Fides Brasier
03-09-2008, 11:08
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=4958&ID_sezione=&sezione=
3/9/2008
Il partito padronale e il partito che non c'è
EMANUELE MACALUSO
Siamo a settembre e voglio riprendere alcuni temi, emersi nella polemica ferragostana tra il sindaco Chiamparino e i dirigenti del Pd torinese, che hanno una valenza generale e toccano i nervi scoperti del sistema politico italiano. Del resto non è un caso che le polemiche torinesi somiglino a quelle che leggiamo sul Pd e il presidente della Regione sarda e quelle di altre regioni. Il tema a cui alludo attiene al rapporto tra i partiti e le istituzioni dopo la crisi che ha travolto le formazioni politiche che diedero vita alla Costituzione e ressero il sistema per circa cinquant’anni.
In un articolo apparso venerdì sulla Stampa Sergio Chiamparino scriveva: «Sono convinto dell’importanza decisiva dei partiti, a condizione però che siano veicoli di reale rappresentanza di interessi e di valori e non macchine (o macchinette) distributrici di potere e nemmeno caricature di quelli che sono stati seri e nobili partiti ma che non ritorneranno più». Lascio stare la carica polemica, certo non infondata, che c’è nello scritto di Chiamparino nei confronti dei partiti oggi e in primis rispetto al suo Pd. È vero, quei partiti non torneranno più, ma la riflessione riguarda l’oggi.
I grandi partiti di massa, dopo la Liberazione, riconoscendosi nella Costituzione che avevano scritto insieme espressero anche una forma nuova e più forte di unità nazionale. Vaste masse popolari (cattolici, socialisti, comunisti) si riconobbero nello Stato unitario. Non è un caso che grazie a quel patto costituzionale il separatismo, che scosse la Sicilia nel dopoguerra, fu sconfitto e, invece, dopo la crisi dei grandi partiti è sorto il leghismo separatista al Nord. E di fronte a fenomeni nuovi, figli della crisi, i «nuovi» partiti annaspano. Basti pensare alle oscillazioni opportunistiche, a destra e a sinistra, sul federalismo.
Oggi è all’ordine del giorno il «federalismo fiscale», senza avere affrontato il nodo costituzionale del federalismo. Insomma, è plausibile un federalismo fiscale senza federalismo costituzionale? Sul ruolo dei Comuni e dei sindaci il discorso non cambia. Non fu una trovata della «nuova sinistra» il «partito dei sindaci»? E vorrei chiedere a Chiamparino perché non parlò quando, nel fare il Pd, leader del partito veniva incoronato il sindaco di Roma che manteneva i due incarichi. I sindaci di Bari, Pescara e Messina si candidarono a segretari regionali del Pd e hanno mantenuto i due incarichi. Il sindaco, come dice Chiamparino oggi, non rappresenta tutti i cittadini? In Calabria il segretario regionale Pd è stato il viceministro dell’Interno sino alle elezioni politiche. Che dirigenti del Pd pensino che ci sia un cordone ombelicale che lega il sindaco al Partito (cosa che non esisteva nemmeno nel Pci) è un segno dei tempi.
Questi fatti però ci dicono cose che non possono sfuggire a una persona con l’intelligenza e l’esperienza di Chiamparino. Il Pd è nato senza un progetto politico-costituzionale e su ogni questione che si pone - il federalismo, la giustizia, le leggi elettorali, il ruolo dei partiti - è al rimorchio di altre forze, seguendole o contestandole. Il fatto che la «transizione» non finisca mai e non si riesca a «normalizzare» i rapporti tra governo e opposizione non è dovuto solo alla presenza «anomala» di un presidente del Consiglio con un evidente e pesante conflitto di interessi, ma anche al fatto che l’opposizione non ha un suo progetto. Nei mesi scorsi, su queste stesse colonne, avevo proposto di convocare un’assemblea costituente per separare il riordino costituzionale dalle vicende che travagliano l’attività di governo. Ma c’è scetticismo anche perché la maggioranza governativa pensa di imporre comunque il suo progetto (ha i numeri per farlo) e l’opposizione pensa solo a contrastarlo.
In questo clima operano anche le istituzioni locali. E non mi stupisce che nel Pd, come dice Chiamparino, si verifichino «scontri di potere finalizzati al rinnovo dei vertici istituzionali e in particolare alla loro sostituzione».
Questo quadro ne richiama un altro e attiene alle regole che dovrebbero consentire in un partito la democratica convivenza di posizioni politiche diverse e le personalità che hanno ruoli diversi, nelle istituzioni e nella guida delle strutture partitiche. Ma nel Pd, a quanto pare, non ci sono regole. Non si sa ancora se ci sarà un congresso o se tutto, invece, è affidato alle investiture del leader con le primarie. Le quali si svolgono senza una legge e senza sapere quali regole vigano nel partito del leader. È vero, i vecchi partiti con le loro vecchie regole non possono più tornare. Ma si vuole discutere su cosa sono e dovrebbero essere i partiti in una moderna democrazia? A destra c’è ancora il partito padronale, a sinistra, leggendo le polemiche agostane di cui parla Chiamparino, non si capisce cosa c’è.
3/9/2008
Il partito padronale e il partito che non c'è
EMANUELE MACALUSO
Siamo a settembre e voglio riprendere alcuni temi, emersi nella polemica ferragostana tra il sindaco Chiamparino e i dirigenti del Pd torinese, che hanno una valenza generale e toccano i nervi scoperti del sistema politico italiano. Del resto non è un caso che le polemiche torinesi somiglino a quelle che leggiamo sul Pd e il presidente della Regione sarda e quelle di altre regioni. Il tema a cui alludo attiene al rapporto tra i partiti e le istituzioni dopo la crisi che ha travolto le formazioni politiche che diedero vita alla Costituzione e ressero il sistema per circa cinquant’anni.
In un articolo apparso venerdì sulla Stampa Sergio Chiamparino scriveva: «Sono convinto dell’importanza decisiva dei partiti, a condizione però che siano veicoli di reale rappresentanza di interessi e di valori e non macchine (o macchinette) distributrici di potere e nemmeno caricature di quelli che sono stati seri e nobili partiti ma che non ritorneranno più». Lascio stare la carica polemica, certo non infondata, che c’è nello scritto di Chiamparino nei confronti dei partiti oggi e in primis rispetto al suo Pd. È vero, quei partiti non torneranno più, ma la riflessione riguarda l’oggi.
I grandi partiti di massa, dopo la Liberazione, riconoscendosi nella Costituzione che avevano scritto insieme espressero anche una forma nuova e più forte di unità nazionale. Vaste masse popolari (cattolici, socialisti, comunisti) si riconobbero nello Stato unitario. Non è un caso che grazie a quel patto costituzionale il separatismo, che scosse la Sicilia nel dopoguerra, fu sconfitto e, invece, dopo la crisi dei grandi partiti è sorto il leghismo separatista al Nord. E di fronte a fenomeni nuovi, figli della crisi, i «nuovi» partiti annaspano. Basti pensare alle oscillazioni opportunistiche, a destra e a sinistra, sul federalismo.
Oggi è all’ordine del giorno il «federalismo fiscale», senza avere affrontato il nodo costituzionale del federalismo. Insomma, è plausibile un federalismo fiscale senza federalismo costituzionale? Sul ruolo dei Comuni e dei sindaci il discorso non cambia. Non fu una trovata della «nuova sinistra» il «partito dei sindaci»? E vorrei chiedere a Chiamparino perché non parlò quando, nel fare il Pd, leader del partito veniva incoronato il sindaco di Roma che manteneva i due incarichi. I sindaci di Bari, Pescara e Messina si candidarono a segretari regionali del Pd e hanno mantenuto i due incarichi. Il sindaco, come dice Chiamparino oggi, non rappresenta tutti i cittadini? In Calabria il segretario regionale Pd è stato il viceministro dell’Interno sino alle elezioni politiche. Che dirigenti del Pd pensino che ci sia un cordone ombelicale che lega il sindaco al Partito (cosa che non esisteva nemmeno nel Pci) è un segno dei tempi.
Questi fatti però ci dicono cose che non possono sfuggire a una persona con l’intelligenza e l’esperienza di Chiamparino. Il Pd è nato senza un progetto politico-costituzionale e su ogni questione che si pone - il federalismo, la giustizia, le leggi elettorali, il ruolo dei partiti - è al rimorchio di altre forze, seguendole o contestandole. Il fatto che la «transizione» non finisca mai e non si riesca a «normalizzare» i rapporti tra governo e opposizione non è dovuto solo alla presenza «anomala» di un presidente del Consiglio con un evidente e pesante conflitto di interessi, ma anche al fatto che l’opposizione non ha un suo progetto. Nei mesi scorsi, su queste stesse colonne, avevo proposto di convocare un’assemblea costituente per separare il riordino costituzionale dalle vicende che travagliano l’attività di governo. Ma c’è scetticismo anche perché la maggioranza governativa pensa di imporre comunque il suo progetto (ha i numeri per farlo) e l’opposizione pensa solo a contrastarlo.
In questo clima operano anche le istituzioni locali. E non mi stupisce che nel Pd, come dice Chiamparino, si verifichino «scontri di potere finalizzati al rinnovo dei vertici istituzionali e in particolare alla loro sostituzione».
Questo quadro ne richiama un altro e attiene alle regole che dovrebbero consentire in un partito la democratica convivenza di posizioni politiche diverse e le personalità che hanno ruoli diversi, nelle istituzioni e nella guida delle strutture partitiche. Ma nel Pd, a quanto pare, non ci sono regole. Non si sa ancora se ci sarà un congresso o se tutto, invece, è affidato alle investiture del leader con le primarie. Le quali si svolgono senza una legge e senza sapere quali regole vigano nel partito del leader. È vero, i vecchi partiti con le loro vecchie regole non possono più tornare. Ma si vuole discutere su cosa sono e dovrebbero essere i partiti in una moderna democrazia? A destra c’è ancora il partito padronale, a sinistra, leggendo le polemiche agostane di cui parla Chiamparino, non si capisce cosa c’è.