Ser21
06-08-2008, 14:39
Anniversario omicidio Gaetano Costa
6 agosto 1980 - 6 agosto 2008
Il Procuratore Capo di Palermo Gaetano Costa fu assassinato da un killer di Cosa Nostra la mattina del 6 agosto 1980, mentre sfogliava dei libri in un'edicola, di via Cavour a Palermo, a due passi da casa sua.
Il magistrato fu lasciato solo. Rita Bartoli, moglie del procuratore, in un’ intervista rilasciata al Corriere della Sera (14 settembre 1983) affermò: <<Mio marito fu lasciato solo a firmare i mandati di cattura contro la cosca Spatola-Inzerillo. Qualcuno lo additò addirittura come unico responsabile di quei mandanti. Lo andarono a raccontare in giro agli avvocati dei mafiosi, ai giornalisti>>.
Ringraziamo l'avvocato Michele Costa per l'invio di questi preziosi documenti
Gaetano Costa nacque in Caltanissetta, dove studiò fino al conse-guimento della licenza liceale, laureandosi, poi, nella Facoltà di Giurispru-denza di Palermo.
Sin da ragazzo aderì al Partito Comunista allora clandestino.
Dopo aver vinto il concorso in Magistratura fu arruolato come Uffi-ciale nell'aviazione ottenendo due croci di guerra.
L'otto settembre raggiunse la Val di Susa unendosi ai partigiani che ivi operavano.
Finita la guerra fu immesso in servizio in Magistratura, prima presso il Tribunale di Roma; successivamente, su sua richiesta, fu trasferito alla Procura della Repubblica di Caltanissetta.
In quella Procura espletò la maggior parte della Sua attività di Magi-strato, da sostituto procuratore prima e da Procuratore Capo poi, dando sempre chiare manifestazioni di alta preparazione professionale, indipen-denza, ed equilibrio.
Nonostante il carattere apparentemente freddo e distaccato e la po-ca inclinazione ai rapporti sociali, gli fu sempre unanimamente riconosciuta una grande umanità ed attenzione soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli.
Sin dagli anni sessanta, come risulta dalla sua deposizione alla pri-ma Commissione antimafia, intuì che la mafia aveva subito una radicale mutazione e che si era annidata nei gangli vitali della pubblica amministra-zione controllandone gli appalti, le assunzioni e la gestione in genere.
Inutilmente, all'epoca, richiamò l'attenzione delle massime autorità sul fatto che un’efficace lotta alla mafia imponeva la predisposizione di strumenti legislativi che consentissero di indagare sui patrimoni dei presunti mafiosi e di colpirli.
Nel gennaio del 1978 fu nominato Procuratore capo di Palermo ma la reazione del "Palazzo" fu, in larga misura, negativa, tanto da far sì che si ritardasse la sua immissione in possesso sino al luglio di quell'anno.
Insediandosi, consapevole delle resistenze che avrebbe dovuto affrontare, fece la seguente dichiarazione:
“Vengo, disse in un ambiente dove non conosco nessuno, sono distratto e poco fisionomista. Sono circostanze che provocheranno equi-voci. In questa situazione è inevitabile che il mio inserimento provocherà anche dei fenomeni di rigetto. Se la discussione però si sviluppa senza riserve mentali, per quanto vivace, polemica e stimolante, non ci priverà di una sostanziale serenità. Ma ove la discussione fosse inquinata da rapporti d’inimicizia, d’interlocutori ostili e pieni di riserve, si giungerà fa-talmente alla lite”.
Nel breve periodo di sua gestione della Procura di Palermo avviò una serie di delicatissime indagini nell'ambito delle quali, sia pure con i limi-tati mezzi all'epoca a sua disposizione, tentò di penetrare i santuari patri-moniali della mafia.
Di lui scrisse un suo sostituto che era un uomo "di cui si poteva comperare solo la morte".
Per queste Sue indagini ed anche perché i suoi sostituti si erano apertamente dissociati dalla sua azione in relazione al primo duro colpo in-ferto alla cosca di mafia allora egemone ed alla inchiesta che porterà al primo processo contro i trafficanti di stupefacenti, il 06 agosto 1980, mentre passeggiava da solo ed a piedi, rimase vittima di un agguato tesogli nel centro di Palermo.
Non va dimenticato che, pur essendo l'unico magistrato a Palermo al quale, in quel momento, erano state assegnate un’auto blindata ed una scorta, non ne usufruiva ritenendo che la sua protezione avrebbe messo in pericolo altri e che lui era uno di quelli che "aveva il dovere di avere corag-gio".
Nessuno è stato condannato per la sua morte ancorché la Corte di assise di Catania ne abbia accertato il contesto individuandolo nella zona grigia tra affari, politica e crimine organizzato.
Da molti settori, compresa la Magistratura, si è cercato di farlo di-menticare anche, forse, per nascondere le colpe di coloro che lo lasciarono solo e, come disse Sciascia, lo additarono alla vendetta mafiosa.
Il suo impegno fu continuato da Rocco Chinnici, allora tra i pochi che lo capirono e ne condivisero gli intenti e l'azione, e, per questo ne se-guirà la sorte.
Gaetano Costa un caduto condannato all'oblio perché molti non gli hanno perdonato di avere intuito con largo anticipo la natura profonda della mafia, elaborato un’efficace strategia di contrasto ed avere tentato di at-tuarla in solitudine e con tanta determinazione da imporne la soppressione.
6 agosto 1980 - 6 agosto 2008
Il Procuratore Capo di Palermo Gaetano Costa fu assassinato da un killer di Cosa Nostra la mattina del 6 agosto 1980, mentre sfogliava dei libri in un'edicola, di via Cavour a Palermo, a due passi da casa sua.
Il magistrato fu lasciato solo. Rita Bartoli, moglie del procuratore, in un’ intervista rilasciata al Corriere della Sera (14 settembre 1983) affermò: <<Mio marito fu lasciato solo a firmare i mandati di cattura contro la cosca Spatola-Inzerillo. Qualcuno lo additò addirittura come unico responsabile di quei mandanti. Lo andarono a raccontare in giro agli avvocati dei mafiosi, ai giornalisti>>.
Ringraziamo l'avvocato Michele Costa per l'invio di questi preziosi documenti
Gaetano Costa nacque in Caltanissetta, dove studiò fino al conse-guimento della licenza liceale, laureandosi, poi, nella Facoltà di Giurispru-denza di Palermo.
Sin da ragazzo aderì al Partito Comunista allora clandestino.
Dopo aver vinto il concorso in Magistratura fu arruolato come Uffi-ciale nell'aviazione ottenendo due croci di guerra.
L'otto settembre raggiunse la Val di Susa unendosi ai partigiani che ivi operavano.
Finita la guerra fu immesso in servizio in Magistratura, prima presso il Tribunale di Roma; successivamente, su sua richiesta, fu trasferito alla Procura della Repubblica di Caltanissetta.
In quella Procura espletò la maggior parte della Sua attività di Magi-strato, da sostituto procuratore prima e da Procuratore Capo poi, dando sempre chiare manifestazioni di alta preparazione professionale, indipen-denza, ed equilibrio.
Nonostante il carattere apparentemente freddo e distaccato e la po-ca inclinazione ai rapporti sociali, gli fu sempre unanimamente riconosciuta una grande umanità ed attenzione soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli.
Sin dagli anni sessanta, come risulta dalla sua deposizione alla pri-ma Commissione antimafia, intuì che la mafia aveva subito una radicale mutazione e che si era annidata nei gangli vitali della pubblica amministra-zione controllandone gli appalti, le assunzioni e la gestione in genere.
Inutilmente, all'epoca, richiamò l'attenzione delle massime autorità sul fatto che un’efficace lotta alla mafia imponeva la predisposizione di strumenti legislativi che consentissero di indagare sui patrimoni dei presunti mafiosi e di colpirli.
Nel gennaio del 1978 fu nominato Procuratore capo di Palermo ma la reazione del "Palazzo" fu, in larga misura, negativa, tanto da far sì che si ritardasse la sua immissione in possesso sino al luglio di quell'anno.
Insediandosi, consapevole delle resistenze che avrebbe dovuto affrontare, fece la seguente dichiarazione:
“Vengo, disse in un ambiente dove non conosco nessuno, sono distratto e poco fisionomista. Sono circostanze che provocheranno equi-voci. In questa situazione è inevitabile che il mio inserimento provocherà anche dei fenomeni di rigetto. Se la discussione però si sviluppa senza riserve mentali, per quanto vivace, polemica e stimolante, non ci priverà di una sostanziale serenità. Ma ove la discussione fosse inquinata da rapporti d’inimicizia, d’interlocutori ostili e pieni di riserve, si giungerà fa-talmente alla lite”.
Nel breve periodo di sua gestione della Procura di Palermo avviò una serie di delicatissime indagini nell'ambito delle quali, sia pure con i limi-tati mezzi all'epoca a sua disposizione, tentò di penetrare i santuari patri-moniali della mafia.
Di lui scrisse un suo sostituto che era un uomo "di cui si poteva comperare solo la morte".
Per queste Sue indagini ed anche perché i suoi sostituti si erano apertamente dissociati dalla sua azione in relazione al primo duro colpo in-ferto alla cosca di mafia allora egemone ed alla inchiesta che porterà al primo processo contro i trafficanti di stupefacenti, il 06 agosto 1980, mentre passeggiava da solo ed a piedi, rimase vittima di un agguato tesogli nel centro di Palermo.
Non va dimenticato che, pur essendo l'unico magistrato a Palermo al quale, in quel momento, erano state assegnate un’auto blindata ed una scorta, non ne usufruiva ritenendo che la sua protezione avrebbe messo in pericolo altri e che lui era uno di quelli che "aveva il dovere di avere corag-gio".
Nessuno è stato condannato per la sua morte ancorché la Corte di assise di Catania ne abbia accertato il contesto individuandolo nella zona grigia tra affari, politica e crimine organizzato.
Da molti settori, compresa la Magistratura, si è cercato di farlo di-menticare anche, forse, per nascondere le colpe di coloro che lo lasciarono solo e, come disse Sciascia, lo additarono alla vendetta mafiosa.
Il suo impegno fu continuato da Rocco Chinnici, allora tra i pochi che lo capirono e ne condivisero gli intenti e l'azione, e, per questo ne se-guirà la sorte.
Gaetano Costa un caduto condannato all'oblio perché molti non gli hanno perdonato di avere intuito con largo anticipo la natura profonda della mafia, elaborato un’efficace strategia di contrasto ed avere tentato di at-tuarla in solitudine e con tanta determinazione da imporne la soppressione.