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View Full Version : Perchè non possiamo non dirci anti-americani


chesim
23-12-2008, 19:16
Perché non possiamo non dirci anti-americani
di Francesco Lamendola - 01/12/2008
AriannaEditrice (http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=22698)

http://www.ladestra.info/public/wordpress/wp-content/uploads/2007/03/usa.jpg

La massima forma di scorrettezza politica è considerata, attualmente, quella di essere, o anche soltanto essere sospettati di essere, anti-americani. «Anti-americano» è la suprema parolaccia, la bestemmia che non sarà mai perdonata, in saecula saeculorum. Tutto si può perdonare, con il tempo; da qualunque crimine ci si può redimere - dalla mafia, dalla pedofilia, dal cannibalismo - ma dall'anti-americanismo no, mai, cadessero il Cielo e la Terra.
Ebbene, tenteremo adesso di spiegare perché non solo siamo convintamente anti-americani, ma perché non possiamo e non potremmo non esserlo; e perché lo siamo non occasionalmente, ma nel senso più profondo del termine.
Non staremo ora a fare l'elenco di tutte le azioni vergognose e criminali di cui la politica estera americana si è macchiata nel corso della sua storia e fin dalle sue origini: sarebbe un elenco davvero troppo lungo.
Il padre fondatore, George Washington, non era che un latifondista e uno schiavista ambizioso e incapace: per vanagloria e per puro spirito imperialista precipitò la guerra contro i Francesi del Canada, quando la Guerra dei Sette Anni non era stata ancora ufficialmente dichiara; e ne fu sonoramente battuto, nella maniera più umiliante (1754-55).
Tacciamo tutte le finzioni e tutte le menzogne di cui gli Americani si sono sempre serviti per giustificare le guerre che intendevano scatenare contro altre nazioni: dalla «misteriosa» esplosione della corazzata «Maine» nel porto dell'Avana, che offrì loro il pretesto per attaccare la Spagna nel 1898 e derubarla di Cuba, di Puerto Rico, di Guam e delle Filippine (1898); all'affondamento del vapore «Lusitania» - in realtà, un incrociatore ausiliario britannico che trasportava armi per una nazione belligerante, e verso il quale l'ambasciatore tedesco a New York aveva messo in guardia i passeggeri americani -, che permise loro di entrare nella prima guerra mondiale (1917); alla tanto decantata «sorpresa» di Pearl Harbor, che non fu affatto una sorpresa - come oggi riconoscono perfino alcuni storici americani -, che consentì di far passare l'entrata in guerra contro il Giappone per un atto di legittima difesa (1941); alla spudorata menzogna circa le «armi di distruzione di massa» dell'Iraq, che permise a Bush junior di invadere quel paese e, poi, di catturare e far condannare a morte l'odiato Saddam Hussein (2003).
Non facciamo l'elenco completo, dicevamo, perché richiederebbe pagine e pagine.
Molte di quelle azioni vergognose sono orma consegnate alla storia, come la partecipazione della C.I.A. al colpo di Stato in Cile che portò al potere il generale Pinochet, contro un governo democraticamente eletto dal popolo (1973); di mole altre, invece, esistono forti indizi, ma non prove certe, come nel caso del coinvolgimento dei servizi segreti americani nella strage di Piazza Fontana (1969), nel disastro aereo di Ustica (1980) e, più recentemente, nello stesso attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001 (cfr. il nostro precedente articolo «Le menzogne di Bush sull'11 settembre servono a coprire un "lavoro" del Mossad?», consultabile sul sito di Arianna Editrice).
Quando gli Stati Uniti vogliono mettere le mani su un luogo d'importanza strategica, finanziano una ribellione e si fanno cedere da uno Stato creato su misura il luogo da essi ambito: così hanno fatto per mettere le mani sull'Istmo di Panama, ove poi sarebbe stato aperto il Canale: fomentando una insurrezione contro la Colombia e facendosi concedere poi, dalla compiacente neonata Repubblica delle banane, ciò cui miravano (1903).
Quando vogliono affrettare la resa dell'avversario, non esitano a servirsi di ogni mezzo, perfino della collaborazione della malavita organizzata: così hanno reintrodotto la mafia in Sicilia nell'estate del 1943, annullando gli sforzi dell'unico governo italiano - piaccia o no, quello fascista - che l'avesse mai seriamente combattuta.
Oppure non si peritano di bombardare gli argini dei fiumi per provocare delle carestie destinate a fare milioni di morti: così hanno fatto in Vietnam, Paese sul quale hanno gettato - oltre a quantità industriali di armi chimiche - qualcosa come quaranta volte tutte le bombe che furono mai sganciate su tutti i fronti di guerra del secondo conflitto mondiale.
O, anche, introducono il bacillo della peste bovina per distruggere gli allevamenti del «nemico» e ridurlo del pari alla fame: come hanno fatto a Cuba, dopo aver fallito con lo sbarco alla Baia dei Porci; oppure assoldano eserciti di mercenari sanguinari, specializzati nel terrorizzare, torturare e uccidere donne e bambini: così hanno fatto con i contras che, dall'Honduras, attaccavano le campagne e i villaggi del Nicaragua sandinista. Hanno anche posto delle mine davanti al porto nicaraguense di Corinto, compiendo un atto di pirateria che l'Alta Corte Internazionale dell'Aja condannò ufficialmente (presidente americano all'epoca, Ronald Reagan).
E quando vogliono risparmiare la vita dei loro soldati, non si curano della vita delle popolazioni civili del nemico, anzi, cercano di massacrarne quante più possibile: così hanno fatto con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki (1945).
Infine, dopo aver costruito dei miti di cartapesta (come la tanta celebrata «leggenda di Alamo»), se ne servono per giustificare la spoliazione sistematica di altre nazioni: come quando, a conclusione della guerra contro il Messico, si annetterono - gigantesco bottino di guerra - oltre metà del suo territorio, con il trattato di Guadalupe-Hidalgo (1848).
Del resto, non facciamo una questione di moralismo.
Quando si afferma un Impero - per quanto democratico esso possa dirsi, come quello ateniese di Pericle - subentra una machiavellica ragion di Stato, per cui esso non può assicurare la propria supremazia senza ricorrere anche ad azioni politicamente spregiudicate, violente, ciniche e immorali. Ciò è sempre accaduto, dagli Assiri in poi, e sempre accadrà: fa parte, ineluttabilmente, della logica degli Imperi.
Perché, dunque, un accanimento particolare contro l'Impero americano?
Potremmo rispondere: per la sua ipocrisia.
Perché esso fa esattamente quel che hanno sempre fatto tutti gli Imperi, compreso quello sovietico, ma con la tipica ipocrisia puritana di chi vuol presentarsi sempre dalla parte della ragione, magari per una speciale predilezione divina («Dio benedica l'America!», recitano immancabilmente i presidenti statunitensi al termine di ogni discorso ufficiale: una prova di fondamentalismo che riterremmo inaccettabile se venisse, ad esempio, dall'Iran o da qualche altro preteso «Stato-canaglia»).
Ma tutto ciò è perfettamente in linea con lo spirito più autentico della nazione americana, nello spirito dei Padri pellegrini che, nel XVII secolo, colonizzarono il New England con la Bibbia in una mano e il fucile nell'altra (per scacciare gli Indiani dalle loro legittime terre).
Ma no, non è questa la ragione per la quale non possiamo non essere profondamente anti-americani; anche l'ipocrisia, infatti, appartiene all'armamentario ideologico e propagandistico di un certo tipo di Imperi, quelli a base democratica; come, appunto, l'Atene di Pericle.
E non è neppure per il doppio crimine che segna le radici stesse della storia americana: la schiavitù dei neri e lo sterminio dei pellerossa (a proposito, continuiamo a parlare di America come sinonimo di Stati Uniti, e già questa è una spia dell'arroganza propagandistica di quella nazione: l'America, infatti, è un continente, che va dallo Stretto di Behring al Capo Horn; gli Stati Uniti occupano una porzione minoritaria di quel continente, corrispondente a circa un terzo della superficie della sola America Settentrionale).
No, la ragione vera è un'altra. E cioè questa: detta paradossalmente, perché gli Stati Uniti - così come, del resto, la Gran Bretagna, dalla quale discendono e che ne è, oggi, l'avamposto puntato contro l'Europa - non hanno mai conosciuto la sconfitta.
Che vuol dire questo? È forse una colpa non essere stati sconfitti, non essere stati invasi, non aver mai conosciuto la realtà delle distruzioni dei bombardamenti aerei? Anzi, essere usciti da due guerre mondiali con una economia più forte ed espansiva di prima?
Dobbiamo qui rifarci, brevemente, ad alcuni concetti espressi in un nostro precedente lavoro, «La sofferenza è una parte essenziale della vita o qualcosa che bisogna puntare a eliminare?», sempre sul sito di Arianna Editrice.
In quella sede, avevamo affermato - fra l'altro - che la sofferenza non è costitutiva della condizione umana solamente in senso ontologico; essa lo è anche in senso etico.
Una simile affermazione - che, non ne dubitiamo, avrebbe indignato Lenin, così come indignerà certamente tutti coloro che sentono e pensano come lui - non nasce da pavido fatalismo o, peggio, da un patologico impulso di tipo masochista. Nasce, al contrario, dalla constatazione che la sofferenza, ed essa soltanto, è lo stimolo che spinge gli esseri umani a perfezionarsi, a trascendersi, a cercare il bene per sé stessi e per i propri simili.
Se non vi fosse il male, se non vi fosse la sofferenza, verrebbe a mancare il fattore principale dell'evoluzione spirituale e il più forte elemento del progresso morale. Possiamo, forse, deprecare che l'essere umano abbia «bisogno» di coltivare una così gravosa forma di sollecitazione per mettersi, con tutte le sue forze, verso la strade del buono, del vero e del bello. Ma è così, perché infiniti fatti della storia stanno a indicarlo; e coi fatti non si discute.
Del resto, prima di lamentarci di questa nostra condizione, dovremmo riflettere che solo grazie alla notte noi siamo in grado di apprezzare il giorno; solo grazie al freddo, il calore; e, ugualmente, solo grazie alla sofferenza, le cose buone che la vita ci offre, insieme all'occasione di divenire un po' migliori.
Solo chi ha vissuto, da bambino, il terrore dei bombardamenti aerei ha potuto, poi, apprezzare pienamente la gioia di mettersi a letto a letto col pigiama, senza il pensiero angoscioso che le sirene si sarebbero messe a suonare nel cuore della notte, costringendo tutti a precipitarsi - insonnoliti e infreddoliti - verso i rifugi antiaerei; e senza sapere se, cessato l'allarme, avrebbero trovato ancora in piedi la propria casa.
Solo chi ha sperimentato una lunga e dolorosa malattia, che lo abbia ridotto all'immobilità per giorni, settimane o mesi, ha imparato poi a godere, una volta guarito, del semplice piacere di potersi reggere in piedi, di camminare, di uscire e di fare una passeggiata, o magari di recarsi dal fornaio ad acquistare il pane fresco.
Ovunque volgiamo lo sguardo, sempre osserviamo lo stesso spettacolo: che il dolore è maestro di vita, più di qualunque altra cosa al mondo.
Anche un solo giorno di sofferenza autentica, non cercata e tuttavia affrontata virilmente, può insegnarci più cose di quante non potrebbe farlo una intera biblioteca.
Onestamente, c'è qualcuno che pensa di poterlo negare?
Ed ora torniamo alla questione dell'anti-americanismo.
Un popolo che non ha mai conosciuto l'amaro sapore della sconfitta finisce per credersi infallibile e predestinato: come si ritenevano infallibili e predestinati i Padri pellegrini del «Mayflower», sbarcati nel 1620 nel Nuovo Continente con la Bibbia e il fucile.
Si dirà che anche gli Stati Uniti hanno conosciuto il sapore della sconfitta, alla conclusione della guerra del Vietnam, quando dovettero fuggire in fretta e furia da Saigon, mentre già vi stavano entrando le colonne dei vietcong (1975).
È vero; ma è stata un'unica sconfitta, e non certo totale: gli Americani non hanno visto il nemico in casa propria, non hanno subito l'occupazione e la spoliazione. È stata una umiliazione a metà e non ha dato luogo ad alcun serio ripensamento della loro politica estera, delle loro categorie morali. Al contrario, ha originato un forte sentimento di rivalsa, che si è sfogato non appena ha trovato margini di manovra sufficienti, e cioè non appena l'Unione Sovietica ha cominciato a implodere: in particolare, nelle due guerre del Golfo Persico - quella del 1991 e quella del 2003 -, ad opera dei due Bush presidenti: il padre e il (degno) figlio.
Le sconfitte che servono, così alle nazioni come agli individui, sono quelle da cui nasce una nuova consapevolezza di sé e degli altri, resa possibile dal dolore, dalla fragilità, dalla scoperta di non essere invincibili né onnipotenti. In altre parole, sono quelle dalle quali germoglia una più profonda umanità, una maggiore capacità di autocritica.
Ma gli Americani sono lontanissimi da tutto ciò.
Delle decine di film che hanno prodotto sulla loro partecipazione alle due guerre mondiali - ad esempio -, non se ne trova uno solo che non suoni come una tronfia e stolida autocelebrazione, come un totale misconoscimento delle ragioni dell'avversario (che viene, anzi, sistematicamente denigrato o ridicolizzato) e come una assoluta incapacità di riconoscerne cavallerescamente il valore.
Questa è la prima e la principale ragione per cui gli Stati Uniti si rendono odiosi nel mondo.
Questa è la prima e la principale ragione per cui, quando si sparse la notizia dell'attacco alle Torri Gemelle, in tante piazze del mondo si è fatta festa: prima ancora che per la loro politica sfacciatamente e univocamente filo-israeliana e anti-araba o per la loro alleanza di ferro con i peggiori regimi feudali del mondo: quelli dell'Arabia Saudita, del Kuwait e degli Emirati Arabi Uniti (con buona pace della democrazia, della libertà e dei diritti dell'uomo e del cittadino).
La seconda ragione è che negli Stati Uniti sono maturati, prima che altrove, i frutti della modernità, a cominciare da quella filosofia brutalmente utilitaristica e cinicamente materialista, che crede di poter dare un prezzo ad ogni cosa e risolvere qualunque problema aprendo il portafogli.
Troppo ci sarebbe da dire sulla società americana come punta avanzata dei processi degenerativi della modernità: per cui ci limiteremo a poche, brevissime osservazioni.
Gli Stati Uniti d'America sono l'unico Paese al mondo in cui, non solo vige la pena di morte (in quasi tutti i suoi Stati), ma in cui, alla vigilia di una qualsiasi esecuzione capitale, si può osservare, sotto le mura del carcere, una folla di individui che inneggiano alla sedia elettrica, lanciano slogan di morte contro il condannato, sfoggiano magliette e berretti con scritte che proclamano quanto sia bello lo spettacolo di un essere umano che viene ucciso dalle scariche ad altissimo voltaggio. Se scene del genere si verificassero, che so, in Cina, subito i mass-media dipingerebbero quella nazione come la quintessenza della barbarie; accadono, invece, negli Stati Uniti, e nessuno, nel resto del mondo, vi trova niente di strano o di censurabile.
Gli Stati Uniti d'America sono l'unico Paese al mondo che non accettano, per i propri concittadini, le norme della giustizia internazionale, valide per chiunque altro. Così, non solo non vedremo mai Bush dietro il banco degli imputati al Tribunale Internazionale dell'Aja, come abbiamo visto Milosevic e Karadzic; ma neppure abbiamo potuto vedere processati in Italia, molto più semplicemente, gli aviatori americani che tranciarono per gioco la funivia del Cermis, provocando venti vittime (scommettevano una cassetta di birra per chi avrebbe saputo passare al di sotto della funivia, come attestano le registrazioni di volo). L'allora capo del governo italiano, D'Alema, non ebbe nemmeno la dignità di annullare il viaggio a Washington; così come il presidente Berlusconi non ebbe nemmeno la dignità di protestare per l'assassinio a sangue freddo dell'agente Calipari, all'aeroporto di Baghdad, subito dopo la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Inutile dire che sia i bravi aviatori del Cermis che i prodi assassini di Calipari se la sono cavata senza un graffio con la giustizia americana.
Gli Stati Uniti d'America sono il solo Paese al mondo in cui possano verificarsi violazioni atroci dei diritti fondamentali dell'uomo, come è avvenuto nelle carceri di Abu Grahib e come tuttora avviene in quelle di Guantanamo, senza che vi sia il minimo segno di ripensamento, di risarcimento, di mea culpa. Non so quanti si ricordino le fotografie, pur così recenti, dei corpi di prigionieri iracheni torturati o ammucchiati, ormai cadaveri, mentre soldati e soldatesse yankee si facevano ritrarre con sorrisi d'esultanza e con gesti beffardi e insultanti per le proprie vittime; noi le ricordiamo molto bene. Se fossero state trovate delle foto simili di soldati delle SS naziste presso le loro vittime ebree (e non ci risulta che ne siano state trovate), il mondo intero ne avrebbe dedotto che solo un regime politico infernale poteva aver prodotto soldati di quella fatta. Invece è accaduto nell'esercito americano, e il resto del mondo - passata la superficiale indignazione del momento - non ha fatto una piega. Anche in questo caso, è appena il caso di ricordare che solo un paio di soldati semplici sono stati processati e condannati all'espulsione dall'esercito per i fatti di Abu Grahib, mentre i comandi superiori ne sono usciti totalmente indenni.
Potemmo continuare.
Potremmo dire che gli Stati Uniti d'America sono il solo Paese al mondo che si riserva di studiare, fabbricare ed impiegare liberamente ogni sorta di arma chimica e batteriologica; di installare testate nucleari nelle basi dei Paesi «amici», senza nemmeno informarli della loro entità (come ad Aviano); di organizzare trame, complotti, stragi e colpi di stato, ma con la pretesa di essere sempre dalla parte della democrazia e dei diritti dell'uomo.
Ora, con l'elezione alla presidenza di Barak Obama, sono in molti a sognare chissà quale palingenesi universale, chissà quale era di felicità e di progresso per il mondo intero.
Si fa un paragone con John Fitzgerald Kennedy (per inciso, colui che lanciò a corpo morto il proprio Paese nella guerra del Vietnam); si fanno paragoni con Martin Luther King, solo per il colore della pelle. Ci si dimentica, a quanto pare, che sia Colin Powell, sia Condoleezza Rice, che tennero mano a Bush e Dick Cheney nella preparazione e nella esecuzione della infame guerra contro l'Iraq, nel 2003, erano neri come lui. Credere che Obama sarà un buon presidente solo perché è un nero (per metà) non è solo una forma di suprema ingenuità; significa fare del razzismo alla rovescia.
Comunque, staremo a vedere.
Per intanto, la maniera in cui gli Stati Uniti stanno affrontando la crisi internazionale del sistema bancario, da essi provocata e dal dissennato egoismo dei loro uomini d'affari - ossia da una economia basata su un immenso spreco di risorse, e finalizzata a mantenere in povertà gran parte della restante popolazione mondiale - non lascia presagire nulla di buono.
Già nel 1929 essi hanno regalato al mondo una crisi finanziaria ed economica senza precedenti (che ha prodotto, fra le altre cose, il nazismo e la seconda guerra mondiale); e, anche in quella occasione, invece di farsi carico delle responsabilità mondiali della loro economia, cercarono di salvarsi col protezionismo e con la sospensione dei prestiti alle nazioni europee, moltiplicando gli effetti del disastro.
Vedremo.
Buona fortuna a Barak Obama e a tutti i suoi tifosi e sostenitori.
Noi, intanto, e fino a prova contraria, eravamo, siamo e resteremo radicalmente, irriducibilmente anti-americani: in nome dei valori spirituali che la civiltà del dollaro, dell'atomica e della Coca-Cola ogni giorno continua a offendere, calpestare e deridere.

zerothehero
23-12-2008, 19:19
Io sono anti-anti americano, la cosa interessa?
Immagino di si... (e come no) :sofico:

chesim
23-01-2009, 00:48
http://www.effedieffe.com/images/stories/profeta.jpg

Il Profeta
di Domenico Savino

E’ cambiata l’America, ci dicono: c’è Obama, è una svolta l’America ritrova la speranza, l’America ritrova il futuro; non credeteci, l’America ritrova solo se stessa: l’America semplicemente, continuamente si modifica, per stabilizzarsi.

L’America era WASP, White Anglo-Saxon Protestant: bianca, anglosassone, protestante.
Ora e BAAAH, Black, Afro-American, Agnostic-heretical: negra, afro-americana, agnostico-eretica.
Perfetto esempio di mimetismo, compiuta realizzazione di razionalizzazione del sistema, luminoso paradigma di dialettica ritornate, luogo mitico di eterno divenire, eternamente ritornante.
Sembrava l’America un gigante ferito, travolto dal suo titanismo e dalla sua onnipotenza, dall’impotenza del suo stesso essere e dall’avidità del suo istinto: sembrava l’America al crepuscolo.
Invece all’improvviso è spuntato «Lui», Obama, l’antitesi di questa tesi che fu l’America, celebrata dagli stolti gnomi del neo/teo-conservatorismo di casa nostra, dagli utili idioti di un americanismo del secolo scorso, dagli epigoni di un mondo con un immenso avvenire dietro di sé.
L’America è avanti, troppo avanti per noi.

Noi con le pezze al c… da emigranti, noi retrogradi cantori del sogno americano, della contestazione, della beat generation e di Malcom X, noi nostalgici dei JFK e di Martin Luther King, di Joan Baez e di Kerouac, delle labbra di Marilyn e delle tette di Play Boy avevamo/abbiamo ancora dell’America l’immagine del mito, travasata dai tubi catodici oramai esauriti, mentre gli schermi ultrapiatti ci hanno cambiato la prospettiva senza che ce ne possiamo rendere conto.
Noi per i quali - come cantava Francesco Guccini in quella poesia che è «Amerigo» - «l’America era allora, per me i G.I. di Roosvelt, la quinta armata, l’America era Atlantide, l’America era il cuore, era il destino; l’America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata; l’America era il mondo sognante e misterioso di Paperino; l’America era allora per me provincia dolce, mondo di pace, un paradiso perduto, malinconia sottile, nevrosi lenta».

Ora che il volto di G. W. Bush si appresta a scomparire dalla scena, tra gli insulti e i lazzi di chi lo aveva idolatrato, con quegli occhi ravvicinati sotto una fronte spiovente, che avrebbero fatto la gioia della frenologia, di Lombroso e della sua catalogazione dei tipi umani, sorge, dialettico e speculare, «Lui»: Barack Hussein Obama II.

Pensate com’è grande l’America e quanto stupidi siamo noi di qua dall’Atlantico.
Basta un volto colorato, un sorriso dolce, l’eloquio dolce e melodico, la voce potente e delicatamente gutturale di un afro-americano per credere che l’America sia cambiata.
Obama-Biden il ticket americano contro Osama Bin Laden: anche la fonetica sembra giocare un suo ruolo sul palcoscenico della Casa Bianca.

Ci credono tutti: «Se vince Obama, è una rivoluzione! Ora il mondo ha diritto a sperare in un futuro sottratto al ricatto petrolifero e alle guerre per l’oro nero, alla smania ideologica che punta a smantellare scuola e sanità pubbliche, a controriforme fiscali che escludono famiglie e persone» (1).
Perbacco, perfino Francesco Storace (che forse si dimentica di essere stato ministro del governo più codino verso G. W. Bush) è d’accordo!
Se anche la Destra è d’accordo, il copione è perfetto, ci credono proprio tutti; ma noi no.

L’America ha cambiato direttore d’orchestra, ma la sinfonia è identica: l’Apocalittica.
L’America ha da sempre un «destino manifesto», una missione nel mondo, ruolo che Dio le ha assegnato: a questo credono gli americani!
America über alles: il Quarto Reich ha negli USA la profezia realizzata.
Il basso profilo intercorso tra la catastrofe del Vietnam e Jimmy Carter è stato superato dal travolgente successo di Ronald Reagan, dal crollo del comunismo, dal mito del Nuovo Ordine Mondiale, dalla prima guerra del Golfo, dal trionfo della New Economy, dall’esplosione informatica, dalla filantropia gnosticamente genialoide di Bill Gates, dalle potenzialità di internet, dai pericoli di internet, dalle dichiarazioni corali sulla fine della storia, dalle capacità orali di Monica Lewinsky, dalle erezioni adulterine di Bill Clinton, dalle elezioni taroccate della Florida, dalle selezioni dei dirottatori dei voli AA11 e AA77 dell’American Airlines, dal crollo delle Twin Towers, dall’Afghanistan, dal mullah Omar, dall’antrace di Stato, dalle fialette di Colin Powell, dalle cosce di Condoleezza Rice, dalla guerra lampo in Iraq, dal consolidamento delle posizioni in Iraq, dal ripiegamento delle posizioni in Iraq, dalla cattura del dittatore dell’Iraq, dallo stallo della guerra in Iraq, dal incognita del futuro dell’Iraq, dal possibile attacco all’Iran, dall’aggressività della Russia, dal petrolio a 150 dollari, dalle rivoluzioni colorate, dalla guerra del Caucaso, dal dispiegamento dei missili in Polonia, dalla crollo delle banche, dal crollo delle Borse, dal crollo della fiducia, dal crollo del brent, dal crollo di Bush.

Davvero pensate che questo armamentario possa essere cancellato con un tratto di penna del senatore afro-americano dell’Illinois?
Sarebbe, ancora una volta, voler ignorare la storia.

Tutto si è dispiegato sullo sfondo di quella visione epica, profetica, messianica del ruolo dell’America, la convinzione cioè che gli Stati Uniti abbiano da Dio stesso la missione di espandersi, diffondendo la loro forma di libertà e democrazia, che ad essi compete: realizzare «il grande esperimento di libertà», secondo l’espressione coniata dal giornalista John L. O’Sullivan, all’epoca influente sostenitore del Partito Democratico.
In un saggio intitolato guarda caso «Annessione», O’Sullivan incitava gli Stati Uniti ad annettersi la repubblica del Texas (in cui la schiavitù era proibita!), non solo perché il Texas lo avrebbe voluto, ma perché era «destino manifesto dell’America di diffondersi sul continente».
In realtà il Texas non lo voleva affatto, ma - si sa - il destino manifesto certe volte vuole anche ciò che noi non vogliamo.
Le apocalissi delle dottrine americane sono ricorrenti, cosi ricorrenti che dal 1798 al 1945 le operazioni militari americane sono state 168.
Dopo la seconda guerra mondiale contatele voi.
Niente male per chi è paladino di pace e democrazia.

La profezia americana ha trovato nell’apocalittica neo/teo-con e nelle folgoranti visioni cristiano-sioniste il proprio compimento, ma ora che la spinta propulsiva di quella rivoluzione giudeo-trozkista, riverniciata in chiave Cristo-mimetica si è esaurita, la maschera conservatrice deve cadere per lasciare il posto alla maschera della libertà, della speranza, del progresso, affinché nessuno si avvicini troppo per strappare il velo a mostrare, al di là di progresso e reazione, di democratici e conservatori, di libertini e puritani il volto segreto dell’ essere e la sua negatività originaria.
Come scrive Matteo D’Amico, secondo la versione straussiana fino ad oggi in voga, solo pochi eletti, gli aristòi, i migliori per natura, hanno la capacità di vedere.
Pertanto con grande apparente convinzione questa negatività deve essere velata da un simulacro di fede, da una forte simpatia per essa e per i suoi valori, in modo da stabilizzare il quadro politico ed operare come efficace instrumentum regni (2).
Questa era la maschera di Bush, cui i vari Introvigne, Pera, Ferrara e compagnia cantante hanno invitato ad indirizzare volute profumate di incenso.
Ora quella fase è finita e per impedire che quei valori davvero possano casomai attecchire e stabilizzare la storia, occorre un cambio repentino di scena, uno smascheramento della maschera, una sua deformazione negativa, il suo rogo in effige.
Ora è l’ora del cambiamento, ora è l’ora della speranza, ora l’America «ritrova se stessa».

Quell’America profonda e retriva, religiosa e intollerante, bianca e moralista, guerrafondaia e imperialista lascia dialetticamente il posto alla sua antitesi per una sintesi superiore, quando verrà.
La religione civile smette il Winchester e the Holy Bibleper per fare largo allo Spirito.
La profezia torna ad annunciare se stessa, pronta per autorealizzarsi.
Gli aristòi l’hanno capito.

Alla vigilia del voto Maria Laura Rodotà sul Corriere della Sera del 1 novembre 2008 annunciava: «Neocon, liberisti, antiabortisti: i ‘convertiti’ che votano per Obama».
E spiega: «Ci sono gli Obamacans (repubblicani per Obama), intellettualmente meno complessi di certi Obamacons (conservatori per Obama). Ci sono i liberisti per Obama, i libertari per Obama, gli antiabortisti per Obama, i cavalieri di Colombo per Obama (ex, li hanno appena cacciati), gli ex membri di amministrazioni Reagan-Bush-Bush per Obama. C’è Colin Powell, figura rispettatissima, e personaggi meno prestigiosi che magari contano sulle promesse del candidato democratico; di governare unificando e facendo molte nomine bipartisan. […] Molti ex, in effetti: l’ex governatore del Massachusetts William Weld, l’ex portavoce di Bush, Scott McClellan, l’ex consigliere di Reagan e Bush padre Ken Adelman, che aveva rotto con Dick Cheney sulla guerra in Iraq (era riluttante, si è dichiarato rispondendo a un giornalista via e-mail, adesso scrive sul sito liberal Huffington Post e pare contentissimo). Il momento più alto è stato l’endorsement dell’ex segretario di Stato Powell» (3).

Vi stupite? Non è la sindrome di Mastella, è il «destino manifesto» che chiama.
All’America Dio ha affidato un compito, come disertare?
E’ la «Profezia» al lavoro.
Quando l’Apocalisse si nutre di utopia, lo spirito anticristico vi soffia.

Tra i mille discorsi di Obama quelli più pericolosi sono quelli in cui il nuovo presidente americano ha citato il suo profeta.
Non è John Locke, nè Stuart Mill, ma un frate calabrese del XII secolo: Gioacchino da Fiore.
Gioacchino nacque nel 1130 circa a Celico in provincia di Cosenza e in seguito ad un viaggio in Medio Oriente, decise di lasciare tutti i suoi beni per vestire nel 1152 il saio nel convento cistercense di Sambucina (a nord di Cosenza), prendendo ufficialmente i voti nel 1168.
Si dedicò totalmente allo studio della Bibbia e scrisse alcune delle sue opere più importanti come la «Concordia», la «Expositio in Apocalypsim» e il «Psalterium decem chordarum».
Nel 1189 decise di abbandonare l’ordine cistercense per fondare sulla Sila un suo ordine, denominato «florense», facendo costruire una abbazia dedicata - guarda caso - a San Giovanni Battista in una località denominata Fiore da cui l’ordine prese il nome: florense.
La sua popolarità fu enorme e alla sua morte il 30 marzo 1202 fu proclamato beato, non tuttavia in maniera ufficiale, ma solo con l’erezione di un altare in suo onore a San Giovanni in Fiore.
Ma già al IV Concilio Lateranense del 1215 le idee di Gioachino, definite triteiste, furono condannate.

La ragione sta nella sua interpretazione della storia, in base a cui, partendo da un brano dell’Apocalisse (14, 6-11), quello dei tre angeli che annunciano il giudizio di Dio (4), sviluppa un’interpretazione in base a cui la storia dell’uomo è divisa in tre fasi, ognuna riconducibile ad una figura della Trinità.
Nella prima avrebbe dominato il Padre, simbolo di potere e terrore, al quale si era ispirato l’antico Testamento.
Nel secondo periodo il riferimento sarebbe il Figlio, ispiratore del Nuovo Testamento.
Nella terza era, lo Spirito Santo, che avrebbe svelato il vero significato dei Sacri Testi, al di là della sua interpretazione letterale.
Oltrechè nel Concilio Lateranense la dottrina gioachimita fu confutata anche da San Tommaso d’Aquino.
Secondo l’eretico monaco calabrese, poi, l’incarnazione dello Spirito Santo sarebbe stata una donna, destinata a diventare una Papessa e rifondare la Chiesa secondo l’idea di apocatastasi: questa idea, condannata dal Concilio di Costantinopoli del 543 e derivante dalla parola d’origine greca apokatastàsis, (che significa restaurazione o riconciliazione e che rende il concetto di salvezza per tutto il creato: angeli e uomini, anche se peccatori o dannati, e demoni), tutti - compresi giudei e saraceni - si sarebbero salvati.
Quasi 40 anni dopo la sua morte una commissione di cardinali, convocata nel 1254 da Papa Alessandro IV (1254-1261), preoccupato del diffondersi delle idee gioachimite presso i frati francescani spirituali, condannò gli scritti di Gioacchino e del suo seguace Gerardo di Borgo San Donnino e nel 1263 le idee di Gioacchino furono definitivamente dichiarate eretiche.

Nonostante ciò, Gioacchino ebbe un’enorme influenza su tutti i movimenti ereticali a partire da Guglielma di Boemia, considerata l’incarnazione dello Spirito Santo.
La reazione della Chiesa cattolica contro il movimento di questa visionaria fu scatenata circa vent’anni dopo la sua morte nella domenica di Pasqua del 1300, quando, secondo la denuncia di alcuni testimoni, la sua erede spirituale, Maifreda da Pirovano, in qualità di sacerdote e Papessa, aveva celebrato una solenne messa.
L’influenza di Giocchino si estese anche ai movimenti ereticali dei cosiddetti Spirituali, a quello dei Fratelli del Libero Spirito, a quello dei cosiddetti Apostolici ed a quello dei Begardi e delle Beghine.
Niente male come premesse.
Questo è il mondo di Utopia, l’incarnazione del Regno di Dio, l’annuncio dell’era messianica: questo è il regno della Libertà, l’Età del Progresso, l’Età dell’Acquario, il «mondo a venire».
Le idee del frate calabrese, infatti, pur senza esserne direttamente influenzate, si nutrono alle stesse malie qabbalistiche dello Zohar e alla relativa teoria delle sette Shemittoth, periodi di sviluppo cosmico in cui si manifesterebbe il divenire di Dio.
Esso sarebbe orientato all’avvento dell’«Era messianica» e poi a quello che il giudaismo chiama «Olam haba», «il mondo a venire», simile a quello di oggi, solo che Israele ne sarà il dominatore.
Nel Talmud è scritto che l’attuale «mondo differisce da quello dei giorni del Messia solo per la schiavitù a potenze (straniere)» (Sahnedrin 98b).

Vi domando: non vi sembra strano che Obama citi in piena campagna elettorale, tra crak finanziari, guerre del Golfo e del Caucaso, un oscuro frate calabrese, che nessuno in America conosce e lo faccia per ben tre volte?

Franco Cardini in effetti scrive: «Può apparire un po’ sorprendente che Barack Obama citi Gioacchino Da Fiore, dal momento che non è tra i rappresentanti della letteratura mistica e utopistica tra i più noti in America. Tuttavia Obama conosce il pensatore medioevale calabrese proprio grazie alla sua formazione religiosa. L’America è un Paese in gran parte protestante, in cui ci sono molte sette a carattere apocalittico, che oggi si definirebbero fondamentaliste. Molte di queste sette hanno carattere millenaristico e certamente Gioacchino Da Fiore è un rappresentante importante di quel mondo medioevale che faceva riferimento a correnti profetistiche ed escatologiche» (5).

Sì, certo c’è anche questo, ma… a chi Obama mandava un messaggio?
A chi mandava a dire Obama che è giunta la Terza Era della storia, quella dello Spirito?
A quali Illuminati mandava un segno di rassicurazione che la «Profezia» non sarebbe stata interrotta?
Non vi pare questa Apocalittica nient’altro che il rovescio della medaglia di quelle doglie del Medio Oriente che Condollezza Rice evocò all’indomani dello scoppio della guerra in Libano?

L’evento messianico a livello politico coincide con il ritorno del popolo ebraico alla sua terra e con la pace tra tutte le nazioni.
Secondo la profezia di Isaia, «giustizia» e «pace» contraddistinguono i tempi del Messia ed è in questa visione che la parola pace in ebraico, «shalom», significa anche «completezza».
Rabbi Yochanan ha insegnato però che «il Messia verrà soltanto in una generazione che sia o completamente giusta o completamente malvagia».

Non vedete che dopo l’epoca Bush l’Apocalittica ha cambiato strategia ma non obiettivo?
Dopo l’epoca completamente malvagia è tempo di una generazione completamente giusta?
Non è Obama, il discendente di schiavi giunto alla presidenza degli Stati Uniti, la maschera perfetta per incarnare questa generazione?
Obama, il buono, non vi fa altrettanta paura di George W., il cattivo?
Non sentite già i tamburi giacobini invitare alla conversione, a obbligare tutti alla bontà globale, al rispetto dei diritti, alla tolleranza, all’eguaglianza?
Non lo dovranno fare forse in primo luogo gli Stati canaglia?
E non dovranno forse gli Stati, controllati da oligarchie selezionate, controllare nel nome del bene del popolo le ricchezze?
Il crack di Wall Street non ha forse preluso a quello che Gad Lerner ricordava essere paradossalmente il «socialismo americano»?
Non sentite odore dei soviet dei commissari del popolo?
Ricordate quando la Russia rivoluzionaria dichiarò la propria insolvenza gettando sul lastrico i propri creditori internazionali? Chi dirigeva quella Rivoluzione?
Non erano quegli stessi rivoluzionari che ispirarono i teorici della presidenza Bush?

E’ chiaro che ora, affinché il Messia possa comparire, l’umanità deve raggiungere la perfezione, oppure sprofondare nella pura malvagità, nel vuoto, nell’emergenza, nella violenza.

Perdoni il lettore se rimando ad un mio scritto del luglio 2007, quando la stella nera di Obama ancora non splendeva: «Dopo gli ‘anni bui’ del conservatorismo dei ‘teocon’ (non a caso spesso ex-trotzkisti, cioè portatori di quell’idea di rivoluzione permanente, di agitazione continua, tipica di certo spirito semitico cui Trotzkij […] apparteneva), anni in realtà molto funzionali dialetticamente ad innescare una nuova prossima antitesi progressista, il nuovo verbo liberal si appresta sempre dialetticamente a spingere un po’ più in avanti l’equilibrio della storia raggiunto a seguito di quella ‘rivoluzione giovanile’ degli anni ‘70. […] Se la nazione della ‘guerra globale’ diverrà domani quella della ‘pace universale’ non si sente odore di zolfo?» (6).

Non ho anch’io il dono della profezia: semplicemente provo a pensare.
L’immagine anticristica di Soloviev è perfetta per dare il vero volto a Obama.
Tornano alla mente le parole del cardinale Biffi e di come egli identificò l’«icona dell’Anticristo, personaggio affascinante che riuscirà ad influenzare e a condizionare un po’ tutti. In lui, come qui è presentato, non è difficile ravvisare l’emblema, quasi l’ipostatizzazione, della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni: egli - dice Solovev - sarà un ‘convinto spiritualista’, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo».

Dovremo necessariamente essere buoni, tolleranti, ecumenici, pacifisti. Altrimenti guai a noi.
E temo che occorrerà un ultimo sforzo di bontà, uno sforzo suppletivo, idealistico, rivoluzionario: la pace la dovremo volere a qualsiasi costo, anche della guerra.
«Il costo della pace messianica potrà essere altissimo» - ci diranno.
La pace sarà l’emergenza, essa correrà il momento di massimo pericolo, incomberanno le tenebre da cui non si vede alcuna via d’uscita.
Sarà l’ultima guerra, quella che dovremo combattere prima che la spada sia forgiata in aratro?
Non sono paranoie: mi domando: ora che, dopo Baghdad, nessuno è più disposto a morire per Teheran, come potranno convincerci a farlo?
Non forse nascondendo gli artigli grondanti sangue dietro le ali della colomba?
Non forse trovando qualcuno disposto a sparare alla colomba?

Certo che sì, ci sarà qualcuno disposto a rompere il sogno del mondo nuovo!
Non occorrerà fabbricarlo questo qualcuno, basterà «coltivarlo» a dovere.
Nella mente di qualche fanatico c’è sempre la scintilla capace di provocare un incendio.
Certo che sì e allora saremo arruolati per costruirlo quel mondo e ci andremo a combatterla quella guerra, sventolando le bandiere della pace!

Ma le guerre e le rivoluzioni non si fanno con la pancia piena; per questo hanno cominciato inesorabilmente ad affamarci.
Davvero pensate che la bolla speculativa sia il frutto di leggi naturali dell’economia?
Non solo, se volevano, potevano impedirla! L’hanno scientemente creata!

Ricordatevi che meno avremo e più diventeremo aggressivi: d’altronde non si fa così anche coi cani da combattimento?
Saremo noi questa volta a proclamarle le doglie del Messia, ce ne convinceranno che non c’è altra soluzione! Peggio, ce ne convinceremo da soli.
Come potremo dire di no, se perfino un discendente degli schiavi ci dirà di farlo?
Come potremo essere così cattivi da non rispondere alla sua chiamata?
Hollywood, con le sue invasioni aliene e i suoi meteoriti che devastano la Terra, non ci ha forse già preparato a combattere ed affrontare catastrofi tutti insieme sotto la guida di un presidente coloured?
Il nazionalismo messianico e il messianismo militarista vestiranno i panni dell’internazionalismo messianico e del messianismo pacifista.
Non fu forse in nome di questo che si fecero le rivoluzioni e le guerre rivoluzionarie?
Non fu questo il Verbo dei decenni passati?

Già le sento quelle voci, quando saremo indotti a considerare il peggio come una scelta reale e l’Apocalisse come un progetto politico.
Lo Spirito della Storia è al lavoro, la Profezia si compie, l’Utopia trova il suo luogo: Obama ne è il Profeta.
Se davvero fosse in buona fede, ne sarà pure la vittima sacrificale.

-Domenico Savino
pubblicato il 16 novembre 2008

elevul
23-01-2009, 01:27
Riassunto, please... :stordita:

StefAno Giammarco
23-01-2009, 01:32
Chesim, prendiamo atto che sai postare articoli. Adesso però mettici un tuo personale commento che dia il via alla discussione altrimenti non ha senso e possiamo pure chiudere.

LUVІ
23-01-2009, 06:43
Vedi signature.
Finora essere anti-bush equivaleva ad essere antiamericani.
Speriamo cambi qualcosa.

LuVi

sider
23-01-2009, 07:13
Depurato di qualche fregnaccia il primo articolo è anche interessante, anche se dice cose ben note. Poi mi sono stufato di leggere :fagiano:

indelebile
23-01-2009, 07:18
fermi tutti è già iniziata la moda di essere anti obama o quantomeno a canzonarlo o canzonare i "sostenitori" solo perchè piace al popolo di csx

insomma busch non era poi tanto male :sofico:

Amodio
23-01-2009, 08:23
ho letto le prime 3 righe....

dai riassumilo in 3 parole!

Stormblast
23-01-2009, 08:27
la suprema bestemmia non è dichiarare di essere anti americani bensì anti israeliani.
e io sono un ultra bestemmiatore. :O

Gemma
23-01-2009, 09:07
TFL













too f*****g long

zerothehero
23-01-2009, 09:07
Mi piacerebbe sentire da Chesim quali altre alleanze vantaggiose per noi propone. Detto con le sue parole, preferirei evitare di leggere i papiri preconfezionati. :p
In passato gli antiamericani volevano un'Italia dall'altra parte della barricata e abbiamo visto come è andata a finire..mò che vogliono gli antiamericani de noartri nel 2009?
L'alleanza con la Corea del Nord o Cuba :sbonk: ?

lowenz
23-01-2009, 09:12
Mi piacerebbe sentire da Chesim quali altre alleanze vantaggiose per noi propone. Detto con le sue parole, preferirei evitare di leggere i papiri preconfezionati. :p
In passato gli antiamericani volevano un'Italia dall'altra parte della barricata e abbiamo visto come è andata a finire..mò che vogliono gli antiamericani de noartri nel 2009?
L'alleanza con la Corea del Nord o Cuba :sbonk: ?
Con gli eschimesi resistenti in Alaska al dominio amerikkkkkkkkkano!

Amodio
23-01-2009, 09:16
TFL



too f*****g long

su vabbeh 3 parole, mica 3 letter

zerothehero
23-01-2009, 09:17
Con gli eschimesi resistenti in Alaska al dominio amerikkkkkkkkkano!

Lo scambio è svantaggioso.. offrono in cambio solo le loro mogli.
E a me le esquimesi non piacciono. :stordita:

Dream_River
23-01-2009, 09:36
Mha, non vedo il senso di essere anti-americani a tutti i costi.

Insomma, con Bush io mi sono spesso definito anti-americano, ma non nel senso che odio l'america, ma ho odiato l'operato di bush
Ora bisogna vedere se Obama darà buoni motivi per essere anti-americani, o se riabiliterà agli occhi di molti il suo paese (E mi sembra anche ridicolo fare profezie sul suo operato, visto che è in carica da solo 3 giorni)

AleLinuxBSD
23-01-2009, 10:42
La politica dipende dalle scelte fatte delle persone se in certi periodi storici si rilevano infelice si può e si deve essere in disaccordo ma questo non significa essere anti-americani.

Secondo me questi slogan sono soltanto etichette applicate più o meno a caso a seconda della convenienza del momento per squalificare l'avversario.

Un modo come un'altro per non affrontare i problemi traslando le osservazioni.

Del resto lo stesso identico sistema viene applicato in molti comparti, non solo il politico, pensate ad esempio all'ambito religioso.

Sarebbe più opportuno guardare alla sostanza delle cose anziché agli slogan ma per guardare alla sostanza delle cose occorre avere un minimo di senso critico, ma questo comporta fatica nonché un minimo di intelligenza.

fluke81
23-01-2009, 11:11
Mi piacerebbe sentire da Chesim quali altre alleanze vantaggiose per noi propone.

con i cinesi o con l'iran o con la russia,popoli assolutamente pacifici e rispettosi dei diritti umani,non come quegli ameriggani,se non fosse per loro la terra sarebbe un pacifico paradiso come anche lo era prima della loro nascita:O

Franco2
23-01-2009, 12:17
Riassunto, please... :stordita:

Dice che ammazzeranno Obama per convincerci a fare la guerra all'Iran.

Amodio
23-01-2009, 13:35
Dice che ammazzeranno Obama per convincerci a fare la guerra all'Iran.

no no asp
oltre le twin towers che altro hanno gli americani che tengono moltissimo?

ehm...la statua della libertà?
beh penso che un'altro aereo stia per colpirla!!:mc:

Fil9998
23-01-2009, 13:45
qeullo ceh più anti politica correct si può dire o scrivere non è antimericano, maantisionista.

per il resto imho UN CONTO è l'amministrazione politica di una nazione, un BEN ALTRO paio di maniche è la gente comune.


sennò in italia dovremmo esser tutti giudicati per berluscones o malavitosi-mafiosi ...

-kurgan-
23-01-2009, 15:15
Vedi signature.
Finora essere anti-bush equivaleva ad essere antiamericani.
Speriamo cambi qualcosa.

LuVi

*
orgogliosamente antibush come molti miei amici americani :)

Lucrezio
23-01-2009, 16:58
Mah...secondo la loro tesi l'Italia dovrebbe essere l'apice della perfezione dato che e' stata terra di conquista fino a meta' ottocento e ha vinto una guerra solo contro l'austria...

Se mi consentite di citare Catullo...
"Hercle! Cacata carta!"

zerothehero
23-01-2009, 17:36
Non era qualcosa del tipo "Annales Volusi, cacata carta?"

O in subordine "mega biblion, mega kakon?" (fate finta che ho usato i caratteri greci) :sofico:
Detto con il massimo rispetto per gli amanti dei papiri lungi migliaia di pagine, s'intende. :sofico:

elevul
23-01-2009, 17:50
Dice che ammazzeranno Obama per convincerci a fare la guerra all'Iran.

Io ADORO i riassunti! :D
Grazie mille.
Comunque ne dubito.
Obama è talmente sorvegliato che ci vorrebbe un miracolo per ucciderlo... :asd:

chesim
27-01-2009, 17:48
Sei in America: dici la verità e la tua carriera è finita
di Paul Craig Roberts, 27 gennaio 2009

"La prova è lì sul tavolo e non c'è modo di ignorare il fatto che si trattasse di tortura."

Queste le parole di Manfred Nowak, ufficiale ONU incaricato dalla Commissione sui Diritti Umani di esaminare i casi di tortura.

Nowak ha concluso che il Presidente Obama è legalmente obbligato ad incriminare l'ex Presidente George W. Bush e l'ex Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld.

Se la squadra di banchieri criminali del Presidente Obama stermina quello che rimane dell'economia USA, Obama, per spostare l'attenzione pubblica dai propri fallimenti e dalle crescenti difficoltà americane, potrebbe riconoscere i propri doveri ed incriminare Bush e Rumsfeld.

Per ora però, la domanda interessante è : perchè il sistema militare USA ha dovuto inchinarsi ad ordini illegali?

Nel numero di dicembre 2008 di CounterPunch, Alexander Cockburn, nel suo articolo su un inglorioso capitolo della storia della Harvard Law School, fornisce la risposta. Due fratelli, Jonathan e David Lubell, entrambi studenti di legge di Harvard, erano politicamente attivi contro la guerra di Korea. Erano i tempi di McCarthy, ed i due fratelli furono citati a giudizio. Rifiutarono di cooperare sulla base che la citazione fosse una violazione del Primo Emendamento.

La Harvard Law School iniziò subito ad esercitare pressione sugli studenti perchè cooperassero con il Congresso. Gli altri studenti li fecero oggetto di ostracismo. Le pressioni del Decano della Facoltà si trasformarono in minacce. Benchè i fratelli Lubell si laureassero magna cum laude, non comparvero sulla Harvard Law Review. La loro borsa di studio fu ritirata e la maggioranza dei membri della facoltà di legge di Harvard votò per la loro espulsione ( che richiedeva i due terzi dei voti ).

Perchè la Harvard Law School ha bistrattato due suoi studenti meritevoli che avevano difeso la Costituzione ? Cockburn conclude che la facoltà di legge di Harvard aveva sacrificato i principi costituzionali per non giocarsi il proprio avanzamento comportandosi in modo non gradito al governo ( ed ai benefattori ).

Tutti i giorni vediamo simili atti di codardia. Recentemente c'è stato il caso di Norman Finkelstein, studioso di cose Ebree e critico di Israele, il cui incarico a ruolo è stato bloccato dalla codardia del presidente della DePaul University, un uomo spaventato dal dover difendere la sua facoltà contro la Lobby di Israele, lobby che ha imposto con successo, in una università Cattolica, il principio che nessun critico di Israele possa ricevervi un incarico accademico.

Lo stesso calcolo della propria convenienza fa sì che i giornalisti americani siano dei "compari" della propaganda israelita ed americana e del congresso USA nell'appoggiare quei crimini di guerra di Israele, che tutto il resto del mondo condanna.

Quando rappresentanti ufficiali dell'esercito USA hanno visto che la politica della tortura discendeva dai vertici, hanno capito che fare la cosa giusta sarebbe costata loro la carriera e si sono dati meno da fare. Uno che non lo ha fatto è stato il General Maggiore Antonio Taguba. Invece di soffocare lo scandalo delle torture nella prigione di Abu Ghraib, il Generale Taguba ha scritto una onesta relazione che però ha messo fine alla sua carriera.

Nonostante una politica che protegge gli informatori, è sempre l'informatore, non chi sbaglia, che ne paga le conseguenze. Quando alla fine divenne di dominio pubblico che il regime Bush stava commettendo reati secondo la legge USA usando l'NSA per spiare gli Americani, il Dipartimento della Giustizia ( sic ), perseguì l'informatore. Nulla fu fatto contro i colpevoli.

Eppure sia Bush che il Dipartimento della Giustizia ( sic ) continuano a sostenere che "siamo una nazione di legalità."

Il regime Bush era un regime senza legge. Ciò rende difficile per il regime Obama essere un regime di legge. Un'indagine per tortura porta naturalmente ad una indagine per crimini di guerra. Il Generale Taguba ha detto che il regime Bush ha commesso crimini di guerra.

Il Presidente Obama è un criminale di guerra dal suo terzo giorno di presidenza quando ha ordinato degli attacchi illegali condotti con droni oltre la frontiera sul Pakistan, attacchi che hanno ucciso 20 civili, fra i quali 3 bambini.

Anche i bombardamenti e cannoneggiamenti di case e villaggi in Afghanistan da parte delle truppe USA e dei fantocci americani della NATO sono crimini di guerra. Obama non può far osservare la legge, perchè lui in persona l'ha già violata.

Per decenni il governo USA ha assunto la posizione che l'espansione territoriale di Israele non è limitata da alcuna legge internazionale. Il governo USA è complice dei crimini di guerra di Israele in Libano, a Gaza e nella Sponda Ovest.

Il mondo intero sa che Israele è colpevole di crimini di guerra e che il governo USA ha reso tali crimini possibili fornendo le armi ed il sostegno diplomatico. Quello che Israele e gli USA hanno fatti in Libano ed a Gaza, non è differente dai crimini per i quali i Nazisti sono stati processati a Norimberga.

Israele lo capisce benissimo, ed il governo israeliano sta già preparando la propria difesa, che sarà guidata da Daniel Friedman , Ministro della Giustizia ( sic ) di Israele.

Richard Falk, funzionario ONU per i crimini di guerra, ha paragonato il massacro fatto da Israele a Gaza alle morti per inedia ed ai massacri dei Nazisti nel Ghetto di Varsavia.

Amnesty International e la Croce Rossa hanno chiesto che Israele sia ritenuta responsabile di crimini di guerra.

Anche otto gruppi israeliani per i diritti umani hanno invocato un'indagine sui crimini di guerra di Israele.

L'ordine di Obama di chiudere la prigione di Guantanamo non vuol dire nulla : fondamentalmente, l'ordine di Obama è solo un fatto di pubbliche relazioni : i tribunali ed i processi sono già stati chiusi dalle corti USA e dagli avvocati militari, che si sono rifiutati di perseguire delle accuse prefabbricate.

La gran parte dei prigionieri erano sfigati catturati dai signori della guerra Afghani e venduti per denaro quali "terroristi" a quei "gonzi" di Americani.

La maggior parte di tali prigionieri, indicatici dal regime di Bush come "le più pericolose persone al mondo", sono già state liberate.

L'ordine di Obama non dice nulla circa la chiusura delle prigioni segrete della CIA, o circa il bloccare pratiche illegali quali la "rendition" (*) nella quale la CIA rapisce persone che poi manda in paesi del terzo mondo [ dove la tortura è legale ], tipo l'Egitto, perchè siano torturati.

(*) [ Giusto per capirsi: rendition - handing over prisoners to countries where torture is allowed ; esiste in americano una singola parola con la quale dire "consegnare/abbandonare prigionieri in paesi dove la tortura è permessa"..., ndt ]

Se Obama vuole che gli USA diventino una nazione di legalità, invece di restare una nazione nella quale per gli interessi di alcuni si portano avanti azioni che vanno oltre la legge, dovrà prendersi dei rischi che i politici opportunisti non si sono mai assunti.

Non si può dire la verità, in America. Non nelle università, non sui media, non nei tribunali, il che spiega perchè imputati ed avvocati difensori si siano arresi nei processi e gli sbirri ricorrano in appello per meno reati di quanti non ne accadono.

Il governo non dice mai la verità. Come ha detto di recente Jonathan Turley : Washington è [ quel posto ] " dove i princìpi vanno a morire."

Paul Craig Roberts, Assistant Secretary of the Treasury nell'amministrazione Reagan

Fedozzo
27-01-2009, 18:06
la suprema bestemmia non è dichiarare di essere anti americani bensì anti israeliani.


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