostra e Marcello Dell’Utri, senatore di
Forza Italia, uno dei più stretti collaboratori del
presidente del Consiglio.
Ilardo ne parlò poco dopo l'avvio della sua collaborazione
- cominciata nel gennaio del 1994
sotto il nome di copertura “Oriente” -ma, sostiene
Riccio, questa categoria di confidenze fu subito
messa da parte. Accantonata. E fuMarioMori,
all’epoca colonnello, a chiederlo. Di certo, il 10
maggio del 1996, alla vigilia del suo ingresso nel
programma di protezione, Luigi Ilardo fu assassinato.
Un colpo micidiale per la lotta contro Cosa
Nostra. L’infiltrato aveva già dato ampia prova di
essere affidabile. I suoi racconti avevano tra l'altro
permesso la decapitazione dei vertici mafiosi
delle province di Catania, Caltanissetta e Agrigento.
Inoltre aveva fotografato in diretta l'organigramma
di Cosa nostra dopo l'arresto di Riina,
permettendo l'individuazione dei favoreggiatori
della latitanza di Provenzano. Aveva persino iniziato
a scambiare con lui alcune lettere, i famosi
pizzini. È stato infatti Ilardo il primo a
parlare dell'efficientemezzo di comunicazione
del padrino.Per il colonnello Riccio la morte
del "suo" infiltrato fu la conferma definitiva
che Cosa Nostra aveva la possibilità di conoscere
le mosse degli investigatori. Doveva
esserci stata una fuga di notizie dall'interno.
Solo una decina di persone sapevano di Ilardo.
Queste considerazioni si sommarono al
disappunto per il mancato arresto di Provenzano.
Riccio decise di informare la magistratura
Scrisse un rapporto che venne inviato alle procure
di Palermo, Catania,Caltanissetta eMessina.
Le indagini non furono sviluppate. Non accadde
nulla. Anzi qualcosa di importante successe.
Ma allo stesso colonnello Riccio.
Il 7 giugno 1997 fu arrestato assieme ai suoi
più stretti collaboratori per una brutta storia di
droga. La procura di Genova lo accusò di aver
gestito illegalmente alcune infiltrazioni nei cartelli
del narcotraffico. Una strana storia: per alcune
di quelle operazioni Riccio era stato insignito
della medaglia al valore dellaDEAamericana
e aveva ricevuto ben tre encomi.
Tornato in libertà, Riccio riprese, ancora con
maggior convinzione e rabbiadi prima, a segnalare
le confidenze ricevute da Ilardo. Nel 1998 i
giudici di Firenze lo sentirono a proposito delle
stragi del '93 e della trattativa intercorsa nel
1992 tra Vito Ciancimino e Mario Mori. Poco
dopo, la Procura di Catania mise nero su bianco
i suoi dubbi sul generaleMori e sull'operato
dei Ros. Quindi Riccio fu chiamato a testimoniare
al processo Dell'Utri. In quell'occasione,
per la prima volta parlò in pubblico di tentativi
volti a tenere fuori i politici dalle inchieste: «L'
avvocato Taormina mi chiese di affermare che
Ilardo non aveva mai fatto il nome di Dell'Utri
come persona vicina alla mafia». Respinse l’invitoma,
sostiene, ricevette altre pesanti pressioni.
Il 31 ottobre del 2001 ripetè i suoi racconti
alla procura di Palermo. Il generale Mori reagì
con una denuncia per calunnia. I giudici, però,
credettero alla versione del colonnello e il 14
aprile ottennero il rinvio a giudizio per Mori e
Obinu. Siamo a oggi. Al processo nascosto.❖
Il generaleMorimi disse di non citare nelmio
rapporto i nomi di tutti i politici, tra questi
c’era anche Marcello Dell'Utri: una persona
importante, molto vicina ai nostri ambienti.
Se lo metto, pensai, succede il finimondo». È
questa una delle dichiarazioni più pesanti fatte ieri
davanti al tribunale di Palermo dal colonnello
Michele Riccio, l'uomo che riuscì a infiltrare nel
cuore di Cosa Nostra il mafioso Luigi Ilardo.
Pur senza ancora nominare Dell’Utri, Riccio aveva
cominciato a rivelare le parti più scabrose delle
confidenze di Ilardo fin dal 1996. «Tutti gli appartenenti
alle varie organizzazioni mafiose nel territorio
nazionale - scrisse in un rapporto - avrebbero
dovuto votare Forza Italia. I vertici palermitani
avevano stabilito un contatto con un esponente
insospettabile di alto livello appartenente all'entourage
di Berlusconi. In cambio Cosa Nostra si
aspettava leggi a favore degli inquisiti e coperture
per gli interessi economici».
Chi era quel politico vicino a Berlusconi? Riccio
qualche sospetto lo ebbe subito. Infatti, ha spiegato,
chiese esplicitamente a Ilardo se si trattasse
di Dell’Utri. La risposta fu: «Ma se lei le cose le sa,
cheme le chiede a fare?». Non lomise per iscritto,
e non solo per le pressioni dei superiori. Glielo
chiese in modo esplicito l’infiltrato: «Ilardo - ha
spiegato in aula - voleva fare le sue dichiarazioni a
proposito dei politici direttamente ai giudici. Ufficialmente non era ancora un pentito e temeva
che, se avesse fatto qualche nome pesante, avrebbe
potuto rischiare la vita a causa di talpe istituzionali
». Cosa che puntualmente accadde: il 10maggio
1996, a Catania, due killer mai identificati lo
uccisero. Così, nel processo in corso, è stato a Riccio
a parlare delmondo politico. Estendendo il discorso
ai rapporti dello stesso suo ex superiore:
«In un'occasione - ha testimoniato - vidi un piatto
d'argento eMorimi disse che gli era stato regalato
da Cesare Previti«.
Ma, tra i fatti nuovi emersi nel processo, quello
forse più imbarazzante per il generaleMori è connesso
ai rapporti di suo fratello col gruppo Fininvest.
Una storia vecchia e complicata. Era emersa
per la prima volta nel corso delle indagini sui cosiddetti
"mandanti esterni" delle stragi mafiose, procedimento
poi archiviato nel quale erano indagati
Berlusconi eDell'Utri. In uno dei rapporti effettuati
nel corso delle indagini, laDirezione investigativa
antimafia parlava di un’azienda, la “CO.GE
Spa”, della quale erano titolari due imprenditori
coinvolti in affari di mafia,Filippo Salamone eGiovanni
Miccichè. La stessa azienda, sottolineava ancora
il rapporto della Dia, all’inizio degli anni Novanta
era controllata dalla “Paolo Berlusconi Finanziaria
Spa” e, tra i soci, c’era tale GiorgioMori.
Chi era costui?
Mori ha sempre smentito che fosse suo parente.
L’ha fatto sulla base di argomento in apparenza
inoppugnabile: suo fratello si chiama Alberto e
non Giorgio. Circostanza, questa, che sembrava
aver chiuso definitivamente la questione. Invece,
nel processo in corso, il colonnello Riccio l’ha clamorosamente
riaperta. Ha detto infatti di aver
saputo da una fonte autorevolissima (Giancarlo
Foscale, prima amministratore delegato della
Standa, poi vicepresidente della Fininvest) che il
fratello di MarioMori lavorava per l’azienda leader
del gruppo Berlusconi.Non più un problema
di nomi, dunque, ma un fatto sostanziale. Solo
ieri il generale Mori ha ammesso che in effetti
suo fratello Alberto, dunquequello vero, ha lavorato
per la Fininvest, anche se solo fino al 1991.
Sel’avesse dettospontaneamente, la questione
si sarebbe chiarita subito per quello che,
con tutta probabilità è: un errore materiale sul
nome. Il fatto è che il generaleMori vuole tenere
l’ambiente berlusconiano, e in particolare Dell’Utri,
il più lontano possibile dalla sua persona.
Era lui il capo del Sisde quando, nel 2002, il servizio
segreto civile diffuse un rapporto che, a sorpresa,
collocava dell’Utri e Previti tra le potenziali
vittime di Cosa Nostra: questo perché, «al di là
dell'effettivo coinvolgimento in affari di mafia» i
due eranopercepiticome“mascariati”, cioè compromessi,
e quindi nondifendibili presso l'opinione
pubblica.
Unatestimonianza pesantissima. La descrizione
dell’unico incontro tra Ilardo e il generaleMori
fa rabbrividire. Secondo il colonnello Riccio, il
mafioso infiltrato disse al capo delRos dei carabinieri
queste parole: «Certe cose che avvengono
in Sicilia non sono Cosa Nostra ma sono poste in
essere dalle istituzioni e voi lo sapete». Adesso
quella frase, che Mori smentisce di aver mai sentito,
è sotto la lente d'ingrandimento della magistratura.
Ilardo non può più spiegarla. Ma forse
aveva ragione Provenzano quando in un pizzino
scriveva «Ci sono uomini che fanno più danno da
morti che da vivi».❖
unità 10/01/09