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View Full Version : "Noi la crisi ve la creiamo"


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28-11-2008, 20:50
Gli studenti dell'onda di Torino:



NOI LA CRISI VE LA CREIAMO!
Perché gli studenti e i precari non intendono pagare il tracollo
finanziario globale


La crisi finanziaria che sta colpendo il sistema internazionale ci sta
parlando di una definitiva messa in discussione, e potenziale rottura,
di quei meccanismi che sono alla base del nostro modello di sviluppo.
Il nostro è un sistema produttivo basato su di una logica che vede
nell'accumulazione di capitali privati la cartina di tornasole del
proprio funzionamento e della propria efficienza. Stiamo assistendo
al perpetuarsi di una religione della "crescita per la
crescita", un' ideologia il cui obiettivo non è
nient'altro che l'aumento illimitato ed incondizionato della
produzione asservita a logiche private. Un'economia di questo tipo per
funzionare - in nome di una presunta ed oggettiva razionalità - deve
continuamente tendere alla mobilitazione di tutte le risorse a sua
disposizione, lavoro umano compreso, in una ricerca del profitto che
risulta essere infine elemento fondante del tutto.
Un profitto dei cui benefici, naturalmente, godono in pochi, sempre i
soliti; diversa è la situazione per gli elevati costi che questa
"megamacchina" economica produce, i quali vengono fatti pagare ai
lavoratori e alle fasce deboli della popolazione, in nome di
quell'eterna legge che richiama ideologicamente alla "mano invisibile"
del mercato. Una recente ricerca OCSE del 21 ottobre ci dice che "in
Italia disuguaglianza e povertà sono cresciute rapidamente durante i
primi anni novanta". Viviamo inoltre in un paese dove "la ricchezza é
distribuita in modo più diseguale rispetto al reddito: il 10% più
ricco detiene circa il 42% del valore netto totale.".
L'attuale crisi, dunque, pone seriamente in discussione il nostro
sistema, in cui la pauperizzazione delle risorse, la questione
ambientale e le crescenti disuguaglianze sociali rappresentano limiti
oggettivi invalicabili che ci raccontano di un'economia che, così come
è concepita, sta andando verso la sua fine.
Se osserviamo le dinamiche che hanno portato all´allargarsi della
crisi negli ultimi anni, vediamo come essa si sia originata nel cuore
trainante del capitalismo novecentesco, gli Stati Uniti. Le banche
avevano aperto crediti rilevanti a una gran parte della popolazione
sotto forma di mutui: l´indebitamento di milioni di persone ha fatto
sì che esse conducessero una vita al di sopra delle proprie
possibilità, e tutto il sistema economico basato sui consumi e
sull´american way of life si è rivelato un sistema drogato, che
semplicemente posponeva il momento della verità, ossia il suo proprio
crollo finanziario.
Una simile politica finanziaria, le conseguenze della cui crisi si
sono immediatamente abbattute su altri nodi economici - come quello
europeo - in un mondo dove l´interdipendenza economica è ormai
pressoché totale, è stata frutto di una contraddizione immanente al
modo di produzione complessivo del nostro pianeta. Gli imprenditori di
ogni parte del globo hanno spinto negli ultimi trent´anni ad un
abbattimento radicale dei costi della forza-lavoro, per poter
aumentare i propri profitti privati. Questo ha fatto sì che, da un
lato, miliardi di persone abbiano lavorato una vita conducendo
un´esistenza povera e senza prospettive, umiliate da uno sfruttamento
globale spietato, dall´altro, ha reso queste stesse persone, nella
veste di consumatori, impossibilitate a spese molto ampie.
Il funzionamento del mercato, però, non è basato soltanto su una
produzione enorme a basso costo, ma anche sulla possibilità di vendere
ciò che viene prodotto. Ma come collocare le merci su un mercato dove
i consumatori non hanno la possibilità di comprarle, essendo
strangolati dalla diminuzione dei redditi necessaria a quello stesso
aumento della produzione? Questa appare come una contraddizione
insanabile, e per questo le istituzioni politico-economiche si sono
guardate bene dal cercare di sanarla: l´hanno nascosta per anni,
permettendo ai consumatori di indebitarsi sempre di più con gli
istituti di credito! L´economia contemporanea è quindi caratterizzata
da una finanziarizzazione che fa da sfondo a un´immagine di ricchezza
del tutto virtuale. Oggi siamo di fronte al collasso concreto di
questa menzogna, che svela la verità di come il capitalismo globale
sia in realtà una macchina economica che produce povertà sotto la
semplice illusione della ricchezza - una sorta di economia posticcia e
virtuale.
Non sono i profeti della fine più o meno imminente dell´era
capitalista a proporre questa interpretazione, bensì l´OCSE,
organizzazione che riunisce trenta Paesi dietro la bandiera che
affianca il libero mercato alla democrazia rappresentativa. «Molte
delle economie dell´OCSE sono coinvolte o sono sull´orlo di una
recessione prolungata di una vastità non sperimentata dai primi anni
Ottanta». Così esordisce l´editoriale di monitoraggio della crisi
diffuso dall´organizzazione in data 25 novembre. Altri osservatori
stabiliscono addirittura il 1929 come termine di paragone più
adeguato. Allora come ora la crisi ebbe la causa scatenante nel mondo
finanziario, e le ripercussioni sull´economia reale furono disastrose.
E´ comunque degno di nota il riferimento alle turbolenze che colpirono
duramente il sistema economico mondiale durante tutti gli anni
Settanta. Il lascito di quell´epoca instabile, infatti, si è
concretizzato in trent´anni di liberismo sempre più sfrenato,
all´insegna di drastici tagli al welfare, precarizzazione crescente
del lavoro e speculazione finanziaria. Nel verbo incontrastato
dell´economia senza regole stanno i germi della recessione attuale.
Insomma, le teorie fantasiose dei paladini della deregulation e i
maneggi dei finanzieri hanno prodotto il tracollo, e le conseguenze
pesano sulle spalle dei cittadini. Sempre di più le imprese ricorrono
alla cassa integrazione, e il citato articolo a firma OCSE prevede nel
prossimo biennio, per i Paesi membri, che otto milioni di persone si
uniranno alla schiera dei disoccupati che oggi sono già più di 34
milioni.
Questa crisi riproduce le medesime logiche che la presunzione e
l'arroganza di alcuni, ricoperti da un'aura fatalista, pretendono
inopinabili e assolutamente naturali. La storia è sempre la stessa:
privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite. E´
possibile individuare dei precisi responsabili che oggi pretendono che
a pagare dei propri errori non siano loro stessi ma la collettività.
Considerare questi responsabili i nostri avversari diretti è l´unico
modo per non cadere nel tranello in cui il governo e i mass-media ci
stanno tendendo: farci credere che la crisi sia una sorta di punizione
divina, in modo da evitare di pagare per le proprie responsabilità
storiche e politiche.
Non possiamo non vedere nelle istituzioni finanziarie i soggetti
principali, e al tempo stesso gli strumenti necessari, di quel sistema
che oggi mostra le sue crepe. Accanto ad esse le corporations (le
cosiddette multinazionali) sono l'altro attore-regista fondamentale
del capitalismo internazionale. Questi soggetti quotidianamente
setacciano i cinque continenti alla ricerca del luogo in cui lo
sfruttamento del lavoro umano, delle risorse e dell'ambiente risulta
più semplice e vantaggioso. La speculazione, la ragion d'essere di
questi capitani d'industria, la ritroviamo ogni qual volta acquistiamo
un qualsivoglia prodotto.
Un capitolo a parte merita la politica. Essa più che dar priorità ai
diritti e socializzare la ricchezza prodotta è stata a guardare,
legittimando e aiutando le azioni di quegli attori economici
responsabili dell'attuale crisi.
Ogni omissione e azione della politica ha significato favorire
interessi e profitti particolari. Le nostre società hanno perduto la
loro autonomia in nome di un gretto economicismo dove le leggi
economiche sono risultate essere le uniche vere norme di regolazione
della vita comune. I progetti di privatizzazione di beni comuni come
l'istruzione, l'acqua, la sanità, grandi infrastrutture, utili solo a
chi le costruirà, e la speculazione edilizia sono solo alcuni degli
esempi di applicazione nella realtà delle logiche descritte, che vanno
ad incidere sulle nostre vite. Si tratta della messa a sistema di quel
pensiero unico liberista che le nostre istituzioni politiche, sia per
interesse sia per connubio ideologico, hanno avallato invece di
arginare e combattere.
Risulta a dir poco paradossale, e dai tratti sicuramente tragicomici,
osservare il comportamento di chi oggi richiede a gran voce
l'intervento statale per arginare la crisi, quando fino all'altro ieri
si immolava a strenuo sostenitore del libero mercato!
Fino a pochi mesi fa ci raccontavano che i limiti di bilancio e le
normative europee in materia economica non permettevano interventi
sociali. Ci consigliavano di privatizzare tutto il privatizzabile in
nome dell'efficienza economica e della riduzione del deficit. E´ la
stessa retorica che ha giustificato i tagli all´istruzione e alla
ricerca pubbliche negli ultimi 15 anni. All'improvviso tutti questi
stringenti meccanismi di stampo liberista possono essere disattesi... E'
di questi giorni la notizia che Maastricht potrà essere derogato per
alcuni anni. Prendiamo atto che i soldi non ci sono quando servono per
servizi di pubblica utilità e per finanziare il bene comune, mentre ne
arrivano a milioni quando c'è da pagare una crisi causata da pochi in
nome di interessi privati.
Essere davanti alla gruppo Intesa-Sanpaolo ha per noi, studenti e
studentesse, un valore simbolico altissimo. In questa piazza oggi
siamo qui solo noi ma abbiamo al nostro fianco simbolicamente tutti i
soggetti che stanno pagando sulla propria pelle questa crisi.

Intesa-Sanpaolo è la banca dove ogni anno decina di migliaia di
studenti versano le tasse universitarie: con quei soldi la banca
investe nell'industria delle armi, nella finanza internazionale e
nelle varie speculazioni in questa città e in giro per la penisola e
per il mondo. L'Intesa-Sanpaolo è uno di quegli istituti responsabili
dell'attuale crisi finanziaria; a Torino svolge il ruolo di una sorta
di Grande Fratello: "non si muove foglia che Intesa-Sanpaolo non
voglia". La realtà è quella di un istituto finanziario che di fatto
controlla il capoluogo subalpino in un intreccio tra politica ed
affari. Non è un segreto che il Comune di Torino sia indebitato
pesantemente con la banca, la quale determina il bello e il cattivo
tempo nella nostra città. E' senza dubbio simbolico ed emblematico che
l'Intesa-Sanpaolo si appresti a finanziarsi un grattacielo di lusso,
la torre più alta del centro di Torino. Oltre che per ragioni
paesaggistiche, l'idea di stanziare 350 o più di milioni di euro per
auto dedicarsi un monumento è l'emblema di una banca-padrona del
territorio. Senza dimenticare che in piena crisi finanziaria l'Intesa-
Sanpaolo, grazie ai profitti realizzati sui propri risparmiatori,
riesce a permettersi la costruzione di nuovi uffici a costi
esorbitanti mentre la maggior parte della popolazione, a causa della
finanza, rischia di rimanere sul lastrico.
Il messaggio che l´Onda Anomala intende lanciare ai responsabili della
crisi, da un lato, e ai soggetti colpiti da essa, dall´altro, è
chiaro: noi non pagheremo questa crisi che non abbiamo prodotto, ma
coloro che l´hanno creata devono pagarla. Questa crisi è frutto dello
sfruttamento selvaggio dei giovani e dei meno giovani, degli studenti
e dei precari, degli operai e dei migranti. E´ una crisi che dovrà
interamente ricadere su chi ci ha sfruttato e malgovernato per anni.
Dal momento che oggi il tentativo è quello di scaricare su tutti
questo tracollo, di cui ancora non sono note le effettive proporzioni
- e questo è l´aspetto più angosciante per tutti, in ogni parte del
mondo - noi intendiamo anche mettere in crisi il dispositivo economico-
politico generale che ha prodotto tutto questo. Mettere in crisi
l´economia dello sfruttamento e del profitto e la politica
dell´inganno e della difesa a spada tratta delle ingiustizie e delle
diseguaglianze è compito e dovere di tutte e tutti. Una politica che
difende esclusivamente gli interessi di pochi non è degna di questo
nome. Noi siamo quelli che si rivolgono a tutto il paese incitando
alla protesta e al rifiuto di questa politica, per la costruzione di
nuovi spazi di protagonismo e conflitto sociale, per cominciare a
pensare, dal punto di vista della collettività, l´uscita dalla crisi e
una conseguente trasformazione della società.

Torino, 28 novembre 2008